MALASPINA, Spinetta
Figlio di Bartolomeo di Verrucola e di Margherita Anguissola, nacque nella primavera del 1416. All'età di due anni sopravvisse, con la sorella Giovanna, alla strage della sua famiglia, perpetrata dai marchesi Leonardo e Galeotto Malaspina di Castel dell'Aquila.
Fra i due rami della famiglia Malaspina verteva già da anni un forte attrito. Il 12 ag. 1415 era stata firmata una pace di cui si era fatto garante il marchese di Fosdinovo, Antonio Alberico. Pare che in questa occasione fosse stato stabilito anche il matrimonio fra Giovanna, sorella del M., e il marchese Galeotto.
Il 16 giugno 1418 un gruppo di congiurati si impadronì del castello di Verrucola, trucidando l'anziano marchese di Verrucola e Fivizzano Niccolò, i genitori e i fratelli del M.: mentre Giovanna fu salvata perché avrebbe dovuto sposare uno dei due ispiratori della congiura, il M. fu messo al riparo da una serva. La Repubblica fiorentina, a cui erano accomandati entrambi i rami malaspiniani implicati nel fatto di sangue, inviò in Lunigiana due commissari, Felice Brancacci e Guidaccio Pecori, con il compito di recuperare le terre indebitamente occupate dai marchesi di Castel dell'Aquila e di prendere in consegna i due giovani sopravvissuti. Alla risposta negativa di Leonardo, capo dei cospiratori, venne inviato in Lunigiana un contingente di 1200 fanti, a cui si unirono i soldati dei Malaspina di Fosdinovo e del Terziere e dei Fieschi. Il Brancacci riuscì a recuperare tutte le terre entro la fine di agosto e a portare in salvo a Firenze i due giovani sopravvissuti: il M. era stato trovato a Pisa presso un inviato estense, Antonio Rosso. Il marchesato dei cospiratori fu confiscato e in seguito suddiviso fra il M. (che ebbe Rometta e Magliano), Firenze e il marchese Antonio Alberico di Fosdinovo, che ne ottenne la parte più consistente; i due rei finirono invece in esilio in Veneto e in Lombardia.
La parte che pervenne a Firenze era costituita dalla podestaria di Codiponte (che nel 1450 entrò a far parte dell'appena costituito capitanato di Lunigiana). Il marchese Antonio Alberico ottenne il resto del feudo di Castel dell'Aquila, compresa quest'ultima località che in un primo momento era stata incorporata al dominio fiorentino; egli era il parente più prossimo dei due rei. Nello stesso 1418 aveva sposato la sorella del M., Giovanna.
Per la tutela del giovane M. venne creato a Firenze un collegio: ne facevano parte Niccolò da Uzzano, Tommaso Borghini, Marcello Strozzi, Vieri Guadagni, Nerone Neroni e Luigi Della Badessa. Il collegio aveva durata biennale e dopo una prima proroga fu sostituito fino alla maggiore età del M. dagli ufficiali incaricati della diminuzione dei crediti del Monte comune.
Il M. fu in seguito molto legato agli Strozzi: una sua cugina, figlia di Costanza di Niccolò Malaspina, aveva infatti sposato Marcello Strozzi, già tutore del giovane: costui e il figlio Strozzo furono più volte mandati come oratori o commissari presso il M. negli anni seguenti, proprio per sfruttare questo legame parentale. È facile immaginare che nel suo soggiorno fiorentino il M. fosse ospitato e allevato presso questa importante famiglia fiorentina.
Proprio a Firenze nacque la consuetudine, ben presto diffusasi in tutte le Cancellerie italiane, di indicare la signoria del M. non più come marchesato di Verrucola, bensì come marchesato di Fivizzano. Quest'ultima località, nata come luogo di mercato, aveva infatti ormai raggiunto una considerevole importanza economica per gran parte della Lunigiana. Verrucola restò la sede del potere, anche se il M. era solito dimorare a Signano.
Non sappiamo quasi nulla dei primi anni di vita del M., quando il governo era esercitato in suo nome dal collegio di tutela; sembra, tuttavia, che fra il 1430 e il 1433 il marchesato fosse occupato dalle truppe milanesi di Niccolò Piccinino.
In questo stesso periodo Regnano si sottomise spontaneamente a Lucca, ma nel 1433 il M. ne rientrò in possesso, nonostante i tentativi lucchesi di vedersene riconosciuta la proprietà. Nel 1446 Carrara si assoggettò spontaneamente al M.: ciò provocò un lungo dissidio fra costui e Spinetta Fregoso, che fino a quel momento ne era stato il signore. Mentre Firenze cercava di fare da paciere fra i due contendenti, il Fregoso si rivolgeva al cugino Giano, doge di Genova, per ottenere un aiuto militare (estate 1447). Nel successivo mese di maggio Giano Fregoso inviò presso il M. Gaspare Sauli: questi riuscì a farsi dare in nome del doge la località contesa, consegnandola poi a Spinetta Fregoso (12 ag. 1448). A complicare la divergenza era intervenuta la Repubblica lucchese, che aveva a sua volta avanzato pretese su quella località, senza ottenerne alcun profitto. Carrara, con Pietrasanta, Motrone e Avenza, rappresentava infatti un pegno che la Repubblica di Lucca aveva ceduto a quella di Genova in cambio del prestito di 15.000 fiorini: i Fregoso se n'erano poi impadroniti, costituendovi una signoria autonoma.
Più complessa fu la situazione che il M. dovette affrontare pochi anni dopo. Nel settembre 1450 il nipote Giacomo Malaspina di Fosdinovo si impadronì di gran parte delle sue terre costringendolo a fuggire a Reggio Emilia. Nonostante l'intervento fiorentino, il M. non riebbe subito i suoi beni: il 20 novembre ritornò però in Lunigiana con 5000 soldati, al comando di Alessandro Sforza, grazie ai quali riuscì a recuperare tutto il suo dominio. In questo frangente alcune Comunità (Groppo San Pietro, Sassalbo, Camporaghena, Bottignana e Piastorla) si erano spontaneamente sottomesse agli Estensi; il M. dovette aspettare il successivo 16 giugno perché gli fossero restituite. In seguito pare che egli avesse avuto problemi con alcuni sudditi che aiutarono il nipote in quest'occasione e che quindi furono esiliati: nel 1475, infatti, alcuni di essi, dopo che erano stati graziati dal M., tramarono nuovamente contro di lui, tanto che egli chiese a Lorenzo de' Medici di fargli concedere dalla Repubblica fiorentina una condotta di fanti per la sua sicurezza personale.
Nel corso degli anni il M. si mostrò fedele alla Repubblica fiorentina, rinnovando periodicamente l'accomandigia: se ne conservano testimonianze per il 1428, il 1458, il 1468, il 1473 e il 1476. Egli fu però legato anche agli Estensi, con cui firmò un'aderenza nel settembre 1436; più volte fece lunghi soggiorni a Ferrara. Nel corso degli anni ebbe inoltre diverse condotte da Firenze, ma sembra che le considerasse più che altro una fonte di entrate; durante la guerra di Volterra inviò un contingente in aiuto dell'esercito fiorentino, ma si rifiutò di seguirlo adducendo come pretesto una malattia.
Pare invece che nel 1448 il M. si recasse, sempre su ordine di Firenze, con le proprie truppe in Maremma per soccorrere il signore di Piombino dall'attacco napoletano. Nel dicembre 1447 aveva ottenuto la cittadinanza fiorentina e nel 1473 gli era stata offerta in dono una casa con annessa possessione a Firenze o a Pisa, ma egli aveva scelto Empoli.
Il M. era l'ultimo rappresentante maschio del suo ramo: per questo motivo la sua discendenza e la sua successione rappresentarono a lungo un importante problema politico. In una data imprecisata aveva sposato la ferrarese Ludovica Contrari, figlia di Uguccione, il personaggio più in vista alla corte di Niccolò III d'Este. Dal matrimonio nacquero un maschio, che tuttavia morì nell'ottobre 1457, e due figlie, Antonia e Giacoma, che non avrebbero però potuto ereditare il feudo lunigianese.
Il M. ebbe anche alcuni figli illegittimi che non potevano aspirare alla successione: Giorgio, Antonio, Turco e Maria. I primi due, dopo la morte del M., ottennero una provvisione mensile dalla Repubblica fiorentina per tutta la durata della loro vita, mentre il terzo doveva essere già defunto; la figlia fu portata a Firenze, dove se ne perdono le tracce.
Nonostante l'impossibilità di una loro successione, i matrimoni delle figlie del M. occuparono per molto tempo le Cancellerie di mezza Italia. Dopo lunghe trattative, iniziate nel gennaio 1455, Antonia sposò verso la metà degli anni Sessanta Polidoro Sforza, figlio illegittimo del duca di Milano Francesco. Giacoma fu a lungo indicata come futura consorte, prima di Rinaldo d'Este, uno dei numerosi figli di Niccolò III, e poi di Niccolò di Gurone d'Este. Nel marzo 1474 intervenne infine il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza e il 14 luglio la Malaspina sposò il conte Amoratto Torelli. Un anno dopo la sorella Antonia rimase vedova e iniziarono nuove trattative di matrimonio: poco dopo la morte del M., Antonia avrebbe sposato il cognato Giacomazzo Torelli. Proprio a causa di queste due nozze i Torelli avrebbero a lungo e inutilmente avanzato al M. pretese alla successione. A più riprese si cercò anche di spingere il M. a nuove nozze con la speranza che generasse un erede maschio: alla fine degli anni Sessanta si fece prima il nome di Drusiana Sforza e poi quello di Lieta Manfredi, ma il M. non si risposò mai.
Tramite i matrimoni delle due eredi del M. gli Sforza avevano inutilmente cercato di porre le basi per inglobare il marchesato di Fivizzano, nonostante la prassi ereditaria seguita dalla famiglia Malaspina. Il progetto sarebbe comunque fallito perché Polidoro Sforza morì senza eredi legittimi e i Torelli si distinsero in seguito per alcune ribellioni contro il Ducato milanese.
In quel periodo il M. aveva già deciso di lasciare il marchesato in eredità alla Repubblica di Firenze; nell'ottobre 1468 venne incitato a redigere, come promesso, il relativo documento, ma non risulta che ciò sia mai avvenuto. Nell'ultima accomandigia firmata con Firenze il M. chiese e ottenne che presso di lui fosse inviato un commissario: il 1 marzo 1476 partì da Firenze con questo incarico Strozzo Strozzi, poi sostituito il 23 sett. 1477 da Bartolomeo Pucci.
Fu il Pucci a far confluire, con l'aiuto del marchese di Fosdinovo, il marchesato di Fivizzano nel dominio fiorentino dopo la morte del M., avvenuta l'8 febbr. 1478.
Molto religioso, nel 1440 egli aveva fondato il convento di S. Francesco a Fivizzano affidandogli la cura del restaurato oratorio di S. Pellegrino, a cui erano particolarmente fedeli gli abitanti della zona.
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