CECILIO, Stazio (matius Caesilius)
Originario del paese degl'Insubri e forse di Milano (S. Gerolamo, Chron. anno 1838-179 a. C.), egli è il primo dei Galli che occupi un posto importante nella letteratura latina. Schiavo di nome Stazio, prese poi, come liberto, il gentilizio del padrone Cecilio, a quanto si può dedurre da un passo di Gellio (Noct. Att., IV, 20, 13). Visse in contubernio con Ennio. S. Gerolamo indica per anno della sua morte il 168 a. C. Ma la data non s'accorda con l'aneddoto della vita terenziana di Svetonio (1, p. 4 Wessner), e cioè che Terenzio, per ordine degli edili, abbia dovuto far esaminare da Cecilio l'Andria rappresentata nel 166. Cotesto esame non poteva esser fatto che poco prima della rappresentazione. Né vi è motivo per negar fede all'aneddoto, tanto più che i dati cronologici di Gerolamo sono spesso erronei. L'anno di nascita non è determinabile nemmeno con approssimazione. C. non scrisse che "palliate" sulla falsariga di Menandro, astenendosi anche dalla contaminatio. Da principio egli piacque poco, ma in seguito un capo-comico (dominus gregis) intelligente, L. Ambivio, riuscì a farlo apprezzare dal pubblico. Delle sue commedie ci sono pervenuti meno di trecento versi, spesso molto frammentarî, con 42 titoli tra greci e latini, e taluno in greco e in latino ad un tempo. Il frammento più significativo è quello del Plocium che Gellio cita con il testo menandreo: il solo brano di palliata che possiamo confrontare con l'originale. Interprete relativamente fedele, C. è ben lontano dal garbo e dall'eleganza del suo modello. Notevolissimi i mutamenti nella forma metrica, dovuti alla tecnica del dramma latino (diverbium e canticum), così diversa da quella del dramma greco dell'età ellenistica.
Bibl.: Schanz-Hosius, Gesch. d. röm. Litteratur, I, Monaco 1928, pag. 40; V. Ussani, Storia d. lett. romana, I, Milano 1930. I frammenti in Ribbeck, Comicorum Romanorum Fragmenta, 3ª ed., Lipsia 1898.