SOLFEGGIO
. Sistema di lettura musicale che consiste nel rendere sensibile all'orecchio, mediante la voce e per mezzo dei monosillabi do-re-mi-fa-sol-la-si, il significato ritmico e melodico rappresentato dalle note.
Solfeggio deriva da sol-fa (solfeggiare, cantare la solfa), due note importanti che nel sntema antico detto di solmizzazione (v.) rappresentavano la base di due esacordi e che servivano, come servono nel sistema attuale, a denominare le due chiavi più usate.
Il solfeggio è parte fondamentale dell'insegnamento della musica e serve, oltre che come esercizio di lettura, a sviluppare nell'allievo il senso ritmico e la facoltà d'intonazione. Le difficoltà che presenta derivano in gran parte dalla necessità di dover decifrare ed esprimere a un tempo gli elementi, ritmico e sonoro, che costituiscono il linguaggio musicale.
La nota rappresenta infatti la diversa altezza e la durata lunga o breve del suono; questa si distingue per la diversa figura della nota, quella per la posizione alta o bassa della nota stessa sul rigo. In relazione alla loro diversa posizione sul rigo le note si denominano coi monosillabi do-re-mi-fa-sol-la-si, che si applicano ad una serie di sette suoni ascendenti. La diversa durata della nota viene misurata in base ad un'unità di tempo che si ottiene dalla divisione del tempo in parti uguali.
Le difficoltà del solfeggio sono quindi: 1° denominare la nota, 2° rispettarne la durata, 3° cantarla con esatta intonazione. Per poterle superare senza soverchio sforzo da parte dell'allievo è opportuno dividere l'esercizio in due parti: solfeggio parlato, nel quale si tratta di denominare la nota e rispettarne la durata; solfeggio cantato, nel quale alle difficoltà precedenti sono aggiunte quelle relative all'intonazione.
Il principio di denominare i suoni con le sillabe è dovuto a Guido d'Arezzo, il quale l'applicò per primo nel sistema di solmizzazione servendosi delle sillabe ut-re-mi-fa-sol-la, tolte, da Guido stesso, dall'inizio dei sei primi emistichi dell'inno di San Giovanni. La settima sillaba, si, venne aggiunta soltanto verso la fine del sec. XVI, quando la divisione del sistema si cambiò da esacordale in ettacordale. Più tardi il Bononcini (Musico pratico, 1673) sostituì alla sillaba ut la sillaba do, perché di più dolce pronuncia e quindi più adattabile all'esercizio. La nota do venne subito adottata in Italia, mentre in Francia si è continuato sino alla fine del sec. XIX a denominare il primo suono della scala con la sillaba ut.
In Germania, in Inghilterra ed in altri paesi nordici si è preferito invece mantenere fede al principio antichissimo di denominare i suoni con le lettere dell'alfabeto A-B-C-D-E-F-G, che corrispondono alle note la-si-do-re-mi-fa-sol. In Germania poi si distingue il si bemolle dal si naturale, denominando B il si bemolle, e H il si naturale.