Spirito Santo
Nome proprio della terza Persona della SS. Trinità (v.), designata anche nelle Scritture con i nomi di Paraclito, Amore, Dono, Spirito di verità, Spirito di sapienza. Adombrata in vari testi del Vecchio Testamento, specialmente profetici (Is. 41, 1; 42, 1 ss.;11,1-2; Ezech. 37, 12; Ioel 2, 28-29), la dottrina rivelata sullo S. Santo è ampiamente documentata nel Nuovo Testamento, come nel comando di Gesù agli Apostoli d'insegnare e battezzare " in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti " (Matt. 29, 19), nella teofania al Giordano (Luc. 2, 22), e, in particolare, nel discorso di Cristo nell'Ultima Cena (Ioann. 15-16).
Con la discesa dello S. Santo nel giorno di Pentecoste, sotto la forma di lingue di fuoco, ha inizio, con un dono carismatico, la predicazione apostolica: " et coeperunt loqui variis linguis, prout Spiritus sanctus dabat eloqui illis " (Act. Ap. 2, 3). La dottrina dogmatica sullo S. Santo afferma la sua divinità, la processione dal Padre e dal Figlio, l'opera di santificazione. Più laboriosa fu l'indagine trinitaria sulla formula da adottare per esprimere la processione dello S. Santo. Il Figlio procede, per via d'intellezione, dal Padre. Lo S. Santo procede dal Padre e dal Figlio, come da un solo principio, per via di volizione, cioè di amore. Le più antiche formule, in uso dei Padri greci e latini, dicono: " Lo Spirito Santo procede dal Padre per il Figlio "; nel sec. IV: " dal Padre e dal Figlio ". S. Agostino nel De Trinitate (XV 26, 27; Patrol. Lat. XLII 1095 ss.): " Ex Patre et Filio ". Nel Simbolo dello pseudo Atanasio del sec. V, è detto: " Spiritus Sanctus a Patre et Filio, non factus, nec creatus, nec genitus, sed procedens ".
Ma le controversie tra i Bizantini e quelle greco-latine furono gravi, in particolare nel sec. IX, al tempo di Fozio. Nel sec. XI la Chiesa romana inserì nel simbolo niceno-costantinopolitano la voce " Filioque ", riconfermando la dottrina che lo S. Santo procede dal Padre e dal Figlio, cioè ab utroque. La scuola medievale considerò come suo testo fondamentale il De Trinitate di s. Agostino, che con processo analitico, partendo dallo studio dell'anima e delle sue facoltà, cercò di lumeggiare la natura intrinseca dell'essere divino. Sull'argomento le summae hanno una trattazione costante: Pietro Lombardo (Sententiae in IV lib. I 10-33) e s. Tommaso (Sum. theol. I 27 3-4; 36 1-4) seguono il pensiero agostiniano, e lo sviluppano circa la missione invisibile dello S. Santo. Vi è un logico collegamento del trattato trinitario con quello della grazia, poiché sono attribuite allo S. Santo le opere della santificazione, dell'amore, e dell'abitazione nell'anima giusta. L'abitazione (Ioann. 14, 23) suppone la carità: " Caritas Dei diffusa est in cordibus vestris per Spiritum Sanctum, qui datus est nobis " (Rom. 5, 5). Per questo, Tommaso spiegò che la carità ci rende simili allo S. Santo più di quanto la fede oscura ci renda simili al Verbo, finché l'uomo è viatore.
Circa la forma delle apparizioni dello S. Santo, la colomba o il fuoco, s. Agostino affermò che ciò avvenne perché così lo richiedevano i sensi umani, e discusse se il fuoco fu veduto con gli occhi interiori dello spirito, o se invece, realmente, ma al di fuori, presente agli occhi della carne. Egli inclinò alla prima sentenza, poiché analizzando il testo di Act. Ap. 2,3 (" visae sunt illis linguae divisae veluti ignis "), notò che ‛ sembrare ' non ha il medesimo significato di ‛ vedere ' e che lo S. Santo non può essere colomba o fuoco, appartenere cioè alle cose create. Non apparve nella sua stessa sostanza, che è invisibile e immutabile, ma si manifestò per mezzo delle cose create, non congiunte eternalmente alla sua persona, ma tali che potessero significare la sua presenza. Gli occhi dell'anima videro immagini spirituali, prese da forme materiali, com'era avvenuto sul Monte Sinai e nell'episodio del roveto ardente.
Nell'opera dantesca troviamo la teologia sullo S. Santo, sempre connessa al mistero trinitario (Vn XXIX 3, Pd XIII 57, XXVII 1, Cv II V 8, 10, 11 e 13, XXXIII 115-120). Così la creazione dell'Inferno (If III 4-6) appartiene alle tre persone divine, poiché è opera di potenza (il Padre), di sapienza (il Figlio), di amore (lo S. Santo). D. designa lo S. Santo con il termine di primo amore, in quanto l'Amore increato è ab aeterno, fuori di ogni limitazione temporale (v. ad es. Cv IV XXI 11, Pd VII 33, XIII 57). Una visione del mistero è formulata in Pd X 1-3; il Padre, contemplando il suo Verbo con l'Amore increato, lo S. Santo, che procede da entrambi, realizzò la creazione delle cose visibili e invisibili. Quest'opera creativa è attribuita anche allo S. Santo (Pd XXIX 18, I 74, XIII 79-80, XXXIII 145 e If I 39-40), perché " dominando gubernat et vivificat quae sunt creata a Patre per Filium " (Tomm. Sum. theol. I 45 6 ad 2). La ragione della creazione è la bontà divina. Ma le cose devono ricevere un impulso sia per la loro propagazione, sia per il loro movimento, allo scopo di raggiungere il fine specifico loro assegnato. In virtù dell'Amore, il movimento impresso da Dio nelle cose è attribuito allo S. Santo. La Sacra Scrittura parla della materia creata informe e delle specie diverse prodotte da Dio nelle cose (Gen. 1, 1): " Et Spiritus Dei ferebatur super aquas ", che D. traduce: lo discorrer di Dio sovra quest'acque, Pd XXIX 21.
S. Tommaso interpreta che la prima mutazione operata da Dio nelle cose dev'essere attribuita allo S. Santo. Secondo Agostino le acque sono la materia prima, su cui si trasportò non mosso da altri, ma principio del movimento, lo Spirito del Signore. Uno degli effetti dello S. Santo sulle creature sono i suoi sette doni, abiti soprannaturali che perfezionano le virtù infuse. Il poeta immaginò, secondo molti esegeti, su questo fondamento, la visione dei sette candelabri che aprono la mistica processione nel Paradiso terrestre (Pg XXIX 43-81), fiammeggianti per l'aria, con sette liste luminose, che si distendono con i colori dell'arcobaleno. Le liste medesime sono così lunghe che l'occhio non ne vede la fine. Ai sette doni dello S. Santo il poeta aveva fatto cenno, con riferimento a Isaia (11, 2-3) in Cv IV XXI 12, enumerandoli: Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietade e Timore di Dio. Il bell'ordine dei candelieri, il bello arnese, sono il segno della presenza e dell'azione dello S. Santo, che protegge e illumina il disegno della storia della Chiesa, dall'età dell'attesa alla venuta del Cristo, alla sua continuità nel tempo. Distavano tra loro dieci passi le due liste estreme. Nel simbolismo del numero vi può essere tanto un accenno al Decalogo quanto al valore di cosa perfetta, " un accenno generico alla perfetta e compiuta illustrazione che dallo Spirito Santo s'irradia sulla Chiesa " (Sapegno).
L'opera dello S. Santo, maggiormente celebrata nelle opere dantesche, è l'ispirazione biblica. Nella Monarchia gli agiografi sono chiamati ‛ tuba Sancti Spiritus ' (I XVI 5), " per cui l'abuso delle Scritture è un peccato contro lo Spirito Santo ". E D. dice inoltre: O summum facinus, etiamsi contingat in somniis, aeterni Spiritus intentione abuti! Non enim peccatur in Moysen, non in David, non in Iob, non in Mathaeum, non in Paulum, sed in Spiritum Sanctum qui loquitur in illis. Nam quanquam scribae divini eloquii multi sint, unicus tamen dictator est Deus, qui beneplacitum suum nobis per multorum calamos explicare dignatus est (III IV 11), e ancora: documenta spiritualia quae humanam rationem transcendunt... ostensa [sunt] nobis... a Spiritu Sancto qui per prophetas et agiographos... supernaturalem veritatem ac nobis necessariam revelavit (XV 8-9; v. anche III 14, III 13, Ep XIII 62).
Più diffusamente nella Commedia, David è il cantor de lo Spirito Santo (Pd XX 38), s. Paolo il gran vasello / de lo Spirito Santo (XXI 128), la Vergine l'unica sposa / de lo Spirito Santo (Pg XX 98), gli agiografi li scrittor de lo Spirito Santo (Pd XXIX 41), i beati sono solo infiammati / ... nel piacer de lo Spirito Santo (III 53), le anime dei giusti, nel cielo di Giove, sono i lucenti incendi / de lo Spirito Santo (XIX 101), e lo sfavillar dei beati, quale espressione di carità, lo si deve allo sfavillar del Santo Spiro (XIV 76). Da notare il riferimento all'ispirazione dello S. Santo nella composizione del Corpus iuris di Giustiniano (Pd VI 11-12).
Come sia guidata l'azione della Chiesa in particolari momenti, da un'ispirazione diretta dello S. Santo, è detto da D. a proposito dell'approvazione della regola francescana. Onorio III fu strumento dell'Etterno Spiro (Pd XI 98). Il discorso dantesco più esplicito e disteso sull'argomento scritturale avviene durante l'esame sulla fede, avanti a s. Pietro. Il poeta spiega che la fede gli venne dalla parola di Dio, e che la parola di Dio come larga ploia si diffonde in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia (XXIV 91-93). La grazia divina irrora, come pioggia abbondante, gli scritti ispirati, che hanno una tale intrinseca forza persuasiva della mente, che ogni altra argomentazione - cioè di carattere filosofico - sembra al poeta, in confronto, del tutto inefficace e ottusa. I miracoli confermarono la testimonianza delle Scritture, e le opere che ne sono seguite, per le quali la natura non ha forze, né mezzi sufficienti, essendo soprannaturali. Nella professione di fede, oltre le prove fisiche e metafisiche, il poeta pone la rivelazione comunicata agli uomini con la Bibbia, in particolare con gli Evangeli, dopo che lo S. Santo, discendendo su di loro, nella Pentecoste, li rese santi e illuminati: poi che l'ardente Spirto vi fé almi (XXIV 138).
Alcuni esegeti hanno voluto vedere, inoltre, come presenza dello S. Santo nel poema, un'attesa di un ritorno, facendo coincidere la tesi gioachimita con la figura del Veltro (v). Si è parlato di Veltro, in senso di vento, soffio, spirito (P. Cassel), di un'assimilazione del nuovo simbolo con l'animalistita paleocristiana (E. Boehmer), dello S. Santo come salvatore dell'umile Italia, extensive della cristianità (L. Filomusi Guelfi), di una sua venuta per la sconfitta della lupa, il trionfo della povertà, il rinnovamento della Chiesa (G. Papini). Il concetto di Gioacchino da Fiore (v.) sullo S. Santo, teologicamente preciso, non può, crediamo, coincidere con la speranza dantesca, che è sì una certezza sull'intervento provvidenziale, ma non tale da poterlo individuare in un determinato personaggio. L'attesa della renovatio riguarda la salute eterna degli uomini; la salute temporale invece si attua in questo mondo, com'è detto nella Monarchia, per mezzo dell'autorità imperiale.
Bibl. - E. Boehmer, Il Veltro, in " Jahrbuch der Deutschen D. Gesellschaft " II (1869) 362-366; D.M. Cassel, Il Veltro, der Retter und Dichter in Dantes Hölle, Berlino 1890; L. Filomusi Guelfi, L'allegoria fondamentale del poema di D., Firenze 1910; G. Papini, D. vivo, ibid. 1933, 367-390; L. Tondelli, Da Gioacchino a D., Torino 1944; M. Apollonio, Una meditazione trinitaria, in Dante. Storia della Commedia, Milano 1951, 182-190; G. Fallani, Il mistero di Dio, in D. poeta teologo, ibid. 1965, 211-225; G. Getto, Il canto della fede, in " Lettere Ital. " XVII (1965); A. di Giovanni, L'etica dell'Amore nella Commedia, in La filosofia dell'amore nelle opere di D., Roma 1967, 426-437.