spinozismo
Termine con il quale si intende non soltanto il corpo delle dottrine esposte negli scritti di Spinoza, ma anche, in senso meno preciso, la possibilità di ricondurre ad alcune di esse taluni aspetti del pensiero di altri filosofi. In tal senso nella storia della filosofia si incontrano numerosi attribuzioni o accuse di s. relativamente alle elaborazioni filosofiche di autori che non sono in realtà direttamente coinvolti nell’adesione o nella prosecuzione della riflessione di Spinoza, soprattutto fra la fine del 17° e la prima metà del sec. 18°. Emblematica, in tale prospettiva, la lettura che Leibniz dà dello s. come esito del cartesianismo, la quale tende polemicamente ad anteporre all’effettiva elaborazione delle dottrine di Spinoza, i propri esiti radicali, cercando di coinvolgervi Descartes: «Spinoza ha soltanto coltivato alcuni semi della filosofia di Descartes» (Philosophische Schriften, IV, 334; IV, 299; Saggi di teodicea, § 393). Analoghe interpretazioni riscuotono una certa fortuna nei dibattiti della prima Aufklärung nell’ambito della ricezione della filosofia leibniziana nella sistematizzazione di Wolff. Fra i nuclei principali dello s., di volta in volta declinati entro diverse costellazioni di concetti che ne privilegiano ora l’uno ora l’altro aspetto, è possibile individuare: la teoria della sostanza unica, con la conseguente negazione della realtà di tutte le sostanze finite assorbite entro l’accidentalità; la corrispondenza fra ordine geometrico necessario e meccanico della natura e ordine dei pensieri (il cosiddetto ‘parallelismo’ delle sostanze); il necessitarismo, con la conseguente negazione della libertà umana e della provvidenza; la collocazione della religione al di fuori della sfera razionale ed entro quella pratica dell’obbedienza, con la conseguente rivendicazione della libertà filosofica da essa indipendente; l’identificazione fra Dio e natura da cui consegue l’ateismo, in quanto negazione della divinità personale e provvidente. A seconda che si sia privilegiato l’aspetto politico-religioso, quello della critica biblica, quello morale, o ancora quello sostanzialista e metafisico, e così via, si sono costruite immagini dello s. che hanno operato principalmente nell’Illuminismo tedesco e francese, e successivamente nelle filosofie romantiche e idealistiche. In pensatori quali Jacobi, Fichte o Schelling, lo s., pur secondo prospettive discordanti, identifica polemicamente l’esito del razionalismo dimostrativo e necessitarista, che nega l’atto di intuizione intellettuale (o anche di fede) in cui si rivela la libertà come sapere immediato. In altra prospettiva lo s. opera nel pensiero religioso di Lessing, mentre con Herder e Goethe il tema dell’unità fra Dio e natura viene rimodulato, al di fuori del modello geometrico meccanico, secondo una centralità degli aspetti vitalistici e organicistici, e con un’attenzione all’aspetto storico progressivo, che costituisce un tema portante nella riflessione di Schelling. Questi, rispetto a Fichte, ripensa il confronto con lo s. riconoscendo l’originalità della concezione spinoziana del ‘mondo’ rispetto al generico dogmatismo razionalista (Philosophische Briefe über Dogmatismus und Kritizismus, 1795-96; trad. it. Lettere filosofiche su dogmatismo e criticismo). Schelling, pur assorbendo talune prospettive dello s. nella propria filsofia della natura (Ideen zu einer Philosophie der Natur, 1797), propone però una riflessione sull’assoluto intesa come esito dell’intuizione estetica, al di fuori della metafisica razionalistica. Entro un approfondito confronto con i temi dello s. si collocano altresì le osservazioni di Hegel circa l’«acosmismo» (Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 50) come senso del preteso ateismo di Spinoza, che va propriamente inteso come un rovesciamento del banale immanentismo, in quanto nega non Dio, bensì il mondo inteso come finito (cosmo).