SOMMI (Somi, Sommo) PORTALEONE, Giuda Leone de'
SOMMI (Somi, Sommo) PORTALEONE, Giuda Leone de’ (ebraico Yehudà ben Yitzchaq Somi mi-Sha‘ar Aryè). – Nacque tra il 1525 e il 1527 probabilmente a Mantova, discendente da un ramo di una celebre famiglia di medici e scienziati ebrei. Suo padre Isaac esercitò la professione di cambiavalute.
Sugli anni della formazione di de’ Sommi non si hanno notizie. La sua presenza a Mantova è attestata per la prima volta nel 1538 in qualità di copista del Sefer Tzachut, un’opera grammaticale dell’erudito ebreo Avraham Ibn ‘Ezra (1092-1167). Il codice, che egli avrebbe compilato all’età di tredici anni per il suo precettore, il rabbino Avraham ben David Proventzali, riporta nell’explicit la dicitura «Yehuda figlio del R. Isaac felice memoria Somma di porta Ariè» (Parma, Biblioteca Palatina, De Rossi, 1227).
Intorno al 1555 intervenne in una disputa letteraria con un poema bilingue in ottave, Magen nashim (In difesa della donna; Oxford, Bodleian Libraries, Reggio 55), con versi alternati in ebraico e italiano, composto in risposta a un poema misogino anonimo. Intervenne poi Ya‘aqov ben Yo’av Eliyà da Fano con le terzine intitolate Shiltè ha-gibborim (Armature dei valorosi; Ferrara, Abraham Usque, 1556), nelle quali l’autore tacciò de’ Sommi di adulazione verso i potenti. Il giovane fu infine difeso dal poeta Baraq ben Avino‘am, che ne elogiò la capacità di servirsi della lingua volgare per trattare temi sacri.
È probabile che a questo periodo risalga Tzachut bedichutà de-qiddushin (La commedia del fidanzamento, ed. a cura di J. Schirmann, Jerusalem-Tel Aviv 1965; trad. ingl. a cura di A.S. Golding, Ottawa 1988), il testo teatrale in ebraico più antico di cui si abbia conoscenza, concepito formalmente e tematicamente sul modello della commedia erudita con una fitta rete di rimandi alla tradizione talmudica e biblica.
Dalla metà degli anni Sessanta de’ Sommi operò sotto la protezione dei Gonzaga, presso i quali prestò servizio come drammaturgo, corego e maestro di ballo, e collaborò con altre personalità di spicco come il compositore fiammingo Giaches de Wert, il letterato pesarese Curzio Ardizio, e il maestro di ballo e musicista ebreo Isacchino Massarano. In virtù del legame con i Gonzaga e nonostante la sua confessione religiosa, de’ Sommi venne annesso in qualità di ‘scrittore’ all’Accademia degli Invaghiti di Mantova, fondata nel 1562 da Cesare I Gonzaga conte di Guastalla. Nel 1567 richiese che gli fosse concesso per decreto il permesso decennale di «dar stanza in Mantova da rappresentar comedie a coloro che per prezzo ne vanno recitando» (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 1349, 5 aprile 1567, cc. n.n.), e con l’avallo di Francesco II Gonzaga conte di Novellara sottoscrisse una supplica per «accomodare una stanza, nella quale comodamente et onestamente potranno stare gentilomini e gentildonne a vedere recitare» (ibid., 17 aprile 1567). Nel 1583, per le seconde nozze del principe Vincenzo I Gonzaga con Eleonora de’ Medici, allestì Gli ingiusti sdegni di Bernardino Pino da Cagli, per cui compose il prologo e gli intermezzi Gli onesti amori. Nel 1584 fu maestro di ballo in occasione di un allestimento ferrarese del Pastor fido di Battista Guarini. Nel 1587 fu tra i firmatari di un consorzio per sostenere la candidatura di Vincenzo Gonzaga al trono di Polonia, rimasto vacante alla morte di Stefano I Báthory e affidato poi a Sigismondo III Wasa. Come si deduce dallo scambio epistolare tra Marcello Donati segretario del duca e Ottavio Lambertesco scalco di corte dei Gonzaga, l’anno seguente fu ospite alla corte piemontese di Carlo Emanuele I di Savoia (ibid., b. 2642, f. VIII, cc. 168-173).
Svolse continuativamente un decisivo ruolo di negoziatore tra la comunità ebraica e quella cristiana, sottoscrivendo numerose suppliche e richieste di concessioni per conto dei confratelli dei ghetti di Mantova e Viadana. La sua posizione di rilievo, assunta anche grazie alla protezione della nobiltà locale, è testimoniata da una lettera di Ferrante II Gonzaga che da Guastalla nel maggio 1580 scrisse al duca affinché de’ Sommi fosse dispensato dall’indossare il siman, il segno distintivo che gli ebrei mantovani erano tenuti a portare in ottemperanza a un decreto di Guglielmo Gonzaga del 1577 (D’Ancona, 1891, pp. 408 s.).
Morì di febbre il 10 settembre 1590, sessantacinquenne (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Registri necrologici, vol. XVIII: 1589-1590, 143r, n. 52). La data è però stata messa in dubbio, sia per la presenza di due epigrafi ebraiche che riporterebbero come anno della morte il 5352, corrispondente al periodo tra ottobre 1591 e settembre 1592 (Kaufmann, 1898, pp. 458 s.; F. Marotti, in de’ Sommmi, 1968, pp. XXVII s.), sia per una lettera di Muzio Manfredi inviata a de’ Sommi da Nancy il 18 novembre 1591 (Lettere brevissime, Venezia 1606, p. 266, lettera 322).
Pressoché tutta la produzione di de’ Sommi è riconducibile all’ambito della corte mantovana: oltre alla traduzione di quarantacinque salmi biblici, a sporadiche composizioni poetiche e tornei a soggetto, consta principalmente di favole pastorali, commedie regolari e intermezzi.
La maggior parte delle sue opere era tramandata da sedici codici manoscritti conservati nella Biblioteca nazionale di Torino, contenenti numerosi emendamenti e postille autografe anche in ebraico. I volumi, descritti nel catalogo redatto da Bernardino Peyron (1880 e 1904) prima del catastrofico incendio della biblioteca (26 gennaio 1904), contenevano il dramma pastorale Hirifile, composto tra il 1567-68 e il 1573 (edito in Dalla Palma, 1990; per la datazione cfr. pp. 139-168); la favola eroico-pastorale I doni, concepita per la morte di Cesare I Gonzaga nel 1575 e dedicata a suo figlio Ferrante II per alleviare «con allegorici sentimenti il dolore acerbissimo che sentì l’Accademia degli Invaghiti di quella sua gran iattura» (Peyron, 1884, p. 749); la commedia in prosa Gli sconosciuti, recitata nello stesso anno con gli Intermedi di Psiche dinnanzi «a li Serenissimi Duca di Mantova et di Ferrara et Duca di Parma et li illustrissimi e reverendissimi Farnese, Gambara, Este, Gonzaga et molti altri principi et marchesi et signori eccellentissimi» (ibid.); La fortunata (1563-64), una commedia in prosa con i relativi intermezzi, rappresentata nel Carnevale 1581 e ripresa nel 1585 per le nozze di Carlo Emanuele I; la commedia Il giannizzero (1581-82), messa in scena per il compleanno di Vincenzo Gonzaga e ripresa nel successivo carnevale; il dramma Le nozze di Mercurio et Philologia, tratto da Marziano Capella (V secolo), dedicato a Carlo Emanuele I, come si evince dalla lettera dedicatoria del 20 agosto 1584 premessa al codice; e infine la pastorale La Drusilla e le commedie in cinque atti non databili Il tamburo, La diletta e Adelfa. Dell’intera produzione drammatica di de’ Sommi permangono l’Hirifile, solo parzialmente compromesso dall’incendio torinese, e la commedia Tre sorelle, in una stesura del 1588 con dedicatoria a Vincenzo Gonzaga conservata nella Biblioteca Teresiana di Mantova (Mss., 729, F.III. 38; ed. a cura di G. Romei, Milano 1982), dove pervenne a seguito dello smembramento della biblioteca dei Gonzaga (1708). Hirifile, in cinque atti in versi, seguendo l’esempio dell’Egle (1545) di Giovan Battista Giraldi Cinzio e del Sacrificio (1555) di Agostino Beccari, rientra per forma e nuclei tematici nella tradizione della pastorale ferrarese. Desume invece l’argomento da Il formicone (1503) di Publio Filippo Mantovano la commedia Tre sorelle, che nei dialoghi accoglie anche formule linguistiche dalla Mandragola (1515-18) machiavelliana e dal Geloso di Ercole Bentivoglio. Il valore della scrittura desommiana in questo testo, nel contesto dello svolgimento storico del teatro italiano del XVI secolo, risiede in primis nella modalità compositiva, che unisce efficacemente il modello della commedia regolare di ascendenza aretina con le funzioni più specificatamente teatrali collaudate dalle pratiche professionistiche dei comici dell’Arte, che a partire da quegli anni insieme alle esperienze accademiche concorsero a definire le nuove forme della drammaturgia.
Il contributo storicamente più rilevante di de’ Sommi è costituito dai Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, un trattato di messinscena disteso in forma di dialogo tra due gentiluomini di corte, Massimiano e Santino, e il ricamatore Veridico, sotto il cui nome si cela l’autore. Il testo, andato anch’esso perduto nell’incendio della biblioteca di Torino, è tuttavia tramandato da una copia realizzata negli anni Ottanta del XVIII secolo, oggi alla Biblioteca Palatina di Parma (Mss., 2664, ed. a cura di F. Marotti, Milano 1968), dove pervenne nel 1816 dal fondo dei codici ebraici dell’abate Giovanni Bernardo De Rossi (1742-1831), il quale a sua volta lo aveva avuto in dono dal committente, Giuseppe Vernazza barone di Freney (1745-1822). I Quattro dialoghi, completati probabilmente attorno al 1568, costituiscono uno straordinario documento sulla cultura teatrale del Rinascimento, con riferimenti ad autori drammatici come Ludovico Ariosto ed Ercole Bentivoglio, e a celebri attori del tempo, tra cui Sebastiano Clavignano da Montefalco, Giovan Battista Verato e Filippo Angeloni, detto lo Zoppino. I primi due dialoghi, in un tentativo di mediazione tra la cultura ebraica e quella umanistica, affrontano le origini dei generi classici, le proporzioni della scrittura drammatica e la ripartizione della fabula nei cinque atti. Il terzo dialogo dibatte l’arte dell’attore, i costumi e i precetti della direzione scenica. L’ultimo dialogo esamina questioni pratiche di scenografia e illuminotecnica e si conclude con una trattazione degli argomenti degli intermezzi.
A de’ Sommi sono da attribuire le composizioni poetiche in memoria del defunto cardinale Francesco Gonzaga, fratello di Cesare I, contenuti in un codice parmense di componimenti accademici (Archivio di Stato di Parma, b. 129, cc. 78-86), e quelle incluse nell’Oratione di Adriano Valerini per la morte dell’attrice Vincenza Armani (1570; F. Marotti, in de’ Sommi, 1968, pp. 84-100).
Fonti e Bibl.: Novellara, Archivio storico comunale, Archivio Gonzaga, Autografi, b. 73; Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 1350; b. 2624; b. 3389, cc. 48, 198; b. 3390, serie III, n. 3, f. III, c. 518; b. 3390, serie III, n. 6, f. VI, c. 733-734; b. 3391, serie III, n. 10, c. 531-532; B. Peyron, Codices hebraici manu exarati R. Bibliothecae qui in Taurinensi Athenaeo asservatur, Torino 1880; Id., Codices italici manu exarati qui in Bibliotheca Taurinensi Athenaei ante diem XXVI Ianuarii M.CM.IV asservabantur, Torino 1904.
B. Peyron, Note di storia letteraria del secolo XVI tratte dai Manoscritti della Biblioteca nazionale di Torino, in Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche, XIX (1884), pp. 743-758; A. D’Ancona, Origini del teatro italiano, II, Torino 1891, pp. 398-429, 578-584; D. Kaufmann, L. de S. Portaleone (1527-92), Dramatist and founder of a synagogue at Mantua, in The Jewish Quarterly Review, X (1898), 3, pp. 445-461; C. Roth, Un consorzio ebraico mantovano e l’elezione al trono di Polonia nel 1587, in La Rassegna mensile di Israel, XXVIII (1962), pp. 494-499; L. de’ Sommi, Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, a cura di F. Marotti, Milano 1968; S. Simonsohn, History of the Jews in the duchy of Mantua, Jerusalem 1977, ad ind.; I. Fenlon, Music and patronage in sixteenth-century Mantua, I, Cambridge 1980 (trad. it. Musicisti e mecenati a Mantova nel ’500, Bologna 1992, ad ind.); L. de’ Sommi, Tre sorelle, a cura di G. Romei, Milano 1982; D. Harrán, Salomone Rossi as a composer of theater music, in Studi musicali, XVI (1987), pp. 95-131; G. Dalla Palma, L’“Irifile” e la cultura letteraria di L. de’ S. (con un’edizione critica del testo), in Schifanoia, 1990, n. 9, pp. 139-225; D. Beecher, L. de’ S. and Jewish theatre in renaissance Mantua, in Renaissance and Reformation, n.s., XVII (1993), 2, pp. 5-19; L. de’ S. and the performing arts, a cura di A. Belkin, Tel Aviv 1997.