ROCOCÒ, Stile
Si diede questo nome nel sec. XVIII a particolari architetture rustiche, dette in Francia rocaille, caratteristiche dei periodi seicenteschi e settecenteschi: grotte artificiali, bagni, fontane, formati da strani aggruppamenti di pietra, decorati da bizzarre ramificazioni di stalattiti artificiali, di pietrificazioni scolpite, di conchiglie, ecc., originarî della meravigliosa arte dei giardini itafiani dei secoli XVII e XVIII. Furono ancora chiamate rocaille in Francia talune basi di mobili di vario genere in bronzo, in argento, in maiolica, basi dalla forma irregolare imitante i frammenti d'una roccia. Il nome rococo si trova per primo nel linguaggio corrente in Francia: Cochin a Parigi si vantava d'avere "couvert le partisan du rococo d'une assez bonne dose de ridicule". Stendahl nelle sue Promenades dans Rome indicava: "ce terme un peu vulgaire de rococo employé dans les ateliers pour désigner le style d'architecture et d'ornamentation qui regna en France au XVIIIe siècle".
Oggi, più generalmente s'intende per rococò l'ulteriore evoluzione del barocco, nelle sue forme più esasperate, del tempo che intercorre tra la fine del sec. XVII e la prima metà del XVIII.
Questo stile trae espressione dalla grazia e dal lusso molle del Settecento. Esso si esplica con elementi decorativi piuttosto che strutturali, plasma di curve a contorni sinuosi tutte le membrature architettoniche, nasconde la superficie nuda della pietra con un manto di ornamentazioni delicate. Alla grazia del rococò parteciparono tutte le arti con uno spirito decorativo animato da una schiera di architetti, pittori e scultori, che furono anche celeberrimi disegnatori di spigliate fantasie architettoniche, di cui si conservano infinite cartelle. La scenografia teatrale assurse a forme d'arte superiori, contribuendo allo sviluppo del teatro moderno.
Si afferma il rococò nell'architettura barocca italiana, fino dalla prima metà del sec. XVII, come, per esempio, in taluni atteggiamenti plastici delle composizioni berniniane (altari, baldacchini, ecc.); ma il primo e più grande iniziatore ne è il Borromini. La plastica curvilinea di questo maestro precursore, l'originalità dei suoi particolari, lo spirito secco e sinuoso del suo sagomare, saranno largamente imitati dagli architetti venuti di poi, italiani come il Guarini, stranieri come l'Oppenord. Si ritroveranno in tutto il Settecento rococò gli elementi capricciosi che adornano, ad esempio, le finestre di Propaganda Fide, sarà ripetuta la plastica curvilinea di S. Carlino e dell'oratorio dei Filippini, con i coronamenti sinuosi e appuntiti, la bizzarra e curvilinea decorazione della porta interna di San Giovanni, o quel sagomare complesso dell'interno dell'oratorio dei Filippini. Nei palazzi, nelle chiese, negl'interni, l'influenza del Borromini si farà profondamente sentire, in Italia e oltralpe, dalla Francia alla Russia.
In Italia il rococò non si è manifestato con vera continuità e spesso si è limitato ad infiorare di ornati schemi già esistenti. La sua diffusione segue due vie: una d'inizio endogeno, che deriva, come si è detto, dall'arte individuale del Borromini, l'altra esogena per le influenze recate dallo sviluppo nei paesi stranieri: specialmente la Francia per il Piemonte e parte della Lombardia e della Liguria, e la Spagna per l'Italia meridionale.
In quest'architettura italiana del Settecento le facciate dei palazzi, fino allora severi e possenti, assumono spesso particolare espressione, per il ravvicinarsi dei vani e la minore altezza dei piani, in corrispondenza a nuove esigenze planimetriche, nate dal bisogno di sostituire una più comoda e pratica sistemazione di vita al pomposo cerimoniale fino allora imperante. Si moltiplicano infatti le finestre, per il moltiplicarsi degli ambienti più piccoli che sostituiscono i grandi saloni, raggruppandosi in appartamenti comodi e intimi, perfettamente disimpegnati nei varî elementi. Questo accrescersi dei vani in facciata, rinserrati in spazî più brevi e l'uso d'ornarli e di alleggerirne il sagomato, si traducono in espressioni nuove e varie che, associate al movimento delle superficie murarie in complesse ondulazioni, creano l'aspetto dei palazzi settecenteschi.
In Roma, contro al permanere della larga composizione classica, poco prevalse quella delicata del rococò; di essa è tipico il palazzo Doria-Pamphili del Valvassori con la sua sfilata di finestroni serrati in due ordini sovrapposti dai coronamenti curvilinei restringentisi in alto con sinuoso sagomare, inspirati con chiara evidenza alle finestre di Propaganda Fide. Interessante, perché si ripete in molti altri palazzi, il piano di coronamento, con le quadrate finestre, ricavate nel fregio adorno, che tagliano la fascia orizzontale di architrave e vengono per metà più in basso, descrivendo una linea spezzata come un'orlatura rigida di merletto. Caratteristici balconi, dalla curva breve e sottesa che al centro si accentua in un accordo concavo-convesso. In tutto l'assieme una secchezza quasi metallica di linee, dall'ornato dei capitelli alla linea dei balaustri e alla sottile segnatura del bugnato.
A Milano, B. Belli, nella facciata di Palazzo Litta, allinea finestre dai coronamenti ondulati raccolti in volute al centro, con mostre orlate da orecchiature curvilinee rilevate verso l'alto, e mensole appiattite e bulbiformi. L'ordine architettonico di paraste corimie in respiro larghissimo inquadra coppie di finestre e sorregge una trabeazione caratteristica per l'aggetto della sua cornice e la curvatura del fregio. Nella zona basamentale riquadri a spigoli smussati incavano i pilastri sottoposti all'ordine superiore, sottolineando accenti rococò. All'armonia aggraziata delle linee fa contrasto il possente risalto della parte centrale rispetto alle ali, e la plastica vigorosa del portale sorretto da cariatidi.
A Torino il palazzo Carignano del Guarini è ancor più originale per l'ampia superficie centrale concavo-convessa in cui s'incastra a centro un nicchione ricavato entro una superficie cilindrica, gioco puro di volumi che ricorda plastiche forme del Borromini; borrominiane sono ancora le grandi finestre del piano nobile, in cui la contromostra è limitata da un ramo di palma ricurvo e il coronamento spezzato e contorto in curve e controcurve si termina in rocchetti a spirale. Il piano terreno dissolve la potenza del bugnato in una suddivisione minutissima di piccoli conci che dànno alla superficie muraria il carattere di un grosso tessuto. Notevole l'aggiustamento dei tre piani più alti, per il graduale impicciolirsi dei vani verso l'alto e la variazione di forma dal rettangolo orlato da mostre complicate all'oculo ellittico che adorna il fregio di coronamento.
A Pavia il palazzo Veneroni, scandito dal ritmo delle paraste imitate da quelle borrominiane del palazzo di Propaganda Fide, presenta finestre dalle mostre orlate e capricciose del più gaio rococò, sormontate da timpani spezzati e sinuosi che inscrivono tondi con figure a mezzo busto.
A Perugia il palazzo Gallenga, di Francesco Bianchi, è inquadrato in un triplice ordine architettonico di paraste, che serrano d'appresso i vani in un efficacissimo ritmo architettonico. Qui il rococò affiora nelle aggraziate ondulazioni delle cartelle che sormontano le finestre, nelle conchiglie che s'incastrano fra le cornici di coronamento e il sommo delle mostre, nelle rigonfiature appena pronunziate di certi aggetti, nelle incavature plastiche ricavate sullo smusso angolare, nella grazia del coronamento che inscrive, tra le mensole larghe e appiattite, il tipico motivo degli oculi ellittici.
A Genova il palazzo Spinola arricchisce di risalti a riquadri tortuosi tutto lo spazio tra le finestre, e queste circonda di esili modanature ondulate in alto da curve sinuose, tormentate da foglie arricciate e da involuzioni a spirale, motivi caratteristici di architettura interna portati in facciata.
Il palazzo Balbi Quartana, di G. Petondi, è meno affastellato di gracili ornamenti, con le finestre allineate in ritmo continuo e serrato, dalle sagome appiattite e rigide nel primo piano, più capricciose nel secondo per le contromostre ondulate da orecchiature a spirale e i coronamenti sinuosi.
Accanto a questi schemi dall'ossatura ancora tradizionale, altri più bizzarri ne sorgono.
Originalissimo tra gli altri il palazzo Stanga di Cremona, che racchiude i vuoti del prospetto in profonde incassature sinuose, quasi specchiature di un mobile settecentesco, e trasforma tutte le sagome che contornano e coronano i vani in orlature capricciose e ondulate, in cui più non si distinguono le modanature. Bizzarri ancora i palazzi ornati di stucco dalla plastica varia e complessa, tra i quali va segnalato, come esempio tipico, il palazzo Pagnoncelli-Toni di Roma con le sue grandi finestre del piano nobile, limitate da erme muliebri, sostenute a mezzo corpo da incurvati piedistalli adorni e sormontate da timpani spezzati che si incurvano in volute complesse, alternantisi in fuori e in dentro; e con le finestre del piano ammezzato che ricordano per il complicato sagomare analoghi motivi borrominiani.
A Roma ancora va ricordata la delicatissima decorazione di taluni elementi del palazzo Del Grillo: il portale, capolavoro di rococò per la compiuta perizia con cui la scultura si lega alla plastica architettonica, fatta di superficie curvilinee ricoperte da una finissima decorazione vegetale, come da un prezioso tessuto; e la fontana interna più esuberante di motivi plastici, per i grandi mensoloni che la fiancheggiano, per la vigoria delle cornici, per il borrominiano motivo delle volute che fanno da terminale. Notevole ancora in Roma il palazzo già della Società Telefonica Tirrena, in Via dei Crociferi.
Nell'Italia meridionale i palazzi presentano forme ancor più sfarzose. A Lecce, tipica città settecentesca, il palazzo della prefettura allinea in due ordini le finestre della facciata, inquadrandole con una decorazione complicatissima di ondulazioni, di festoni, di ghirlande, di conchiglie, che annullano ogni valore geometrico di modanature; in Sicilia i palazzi s'adornano di decorazioni brillantissime di probabile influsso spagnolo, per opera di artisti originali, come il Vaccarini, il Biundo, gli Amato, il Di Benedetto, lo Smiriglio, il Serpotta; sono esempî tipici tra i tanti, a Catania il palazzo Valle e il monastero dei benedettini, a Palermo il palazzo Bonagia.
In questa rapida rassegna si è voluta mettere in mostra la varietà grandissima dei motivi, creati dalla fantasia brillante degli architetti italiani del tempo. Tali forme ora delicate e semplici, ora pesanti e straricche, non ebbero in Italia lunga durata, ché la grande tradizione riportò ben presto gli artisti sul cammino dell'arte classica, di cui sono epigoni sicuri lo Juvara e il Fuga, e più ancora il Galilei e il Vanvitelli.
A Torino il palazzo d'Ormea, di Filippo Juvara, ancora rococò nei dettagli ornamentali, disegnati con delicato sagomare, della originalissima spartitura in trifore e monofore, si presenta già classico nell'ossatura, per l'ordine architettonico ben proporzionato alla robusta trabeazione e solidamente piantato sul basamento del piano terreno; a Roma il palazzo della Consulta, di Ferdinando Fuga, ritorna alla saldezza degli schemi classici nella maestosa scompartitura dell'ordine, sovrapposto alla zona basamentale bugnata; e accenni di rocaille affiorano solo qua e là nei gruppi scultorei dagli atteggiamenti animati del finale di coronamento e dei timpani sui portali, in qualche rigonfiatura sinuosa di mensole e di pilastri.
Nell'architettura interna lo stile rococò si manifesta con forme più schiette e aggraziate; per la prima volta il mobile entra, con perfetta aderenza, a far parte dell'ambiente, e qualche cosa di esso si riflette nella decorazione delle pareti, nella forma delle modanature, nella spartizione dei riquadri, ornati da grandi specchiere venute in uso e sempre più diffuse nel Settecento. Tra le più ricche e belle sale italiane sono da ricordare: a Roma, la grande sala rotonda del palazzo Colonna, dalla copertura cupoliforme, raccordata alle pareti da una corona di lunette capricciosamente decorate da palme e da grandi conchiglie; a Genova, il grande salone del palazzo reale, più solenne e ricco di decorazioni; a Stupinigi, la celebre sala rotonda dalle scenografiche spaziature architettoniche; a Torino, il capriccioso vestibolo di palazzo Asinari suddiviso da una quadruplice serie di tortili colonne corinzie, che sorreggono i pennacchi della vòlta dalle nervature irradianti dal centro con un motivo stellare.
Gli scaloni grandiosi del Seicento si arricchiscono di forme complesse nel disegno dei balaustri, nella decorazione a mensole e a motivi scultorei dei finali, dei parapetti, e nelle complicate decorazioni di riquadri e di nicchie decoranti le pareti.
La scala del palazz0 Madama e quella del palazzo Barolo a Torino, lo scalone del palazzo Aldrovandi a Bologna, la bellissima scala aperta del palazzo Bonagia a Palermo sono tra i maggiori esempî del genere.
Le ville italiane del Settecento generalmente non seguono la complessa cadenza del rococò; all'opposto dei palazzi, si mantengono in una rustica semplicità, lisci i muri, poco complesso il sagomato delle finestre, al più qualche particolare che accusa l'epoca.
Così gli aggiustamenti settecenteschi di Villa Borghese a Roma, la Villa Valguarnera a Bagheria, la Ca' Rezzonico a Bassano, la villa Piccolomini Lancellotti a Frascatí, la villa Corsini a Castello, son faceiate distese coronate sovente da altane e terminate da ali più basse che rilevano il centro e si fondono meglio con gli elementi del giardino, concepiti quasi sempre come prolungamenti di verdura dai tagli architettonici. Anche gl'interni sono più confortevoli e ben disimpegnati, in logiche disposizioni d'ambienti, venuta in disuso la magniloquenza propria del Seicento di corte.
Il giardino del Settecento si caratterizza con l'abbandono della disposizione a terrazze successive, in declivio con rampe e scalee, con cascate e vedute prospettiche raccorciate e multiple, formanti episodî staccati nel giardino seicentesco, ai quali sostituisce il prato dalle prospettive ampie e distese, complicato di disegni ornamentali di palme, di fioroni, di volute, e talvolta di animali, e suddiviso dai viali in scomparti decorativi; sostituisce ancora alle cascate i bacini appiattiti e i canali che si allungano a perdita d'occhio, e alle fontane con tazze sovrapposte fontane basse col bordo al suolo, in cui il getto spilla dallo stesso specchio dell'acqua. Queste prospettive in allungamento piano favoriscono la formazione di vialoni alberati e di architetture di verde nelle forme più bizzarre di muri, di archi, di pilastri, di recinti chiusi.
Esempî del genere offrono specialmente i giardini dell'Italia settentrionale, fra i quali: la villa Farnese a Colorno, la villa Manin a Passariano, la villa Lori a Cernuseo, la villa Trivulzio a Omate, la villa Brentano a Corbetta, la villa Novati a Merate e tante altre alle quali si potrebbero aggiungere, esempî massimi: il grandioso parco di Stupinigi e quello di Caserta dal lunghissimo bacino a prati laterali, il quale fa capo a una larga ma non alta cascata circondata da prato e da vialoni alberati.
Nell'architettura religiosa si continuano gli schemi già espressi dall'arte barocca; il rococò accentua certi atteggiamenti stilistici, sottolinea certi valori d'ornato, trasforma la vigoria degli elementi chiaroscurali con forme più delicate. Le piante sono anch'esse in stretto legame con i tipi barocchi e specialmente con quelli del Borromini.
Tra i tipi a pianta centrale vanno notati: la cappella della Santa Sindone del Guarini a Torino, che ha chiare rispondenze di pianta col S. Ivo del Borromini. La pianta della chiesa di S. Lorenzo pure del Guarini, che passa dal quadrato al cerchio con raccordi convessi, frastagliando il perimetro di complicate rientranze e sporgenze di nicchie e pilastri, e chiude l'altare maggiore entro uno spazio ellittico recinto da un deambulatorio anulare. La pianta dell'atrio di S. Croce in Gerusalemme in Roma è di forma ellittica simile alla chiesa di S. Andrea al Quirinale, ma più leggiera e ariosa per la trasformazione in deambulatorio delle varie cappelle, che in S. Andrea recingono lo spazio interno. Essa è più chiaramente aderente però al vestibolo ellittico dell'ex-convento degli agostiniani in Via della Scrofa e al vano della scala ellittica del palazzo già Barberini in Piazza del Monte di Pietà. La pianta di S. Chiara del Vittone a Bra riprende la forma caratteristica del quadrifoglio, per le quattro nicchie che s'innestano al nucleo centrale circolare. Il San Giovanni Battista di Carignano ha la forma curiosa di un largo anello semicircolare a cui s'innesta un semicerchio traforato con deambulatorio in corrispondenza dell'abside. Tra le chiese a pianta allungata citeremo per tutte la chiesa parrocchiale di Strambino, che risulta dalla compenetrazione di un'ellisse con un cerchio.
Tali caratteristiche planimetriche corrispondono a interni ricchi di movimento spaziale e adatti a ricevere una sovrapposizione decorativa sia plastica, sia pittorica. Questa decorazione ricercata, ricchissima e talvolta sovrabbondante, messa in evidenza dal complicato movimento delle membrature architettoniche, conferisce all'insieme una caratteristica fisionomia di preziosa eleganza, senza alcun aspetto spirituale, ma pienamente aderente alle funzioni che la società del tempo assegnava alla chiesa, luogo di conversazioni sommesse, di lusso, piuttosto che di preghiera.
Le forme degli altari continuano le tradizioni berniniane e borrominiane. Altri esempî di chiese rococò più caratteristiche sono quelle che si servono quasi esclusivamente della decorazione a stucco in riquadri contorti e arricchiti da varia decorazione di puttini, viticci, palme, conchiglie e altro. Complessi caratteri di gracilità ed eleganza quasi gotica presenta l'interno di S. Lorenzo a Torino, del Guarini, con i suoi archi convessi dall'estradosso arricchito di decorazioni arricciate e a spirale e la sua cupola suddivisa in elementi stellari da membranature intersecantisi. Di franco carattere rococò è la decorazione a stucco di conchiglie sinuose e riquadri a girali di palma e fiori, in Santa Chiara a Bra. Così anche la chiesa dello Spirito Santo a Carignano. Accenti elegantissimi rococò ha l'interno della chiesa del Carmine a Torino dello Juvara, con archi più bassi dall'intradosso arricchito da plastiche modanature rococò. La chiesa parrocchiale, di Strambino e quella di S. Marta in Agliè, hanno le vòlte suddivise in elementi curvilinei sinuosi arricchiti da decorazioni a fiori e a festoni, a girali e a tondi spezzettati dal sagomato vario retto e curvo.
Nell'impianto della facciata è molto usata la plastica curvilinea in stretto legame con le forme planimetriche. Lo schema di facciata formato da due ordini sovrapposti è più usato dello schema a ordine unico (questo schema torna in onore nel secondo Settecento e si perpetua quindi in tutto il periodo neoclassico).
Fra i non numerosi esempî di facciata con un solo ordine citeremo: S. Croce in Gerusalemme in Roma, che presenta una facciata d'impianto classico fortemente convessa limitata da forti piloni angolari, in cui la grazia del rococò si riconosce nei particolari delle flessuose cartelle del frastagliato coronamento borrominiano popolato di figure in movimento. La facciata fiorentina di S. Firenze con le sue coppie di paraste corinzie, anch'essa di chiaro impianto classico ma sovraccaricata di elementi rocaille, nello spezzato terminale superiore, nelle trite cartelle che invadono il campo delle sagome, nelle sculture assise sui frontoni dei portali.
Dello schema a ordini sovrapposti è meno frequente quello che ripete, nell'ordine superiore, la stessa larghezza dell'ordine inferiore. Di questo schema esistono tipici esempî curvilinei che traggono espressione dal S. Carlino del Borromini; come a Roma la chiesa della Maddalena, a Fossano la SS. Trinità. Più frequente invece lo schema che restringe l'ordine superiore e lo raccorda all'inferiore con volute. Dallo schema di S. Marcello a Roma di Carlo Fontana, trae ispirazione Filippo Juvara per la concava facciata di S. Cristina a Torino, dal vigoroso ordinamento dei colonnati sovrapposti, aggraziato per le sinuose e attorte decorazioni dei tondi, dei festoni, delle cartelle. Impianto poderoso per il robusto aggetto delle colonne presenta la cattedrale di Siracusa ricca di elementi decorativi rococò. Di carattere più aggraziato la facciata di S. Chiara a Lecce, con un partito di superficie muraria angolare formato da arretramenti obliqui rispetto al centro della fronte: la decorazione è minuta ma finissima sulle mostre dei vani, delle nicchie, dei riquadri, delle cartelle. Più poderosa e fantastica, pure a Lecce, la chiesa di Santa Croce: sulla facciata grande, piana, si allineano le forme a tutto rilievo in due ordini sovrapposti; elementi di tutte le epoche vi si trovano, dalle mensole romaniche alla rosa gotica, al finale frastagliato del più complesso rococò. In Sicilia si trovano molti modelli interessanti di chiese settecentesche, tra cui è notevole il tipo di facciata con tre ordini sovrapposti gradualmente restringentisi verso l'alto; sono esempî bellissimi del genere la chiesa di S. Giorgio a Ragusa, quella di S. Sebastiano ad Acireale, la cattedrale di Catania, la chiesa di S. Giorgio a Messina.
Lo stile rococo in Francia si esplica essenzialmente nell'architettura interna con la frivola e brillante espressione che gli è caratteristica. In questa decorazione di conchiglie, di ghirlande, di palme, di delfini, di amori, il disegno ha una fantasia leggiadra affatto diversa dall'italiana, fantasia che aborre l'angolo retto e si fa una regola della flessuosità e della dissimmetria.
Citiamo come esempî caratteristici un salotto dell'Hôtel Delisle a Parigi, il salone circolare dell'Hôtel de Soubise, taluni soffitti decorati in forme frivole e minute con motivi geometrici dipinti ispirati alle cineserie: l'Hôtel Soubise, l'Hôtel de Mailly.
All'esterno l'architettura resta più severa e contenuta; la classica freddezza dei Mansard e dei Perrault è conservata come una tradizione, gli hôtels, fatti comodi e pratici, arretrati rispetto alla via da un tratto di giardino, hanno cadenze semplici, rilevate da bugne piatte, ove solo qualche dettaglio di cornice, la grazia di una ringhiera metallica, rivela lo stile. Questo carattere hanno l'Hôtel Soubise, l'Hôtel de Santerre, l'Hôtel Bauffremont, l'Hôtel Biron, l'Hôtel Montignol a Parigi. Nancy fa eccezione a questa regola con la sua architettura rococò frivola e leggiera anche all'esterno. Le chiese che si presentano di chiara derivazione italiana mantengono forme severe, sia per l'inquadratura degli ordini sia per la potenza delle masse, solo qualche particolare indica il nuovo stile, p. es., a Versailles la chiesa di S. Luigi, a Parigi S. Rocco; negl'interni delle chiese si trova invece, associata all'inquadratura di elementi classici, una decorazione rocaille in netto e stridente contrasto; basti per tutti l'esempio caratteristico della S. Maddalena a Besançon con le sue contorte decorazioni rilevate in stucco e oro. Non mancarono tuttavia artisti immaginosi che disegnarono fantastiche composizioni di facciate, come quella concepita da J.-A. Meissonier per S. Sulpicio.
Negli altri paesi d'Europa, meno educati al classicismo e più legati alla tradizione gotica, lo stile rococò ebbe una fioritura bizzarra, mancante di regole architettoniche atte a contenere l'erompente prepotenza delle deformazioni d'ornato e di struttura. Nella Germania occidentale è famoso il castello di Würzburg costruito da B. Neumann, con la sua equilibrata e ancor classica inquadratura da modelli francesi in cui si rivela lo spirito del Boffrand, collaboratore del Neumann, ma sovrabbondante di massicce e trite decorazioni, nel coronamento tormentato e sui timpani delle finestre. Più schiettamente tedesco lo scalone rococò del castello di Brühl.
A Vienna il rococò ebbe esempî caratteristici e particolarmente eleganti. Alla personalità massiccia del Fischer von Erlach, fa contrasto quella più gaia e brillante del genovese L. von Hildebrandt. Ricorderemo di lui la facciata del palazzo Daun-Kinsky col grande ordine di paraste corinzie sul basamento bugnato, elegante per la decorazione delle specchiature delle paraste e dei timpani, la solida composizione della facciata del castello di Pommersfelden e il suo grandioso scalone interno, tutto traforato da logge arricchite di eleganti motivi rococò. È da ricordare, ancora a Vienna, il grandioso palazzo del Belvedere dello stesso artista, con le sue cadenze settecentesche d'incurvati timpani e di plastiche forme nei padiglioni poligonali angolari coronati da tetti cupoliformi. A Dresda domina l'architettura massiccia e sovraccarica di M. T. Poppelmann che nello Zwinger crea uno dei più caratteristici esempî del rococò tedesco. A Dresda operò anche un italiano, G. Chiaveri, di cui è celebre la chiesa di corte, col suo campanile al centro della facciata curvilinea, alto come una guglia. A Salisburgo è famoso il Mirabello dovuto al genio del Hildebrandt; mentre a Berlino la grazia del rococò ripugna ȧl temperamento pratico e utilitario dei cittadini, e si manifesta con le forme corrette del palazzo reale dovuto allo Schlüter; invece a Potsdam, città senza tradizioni e dimora prediletta di Federico il Grande, si creano composizioni piu che mai capricciose e bizzarre. È famoso il castello della città, costruito dall'architetto Knobelsdorff per incarico di Federico il Grande, e più di tutti il padiglione nel giardino del castello detto di Sanssouci.
Lo stile rococò ebbe in Spagna caratteri particolari, di forme affastellate e contorte che nascondono ogni struttura architettonica; l'influenza dell'architettura italiana vi si manifesta con le opere di Carlo Fontana e allievi e con i progetti del Guarini e dello Juvara; ma lo stile locale più schietto è espresso dall'architettura indigena: a Madrid nella facciata dell'Ospizio, di Pedro de Ribera, a Siviglia nel palazzo Santelmo, a Granata nell'interno della Certuia.
Mentre il rococò si sviluppa e degenera nelle forme più contorte, si va preparando una reazione che tende a riportare l'architettura allo studio delle masse e al rispetto dei canoni classici: nella stessa Francia con J-A. Gabriel e I.-F. Blondel, in Inghilterra con J. James e C. Campbell, in Italia con G. B. Piranesi, L. Vanvitelli, F. Fuga, N. Salvi, in Russia con i tanti italiani, dal Trezzini al Rastrelli, al Quarenghi che influenzano con le loro opere grandiose costruite a Pietroburgo e a Mosca tutta l'architettura russa della fine del secolo.
Mobili, arredamento, ornamentazione. - Anche più che nell'architettura, il rococò trova libero sfogo al frangersi della linea, all'esuberanza della forma, alla festività della sua funzione decorativa nella creazione dell'ambiente, dove tutto risponde alla stessa legge: il capriccio. Adopera le materie più disparate (stucchi, bronzi, legni, vetri, stoffe, arazzi) unendole nell'effetto complessivo di un insieme ricco e raffinato. La Francia ebbe gran parte nello sviluppo di questo stile che si diffuse e trovò la massima esplicazione nei paesi germanici, mentre le prime origini risalgono all'arte barocca italiana. I disegnatori-decoratori francesi che si sbizzarriscono a loro talento nell'interno degli edifici, fanno trionfare il nuovo stile con la divulgazione dei modelli attraverso i disegni. In Juste-Aurèle Meissonnier, Gilles-Marie Oppenord, François Cuvilliés, J. de la Jone, P.-E. Babel ricordiamo i nomi più illustri di una ricchissima schiera di artisti secondati da corporazioni artigiane. Il Meissonnier, che era di origine italiana (nato a Torino forse nel 1693, morto a Parigi nel 1750) ed esercitò tutte le arti, diffonde coi suoi disegni i più brillanti modelli di decorazione in ogni genere di mobili. Sorgono palazzi e castelli dappertutto, a Parigi, in provincia, nella Renania; e dalla Francia il rococò muove alla conquista dell'Europa. A Versailles l'Oppenord, poi Germain Boffrand e Robert de Cotte con pari ispirazione generano il vero stile francese del sec. XVIII. Seguono Gabriel Rousseau con i figli, il fiammingo Verbeck, che lavora alla camera del re e della regina, all'appartamento di Maria Adelaide. La Sala del consiglio a Fontainebleau rappresenta uno dei più caratteristici studî d'ambiente. F.-B. Lépicié in una lettera al marchese di Marigny vi esalta le pitture di F. Boucher, ma non apprezza meno "l'agrément fourni par tout l'ensemble de la décoration", sebbene vi si noti un certo abuso dell'elemento floreale e pittorico, raro esempio in Francia di una degenerazione del gusto, che troppo spesso diventerà caratteristica di altri paesi.
Una delle più considerevoli manifestazioni del nuovo stile è il mobile "Luigi XV", di proporzioni minori, di un aspetto più ridente del precedente "Luigi XIV", dove la rigidezza lineare è del tutto sostituita dalla mollezza delle curve. La sua forma e il suo uso non si possono in nessun modo disgiungere da quelli dell'ambiente a cui è destinato. Commodes, canapés, bergères, duchesses trionferanno nella purezza del loro stile asimmetrico per eccellenza. La scelta dei legni più rari, la perizia tecnica della lavorazione, saranno dovute non più a un'attività operaia anonima, come in altre epoche, ma a personalità artistiche di primo piano nella vita del tempo. Charles Cressent, ebanista, scultore, cesellatore, non pecca mai nel gusto, nella scelta dei bronzi, dei legni, delle dorature, nell'ispirazione felice della fantasia, regolata da quel senso innato della misura, che distinguerà il mobile francese da quello di altri paesi per la purezża dello stile. I Caffieri hanno una perizia tutta particolare nel trattare i bronzi, largamente usati nella decorazione, mentre Adrien Delorme, Pierre Bernard, Roger Vardecruse, e l'artista noto solo con le iniziali B V R B, sono gli autori dei più delicati capolavori del mobilio del tempo. E come se il capriccio degli artisti francesi non bastasse, per la predilezione all'esotismo, per suscitare impressioni di colore più vive di quelle nate dalla varietà dei legni, s'introducono le lacche cinesi imitate poi con rara perizia dai fratelli Martin, a cui generalmente vanno attribuiti tutti i lavori del genere. Furono usate non solo nei mobili, ma anche, e con maggiore predilezione, nei boudoirs, negli oggetti minuti, nelle carrozze e portantine, scrigni preziosi destinati a far trionfare il fasto e la bellezza alle passeggiate di Versailles. Le manifatture di Beauvais, dei Gobelins, di Aubusson e Felletin, vanno a gara nel produrre le serie più preziose di arazzi, affidandosi all'ispirazione capricciosa dei migliori artisti del tempo. Nascono così le Nouvelles Indes, le Storie di Don Chisciotte, le Cacce di Luigi XV, dalle tonalità particolarmente chiare e delicate per la scelta delle lane più adatte, per le gradazioni dei colori moltiplicate all'infinito. Ma il fiorire delle manifatture non è dovuto tanto a queste celebri serie che non era facile smerciare, quanto alla produzione delle tappezzerie perfettamente intonate col mobilio al quale erano destinate. Inoltre, mentre dalle fabbriche di Vincennes, e poi da Sèvres escono quei deliziosi piccoli bibelots che trovano inesauribile fonte d'ispirazione nella vita del tempo, l'oreficeria, liberata da ogni legame architettonico, ispirandosi al gusto del giorno, al capriccio della moda, diviene espressione quanto mai originale di uno stile bizzarro per il frangersi continuo delle linee e per la forma tormentata. La Francia raggiunse in tal genere un vero primato e si trattarono con pari perizia il bronzo e materie meno nobili pur di realizzare la genialità dei modelli. Fra i più celebri artisti e fonditori vanno ricordati Le Blanc, Duplessis, i cesellatori Mondon, Chancelier, Prieur, Delarche, Hervieux, Gouthière. Nei gioielli poi vennero profuse ricchezze favolose che facevano rifulgere le vesti del re e delle sue favorite. Non c'è materia che il rococò non pieghi al suo capriccio. Il ferro al pari dell'argento, del bronzo, del legno, dello stucco, si articola con la duttilità sua propria in elemento vegetale, sottolineando l'espandersi delle linee architettoniche nelle scalinate sontuose, recingendo di una magica rete parchi, palazzi, castelli, suscitando nelle famose grilles d'honneur illusioni di profondità spaziali e inaspettate prospettive.
L'Italia dopo la Francia è il paese che meglio ha interpretato il rococò nelle arti decorative, rifuggendo da ogni aberrazione e degenerazione, seguendo la Francia nell'evoluzione di questo stile.
Il Piemonte per ragioni storiche e politiche, per posizione geografica, fu il primo a ricevere le infiltrazioni straniere. A Torino il rococò ebbe fortuna nel palazzo reale, in quello del principe di Carignano, nei castelli di Moncalieri e Rivoli, nelle dimore private quali quelle dei Barolo, Paesana, Saluzzo, Marolles, Solaro della Chiusa, Morozzo, Isnardi, ecc. Man mano che ci s'inoltra nel secolo XVIII, le forme rivelano sempre più l'aspirazione alla leggerezza, alla grazia. Ugualmente attiva la Liguria, ma Venezia diviene il centro più caratteristico, per l'unità ambientale, nella reciproca dipendenza delle varie espressioni decorative, che ancor più che nei palazzi si ammira nei "casini" e "ridotti", nelle vicinanze delle Procuratie, nelle ville fastose del Brenta quali le ville Widmann, Barbariga, Giustiniani, Grimani, Molin. La geniale elaborazione locale è evidente anche nelle deliziose chinoiseries di un gusto e di una misura impeccabili. Altrove il nuovo stile acquista espressioni di una freschezza interpretativa tutta particolare, poco benevolmente accolto là dove era stata costante la tradizione classica. Il mobile italiano non passa di colpo al capriccio delle volute e dei cartocci, ma subisce una trasformazione graduale nella produzione anonima di artigiani restii ad assimilare le nuove forme. Risente anche in modo superficiale influenze inglesi e olandesi, opposte al gusto di Parigi, ma con tutto ciò la derivazione costante è quella francese. Quantunque i legni siano meno rari, meno ricchi i bronzi, si supplisce con la finezza degl'intagli, con una euritmia squisita, con le delicate tonalità della decorazione floreale. I maggiori centri di produzione si ebbero a Genova, in Piemonte, a Venezia, mentre altre regioni come l'Emilia e le Marche, lige allo stile importato dai cardinali legati, non ebbero creazioni proprie. Nel Piemonte famosi i mobili del Piffetti che rivelano un virtuosismo prodigioso, un'abilità consumata, mentre a Venezia il bronzo cesellato e dorato dei Caffieri è sostituito dall'intaglio in legno, e lo specchio muranese è largamente usato in placche incastonate entro le intelaiature degli sportelli, nelle cimase, sottolineando con la sua luce mutevole la festosità dell'insieme. Si usò pure la porcellana, mentre man mano le lacche cinesi furono sostituite da quelle figurate e floreali, al pari che ai broccati si preferirono le indiane più ridenti e meno dispendiose. Quanto mai attive le fabbriche di arazzi. Al fiorire di quella medicea di Firenze collaborarono il Bronconi, Giovan Camillo Sagrestano, Lorenzo del Moro, Giuseppe Grisoni, Matteo Bonecchi, che esprimono la grazia settecentesca con un colorito delicato, affine a quello francese. Del pari, a pittori decoratori è dovuta la fortuna di quella napoletana, che però non si limitò a soggetti storici e biblici, ma industrializzò come in Francia la sua produzione con parati e tappezzerie per mobili. Più fiorente la fabbrica torinese, dove insieme al Demignot troviamo i pittori chiamati alla loro corte dai Savoia, quali Claudio Beaumont, il veneto Giovan Battista Crosato, interprete dell'ariosità tiepolesca, il napoletano Francesco De Mura.
Si moltiplicano parimenti le fabbriche di ceramica ognuna con caratteri proprî, specializzate in motivi tipici d'ornato. Colantonio Grune e Carmine Gentile rendono fiorente quella di Castelli (Abruzzo), mentre famose dovunque divengono le ceramiche di Capodimonte, per l'ispirazione popolaresca degli artisti che le modellano con grande vivacità folkloristica, espressa in contrasti impressionistici. Buona nominanza acquistano pure le fabbriche di Savona, Doccia, Sassuolo, e la bottega dei Bertolini a Venezia, dove importanza tutta particolare assunsero l'industria del vetro e quella dello specchio. Mentre anche in Italia il ferro diviene uno degli elementi essenzialmente decorativi, l'argento si libera dalla tortuosa e rigonfia linea barocca, per l'ondulare lieve delle superficie in piani ampî e liberi, in espressioni lineari sempre in accordo con il lieve effetto chiaroscurale.
La Germania, che dell'architettura barocca fa uno stile proprio, espresso con originalità tipicamente locale, armonizza l'interno e l'esterno degli edifici più che ogni altro paese. Il gusto del contrasto e del movimento, la ricerca del grandioso, dell'effetto, immanente nell'arte tedesca, trova piena espressione nel rococò. La Francia è naturalmente il paese al quale si riguarda per imitare, assimilare, far definitivamente proprio. Ogni prodotto francese sia letterario sia artistico è benevolmente accolto alle corti di Prussia di Baviera e nelle altre corti tedesche. Numerosi artisti francesi lavorano in Germania e armonizzano lo stile del loro paese al nuovo ambiente con intenti decorativi alquanto diversi e meno puramente artistici, in un'esuberanza di forme e di motivi non sempre di ottimo gusto. Fra tutti celebre in Baviera François Cuvilliés, allievo di Robert de Cotte, il quale pubblicava nel 1738 una raccolta di modelli sotto il titolo di Civil Baukunst Werk, diffondendo ovunque lo stile Luigi XV.
Alla Francia si riguarda specialmente per il castello, prendendo ad esempio quello di Versailles, che s'impone all'imitazione di tutte le corti europee; quello di Sanssouci, che Federico II volle farsi edificare sulle alture di Potsdam da Knobelsdorff, s'ispira al Grand Trianon e nella decorazione non ancora appesantita riflette la festosità francese per la delicatezza e morbidezza degli ornati in stucco. La biblioteca con i suoi pannelli in legno di cedro è una delle più raffinate ideazioni, mentre nello Stadtschloss il rococò acquista una maggiore esuberanza di forme. Vanno ricordati in modo particolare l'Arbeitszimmer e il salone dei bronzi, opera di decoratori svizzeri formati alla scuola francese, Melchior Kambly e Jean-Auguste Nahl, che a Strasburgo aveva interpretato i disegni di Robert de Cotte nel palazzo Rohan. Dresda e Monaco divengono in special modo centri del barocco e rococò. Una delle curiosità di Dresda sarebbe oggi, se conservato nella sua integrità, il Palazzo d'Olanda opera del Pöppelmann, architetto dello Zwinger, e dei francesi Zacharie Longuelune e Jean de Bodt. In esso la decotazione in ceramica, commissionata alla celebre fabbrica di Meissen, si estendeva dai rivestimenti murarî ai mobili, alle statue, ai vasi del giardino. Però, mentre opere di tal genere non possono essere considerate che come aberrazioni del gusto, altrove come nella Frauenkirche e nella Hofkirche, la decorazione e l'arredamento interno dell'edificio anche se esuberanti e sovraccarichi raggiungono una perfetta fusione con l'elemento architettonico in uno sprigionarsi di energie, in un raggiungimento di effetti scenografici, in un'animazione continua delle linee e delle forme che fanno dell'architettura un elemento vitale per eccellenza. A Monaco la piccola chiesa di S. Giovanni Nepomuceno, opera dei fratelli Egid Quirin e Cosmas Damian Asam, è espressione massima di questa ricerca di effetti teatrali che mutano un edificio sacro in un ambiente più adatto ai piaceri delle vita, ultimo vertice di uno stile che aveva trovato il primo alimento in Italia. Il gusto francese trionfa in un secondo tempo sotto gli elettori di Baviera, che al pari di Federico II erigono nei dintorni di Monaco fastosi castelli, come quelli celebri di Schleissheim e di Nymphenburg, le due costruzioni più importanti del tempo, dove sono profusi gli stucchi, gli ornati dorati, gli specchi, i marmi, i vasi, le porcellane, i mobili, gli oggetti più preziosi. Nella Amalienburg, piccola costruzione a un piano del castello di Nymphenburg, e nel teatro di Monaco il Cuvilliés lascia le sue migliori creazioni. Alla Residenza di Monaco lavora attivamente Joseph Effner, mentre fioriscono dovunque maestri decoratori quali: P. Decker, L. Beger, lo Schubler, M. Hoppenhaupt, F. X. Habermann e molti altri, che cadono talora in aberrazioni, in aperto contrasto con la raffinatezza francese, per l'eccessiva ricchezza decorativa, come si può vedere nel palazzo reale di Würzburg. La storia del mobile tedesco non segnala artisti di gran talento come la Francia se non David Roentgen, abitualmente ricordato fra gli ebanisti francesi. L'imitazione del mobile francese comunemente diffusa, conserva un'esteriore freddezza che si appesantisce in una maggiore ampiezza di forme. Ciò si può notare, più ancora che nei mobili di uso civile, in quelli religiosi, pulpiti, cori, così sovraccarichi, così tormentati nella decorazione scultorea. Quanto mai fiorenti tutte le altre industrie, celebre fra tutte quella delle ceramiche di Meissen, che gareggiava con le francesi di Vincennes, mentre nella lavorazione del ferro battuto si hanno veri capolavori.
Fra gli altri paesi europei nei quali è penetrato il rococò uno dei posti più notevoli spetta all'Austria. In essa il nuovo stile, per elaborazione talora di artisti francesi, quali Jean-Nicolas Jadot, era nato spontaneo dall'evoluzione del barocco così profondamente inteso da divenire vero stile nazionale. Questo paese così vicino all'Italia nell'elaborazione dei motivi decorativi, degli ornati, non abbandona mai il senso della misura che contiene e regola l'espandersi, altrove disordinato, delle forme. In Russia dal 1740 al 1755 abbiamo il pieno fiorire del rococò. Per l'influenza di Bartolomeo Rastrelli la decorazione interna degli edifici imperiali ubbidiva alla più ricca fantasia, a una finezza di gusto talora veramente francese. Però nell'arredamento si nota molto più il colore locale che nel periodo precedente, specialmente negli oggetti in ferro, sedie e poltrone destinate a terrazze e giardini, assai caratteristiche, mentre le grosse stufe in porcellana bianca e blu contribuiscono non poco al carattere locale dell'ambiente. Le lacche, le stoffe cinesi, sono usate con predilezione al tempo di Elisabetta, mentre dalle fabbriche imperiali escono pure ceramiche nazionali. Il rococò in Russia, per quanto forte sia stata l'influenza francese, non fu mai copia servile, riflesso banale di motivi decorativi di altri paesi. La Svezia assimilò talmente nel mobilio le forme francesi da confondere i prodotti dei due paesi. Ricorderemo in G. Haupt, in Nils Dahlin, Mathias Engstrom artisti geniali a cui si attribuiscono mobili Luigi XV di ottimo gusto e perfetta esecuzione. L'Inghilterra, più che aderire alla moda francese, pensa a generare uno stile nazionale che tende alla linearità attraverso ondulazioni di una impeccabile misura, sopprimendo in gran parte molti dei motivi decorativi più in uso, considerandoli come un bagaglio inutile alla purezza della linea, all'integrità dello stile. Pure attraverso influenze francesi, olandesi, italiane, cinesi, essa si mantenne ligia ai suoi principî. La storia del mobile britannico del sec. XVIII passa per tre periodi: della regina Anna, il Chippendale, lo Scheraton, secondo le invalse denominazioni, ma solo il primo accoglie più largamente le influenze francesi. Al contrario dell'Inghilterra, la Spagna è il paese in cui le esagerazioni del barocco, le aberrazioni del rococò trovano il clima adatto per quella tendenza al ricco, festoso, sovraccarico che è l'ultimo sviluppo locale di un orientamento innato che aveva prediletto, già dal periodo rinascimentale espressioni clamorose di ricchezza e di fasto.
V. tavv. CXV-CXXVI.
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