Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La scrittura storiografica e cronachistica, dapprima latina, poi sempre più spesso volgare, fiorisce in ambiente cittadino grazie all’attività di mercanti, notai e uomini politici dediti alla costruzione di una memoria collettiva. Il racconto storico assume varie forme, dal diario di famiglia alla cronaca annalistica, dall’autobiografia alla storia universale. La storiografia in volgare produce i suoi frutti più significativi a Firenze, ma conta opere di grande interesse anche in altre città e regioni d’Italia.
Bartolomeo di Iacovo da Valmontone
Vita di Cola di Rienzo
Cronica
Preso per le vraccia, liberamente fu addutto per tutte le scale senza offesa fi’ allo luoco dello lione, dove li aitri la sentenzia vodo, dove esso sentenziato aitri aveva. Là addutto, fu fatto uno silenzio. Nullo omo era ardito toccarelo. Là stette per meno de ora, la varva tonnita, lo voito nero como fornaro, in iuppariello de seta verde, scento, colli musacchini inaorati, colle caize de biada a muodo de barone. Le vraccia teneva piecate. In esso silenzio mosse la faccia, guardao de•llà e de cà. Allora Cecco dello Viecchio impuinao mano a uno stuocco e deoli nello ventre. Questo fu lo primo. Immediate puo’ esso secunnao lo ventre de Treio notaro e deoli la spada in capo. Allora l’uno, l’aitro e li aitri lo percuoto. Chi li dao, chi li promette. Nullo motto faceva. Alla prima morìo, pena non sentìo. Venne uno con una fune e annodaoli tutti doi li piedi. Dierolo in terra, strascinavanollo, scortellavanollo. Così lo passavano como fussi criviello. Onneuno ne•sse iocava. Alla perdonanza li pareva de stare. Per questa via fu strascinato fi’ a Santo Marciello. Là fu appeso per li piedi a uno mignaniello. Capo non aveva. Erano remase le cocce per la via donne era strascinato. Tante ferute aveva, pareva criviello. Non era luoco senza feruta. Le mazza de fòra grasse. Grasso era orribilemente, bianco como latte insanguinato. Tanta era la soa grassezza, che pareva uno esmesurato bufalo overo vacca a maciello. Là pennéo dìi doi, notte una. Li zitielli li iettavano le prete. Lo terzo dìe de commannamento de Iugurta e de Sciarretta della Colonna fu strascinato allo campo dell’Austa. Là se adunaro tutti Iudiei in granne moititudine: non ne remase uno. Là fu fatto uno fuoco de cardi secchi. In quello fuoco delli cardi fu messo. Era grasso. Per la moita grassezza da sé ardeva volentieri. Staievano là li Iudiei forte affaccennati, afforosi, affociti. Attizzavano li cardi perché ardessi. Così quello cuorpo fu arzo e fu redutto in polve: non ne remase cica. Questa fine ebbe Cola de Rienzi, lo quale se fece tribuno augusto de Roma, lo quale voize essere campione de Romani.
B. di Iacovo da Valmontone, Cronica, a cura di G. Porta, Milano, Adelphi, 1979
La produzione storiografica e cronachistica dei secoli XIII e XIV riceve un impulso decisivo dalle condizioni politiche, economiche e socioculturali dei principali centri della penisola. La crescita delle città, con l’affermarsi della classe mercantile, e la nascita di comuni e di repubbliche marinare determina un’esigenza di memoria condivisa su cui far poggiare l’identità delle comunità cittadine. La scrittura memoriale viene praticata da diverse categorie di persone, come i notai, tradizionalmente legati all’atto di scrittura, i mercanti, particolarmente attivi nella registrazione di ricordi individuali e familiari, e i rappresentanti delle istituzioni, che si fanno latori della memoria collettiva tramandando i fatti del passato e conservando testimonianza degli avvenimenti del presente.
La memoria storica trova espressione in una notevole varietà di forme che raccontano le vicende delle famiglie e delle città: cronache e libri di ricordi, storie universali e genealogie, annali e autobiografie. Diversi generi convivono e si contaminano in questa produzione memoriale di ambiente cittadino, ora anonima, ora segnata da un’impronta autoriale, ora freddamente schematica, ora caratterizzata da una scrittura più personale o da un acceso spirito di parte.
La produzione di memorie di famiglia è notevole soprattutto in Toscana, dove i libri di ricordi costituiscono un patrimonio di informazioni anagrafiche e di notizie di carattere economico e politico. Particolarmente significativo lo Specchio umano di Domenico Lenzi, noto anche come Libro del Biadaiolo: il registro dei prezzi del grano a Firenze dal 1320 al 1335 accoglie notizie sulla politica comunale e su eventi correlati, riflettendo l’ambiente caotico del mercato fiorentino. Sempre trecentesca è la cosiddetta Cronica domestica di Donato Velluti, che, pensata per una destinazione familiare, intreccia la storia della famiglia dell’autore con le vicende del Comune di Firenze, per il quale Velluti svolge alcune mansioni.
La scrittura storiografica in questo periodo è interessata dal bilinguismo latino-volgare. La storiografia nasce in latino e in alcune zone, come l’Italia settentrionale, continua a essere prodotta prevalentemente in quella lingua. All’affermazione della prosa volgare, favorita dall’urgenza dei cronisti di riferire con immediatezza la propria testimonianza e di raggiungere un pubblico di lettori non colti, contribuisce innanzitutto la pratica dei volgarizzamenti, che spesso non sono semplici traduzioni, ma vere e proprie rielaborazioni con aggiornamenti.
Nell’ambito della storiografia in latino, l’opera duecentesca più importante, anche dal punto di vista letterario, è il Chronicon Parmense del francescano Salimbene da Parma, che registra una grande varietà di notizie derivate in gran parte dall’esperienza diretta dell’autore. A Firenze, invece, fra le memorie cittadine in latino, prodotte a partire dalla seconda metà del XII secolo, si segnalano i Gesta florentinorum del giudice Senzanome (inizio XIII secolo), il primo storico della città che si fa riconoscere in una schiera di annalisti anonimi. Al 1200 circa risale l’anonima Chronica de origine civitatis Florentiae, basata sulla leggenda relativa all’origine fiesolana di Firenze. Di questa cronaca abbiamo la versione latina e diversi volgarizzamenti, fra cui il Libro fiesolano (o Cronica de quibusdam gestis).
Nella seconda metà del XIII secolo Firenze inaugura la stagione della storiografia in volgare, che non esclude il persistere di contemporanee produzioni in latino.
Il Duecento fiorentino vede una larga produzione di cronache di impianto annalistico, ora anonime, come la cosiddetta Cronichetta, che copre gli anni dalla metà del Mille al 1297, ora firmate o di dubbia attribuzione, come la Storia fiorentina che, partendo dalle origini mitiche di Firenze, conduce la trattazione fino all’anno 1286. Dovuta forse a Ricordano Malispini per la trattazione fino al 1282 e al nipote Giacotto per gli ultimi anni, l’opera è ritenuta da alcuni studiosi una copia trecentesca del Libro fiesolano unita a un compendio della cronaca di Giovanni Villani, che nel secolo XIV è il principale modello di riferimento per i cronisti della penisola.
In ambito trecentesco è particolarmente significativa la Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi di Dino Compagni. Si tratta di una storia municipale che, rinunciando alla cornice della storia universale e superando lo schema annalistico, si concentra con partecipazione appassionata sulla contemporaneità (dal 1280 al 1312) delle cose viste e vissute dall’autore, popolano dell’Arte della Seta e guelfo bianco, che ricopre le più alte cariche pubbliche nella Firenze lacerata dalle lotte intestine.
Per l’affermazione della storiografia in volgare a Firenze è decisiva l’opera dei Villani, una famiglia di mercanti i cui membri si avvicendano nella composizione di una cronaca cittadina. Il guelfo nero Giovanni Villani, mercante scrittore, più volte priore, è l’autore della Nuova Cronica in dodici libri, costruita secondo uno schema annalistico di antica tradizione. Uscendo dai confini di una storia municipale come quella del Compagni, il Villani si inserisce nel solco della tradizione delle storie universali, facendo iniziare la propria opera dalla torre di Babele. I primi sei libri poggiano su racconti leggendari, mentre gli ultimi sei si concentrano sulla storia di Firenze del periodo 1265-1348, illustrata con aneddoti vivaci e col distacco che si richiede a uno storico. La Nuova Cronica incontra un successo immediato, tanto che, alla morte di Giovanni, il fratello minore Matteo ne continua l’opera con undici libri che portano la registrazione cronachistica fino al 1363. Filippo Villani, figlio di Matteo, continua l’opera del padre fino all’anno 1364.
Nell’ultimo quarto del Trecento, che pure vede una ricca produzione di cronache e diari, si segnala la Cronica fiorentina di Marchionne di Coppo di Stefano de’ Buonaiuti (1336-1385), che prende le mosse dalla creazione di Adamo per arrivare al 1385. Come i fratelli Villani, anche Marchionne compila la cronaca fino all’ultimo anno della sua vita e ci lascia un testo in cui convivono episodi leggendari, fatti uditi e vicende vissute dall’autore.
La produzione cronachistica interessa anche altre città della Toscana, come Pistoia, Lucca, Pisa, Arezzo e Siena, le cui vicende politiche spesso si intrecciano con quelle di Firenze, e altre zone dell’Italia centrale e meridionale, dove accanto alla produzione in latino emerge una storiografia dialettale.
Fuori da Firenze si segnalano in particolare le Storie pistoresi, relative agli anni 1286-1348, notevoli per la prosa e la tecnica narrativa impiegate nel resoconto delle lotte fra Bianchi e Neri. Interessante per la scelta della forma metrica, la Cronica in terzine dantesche del notaio Bartolomeo di ser Gorello (XIV sec.) inquadra in una cornice allegorica la storia di Arezzo dalla fondazione fino all’anno 1384.
In versi è composta anche la Cronaca aquilana di Buccio di Ranallo, che espone in quartine monorime di alessandrini (metro assai praticato nella letteratura didascalica coeva) la storia dell’Aquila nell’arco di poco più di un secolo, dal 1254, anno della fondazione della città, al 1362.
A Roma, dove il primo modello narrativo è rappresentato dalla tradizione del Liber Pontificalis, serie di biografie dei papi avviata forse a partire dal VI secolo, fra volgarizzamenti, cronache e storie universali si distingue la Cronica del cosiddetto Anonimo Romano. La cronaca copre gli anni 1325-1357 ed è compilata prima in latino poi in volgare romano fra il 1357 e il 1358. Ci è conservata una parte della redazione in volgare in cui, fra l’altro, con una prosa fortemente espressiva è narrata la Vita di Cola di Rienzo, ossia la breve e intensa parabola del tribuno della plebe che, fedele agli antichi ideali della Roma repubblicana e all’utopia di un profondo rinnovamento politico e sociale, governa la città nel 1347.
Anche fuori dall’Italia la produzione storiografica è bilingue e conosce la pratica dei volgarizzamenti come viatico per l’affermazione delle lingue romanze. La storiografia volgare francese nasce in forma versificata nella seconda metà del secolo XII, registrando forme di contaminazione fra i generi letterari, con particolare riferimento alla narrazione epica e romanzesca. Dapprima memoria dell’aristocrazia, poi voce del potere monarchico, dall’inizio del secolo XIII la scrittura storiografica assume la forma prosastica, e nel secolo XIV si afferma con una fisionomia propria, scevra da contaminazioni. Il cronista più significativo del Trecento francese è Jean Froissart, autore delle Chroniques de France, d’Angleterre et des pays voisims, dedicate alle vicende di Francia, Inghilterra, Scozia, Spagna e Bretagna negli anni 1327-1400.
In area iberica, uno dei prodotti più rilevanti della storiografia catalana, anche per la notevole cultura letteraria dell’autore, è la Crónica di Ramon Muntaner, relativa agli anni 1208-1328. In ambito castigliano si segnala il progetto culturale del re Alfonso X il Saggio, che promuove la redazione della Estoria de España, una storia universale di carattere enciclopedico. La storiografia portoghese si esprime in due filoni indipendenti, quello di tradizione regia e quello di tradizione aristocratica, dove si segnala il Livro de linhagens do conde D. Pedro (1340-1344 ca.).