SPAZIO GIUDIZIARIO EUROPEO.
– Definizione. Le fonti. Lo spazio giudiziario civile. Cenni allo spazio giudiziario penale. Bibliografia
Definizione. – Con il Trattato di Amsterdam del 2 otto bre 1997 l’Unione Europea ha inserito per la prima volta fra le sue funzioni la cooperazione giudiziaria, dando vita a uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Si è così avviato un percorso che i successivi trattati, e in specie il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, hanno efficacemente perseguito.
Già il Trattato di Roma, istitutivo della Comunità Europea, all’art. 293 (già 220), promuoveva il riconoscimento e la circolazione delle decisioni giudiziarie fra i Paesi membri, ma ciò veniva considerato un elemento in qualche misura ancillare rispetto alle quattro libertà fondamentali (circolazione delle persone, dei beni, dei capitali e dei servizi). La norma, infatti, non imponeva, ma apriva agli Stati la facoltà di attuarla, per mezzo di strumenti pattizi. Il più significativo di tali strumenti fu la Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale.
Con il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, all’interno della struttura a pilastri dell’Unione Europea, furono introdotte per la prima volta norme, inquadrate nel titolo VI del Trattato, che, al di fuori del quadro strettamente comunitario, si occupavano di cooperazione in materia di giustizia: ciò però si svolgeva ancora in un’ottica meramente intergovernativa.
Nel quadro attuale, la politica della giustizia e la concreta emanazione di norme procedurali non sono più, come un tempo, esclusiva prerogativa degli Stati, ma, nel contesto europeo, sono un terreno di competenza concorrente fra l’Unione e i Paesi membri (art. 4 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, TFUE). Mediante successivi programmi, ricordati usualmente con il nome della città dove si svolse la riunione del Consiglio che di volta in volta li promuoveva (Tampere nel 1999, L’Aja nel 2005, Stoccolma nel 2009), l’Unione si è proposta di realizzare concreti e crescenti obiettivi in questo settore.
È quindi legittimo parlare di s. g. e., anche se l’espressione spazio è oggettivamente più evocativa che tecnica. Lo si può definire come il complesso delle fonti che, all’interno dell’ordinamento dell’Unione Europea, disciplinano aspetti del diritto giudiziario in modo uniforme per gli Stati membri, in concorso con la normazione specifica di ciascuno di essi. Nel contempo, si vuole indicare che sussiste un territorio (uno spazio) in cui sono efficaci norme comuni europee in tema di giustizia.
Si tenga conto che non tutti i Paesi dell’Unione partecipano in modo identico alla costruzione dello s. g. e.: la Danimarca ha scelto di restarne esclusa (cd. opt out), mentre Regno Unito e Irlanda si riservano di accettare caso per caso le singole misure (cd. opt in).
Le fonti. – Le fonti rilevanti per lo s. g. e. sono in primo luogo il Trattato dell’Unione Europea (TUE) e il TFUE e, in secondo luogo, i regolamenti, le direttive e le decisioni che si riferiscono a questa materia.
Si deve tenere conto, ovviamente, del ruolo peculiare della giurisprudenza della Corte di giustizia che, specialmente nel suo compito interpretativo ai sensi dell’art. 267 TFUE, svolge una funzione normativa, non solo all’interno delle fonti specifiche dello spazio giudiziario, ma anche mediante applicazione alla materia processuale del diritto dell’Unione.
Un ruolo significativo è svolto dai principi generali di diritto comuni agli ordinamenti degli Stati membri (art. 340 TFUE). In particolare, in forza dell’art. 6, § 3°, TUE, i diritti umani fondamentali, riconosciuti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 (e quindi, a mente dell’art. 6, il diritto a un giusto giudizio in un tempo ragionevole di fronte a un giudice imparziale) e i diritti risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali.
L’art. 6, § 1°, TUE riconosce, poi, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, il medesimo valore giuridico dei trattati, con la conseguenza che i diritti riconosciuti nella Carta, fra cui quelli relativi alla tutela giurisdizionale (art. 47), sono suscettibili di immediata applicazione.
Nel contempo, l’Unione aderisce alla CEDU, secondo le indicazioni contenute nel protocollo nr. 8 allegato al Trattato di Lisbona, anche se, al momento, l’adesione non si è ancora perfezionata.
I diritti fondamentali sono quindi certamente parte dello s. g. e., anche se va segnalata la sussistenza di una triplicità di cataloghi, non identici fra loro (la Carta dei diritti, la CEDU e le tradizioni costituzionali comuni). Se è vero che per molti aspetti i diritti umani costituiscono un tessuto comune, si deve fissare con chiarezza l’ordine di applicazione delle diverse fonti e individuare in modo univoco quali siano le corti (la Corte di giustizia, la Corte europea dei diritti dell’uomo, le corti costituzionali nazionali) che ne sono responsabili, senza limitarsi a un generico auspicio di dialogo fra le corti.
Lo spazio giudiziario civile. – La politica europea in materia civile si svolge essenzialmente nel quadro dell’art. 81 TFUE (che ha sostituito, ampliandone l’oggetto, il precedente art. 65 del trattato istitutivo della Comunità Europea). Secondo il § 1° della norma, l’Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali, con l’essenziale precisazione che tale cooperazione può includere l’adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Il § 2° elenca le misure che il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono adottare, in particolare se necessarie al buon funzionamento del mercato interno.
Gli obiettivi di queste misure riguardano: a) il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali e la loro esecuzione; b) la notificazione transnazionale degli atti giudiziari ed extragiudiziali; c) la compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di giurisdizione; d) la cooperazione nell’assunzione dei mezzi di prova; e) un accesso effettivo alla giustizia; f) l’eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri; g) lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie; h) un sostegno alla formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari. Per le misure in tema di diritto di famiglia con implicazioni transnazionali è fissata una procedura legislativa speciale, al fine di garantire le diverse sensibilità culturali dei Paesi europei in questo delicato settore.
L’azione dell’Unione si è concretizzata nell’emanazione di una serie di importanti regolamenti. La disposizione più significativa è il regolamento nr. 1215/2012 (del 12 dic. 2012) sulla competenza giurisdizionale e il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; quella più recente è il regolamento nr. 655/2014 (del 15 maggio 2014), che istituisce una procedura europea di sequestro conservativo su conti bancari.
Non sono poche le direttive di grande rilievo: basti pensare alla direttiva 2011/7 sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali o alla direttiva 2008/52, in tema di mediazione.
Va detto che la normazione europea in materia giudiziaria civile si riferisce, in primo luogo, al contenzioso transnazionale e non a quello meramente interno. Inoltre, essa non assume usualmente carattere esaustivo, rimandando per molte parti (non solo in sede di direttive, ma anche di regolamenti) all’autonomia procedurale dei singoli Stati membri, ai quali è lasciata ampia libertà di manovra, a condizione di raggiungere uno standard minimo di effettività della tutela.
Lo s. g. e. non investe tutti gli aspetti della tutela civile. In realtà, solo alcuni settori del diritto processuale sono direttamente toccati e si tratta, in specie, di quelli che richiedono un coordinamento fra poteri di diversi Stati (come le regole comuni sulla competenza giurisdizionale o l’assunzione delle prove all’estero). Tuttavia, la normazione europea, supportata dal lavoro interpretativo della Corte di giustizia, ha l’effetto di veicolare o almeno di rafforzare all’interno dei sistemi dei Paesi membri una serie di categorie, con un risultato di armonizzazione che va oltre le disposizioni di stretto diritto dell’Unione: basti pensare al principio di non contestazione, alla rimessione in termini o alla tutela cautelare contro la pubblica amministrazione.
Cenni allo spazio giudiziario penale. – Lo spazio giudiziario europeo, negli anni più recenti, si è particolarmente arricchito sul fronte della cooperazione penale, di particolare efficacia nella lotta al crimine internazionale. Partendo dal profilo del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie, si estende al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri, (art. 82 e 83 TFUE), in particolare per ciò che concerne reati che esigono di essere combattuti con uno sforzo comune: terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata.
L’Unione si è quindi dotata di uno strumento operativo comune, vale a dire Eurojust. Si tratta di un’agenzia europea che, ai sensi dell’art. 84 TFUE, ha il compito di sostenere e potenziare il coordinamento e la cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle indagini e dell’azione penale contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri o che richiede un’azione penale su basi comuni, sulla scorta delle operazioni effettuate e delle informazioni fornite dalle autorità degli Stati membri e dall’Ufficio di polizia europeo (Europol). I compiti di Eurojust concernono anche l’avvio e il coordinamento di indagini penali (specie quelle relative a reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione). Un ulteriore sviluppo è quello della possibile (ma per ora non attuata) istituzione di una procura europea, a partire da Eurojust (art. 86 TFUE).
Per ciò che concerne il riconoscimento delle decisioni, si deve ricordare soprattutto la decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedura di consegna tra Stati membri. Essa sostituisce il sistema dell’estradizione e facilita il riconoscimento, da parte dei singoli Stati, delle domande di arresto o di consegna di persone, formulate dall’autorità giudiziaria di un altro Stato.
A partire dal 2010, l’Unione ha cercato, avvalendosi di direttive, la cui adozione è consentita dall’art. 82, § 2°, TFUE, di migliorare e rendere più omogenea la tutela dei soggetti principali sottoposti a procedimento penale, l’imputato e la vittima del reato. La prima direttiva a tutela dei diritti dell’indagato è del 2010 (2010/64), in materia di interpretazione e traduzione. La più recente, e la più ambiziosa, quanto ai fini perseguiti, è la direttiva sull’accesso al difensore per chi sia sottoposto a un procedimento penale o a un mandato di arresto europeo (2013/48).
Bibliografia: P. Biavati, Europa e processo civile. Metodi e prospettive, Torino 2003; P. Biavati, M.A. Lupoi, Regole europee e giustizia civile, Bologna 2008, 20132; D.U. Galetta, L’autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione europea: paradise lost?, Torino 2009; N. Trocker, La formazione del diritto processuale europeo, Torino 2011; Manuale di diritto processuale civile europeo, a cura di M. Taruffo, V. Varano, Torino 2011; M. Caianiello, Sull’istituzione del pubblico ministero europeo, «Rivista di diritto processuale», 2013, pp. 1444-61; M. Chiavario, Manuale dell’estradizione e del mandato di arresto europeo, Torino 2013.