SPARTA (A. T., 82-83)
Città della Grecia, capoluogo del nomo di Laconia (4132 kmq., 144.336 ab. nel 1928). È situata nella valle dell'Eurota, che a S. della città si allarga in una bella conca ampia una diecina di km., fra le alture degradanti dalla catena del Parnone, a E., e la ripida e imponente barriera del Taigeto, che tocca i 2409 m. s. m. (mentre la pianura di Sparta è sui 200 m.) e forma pittoresco sfondo al panorama a O. Nella conca, fertilissima, verde e ridente di giardini, prosperano gli olivi, si producono frutta (aranci, uva, fichi, ecc.), gelsi, granturco e foraggi; ma il clima è malsano (malaria) con estati eccessivamente calde. La Sparta odierna, oltre alla funzione amministrativa, esercita quella di centro agricolo della vallata dell'Eurota, con qualche industria (preparazione di olio d'oliva, lavorazione del tabacco, bachicoltura, seterie). L'abitato presenta aspetto moderno, senza interesse, con vie larghe e rettilinee e case basse. Il centro è formato dalla "Gran Piazza"; non lontano da questa si trova l'edificio del museo, con pregevoli raccolte di arte antica. La città, che nel 1928, contava 7438 abitanti (nell'intero comune), sorge a 224 m. s. m. a destra dell'Eurota, a S. della località dove erano l'antica Sparta e la Lakedemonia dei Bizantini, e precisamente sul versante N. della più meridionale delle sei colline della città antica, il Diktynnaion: su questo è sorta la moderna cattedrale. A S. dell'abitato scorre il torrente Magoũla, affluente dell'Eurota.
Per le comunicazioni Sparta è servita dalle strade carrozzabili per Tripoli da una parte, e per Gýtheion, che si può considerare il suo porto sul Golfo di Laconia, dall'altra. È in costruzione una ferrovia per congiungerla con Tripoli e con Gýtheion.
L'antica Sparta (v. appresso) saccheggiata da Alarico (395) subì l'ultimo colpo nel sec. IX ad opera degli Slavi. Ricostruita dai Bizantini col nome di Lakedemonia, fu evangelizzata nel sec. X da San Nicone il Metanoita. Nel 1249, i Francesi, al comando di Guglielmo di Villehardouin, la conquistarono: gli abitanti si trasferirono allora a Mistrà, circa 2 km. a O., su uno sperone del Taigeto. La zona passò poco dopo sotto il dominio della famiglia Paleologo. Occupata dagli Arabi di Maometto II (1460) passò sotto il dominio veneto nel 1669 e fu ripresa dai Turchi nel 1715. La città moderna fu fondata nel 1834 dal re Ottone.
Sparta nell'antichità.
Storia. - Dalle origini alla costituzione della Lega del Peloponneso. - La storia di Sparta arcaica è avvolta nella più profonda oscurità. Ciò che ci viene raccontato dagli storici antichi è quasi sempre soltanto costruzione erudita o espressione di quell'idealizzazione dello stato spartano, che ha una fondamentale importanza non solo nel determinare correnti politiche reali nella Grecia dal VI al IV sec., ma anche, come è ovvio, nello sviluppo della storiografia. Notizie letterarie dirette ci vengono soltanto, oltre che dai frammenti di Tirteo, dal Catalogo delle Navi e da altri brani minori dei poemi omerici, i quali però pongono a ogni passo il problema se quanto descrivono corrisponda alle condizioni del tempo della loro redazione (per il Catalogo, metà circa del sec. VII a. C.) o invece sia una voluta arcaicizzazione, più o meno indovinata. I risultati degli scavi inglesi nella città hanno però indubbiamente contribuito a chiarificare molti punti. Si deve soprattutto ad essi se oggi è facile ricostruire, al disotto della Sparta irrigidita nella costituzione licurghea, quale noi conosciamo dalle fonti classiche, una Sparta arcaica più mossa, più aderente alla civiltà contemporanea.
Ogni storia di Sparta comincia necessariamente affrontando la sempre desta questione dell'"invasione" dorica, a cui essa dovrebbe la sua origine (v. dori; grecia: Storia). La tradizione conosce l'invasione dorica come ritorno di Eraclidi, e sembra in origine, al contrario che più tardi, ritenere discendenti di Eracle così i re di Sparta come i sudditi. L'immigrazione dorica sarebbe avvenuta dopo la guerra di Troia, perché Omero non parla di Dori. Oggi essenzialmente il problema si pone in questi termini: i Dori sono indubbiamente, tra le stirpi greche, quella più tardi emigrata nelle sedi storiche e di cui pertanto si ricordava confusamente che si fosse spostata.
All'ipotesi che si presenta come la più facile, che i Dori abbiano fondato Sparta distruggendo Terapne, si oppongono però argomenti assai forti: innanzi tutto il miceneo, alla fine del quale i Dori sarebbero venuti a Sparta - secondo un'opinione, a cui il progresso degli studî viene conferendo sempre maggiore autorevolezza - in ogni caso finisce più tardi (sec. IX a. C.?) del termine estremo utile per una migrazione dorica; e parecchi indizî fanno pensare che Terapne (dove, per es., era il santuario di Elena) sia stata in verità la sede più antica di coloro che sono poi andati a occupare Sparta. Sembra quindi per ora aderire meglio al vero l'opinione di L. Pareti, che i Dori penetrando dall'Argolide in Laconia verso il sec. XV-XVI a. C., abbiano occupato il colle di Terapne, che assunse allora il nome di Lacedemone: più tardi, ormai dominata tutta la piana circostante, cioè l'alta valle dell'Eurota, i Dori vi scesero fondando una città del tutto aperta, che prese il nome di Sparta, "terra seminata".
La confusione e oscillazione di terminologia tra Sparta e Lacedemone, che si osserva nella tradizione letteraria, ha in questa teoria la sua migliore spiegazione: in genere si può dire che, mentre nell'uso comune Sparta e Lacedemone si confondono, salvo che talvolta Sparta significa la città e Lacedemone il territorio, negli scambi diplomatici Lacedemone vale come nome ufficiale.
Dobbiamo insomma considerare come momento della fondazione di Sparta quello in cui i Dori si vengono a insediare nei quattro distretti della pianura laconica di Pitana, Limne, Cinosura e Mesoa, che costituiranno poi quattro delle cinque obe o divisioni territoriali della cittadinanza spartana. Il termine post quem di questa fondazione è naturalmente dato dalla già accennata mancanza di ritrovamenti micenei, per cui dobbiamo pensare all'incirca al sec. X-IX a. C. Il termine ante quem è ancora più sicuro. Noi sappiamo che Sparta dal 755 a. C. conosceva una registrazione cronologica secondo i cinque magistrati annuali chiamati efori. Ma il numero cinque di essi è in evidente correlazione con le cinque obe, che sussistevano in età classica, cioè oltre le obe già nominate, la oba anche territorialmente separata di Amicle. È chiaro quindi che alla metà del sec. VIII a. C. il processo di costituzione dello stato spartano era compiuto, e poiché, contro opinioni anche autorevoli, resta sempre più verosimile che Amicle sia stata riconosciuta come divisione territoriale dello stato spartano quando già le altre quattro obe formavano unità politica (oltre all'argomento topografico si deve tener conto di una differenza attestata nella partecipazione ai culti spartani tra Amicle e le altre obe), è chiaro che il processo deve essere stato lungo e risalire più in alto del sec. VIII e cioè press'a poco ai limiti del termine post quem. Naturalmente la divisione territoriale fu preceduta da quella gentilizia per tribù. L'esistenza in Sparta delle tribù doriche dei Dimani, Pamfili e Illei, già ovvia a priori, è ora provata direttamente da un frammento di Tirteo: note sono pure 27 fratrie. Ma il carattere stesso di occupazione armata in territorio nemico, che conservò in permanenza l'insediamento dei Dori in Laconia, spiega come presto l'ordinamento militare e politico abbia dovuto tener conto più della distribuzione territoriale dei conquistatori che della derivazione gentilizia.
Conquistatori, appunto, i Dori si sono sforzati di allargare le loro occupazioni e di soggiogare i vicini con un'avanzata ora lenta ora rapida. sempre contrastata. Il periodo della conquista va dal IX secolo all'incirca a metà del VI: dopo di allora Sparta trasforma la sua politica dalla conquista all'egemonia e si viene foggiando come egemone del Peloponneso. Le fasi della conquista spartana sono in molti punti incerte. Un'immagine notevolmente antica di questa ci è data dal Catalogo omerico (Iliade, II, 581 segg.) che assegna al regno di Menelao, cioè a Lacedemone, Fari, Sparta, Messe, Brisea Augia, Amicle, Elo, Las ed Etilo. Si deduce intanto che il poeta si riferisce a un periodo in cui Sparta come città non ha ancora stroncato l'importanza degli altri centri che si sono venuti aggregando allo stato spartano: di più i nomi di Etilo e Messe sulla costa orientale del golfo messenico lasciano intravvedere una prima espansione verso la Messenia. È probabile che l'Iliade in altro punto (V, 541 segg.) presupponga velatamente che anche Fere nella Messenia meridionale sia già spartana; e così pure è probabile che il libro IX (141 segg. e 283 segg.) della medesima Iliade, nell'elencare le città che Agamennone promette ad Achille si riferisca a una fase vicina dello sviluppo dello stato spartano. Pare in ogni caso evidente che, prima di estendersi verso la Messenia, i Dori avevano già completato la conquista della Laconia valicando il Taigeto e giungendo al mare. Tutto ciò dunque deve essere accaduto tra il sec. IX e il principio dell'VIII a. C. Mancano indicazioni altrettanto chiare per le altre conquiste di Sparta, eccetto che per le due guerre messeniche. Tutta la conquista, che porta alla costituzione delle città perieciche lungo le coste del Capo Tenaro e del Capo Malea, in Cinuria e ai confini con l'Arcadia è di data imprecisa: connessa evidentemente con le lotte con Argo e con Tegea che la tradizíone ricorda confusamente. In Tegea e in Argo, Sparta troverà i baluardi insuperati alla sua espansione verso nord. Le due guerre messeniche facevano invece crollare interamente lo stato rivale a ovest di Sparta. Della prima, avvenuta verso la metà o meglio la fine del sec. VIII a. C., essendo re Teopompo (che la tradizione fa contemporaneo dell'inizio dell'eforato), si conosce solo il risultato: la conquista della fortezza d'Itome e l'annessione di un vasto territorio a ovest del Pamiso con la riduzione degli abitanti a Iloti. La seconda guerra messenica, dopo il 650 a. C., al tempo di Tirteo, se non è meglio nota nei particolari, perché la sola narrazione estesa che ne abbiamo in Pausania (IV, 14 segg.) riproduce le linee dell'epos alessandrino di Riano, rivela però una costellazione politica ben più precisa. Fomentano la rivolta dei Messeni già soggetti a Sparta, oltre i Messeni ancora liberi, i Pisati, gli Arcadi e gli Argivi, mentre è implicita la buona relazione di Sparta con gli Elei nemici dei Pisati ed è attestata la collaborazione navale di Samo in favore di Sparta a conferma anticipata delle relazioni amichevoli che sappiamo essere esistite tra Sparta arcaica e il mondo ionico d'Asia. La guerra finisce con la presa di Ira, l'esilio di molta parte dei Messeni, la conquista della cui terra fu completata, trasformandone vaste zone in tenute di pascolo e caccia. Una delle ultime conquiste sembra essere stata la Sciritide, perché le città perieciche in essa insediate davano contingenti militari in una schiera (λόχος) speciale, fuori dell'ordinamento delle altre città perieciche. Le ultime conquiste sono del 550 circa ai danni di Argo e di Tegea.
Questo moto esteriore della conquista condiziona e a sua volta è condizionato dallo sviluppo della struttura sociale nello stato spartano. Nella quale senza dubbio ci sono parecchi elementi assai arcaici, che ritrovandosi anche in Creta o avendo riscontro in società molto primitive, devono tenersi già portati in Laconia. Ma anche questi elementi prendono un significato nuovo dal contesto, che è la posizione di un gruppo deciso a rimanere a ogni costo conquistatore e a foggiare la propria vita sulla duplice superiorità del dominio sugli altri e dell'obbedienza alle proprie leggi. Fatto fondamentale della vita dello Spartano sin dall'età più arcaica è che egli non deve lavorare per vivere: il territorio di Sparta è stato diviso in età imprecisa, ma certo di gran lunga anteriore alla prima messenica, in tante porzioni (κλῆροι), costituenti un possesso inalienabile e ritornabile allo stato, in caso di mancanza di eredi. Questi κλῆροι sono coltivati non dal concessionario, ma da servi della gleba (gl'Iloti), che sono obbligati a un pagamento fisso in natura, che teoricamente deve permettere allo Spartano di non avere altro bisogno. Il problema è se questi Iloti rappresentino la popolazione predorica fatta schiava oppure una popolazione dorica assoggettata da altri Dori o siano infine solo il risultato di un processo economico di distinzione tra gli Spartani. Tutte e tre le ipotesi sono sostenibili, e chi ricordi come in Atene le riforme di Solone giunsero appena a tempo per impedire che si creasse una vasta classe di servi della gleba derivati dai debitori insolventi, non potrà meravigliarsi che si concepisca l'origine dell'ilotia solo in conseguenza di disparità economiche. Ma è da notare innanzi tutto che gli Spartani si sono sempre comportati verso gl'Iloti come nemici, con cui lo stato di guerra fosse perpetuo, e se già da solo ciò sembra indicare qualcosa di diverso di un processo meramente economico, la conferma è poi che quando Sparta occupò la Messenia ne ridusse gli abitanti in identica condizione.
Sembra quindi doversi ritenere accertato che la ilotia è la conseguenza di un diritto di guerra esercitato su popolazioni preesistenti, cioè predoriche.
Diritto di guerra che però Sparta non applica più abitualmente. Più spesso gli abitanti delle città vinte e assorbite nello stato spartano mantengono parziali diritti: una parte del loro territorio è attribuito alla corona, ai santuarî, ai più autorevoli Spartani, non si vede bene se per regolare acquisto o per confisca; ma il resto è proprietà degli stessi Perieci, che pagano tributo alla corona, oltre a prestare servizio militare nell'esercito o nella flotta. Non possono naturalmente sposare donna spartana, ma hanno magistrati, feste, costituzione autonomi, e sono loro riservati quel commercio e quell'industria che lo Spartano ritiene indegni di sé. L'ilotia è quindi considerata dallo Spartano solo una condizione per la propria vita; condizione pericolosa, nella continua minaccia di ribellione, e che non può quindi essere estesa ad arbitrio. La prima fase dell'ilotia ha servito a fondare lo stato spartano nella sua configurazione caratteristica: in questa fase solo gli abitanti di Amicle sembra abbiano avuto il privilegio di essere ammessi nello stato spartano con eccezionale parità di diritti. La seconda fase è una conseguenza di una crisi del sistema, di cui restano altri indizî. È infatti comprensibile che con l'accrescimento della popolazione i κλῆροι- del territorio laconico diventassero insuficienti, provocando disordini, di cui fu verosimilmente conseguenza la fondazione della colonia di Taranto in Italia. Gli Spartani avevano probabilmente partecipato in tempo assai remoto all'espansione delle genti doriche nell'Egeo, e più particolarmente a Tera e a Creta. Dopo d'allora, tagliati per lungo tempo dal mare, impegnati nell'occupazione della Laconia, non avevano più avuto motivo di muoversi oltre il mare. In un momento imprecisato del sec. VIII, che la tradizione fa posteriore alla prima guerra messenica ma che sembra invece anteriore, fu inviata una colonia in Italia a Taranto (altre partecipazioni a colonie in Italia sono troppo incerte). Tuttavia la soluzione del problema economico, che renderà inutile un proseguimento della colonizzazione, salvo probabilmente una partecipazione alla fondazione della terea Cirene nel sec. VII, fu data dalla conquista della Messenia meridionale, per cui un nuovo vasto κλῆρος era aggiunto al precedente di ogni Spartano. La vastità del territorio acquistato con le due guerre messeniche spiega che talune parti di essa abbiano potuto essere cedute (Asine e Metone) ad amici di Sparta rifugiatisi rispettivamente dall'Argolide e da Nauplia e insediati come perieci (la tradizione sembra nella sostanza sicura); mentre il territorio di Aulone nella Messenia settentrionale per ragione non precisata fu anch'esso mantenuto in condizione di periecia.
La stabilizzazione della situazione economica degli Spartiati si accompagnò con un progressivo irrigidimento della struttura dello stato a vantaggio di un'oligarchia. In origine lo stato spartano era comandato da un re: l'epica conosce Sparta come stato monarchico. Più tardi, in età storica, noi non conosciamo Sparta che come governo diarchico, retto ereditariamente da due famiglie sedicenti di Eraclidi, gli Agiadi e gli Euripontidi, in cui la successione avveniva secondo il primo nato da padre già sul trono. Indubbiamente la sostituzione della diarchia alla monarchia è un indizio di quel successivo indebolirsi del potere monarchico in Sparta, di cui tutta la sua storia fa fede; ma come si sia giunti a questa singolare costituzione è ignoto. Due congetture sono possibili: o che, decaduta la monarchia per lento processo, si siano sostituiti i tre capi delle tribù doriche, di cui uno abbia poi perduto autorità di fronte agli altri due; o che la diarchia si sia originata dal dualismo tra Lacedemone alta (Terapne) e Lacedemone bassa (la Sparta di età storica). Noi preferiamo, nonostante le difficoltà, la seconda ipotesi, perché le tracce di una terza famiglia aspirante alla regalità nella Sparta arcaica - la famiglia degli Egidi - sembrano piuttosto indicare la tendenza che ci fu un certo momento verso un ulteriore allargamento della monarchia che non un resto di una condizione anteriore. Al potere del re faceva riscontro in età arcaica il potere dell'assemblea del popolo, l'apella, costituito da tutti i cittadini spartani di pieno diritto (che si chiamavano i "simili" o "pari") superiori ai 30 anni. Ma via via che la preoccupazione di mantenere il conquistato diventa dominante, al governo militare popolare che era dato dai due poteri combinati del re e dell'apella, si sostituisce il potere della gerusia, cioè di 28 anziani superiori ai 60 anni presieduti (almeno in origine) dai due re, che scelti a vita da un'apparente elezione dell'apella hanno in mano tutti gli affari dello stato e li amministrano con la sospettosa sorveglianza di un gruppo ristretto di vecchi conservatori. La gerusia ha dal sec. VIII il veto sulle deliberazioni dell'assemblea. Accanto ai geronti, emanazione dello stesso spirito oligarchico, stanno i cinque efori annuali, il cui controllo si estende lentamente su tutta la vita dello stato, a cominciare dalla convocazione dell'apella. La loro autorità giunge a essere concorrente a quella dei re, davanti a cui non si levano: se essi ogni mese giurano ai re di mantenere salda l'autorità regia, i re giurano reciprocamente nelle loro mani di essere fedeli alle leggi dello stato. Gli efori possono in certe condizioni sospendere i re dalle loro funzioni. Ai re in definitiva resta quasi soltanto il comando degli eserciti in guerra e la facoltà di trar leva non sui cittadini, che è facoltà dell'apella, ma sui Perieci.
Tale oligarchia conservatrice, se è il naturale prodotto di uno spirito di controllo a ogni costo predominante entro lo stato, si alimentava poi sempre più della disparità economica che entro i simili si veniva costituendo tra la maggioranza e una minoranza. Poste le basi della vita sull'uguaglianza dei conquistatori, venivano anche a rassodarsi quelle istituzioni del periodo della conquista, che meglio potevano aderire al nuovo stato di cose, soprattutto i pasti comuni o sissizî, che costituivano una garanzia di vita economica uniforme, mentre serbavano lo spirito di cameratismo tra i guerrieri. A questa vita comune faceva riscontro il complesso allenamento fisico e addestramento spirituale, che dall'infanzia impegnava per intero l'uomo al servizio dello stato. Donde la scarsa importanza della vita familiare, e la grande libertà riconosciuta alle donne, che per la robustezza dei figli erano allevate maschilmente e inoltre erano le sole che potessero occuparsi di affari. Ma in tal modo si venivano moltiplicando i diseredati: i figli cadetti perdevano ogni diritto a κλῆρος, o dovevano attendere che si facesse libero un κλῆρος per mancanza di legittimo detentore e vivevano alle spalle del fratello maggiore, ma in ogni caso decadevano dai pieni diritti, venendo a confluire con i degradati per disonore (atimia) nella categoria degl'inferiori (ὑπομείονες). È facile comprendere poi che in questa condizione venissero spesso a cadere anche i detentori dei κλῆρος, per ragioni varie, quando i redditi del medesimo non bastavano più a pagare la propria quota nei sissizî: tanto più che se i κλῆροι erano inalienabili, alienabili erano i redditi, che erano ipotecati in caso di prestito. Donde l'ovvia conseguenza che i più potenti, i quali erano riusciti ad accaparrarsi dei beni nelle città perieciche e avevano quindi disponibilità finanziarie al di fuori dei redditi dei κλῆροι, potevano imprestare e trarne lauti guadagni, tenendo sotto giogo i teoricamente "pari" e facendoli spesso decadere dalla loro parità. Conseguiva quindi che nella vita economica apparentemente statica di Sparta, nell'interno della quale in effetto bastava che circolasse l'antiquata moneta di ferro, tanto scarsi erano gli scambî, si svolgeva però un continuo processo di concentrazione della proprietà, che, derivante dall'oligarchia, favoriva la medesima.
Alle conseguenze economiche si aggiungevano le demografiche. Ovvio l'interesse degli Spartani a limitarsi al figlio unico. E nelle famiglie in cui la moltiplicazione era normale sopraggiungeva pure normale la decadenza alla classe inferiore, con la correlativa uscita dalla truppa scelta degli opliti. Come dal sec. V al III la decadenza si facesse precipitosa possono indicare le seguenti cifre: Erodoto valuta a 8000 il numero degli Spartiati atti alle armi nel 480; nel 371 non sono più che duemila. Aristotele li valuta a mille, Agide nel 242 ne conta settecento. Può taluna di queste cifre essere di dubbia interpretazione; la linea nel complesso è chiara. E perciò questa casta chiusa era poi costretta ad aprirsi a rovescio, almeno entro certi limiti, affrancando Iloti per introdurli nell'esercito (neodamodi), a cui erano in certa guisa corrispondenti i motaci, figli di Spartano e di donna Ilota, che ricevevano educazione pubblica con gli Spartiati e potevano, ricevendo κλήρος, diventare cittadini di pieno diritto. Ma questi rinsanguamenti non bastavano ed erano del resto compiuti con estrema parsimonia, sicché continuò a crescere negli Spartani fino alla rivoluzione di Cleomene del sec. III (v. oltre) il sospetto verso gli Iloti, di cui temevano le ribellioni. La politica estera spartana è sempre dominata (per es., nella limitata durata delle spedizioni militari) da questo problema interno, mentre si moltiplicano gli accorgimenti per tenere a freno gl'Iloti e vecchie cerimonie d'iniziazione guerriera (i Krypteia) si utilizzano per proclamare artificiosi stati di guerra contro gl'Iloti e terrorizzarli periodicamente.
Nell'epoca più vitale della costituzione dello stato e poi nell'empito dell'espansione, Sparta aveva fatto corrispondere alla novità e spiritualità delle sue istituzioni politiche freschezza di manifestazioni artistiche. Può in confronto alla posteriore educazione intellettuale ateniese sembrare meschina l'educazione spartana, in cui danza, musica, canto bastano, insieme con gli esercizî militari, a nutrire i giovani intellettualmente. Ma è un'enorme conquista, e pervade la Sparta arcaica di un'armonia non solo esteriore. Le relazioni con la Ionia e in genere con l'Asia alimentano questa cultura. Alcmane è per una parte della tradizione di Sardi; Terpandro di Lesbo e Taleta di Creta scrivono per Sparta; Spartano è Tirteo. Il tempio di Artemide Orthia edificato verso il 700 a. C., ricostruito un secolo dopo, dà la misura migliore per noi dell'arte di Sparta arcaica e insieme dei suoi rapporti con l'Asia. Più celebre era il tempio di Atena Chalkioikos, e per adornare la Skias nel 570 circa si faceva ancora appello a uno degli artisti più famosi, Teodoro di Samo. Ma già allora Sparta è sull'orlo della decadenza intellettuale. Ristagnano intanto i rapporti col mondo ionico per le stesse vicende politiche di questo: le città perieciche, le quali erano tra i centri più importanti di metallurgia, tessitura, ceramica arcaica, sebbene non perdano al tutto la loro attività, sono però sopraffatte da altre città. Atene dà ora il tono alla vita greca. E Sparta è culturalmente considerata eome arretrata, rozza.
Tuttavia il prestigio di Sparta non si attenua se non di poco anche nel sec. V per questo irrigidimento politico e culturale. Una forza morale s'impone a tutti i Greci. Sparta è l'ideale dorico che la statuaria impersona nell'efebo vigoroso e sereno, conchiuso nel tranquillo dominio di sé; è la fedeltà incrollabile ai doveri verso lo stato, fino a morire "obbedendo alle leggi della patria"; è infine il governo dei migliori pronto a reprimere i moti della plebe senza ragione. Il pungente "laconismo" dei molti spartani sembra confutare l'accusa di tardità spirituale. Dovunque le forze conservatrici pericolino o si vagheggi la restaurazione di governi oligarchici, dovunque si lamenti la mancanza di compagine dello stato, si rivolge lo sguardo a Sparta. La quale pertanto non è solo modello teorico (παράδειγμα dice appunto Tucidide) di molta parte della Grecia, soprattutto nei circoli aristocratici e intellettuali, ma si vale di queste simpatie e le accresce con il giuoco della sua politica d'intervento. Prima di diventare mito con gli stoici e i peripatetici, che si vengono a occupare della costituzione spartana, l'ideale spartano è forza operante della vita greca in contrapposto sempre più consapevole con Atene. Che per l'alleanza tra l'Elide e Sparta, il centro massimo della vita religiosa greca, Olimpia, "laconizzi" fino dal sec. VI, che anche l'oracolo di Apollo Delfico sia il più spesso laconizzante conferma questo prestigio, e ne precisa il carattere conservatore, perciò gradito agli ambienti sacerdotali.
Di questa organizzazione spartana, di questa "eunomia" che si costituisce tra il sec. IX e il VI a. C., gli antichi hanno voluto trovare un fondatore in Licurgo, che oggi generalmente si riconosce come figura mitica: i moderni hanno voluto affidare ad altri nomi il merito d'iniziative essenziali: tali il re Teopompo, nel sec. VIII e l'eforo Chilone alla metà del VI. In realtà, sebbene sia verosimile che tali persone abbiano avuto grande importanza negli ordinamenti di Sparta, le notizie di buona fonte che abbiamo su di loro non permettono alcuna illazione. Sparta resta senza nomi paragonabili per chiarezza di significato storico a quelli di Solone e Clistene in Atene. E non è caso.
Dalla costituzione della lega del Peloponneso al dominio romano. - Fornita del migliore esercito della Grecia, tale da rimanere imbattuto per secoli in campo aperto, tale anche da imporre a tutto il mondo greco la superiorità degli ordinamenti oplitici, che in Sparta si erano, se non foggiati, perfezionati, di contro alla cavalleria degli ordinamenti aristocratici, Sparta poteva nel sec. VI imporre la sua supremazia sul Peloponneso, Argo e Acaia eccettuate. La forma della supremazia fu una lega della cui genesi e alla cui struttura giuridica si discute (v. peloponnesiaca, lega), ma che costituiva indubbiamente un'alleanza militare con Sparta alla testa e con un sinedrio adunantesi in Sparta. Sparta diventava in tal modo la prima potenza della Grecia ed era naturalmente impegnata a difendere gl'interessi delle città aderenti alla lega, che pure erano differenti dalla natura e dalle finalità della politica più propriamente spartana. Ciò vale soprattutto per l'influenza che ebbe sulle decisioni della Lega del Peloponneso la più importante confederata dopo Sparta, Corinto, da cui Sparta fu condotta alla guerra contro Policrate intorno al 525, come un secolo dopo fu avviata alla guerra contro Atene. Nella Lega, come fuori della Lega, la politica di appoggio alle oligarchie fu regolare: donde pure la lotta contro i tiranni, che ha la sua più celebre espressione nell'aiuto dato ad Atene a cacciare Ippia (510 a. C.), salvo poi a cercare invano rimedio quando Atene mostrò di non sopportare tutela spartana.
Collegato con questo processo di espansione è il dissidio interno tra alcuni sovrani che cercano di liberarsi dal controllo dell'eforato per esercitare una politica di più ampio respiro e le correnti oligarchiche, le quali nel mantenere entro modesti limiti i poteri del re vedono la guarentigia della costituzione spartana. La lotta finisce sempre con la vittoria dell'eforato, ma i momenti più brillanti della politica spartana sono quelli in cui la volontà rivoluzionaria di singoli sovrani prevale: con Cleomene I, che si libera del collega e avversario Demarato, ligio agli efori, se è tentata invano la sottomissione di Atene e Argo, è però preparata (per la stessa adesione di Atene alla lega) la lotta comune contro il Persiano. È forse Cleomene che fa uccidere gli ambasciatori persiani che chiedono la sottomissione di Sparta. Cleomene cade vittima (486?) della sua minaccia di valersi dei confederati e degl'Iloti per imporre la sua volontà: Sparta, come egemone per terra e per mare, è accanto ad Atene la vincitrice della guerra. Le Termopile sono consacrate a Sparta, Platea (479) è vittoria prevalentemente spartana. A Platea comanda gli Spartani il reggente Pausania, con cui si rinnova la lotta contro il governo degli efori. Ma la scissione tra lo spirito dominante in Sparta e le tendenze di Pausania diventa ancora più forte che con Cleomene. Pausania, che s'impadronisce di Bisanzio e se ne fa un dominio personale, deve appoggiarsi sulla Persia e quindi smentire la politica fino allora condotta dalla sua patria. Il tutto, per i medesimi estremi opposti, indica l'incapacità di Sparta a mantenere l'egemonia in Grecia. Del resto Sparta non dimostra più alcun interesse a continuare la guerra. Atene costituisce nel 478 la Lega delio-attica che per quanto in origine probabilmente subordinata alla Lega peloponnesiaca, è evidentemente destinata a farle concorrenza. Per l'attività convergente di Pausania e di Temistocle, che hanno entrambi interesse a far precipitare l'oligarchia in Sparta, la Lega peloponnesiaca minaccia di dissolversi nel Peloponneso stesso. Occorrono a Sparta lunghe lotte per riorganizzarla, soprattutto contro Tegea.
Il prestigio di Sparta nel Peloponneso si complicava quindi con i rapporti con Atene, irradiatrice di quell'ondata democratica, che raggiungeva anche le zone sotto predominio spartano diretto. Si inizia l'inquieto atteggiamento reciproco delle due città, che dura fino alla rottura della guerra del Peloponneso; coscienti della reciproca dignità, legate dal ricordo della guerra comune, eppure trascinate l'una contro l'altra dalle stesse forze opposte che ìmpersonano e dalla volontà di egemonia. Ostile a Temistocle, Sparta cerca d'intralciarne la politica e col suo esilio ottiene una vittoria, alla quale corrisponde la politica profondamente filospartana di Cimone; ma quando Cimone dà la maggior prova della solidarietà di Atene, nel 464, in occasione di un tremendo terremoto, che rovinando Sparta, eccita a ribellione gl'Iloti, gli Spartani temono gli effetti di una permanenza di milizie democratiche in loro territorio e le rimandano a casa. Nella reazione che ne segue, probabilmente, gli Ateniesi abbandonano coi loro alleati la Lega del Peloponneso. Negli anni posteriori la politica di Atene appoggia Argo e la Tessaglia nemiche di Sparta, mentre Sparta si allea con Tebe sorreggendola contro l'ingerenza ateniese in Beozia. Il che non impedisce ad Atene, vittoriosa in definitiva a Enofita nel 457, d'imporre il suo predominio e di saccheggiare le coste laconiche. Se il disastro di Atene nella spedizione di Egitto potrebbe permettere a Sparta di colpirla, si ridesta il senso di solidarietà non mai spento tra le due città, ed è conclusa (451?) una tregua di cinque anni. Un accordo separato con Argo assicurava Sparta da questo lato per trent'anni. Le ostilità si rinnovano alla scadenza della tregua, nel 446, dopoché già da un anno con la vittoria di Coronea i Beoti avevano ricuperato la loro indipendenza da Atene. Nonostante un'invasione dell'Attica, gli Spartani dovevano riconoscere l'impossibilità di spezzare la potenza ateniese e ne riconoscevano la lega con la pace trentennale del 445, che circoscriveva l'espansione di Atene fuori del Peloponneso.
La politica di Pericle cerca un momento di riavvicinarsi a Sparta nel piano di una lega panellenica; ma Sparta la fa fallire. Città marinare come Corinto, volontariamente o involontariamente, accentuano un conflitto, che il timore di conseguenze interne e un non mai spento senso di solidarietà bastano ad allontanare, non ad annullare. Non è qui il caso di narrare la guerra del Peloponneo (v. peloponneso: La guerra del Peloponneso). Basterà ricordare come essa, scoppiata nel 431, dopo che già nel 432 il sinedrio della Lega peloponnesiaca aveva dichiarato Atene violatrice della pace trentennale, sembrò nel concludersi della prima fase nel 421 dover ricostituire un duraturo accordo fra Atene e Sparta per mezzo di un'alleanza. Per Sparta tutta questa guerra aveva significato una profonda scossa interna dovuta alle difficoltà economiche e alla necessità di aprire le porte delle categorie privilegiate agl'Iloti, soprattutto dopoché (nel 425) 420 opliti, di cui 180 Spartiati, erano stati rinchiusi a Sfacteria e poi i superstiti catturati. Ma, riavuti gli opliti con la pace, cominciò da parte di Sparta come di Atene una nuova ambiguità di condotta, per cui da un lato Sparta stringeva legami con la Beozia ostile ad Atene e dall'altro lato Atene appoggiava la ribellione nel Peloponneso di Mantinea ed Elide guidate da Argo, la cui tregua trentennale era scaduta: quella medesima tregua, la cui vicina scadenza aveva senza dubbio fatto affrettare la pace ai Lacedemoni. Ne conseguì che a Mantinea nel 418 Sparta poté abbattere i Peloponnesiaci ostili, senza che Atene li aiutasse sufficientemente, e Argo era costretta a patto con Sparta. Non per questo Sparta si arrischiò contro Atene, da cui la trattenevano scrupoli giuridici e rispetto della potenza; ma quando la spedizione di Sicilia ebbe rovinato la flotta ateniese, e Atene stessa offrì pretesti d'intervento, nel 413 gli Spartani ripresero la guerra. Nuova e decisiva in questa fase, più che la strategia di occupare permanentemente un posto alle porte dell'Attica a Decelea, fu l'alleanza con la Persia nel 411, per cui Sparta, contrapponendosi ormai direttamente a tutta la politica sua e di Atene nel periodo precedente, riconosceva il dominio persiano sui Greci di Asia in cambio di un aiuto. Sparta risolveva in tal modo il problema economico. Si rovesciava la situazione della precedente fase, in cui Atene era la ricca. Fu in definitiva guerra di logoramento, in fondo alla quale sta la resa di Atene (404).
Un'altra volta, e più ancora che al tempo delle guerre persiane, si poneva a Sparta il dilemma di uscire da sé stessa per organizzare sotto la propria direzione il mondo greco o rischiare di tenerlo in una tirannide infeconda. Ancora una volta una personalità di attitudini eccezionali, Lisandro, si assunse il compito di fare uscire Sparta dalle vie battute. Ma ancora una volta la scissione tra la personalità emergente e le tradizioni della patria crearono uno squilibrio e una mancanza di umanità che resero l'opera di Lisandro non duratura. L'uomo uscito dai "pari" era adorato come dio, imponeva suoi governi personali (le decarchie) e governatori a lui sottomessi (gli armosti) alle città occupate: Atene era ridotta alla tirannide dei Trenta e aggregata alla Lega peloponnesiaca. La vittoria intanto continuava a sconvolgere le basi politiche interne (segue di poco la congiura di Kinadon). La ricchezza crescente aumentava gli squilibrî economici. L'importanza assunta dalla flotta durante la guerra con Atene dava ai capi di essa (i navarchi), come dimostra l'esempio stesso di Lisandro, poteri particolari.
Per alcuni anni tuttavia - anche se ribellioni scoppiarono, anche se in Atene per volontà dell'opposizione degli efori era riammessa la democrazia, ecc. - Sparta proseguiva trionfalmente, risottomettendo l'Elide, intervenendo in Tessaglia e via dicendo. Ma la necessità di sostituire alla politica di Lisandro, invisa in Sparta e fuori, qualcosa di più soddisfacente impegnava Sparta a prestare aiuto ai Greci d'Asia con le due spedizioni di Tibrone (400) e poi di Agesilao (396), che avrebbero dovuto dare nuova giustificazione alla supremazia della città. L'impresa avveniva prima che la solidarietà fosse stata ristabilita tra i Greci e quindi alimentava solo la ribellione delle città battute od oppresse. Al segnale della ribellione dato da Tebe, che batteva Sparta presso Aliarto (dove morì Lisandro), accorrevano Atene, Argo, Corinto, d'accordo con la Persia. Agesilao, vittorioso in Asia senza risultati definitivi, era costretto al ritorno. Egli con i suoi neodamodi e confederati riportava a Coronea nel 394 una seconda vittoria, dopoché già presso il fiume Nemea gli Spartiati rimasti in patria (cosa significativa) ne avevano riportato una prima. Però le forze confederate non erano annullate, e la flotta persiana guidata dall'ateniese Conone, distruggeva a Cnido la spartana. Fallito il tentativo di dare un contenuto panellenico alla propria supremazia, Sparta gioca ora sul riavvicinamento con la Persia per ricostituirla. La pace di Antalcida del 386 dà a Sparta e alla Persia insieme la tutela dell'autonomia delle città greche, mentre riconosce il dominio persiano sui Greci di Asia. Sparta si assume il compito di disgregare tutte le formazioni federali, e con la forza dei suoi opliti spezza la simpolitia conchiusa tra Argo e Corinto, facendo tornare Corinto nella Lega peloponnesiaca, dissolve Mantinea in villaggi, distrugge la Lega calcidica, ecc. Tebe, che tende a ribellarsi, è occupata a tradimento nel 382: un analogo tradimento è tentato invano contro Atene.
Mentre il mondo greco circostante guardava con terrore e ammirazione la forza sempre rinnovantesi di questa vecchia costituzione (esempio tipico, già alcuni decennî prima, Crizia [v.] di Atene) non mancavano in Sparta coloro (come il re Pausania o l'armosta Tibrone) che sentissero il bisogno di riflettere sul fondamento della vita spartana, né mancavano uomini, come il re Agesilao, che fossero pervasi da una forte consapevolezza etica. Appunto la personalità di Agesilao sa far riafferrare alla monarchia, attraverso il comando militare e in reazione a Lisandro, le leve del governo spartano. Nondimeno, la supremazia spartana non sa elevarsi dalla brutalità e dalla violenza. L'ammiratore e collaboratore di Agesilao, Senofonte, è costretto ad ammetterlo per il tradimento dell'occupazione di Tebe. La reazione morale si concreta nella ricostituzione della lega navale di Atene nel 378, che sconfigge Sparta a Nasso nel 376. Nel 375 Sparta riconosce la lega ateniese e l'autonomia della Beozia. Si ripropone allora il programma di ristabilire la collaborazione tra Atene e Sparta, nel 371; ma il programma fallisce. Sparta marcia da sola contro Tebe, che non vuole rinunciare alla supremazia sulla Beozia, ed è inaspettatamente battuta a Leuttra. I suoi uomini sono troppo pochi: i suoi ordinamenti sono ormai invecchiati di fronte alla tecnica militare tebana. L'indebolimento militare ha il suo limite nell'indomita fedeltà degli Spartiati alla norma di farsi uccidere, piuttosto che recedere; ma è sufficiente a scuotere i sottomessi non legati da altro vincolo che la paura. La spedizione di Epaminonda nel Peloponneso nel 369 ha effetti disastrosi per Sparta, ristabilendo uno stato messenico e creando una Lega arcadica alle dipendenze di Tebe. Sparta come stato egemone è finita.
La reazione degli stati minacciati dalla supremazia di Tebe, come Atene stessa, l'aiuto di altre potenze più genericamente interessate allo status quo, come la vecchia alleata di Sparta, Siracusa, la scissione interna della Lega arcadica tra le rivali Tegea e Mantinea (quest'ultima favorevole a Sparta) e infine l'oro persiano, salvano entro certa misura Sparta e impediscono, insieme con la morte di Epaminonda, che la nuova vittoria tebana a Mantinea (362) abbia i suoi effetti. O piuttosto è la stessa rapida dissoluzione materiale e ideale della potenza tebana che salva Sparta. Ma essa è ridotta a mendicare in imprese semimercenarie il prestigio e il denaro che le mancano: tale l'impresa estrema di Agesilao al servizio dell'Egitto (361); tali più tardi le guerre di Archidamo in Creta e poi in Italia, a difesa di Taranto (339-38). In Grecia la rivalità con Tebe fa porre Sparta accanto ai sacrileghi Focesi nella guerra sacra (356-46), ma senza forza di convinzione, e il suo intervento nella guerra è nullo, salvo quando nel 353 si tratta d'impedire ai Macedoni di Filippo d'intervenire in Grecia. Lo scatto momentaneo invita solo Filippo a una politica antispartana nel Peloponneso. Sparta, abbastanza forte ancora da poter mantenere le posizioni rimastele, e poi impegnata fuori per la spedizione di Archidamo, credeva di provvedere per il meglio serbando un cauto ritegno anche di fronte alle provocazioni di Filippo: a Tebe non si riavvicinava. Poteva quindi rimanere estranea alla sconfitta di Cheronea inflitta da Filippo a Tebe e Atene (338); ma non impediva a Filippo di proseguire coerentemente la sua politica di ristabilimento delle autonomie invadendo il Peloponneso nel 337 e riducendo facilmente Sparta ai confini della Laconia propriamente detta. Dopo di che, giovava anzi a Filippo che Sparta, persistendo nel suo isolamento, non partecipasse né alla Lega di Corinto né all'impresa in Asia. Nel 331, dopo irrequietudini precedenti, il re Agide attaccava i Macedoni nel Peloponneso, ma, poiché Atene rimase neutrale, fu battuto. Da allora Sparta scompare dalla storia di Alessandro e dei diadochi per il colpo subito e per il progrediente indebolimento economico e demografico, che, come è ovvio, si era enormemente aggravato con la perdita dei κλῆροι in Messenia. Si manifestano contemporaneamente due fenomeni solo in apparenza contraddittorî: gli Spartani diventano (a cominciare dai loro re) tra i mercenarî più apprezzati del mondo ellenistico, e d'altra parte essi non mancano per le loro guerre di arruolare mercenarî.
L'inquieto periodo di Antigono Gonata (dopo che nel 294 Demetrio Poliorcete l'aveva ancora una volta umiliata) permette a Sparta di risollevarsi. Nel disordine, la compagine della disciplina spartana è sempre una forza, che il re Areo (v.) sa utilizzare. Con l'appoggio specialmente dell'Egitto, oltre a ricuperare forse la Dentaliatide, crea una lega che si estende sull'Elide e l'Acaia e alcune città arcadiche. Se Pirro l'attacca, mentre Areo era mercenario in Creta, ciò riconcilia per un momento Sparta con il Gonata, e l'attacco fallisce. Areo ha un'audacia e larghezza di azione degne dei migliori condottieri ellenistici, a cui tiene di rassomigliare; ma la base del suo giuoco infine si rivela fragile nell'urto decisivo con Antigono Gonata durante la guerra cremonidea (circa 265). Egli è battuto e ucciso, e Sparta perde l'acquistato, né il figlio Acrotato, nuovamente battuto, riesce a salvare la situazione.
La questione sociale appariva, dopo la sconfitta, in tutta la sua gravità. L'idea della riforma sociale si animava, come restaurazione della costituzione licurghea, di tutte le idealità e velleità utopistiche dell'epoca (tipica la partecipazione di un peripatetico come Dicearco o di uno stoico come Sfero a queste idealizzazioni). Agide IV tra il 260 e il 241 si sforza di realizzarla proponendo l'abolizione dei debiti e la ridistribuzione della terra fra 4500 kleroi di Spartiati in parte tratti dai Perieci e 13.000 kleroi di Perieci; l'ilotia doveva rimanere intatta. Quando la sua rivoluzione sembrava stare per trionfare, e il re collega, Leonida, che l'avversava, era costretto alla rinunzia al trono, un partito moderato guidato dall'eforo Agesilao prendeva il sopravvento e si limitava a proclamare l'abolizione dei debiti; poi infine la reazione trionfava con il ritorno di Leonida, e Agide era ucciso. Tuttavia l'esigenza della riforma sociale si presentava tanto più impellente quanto più cresceva la forza della Lega achea, cui sotto Agide IV Sparta era stata alleata, ma che ora sentiva come rivale. Con Cleomene III salito al trono nel 235 si compie parallelamente la trasformazione sociale e il mutamento di rotta politica. Sparta si allea con la Lega etolica, mentre si attua la rivoluzione. Cleomene, uccidendo i giovani sovrani suoi colleghi, dapprima governa da solo, più tardi con un fratello insignificante: e comincia in tal modo a romperla con la tradizione. Dopo una vittoria a Megalopoli sulla Lega achea, abbatte l'eforato unificando in sé la carica di re e di eforo, ridistribuisce le terre completando gli Spartiati con Perieci e portandoli a 4000, sopprime o diminuisce la gerusia a vantaggio degli oscuri patronomi (227-226), e riprende, trascinato dal furore rivoluzionario che ora alimenta i suoi soldati, la lotta con la Lega achea. Egli tende a unire sotto di sé anche questo organismo. Il timore dei possidenti che vedono trasformata la vecchia tutrice di tutte le oligarchie in cittadella rivoluzionaria, rafforza però d'altra parte l'ostilità della Lega achea, la quale si dà in braccio alla Macedonia, mentre l'Egitto, su cui Cleomene si sosteneva soprattutto per la finanza e la flotta, diventa renitente. Cleomene è costretto ad allargare la sua riforma, estendendola agl'Iloti fatti liberi a pagamento. Se l'occupazione di Argo e Corinto è il suo successo più grande, la rivolta di Argo nel 223 è il segno della scissione. Nel 222 o 221 a Sellasia le forze macedoniche di Antigono Dosone e quelle della Lega achea battono Cleomene, costretto alla fuga in Egitto, donde non tornerà più. Sparta è, per la prima volta nella sua storia, occupata; i re soppressi. La riforma di Cleomene è in parte abolita (per esempio, è ricostituito l'eforato) non però in modo da annullare la trasformazione sociale.
La morte di Antigono Dosone dà modo a Sparta di ristabilire la propria autonomia e ricostituirsi una sovranità. Un Licurgo, non di famiglia regale, assume la corona con un collega fanciullo, di cui più tardi si libera, abolendo la doppia monarchia. Egli stringe alleanza con la Lega etolica contro gli Achei e i Macedoni, e ha il regno anche materialmente interrotto dal proseguimento della lotta sociale. La politica filoetolica conduce quindi Sparta all'alleanza con Roma (211/10) durante la seconda guerra punica. Machanida, l'indiretto. successore di Licurgo, ottiene successi molto notevoli e ricupera la Belminatide, finché nel 207 è battuto e ucciso da Filopemene. Con Nabide la politica rivoluzionaria di Cleomene è coscientemente ripresa. In essa egli sente ora la forza di espansione di Sparta, e perciò oltrepassa Cleomene nella volontà di portare la rivoluzione sociale fuori di Sparta. I pirati cretesi cooperano con lui. Quando la Lega achea circa il 197 passa a Roma, egli si trova breve momento alleato di Filippo V di Macedonia, da cui ottiene Argo, che viene votata nel modo più radicale al capovolgimento sociale. Presto sa tornare all'alleanza di Roma. La quale, peraltro, nel sostituirsi alla Macedonia come tutrice dei possidenti, sente di doversi schierare contro Nabide e ne approfitta per lanciare insieme con gli Achei una specie di crociata contro di lui nel 195. Ottenuto lo scopo di umiliare Nabide e di togliergli le città costiere, che entrarono a far parte della Lega achea, non interessava più a Roma di cacciarlo. Ma, da un lato, Nabide aveva ora ancora maggiori rivendicazioni, d'altro lato, le due leghe greche per vie indipendenti erano portate a considerare inevitabile l'assorbimento di Sparta per placare il pericolo della rivoluzione. Gli Etoli stessi, già alleati di Nabide, lo uccidevano in un tentativo di occupare la città; poco dopo gli Achei costringevano con più duraturo successo Sparta a entrare nella loro lega (192).
Sparta d'altronde non era disposta a rimanere pacifica al seguito dei vecchi nemici, che l'avevano umiliata, tanto più che la sottomissione portava a restaurazioni sociali, che complicavano ulteriormente, per il fatto stesso di non poter essere mai totali, la già disordinatissima struttura della città. Senza re, e quindi governata dai capiparte prevalenti, Sparta compì l'atto decisivo di richiedere l'appoggio romano contro la Lega achea, nel 189, dichiarandosi in fidem dicionemque populi romani, la prima della Grecia. Tuttavia negli anni che seguirono, Roma non s'interessò particolarmente delle sorti di Sparta, e le alternanze nelle lotte interne continuarono. A un'imposizione achea di distruggere totalmente i resti dell'ordinamento tradizionale (e Sparta vi riperdette la Belminatide) si contrapponeva più tardi un ultimo tentativo di continuare la rivoluzione sociale per opera di Cherone. Sparta si ordinava ormai stabilmente senza re sulle basi della costituzione licurghea volta in senso democratico come "demo degli Spartiati" (circa 180?). Rimaneva però nella Lega. Solo nel 147, quando i Romani avevano ormai deciso d'indebolire la Lega achea, venne l'ordine di lasciare autonome Sparta, Corinto e Argo. La Lega achea dichiarava la guerra a Sparta, in realtà a Roma, che, dopo aver distrutto la Lega achea, riconosceva quindi Sparta come città libera e federata di Roma. Fino all'ultimo, con tutti i cambiamenti interni, Sparta era rimasta la vecchia disgregatrice della Grecia.
Guadagni territoriali (se non forse la Belminatide) Sparta non ebbe. Le città della costa furono, sembra, già allora, ordinate in un gruppo (κοινὸν τῶν Λακεδαιμονίων) distinto dallo stato spartano. Sparta diventa una piccola città provinciale, la cui tranquillità è rotta solo dall'invasione di Mitridate VI, di fronte a cui l'atteggiamento di Sparta è oscuro, essendo incerto se la notizia del passaggio dei Laconi a lui si riferisca a Sparta città o al κοινόν laconico autonomo. Nel 44 o nel 42 la Dentaliatide viene restituita alla città. Sparta è con Ottaviano contro i Cesaricidi, e 2000 Laconi cadono, dice Plutarco, nella prima battaglia di Filippi. Uno dei maggiorenti della città, Euricle, combatte ad Azio e fa affidare agli Spartani i giuochi istituiti da Augusto a ricordo della vittoria. Per il favore di Augusto Curicle diviene una specie di sovrano: Sparta ha ancora allargato il suo territorio (per es., con Citera) ed ha nuovo accesso al mare. Ma il κοινόν dei Laconi è mantenuto ora col titolo di Liberi Laconi (κοινὸν τῶν 'Ελευϑερολακόνων) con 24, poi 18 città. Più tardi Euricle accusato di tirannia è inviato in esilio, ma può ritornare: Tiberio elimina di nuovo questa sovranità irregolare e priva Sparta della Dentaliatide, ma il figlio Lacone, dopo la morte di Tiberio, può succedere al padre, e così forse il figlio di Lacone Spartiatico, poi bandito da Nerone. Su altre modificazioni territoriali e vicende dell'età imperiale non è possibile indugiare. Merita però di essere ricordato che Sparta partecipò ufficialmente alle guerre partiche di Marco Aurelio e di Caracalla con sue schiere. Questo era possibile perché, sebbene ormai l'ilotia fosse del tutto scomparsa e Sparta fosse diventata città di lavoratori della terra, piccoli mercanti e piccoli borghesi, tuttavia con tenacia e con fedeltà la struttura esteriore della vecchia educazione spartana era mantenuta in piedi: tipico esempio dello stato d'animo della Grecia in età imperiale. Saccheggiata nel 267 da Eruli e Goti, Sparta fu press'a poco distrutta nel 395 da Alarico.
Topografia archeologica. - Un noto passo delle Storie di Tucidide (I, 10) c'informa che se di Sparta si fossero distrutte le case, lasciando in piedi gli edifici di maggior conto, "i posteri assai dubiterebbero della sua potenza e della sua gloria". Vale a dire che la città era allora priva di qualsiasi interesse monumentale, architettonico, urbanistico. Soltanto l'attività edilizia avutasi in età ellenistica e romana, malgrado le devastazioni susseguitesi dalla fine del sec. IV e la continua decadenza della città, ci permettono di orientarci a grandi tratti nell'arduo problema della topografia spartana.
Pausania (III, 11-18) tratta ampiamente dei pubblici edifici e monumenti spartani. Dentro la moderna Sparta, dalle vie regolari, larghe e diritte, non affiorano resti dell'abitato antico. Il quale si stendeva sopra un'area ellissoidale irregolare, molto vasta, sulla riva destra dell'Eurota, non lungi dalla confluenza del fiume Tiana, occupando un'estensione pianeggiante tra la detta confluenza a sud, e le propaggini orientali del Taigeto a nord, inclusa la Sparta moderna. Secondo i risultati delle indagini, specialmente compiute dalla scuola archeologica inglese (a partire dal 1905), le mura di Sparta avevano uno sviluppo di 9 chilometri.
Per tutta l'età classica la città era rimasta sfornita di mura. Soltanto verso la fine del sec. IV possedette una sua cinta muraria, rinforzata poi dal tiranno Nabide. Acropoli si chiamava l'altura, di conformazione geologica assai irregolare, nella zona urbana più a nord, senza però che essa avesse carattere di luogo fortificato. La superstite sua recinzione è di età romana tarda (III e IV sec. d. C.) e di età bizantina (VIII sec.).
Ai piedi della collina rimane tuttora in vista la cavea del teatro ellenistico-romano, di notevoli dimensioni (diametro massimo m. 143), aperta a sud-ovest, con resti della gradinata marmorea e orchestra semicircolare (m. 24,50 di diametro). Nella parodos di destra gli scavi inglesi hanno riportato alla luce un muro contenente numerose iscrizioni (liste di magistrati del sec. I-II).
La sovrastante spianata era occupata un giorno dal tempio di Atena Chalkioikos ("dalla casa di bronzo"), così detta probabilmente perché lastre di bronzo scolpite rivestivano le pareti dell'edificio. Gitiada spartano (sec. VI a. C.) era stato l'autore della statua di culto e della decorazione in bronzo di cui gli scavi hanno riportato alla luce miseri avanzi. Degli altri santuarî dell'Acropoli menzionati da Pausania (tempio di Atena Ergane, di Zeus, delle Muse, di Afrodite), nessuna traccia. Nella zona meridionale dell'Acropoli sono resti di un portico (Stoà) romano.
A est dell'acropoli, sull'Eurota, si riconosce una base di pilone di ponte antico (lorse augusteo); e nella stessa regione, bassa e paludosa (gr. Λίμναι "paludi"), presso il fiume, tra questo e l'Acropoli, a un centinaio di metri a sud del nuovo ponte sull'Eurota, i resti di un grande altare rettangolare (m. 23,60 × 6,60), di pietre squadrate: il supposto altare di Licurgo; quindi tracce di un altro monumento (heroon). Ancora più a valle sono i resti di un altro assai antico e celebre santuario spartano: l'Artemision, o tempio di Artemide Orthia (m. 17 × 7,60), orientato esattamente a est. La fronte dell'edificio, con la spianata antistante e l'altare, era stata racchiusa, in età romana, dentro una cavea circolare a gradini concentrici come quella di un anfiteatro (detta meno propriamente Odeon), con arena centrale di m. 22 di diametro: era destinata agli spettacoli a base di riti sanguinosi, che si celebravano periodicamente, due volte l'anno, in onore della dea. Rimangono oggi le fondazioni del tempio e dei muri radiali di sostegno della cavea.
Di un altro edificio sacro di una certa importanza (m. 12,50 × 8,30), arbitrariamente chiamato Leonidaion o Tomba di Leonida, rimangono tuttora in piedi i muri, in pietra da taglio, per l'altezza di più che tre metri, al margine settentrionale della città moderna. Tutto il vasto quartiere a nord-ovest di questa risulta disseminato di avanzi di antiche costruzioni romane. Quivi, nella regione detta di Aràpissa, sorgevano in età romana importanti costruzioni termali. Il museo archeologico presso l'Agorà contiene la ricca e varia suppelettile, specialmente votiva, recuperata dagli scavi inglesi, insieme con abbondante materiale epigrafico e sculturale.
Bibl.: Cfr. in generale le storie greche e le storie della costituzione delle città greche (vedi grecia: Storia). Inoltre O. Müller, Die Dorier, 2ª ed., Breslavia 1844; O. Gilbert, Studien zur altspartanischen Geschichte, Lipsia 1872; G. Busolt, Die Lakedämonier und ihre Bundesgenossen, I, Lipsia 1878; E. v. Stern, Geschichte der spartanischen und thebanischen Hegemonie, Dorpat 1884; A. Solari, Ricerche Spartane, Pisa 1907; L. Pareti, Storia di Sparta arcaica, I, Firenze 1917 (fondamentale); U. Kahrstedt, Griechisches Staatsrecht, I, Gottinga 1922; V. Ehrenberg, Spartiaten und Lakedaimonier, in Hermes, LIX (1924), p. 23 segg.; id., Neugründer des Staates, Lipsia 1925; id., in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III A, col. 1373 segg.; V. Costanzi, Le costituzioni di Atene e Sparta, Bari 1927; F. Ollier, Le mirage spartiate, Parigi 1933. Cfr. pure M. Nilsson, Die Grundlagen des spartanischen Lebens, in Klio, XII (1912), p. 308 segg.; P. Poralla, Prosopographie d. Lakedaimonier, Diss., Breslavia 1913 e le iscrizioni in Inscriptiones Graecae, V, i. - Per la topografia archeologica, cfr. inoltre: Boelte, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III A, col. 1350 segg.; Annual of British School at Athens, dal vol. XII (1905-1906). Excavations at Sparta, passim (v., ad es., R. C. Bosanquet, The sanctuary of Artemis Orthia, XII, p. 303 segg.; R. M. Dawkins, Artemis Orthia, The History of the Sanctuary, XVI, p. 18 segg.; A. M. Woodward, The Theatre, XXVI, p. 115 segg.; XXVII, p. 175 segg.; XXX, p. 151 segg.); Tod-Wace, A Catalogue of the Sparta Museum, Oxford 1906.