SOCIOLOGIA DELLA LETTERATURA
. Una disciplina critica nuova, come la s. della l., incontra le prime difficoltà nella stessa definizione del suo statuto epistemologico. Essendo nuova, la sua metodologia di ricerca non è ancora saldamente formata, mentre la scelta del suo campo d'indagine può apparire un'indebita intrusione in campi altrui. Tenendo conto che sono investiti con la sua azione due ordini disciplinari apparentemente così distanti fra loro come la sociologia e la letteratura, le resistenze alla s. della l. appaiono fortemente legittimate da una doppia perplessità: da una parte i letterati, educati allo studio della varietà e unicità dell'evento letterario, temono l'impiego di tecniche d'indagine basate sull'osservazione dei caratteri uniformi e ripetitivi dei fenomeni sociali; dall'altra parte i sociologhi, esercitati all'uso di quelle tecniche, paventano un loro impiego indiscriminato su prodotti e rapporti, come quelli artistici, poco inclini alla verifica sul campo. In effetti la s. della l. - nonostante la presenza di un apparato esegetico cospicuo e di studiosi come G. Lukács, W. Benjamin, T. W. Adorno, C. Caudwell, A. Gramsci, L. Goldmann, R. Escarpit, R. Whilliams - appare tutt'oggi alla ricerca della propria identità. Il suo obiettivo è semplice, consistendo nell'esame globale di un rapporto mai organicamente affrontato dall'estetica tradizionale, quello fra l'autore, la sua opera e il pubblico che la legge. Cogliere il valore comunicativo e significante della letteratura in quanto espressione, prodotto e istituzione di un genere artistico in un determinato contesto storico e sociale: è questo il fine della s. della letteratura.
Prospettiva metodologica. - Si può affacciare l'opportunità di definire le istanze della s. della l. in relazione al superamento di un sistema totalizzante delle idee - l'idealismo - dove il principio estetico trovava la sua specificità all'interno di una teoria complessiva della conoscenza basata sull'interiorizzazione della realtà.
Nel costituirsi di un'estetica e poi di una critica letteraria come discipline autonome - e ciò sarà possibile solo dopo la Critica del giudizio di Kant - si possono ravvisare le istanze di sistemazione dell'opera letteraria essenzialmente caratterizzata dall'individualità e totalità dell'atto creativo, dall'ineffabilità e inutilità pratica del suo oggetto e dalla fruizione iniziatica nell'immediatezza contemplativa dell'espressione. La celebrazione del valore intuitivo, alogico, aurorale, fantastico, e, sul piano dei segni, formale, dell'opera d'arte, mentre la metteva al riparo da ogni riduzione filosofica o scientifica, assicurava alla letteratura un universo di mondi perfetti e conclusi in sé stessi, e ai letterati il pieno dominio della sua disciplina critica. Contro l'astrattezza di queste posizioni si è venuta muovendo in tempi moderni tutta una vasta storiografia letteraria che, coinvolta nell'esperienza dei mutamenti sociali operati dagli sviluppi della rivoluzione industriale, ha finito per delineare il rapporto arte-società in termini che ne hanno reso possibile un'interpretazione (realistica o problematica) per cui, con i nuovi strumenti critici adottati dall'antropologia culturale, dallo strutturalismo, dalla psicanalisi, dalla sociologia, si è avviato un discorso sempre più attento alla dimensione sociale dell'opera letteraria.
La letteratura, che è istituzione artistica, produce non soltanto modelli di finzione (forme) ma anche dati informativi (contenuti). In quanto arte del linguaggio essa si basa su un codice generale di comunicazione che per la sua accessibilità e il suo valore d'uso rende certamente più difficile allo scrittore plasmare la propria materia per trasmettervi quell'ordine compositivo assai più facilmente riconoscibile nell'opera dell'artista figurativo o musicale, il quale tratta materie oggettivamente distinte dal semplice rapporto colloquiale o dalla notizia stampata. L'equilibrio che ha sostenuto per secoli la struttura letteraria come portatrice di un messaggio universale del bello al di là del vero si è retto caratteristicamente sull'asse dell'equivalenza simbolica fra idea ed espressione, dove il concetto di mimesi (imitazione) destinato a incorporare la realtà sottraeva l'esperienza estetica al logorio del vissuto, alla banalità del quotidiano.
La sociologia, che è istituzione scientifica, non limita la sua ricerca sulla realtà dei fatti sociali alla classificazione di grandezze - funzione tipica delle scienze naturali - ma coinvolge quella realtà, misurabile secondo tecniche sempre più perfezionate, in un discorso diretto alla conoscenza interna della società come cultura, ossia come modalità ed espressione dei rapporti umani.
L'incontro tra la sociologia e la letteratura è apparso possibile solo quando - superando la concezione statica delle strutture societarie con una sociologia funzionalista rivolta alla comprensione della dinamica sociale - si è giunti a cogliere il senso del rapporto interdipendente fra mondo interno e mondo esterno, che il marxismo aveva fondato sulla dialettica fra la struttura socio-economica e le soprastrutture culturali. È con M. Scheler, G. Simmel e soprattutto con M. Weber che prenderà corpo la nuova prospettiva sociologica come analisi dell'azione sociale attraverso la formazione e la parabola storica delle ideologie. In questo quadro s'instaura con influssi assai diversi (dallo storicismo al materialismo storico) la sociologia della conoscenza quale metodo d'indagine sulla condizione sociale delle forme di pensiero (filosofico, scientifico, artistico) e delle relative istituzioni che ne definiscono la sistematicità, l'oggettività e la bellezza: K. Mannheim (Ideologie und Utopie, Bonn 1929; trad. it., Bologna 1957), il giovane Lukács (Geschichte und Klassenbewusstsein, Berlino 1923; trad. it., Milano 1967), E. Grünwald (Das Problem der Soziologie des Wissens, Berlino 1934) sono fra i principali esponenti di questa dottrina. Le ricerche epistemologiche sulla possibilità o meno di una conoscenza oggettiva, ossia non condizionata da fattori sociali, conducono alla constatazione che ogni forma di conoscenza è databile storicamente e va riferita al gruppo sociale o alla classe che l'esprime e l'adotta. In tal modo il relativismo gnoseologico pone fine ai concetti di eternità e assolutezza dell'idealismo. L'analisi del rapporto di comunicazione intersoggettiva rivela il ruolo determinante che la forma di conoscenza adottata, e, in generale, la cultura, esercita nei confronti del pensiero e del comportamento soggettivo. Lo studio della situazione e dello status degl'intellettuali (già avviato da Weber) mostra il relativo distacco di questi dall'ideologia dominante e la loro tendenza a costituirsi in caste separate dal corpo sociale. La componente attivistica in ogni forma di conoscenza - come fine da raggiungere da imporre o da tutelare - appariva dunque la prima realtà criticamente riconoscibile in un contesto ideologico. In questa prospettiva l'antico divario fra analisi scientifca e analisi estetica - ripreso dallo storicismo diltheyano nella divisione fra scienze della natura e scienze dello spirito - poteva esser superato nell'impegno di un esame approfondito degli elementi costitutivi dei due ordini istituzionali, quello scientifico e quello artistico, spostando il punto d'incidenza del loro divario dal piano astratto del confronto di aree e funzioni diverse alla concretezza di un piano in cui risultasse che le due attività critiche poggiano, in quanto forme di conoscenza, su un comune valore produttivo che è quello dell'interpretazione-comunicazione dei valori significanti della realtà. La concezione materialistico-storica del lavoro come attività unitaria fondamentale dell'uomo (produzione e insieme consumo, ideazione e appropriazione dell'oggetto) forniva il presupposto ideologico a un'antropologia culturale intesa a cogliere il rapporto natura-cultura, al di là della rigida e sterile dicotomia umanistica, in un processo dialettico di reciproco scambio tra il fattore biologico e quello storico, tra il mondo interno e quello esterno, tra la vita e la società.
Campo d'indagine. - Si può dire che esso è ampio e articolato secondo la necessità di registrare nel testo letterario il passaggio dell'immagine, della frase, in un certo stile; dello stile in una specifica struttura letteraria omogenea e significante; della struttura letteraria in un libro; del libro in un oggetto di lettura e in un veicolo d'idee.
Partendo dal classico schema strutturalista (R. Jakobson) "emittentemessaggio-destinatario - basato sull'analisi esclusiva del testo - si è venuto elaborando uno schema più semplice e articolato, aperto ai molteplici e complessi elementi contestuali che caratterizzano il fenomeno letterario: autore-opera-pubblico. Così, sul piano della s. della l., ci si occupa: dell'autore visto nella società del suo tempo, nella sua situazione famigliare, nella sua professione, nella sua generazione e scuola letteraria, oltre che del problema della committenza (mecenatismo, sussidi statali, ecc.) e dei diritti d'autore; dell'opera come mondo immaginario, stile, genere, prodotto letterario ed editoriale; del pubblico come area di consumo dell'opera, come "circuito letterato" (appartenente alle classi superiori) e come "circuito popolare" (appartenente alle classi subalterne), del "gusto" (L. L. Schucking) e dell'"orizzonte d'attesa" (H. R. Jauss) dei lettori, ossia lo spazio culturale delle aspettative e delle tendenze di un determinato periodo storico. In tal modo il rapporto dialettico autore-opera-pubblico comporta la dinamica di un prodotto letterario che, nato da un'istanza individuale entro una determinata società, s'indirizza naturalmente, attraverso la comunicazione e l'istituzionalizzazione dei valori estetici, alla società da cui proviene. L'individuale diviene collettivo. Proprio della s. della l. è dunque l'analisi dell'intero ciclo della produzione, della distribuzione e del consumo di letteratura: da ciò il suo carattere interdisciplinare.
Tematica. - La sua potenziale disponibilità corrisponde all'ampiezza del campo d'indagine. Tenendo conto che è ad esso che bisogna sempre riferirsi per una congrua ricerca metodologica, possiamo rilevare, riguardo alla scelta tematica, due direttrici di massima: a) nell'esame che, attraverso il testo letterario, analizza la situazione culturale del momento cogliendo l'istituzionalità dei valori estetici e il loro diverso grado fruitivo presso la classe egemone o presso le classi subalterne; oppure b) nella ricognizione di materiali e di tendenze del mondo letterario attraverso l'esame dei processi di formazione e di comunicazione delle ideologie.
Nella prima direzione rientrano gli studi sull'evoluzione dei generi, delle forme, degli stili letterari entro un periodo storico organicamente inquadrato; nella seconda direzione compaiono studi relativi alla situazione degl'intellettuali, della stampa, delle aree di consumo ideologicoletterario, studi più inclini alla sociologia della cultura, ma che, avendo per obiettivo il ciclo produttivo-distributivo-consumistico delle idee e delle immagini che suscitano una determinata aspettativa nel gusto del pubblico, rientrano come ipotesi di lavoro nella sfera della s. della letteratura.
Storiografia. - Esistono due tendenze di base: a) quella che vede nella genealogia dei concetti relativi al rapporto arte-società il progressivo costituirsi e svilupparsi della s. della l. in quanto disciplina che, per essere di troppo recente formazione, deve rifarsi all'esperienza della più consolidata storiografia letteraria e pertanto s'impegna alla delineazione del carattere sociologico della comunicazione di valori della letteratura, considerata sempre nella sua totalità e autonomia di segno contenutistico-formale (specifico letterario); b) l'altra tendenza scorge, al di là di un'astratta processione delle idee, nel concreto evolversi delle idee e dei fatti, nell'ambivalenza strategica della loro azione, e quindi nel necessario riferimento dei concetti alla situazione storica, la possibilità di costituire una disciplina che, proprio per trovarsi come ultima nella più matura e complessa fase del processo socioeconomico, facendosi consapevole dell'elaborata rappresentatività di tutte le sue forze produttive e dei loro ruoli istituzionali nel campo culturale, sappia cogliere in chiave sociologica il segno contenutistico-formale della letteratura come una variante, certamente unitaria ma non autonoma, del sistema linguistico generale operante nella società.
Secondo i sostenitori della prima tendenza il progetto di un'analisi sociologica della letteratura, e di qui le origini stesse della s. della l., emergono dalle istanze relativistiche e comparative dell'età illuministica (Montesquieu, Voltaire) che faranno capo poi allo storicismo della repubblicana baronessa A. L. De Stäel-Holstein (De la littérature considerée dans ses rapports avec les institutions sociales, Parigi 1800; trad. it., Milano 1800) e all'ideologismo del monarchico visconte L. G. A. De Bonald (Mélanges littéraires, politiques, philosophiques, Parigi 1819), con la fondazione di un esplicito rapporto fra letteratura e società. Di qui gli apporti fruttuosi per la s. della l. che verranno dalla visione romantica, nel senso di una testimonianza del valore nazionale e popolare della letteratura (F. Schlegel, J. G. Herder), e dalla concezione positivistica, nel senso di una sua definizione oggettuale di prodotto dell'ambiente, del clima, della razza (H. Taine, M. Guyau). Con la scuola realistica russa intorno alla seconda metà dell'Ottocento - da V. Belinskij, a N. Černyševskij, a N. Dobroljubov - si affaccia la prima ipotesi della teoria dell'arte come rispecchiamento della realtà in quanto conoscenza ideologico-estetica del quotidiano. Tale teoria, mentre con la scuola russa rimane ancora legata alla prospettiva idealistica hegeliana, si svilupperà poi criticamente con la concezione socio-economica del marxismo evolvendo con apporti diversi, sempre più pertinenti alla dimensione sociale del prodotto letterario e del suo campo di fruizione, fino alle recenti acquisizioni degli studiosi di s. della letteratura.
Per i sostenitori della seconda tendenza è a partire dalla consapevolezza delle contraddizioni emerse nell'ideologia borghese - con il trapasso del capitalismo dalla fase individualistica dell'impresa privata alla fase organica del sistema monopolistico - che si può registrare il fenomeno della creatività e rappresentatività artistica come un processo di produzione-consumo analogo a quello di un apparato industriale non più dipendente dall'aleatorietà dell'iniziativa privata (cui corrispondeva in arte la teoria romantica del genio creatore) ma soggetto ormai alle dure regole di una strategia della razionalizzazione produttiva di tutta la struttura socio-economica (cui dovrà corrispondere in arte una teoria comprendente insieme il produttore e il consumatore). Da quest'ultimo, più maturo, punto di vista, appare possibile osservare realisticamente al presente l'intero ciclo del complesso fenomeno artistico; e naturalmente risulta più agevole rivisitare le epoche artistiche del passato paleocapitalistico, o precapitalista, alla luce di strumenti critici che possono cogliere le affinità (omologie) e le differenze (scarti) tra una struttura socioeconomica e la situazione culturale del momento.
Sull'aleatorietà delle origini storiche della s. della l. si fondano le perplessità di quanti appaiono dubbiosi all'idea di conferirle il diploma di disciplina accademica. A tale proposito A. Memmi, nel saggio Problemi della sociologia della letteratura (in Traité de sociologie, a cura di G. Gurvitch, Parigi 1960; trad. it., Milano 1967, vol. II, p. 433), ha parlato di "assenza di tradizione". Ma tant'è, le ipotesi, le ricerche esistono, e sono tutte rintracciabili (non più come proposte sporadiche ma come concreta direzione di studi) a cavallo delle due guerre mondiali, fra gli anni Venti e Trenta quando di fronte alla crisi del vecchio sistema capitalistico si aprono strade alternative con il primo Piano quinquennale sovietico in Russia, con il New deal negli SUA, e con gli stati fascisti totalitari dell'Italia e della Germania. Nello scontro armato della democrazia e del fascismo in Spagna gl'intellettuali europei e americani si rendono conto che l'arte non è più soltanto un'esperienza privata del bello ma diventa una scelta politica, un impegno di lotta. Da una parte e dall'altra della barricata la cultura si organizza verso la difesa della tradizione (I. Benda, I. Ortega y Gassett, F. R. Leavis, T. S. Eliot,E. Pound) o verso la conquista di un progresso sociale (G. Orwell, K. Burke, L. Aragon, A. Breton, I. Silone, R. Wright).
In questi anni operano, si può dire, i fondatori della s. della letteratura. G. Lukács, con la sua Die Theorie des Romans, Berlino 1920 (trad. it., Milano 1962), supera in una sintesi sociale tra mondo della forma e mondo dei contenuti il metodo della critica sociologica impiegato da G. V. Plechanov che aveva concepito la teoria dell'arte come rispecchiamento della realtà esaminabile solo nel versante ideologico della comunicazione testuale lasciando agli studiosi di estetica il significato del valore letterario. Più tardi Lukács tenterà di risolvere con Essays Über Realismus (Berlino 1948; trad. it. Saggi sul realismo, Torino 1950), Karl Marx und Friedrich Engels als Literaturhistoriker (Berlino 1948; trad. it. Il Marxismo e la critica letteraria, Torino 1953 e 1964) e con Beiträge zur Geschichte der Aesthetik (Berlino 1954; trad. it. Prolegomeni a un'estetica marxista, Roma 1957) il più complesso problema della s. della l., quello delle mediazioni fra la struttura socioeconomica e la soprastruttura letteraria. G. Lukács, partito da una prima base vitalistica, era passato, dopo l'incontro con il marxismo e la sociologia della conoscenza, a un rifiuto delle correnti irrazionalistiche europee giudicate nient'altro che maschere della decaduta filosofia borghese in difesa delle contraddizioni interne del capitalismo. Lukács punta così alla ripresa della razionalità del pensiero logico ed estetico in quanto rispecchiamento essenziale, organico, di una totalità reale nell'attualità del suo processo dialettico. Tale rispecchiamento in arte si configura come mediazione tra due categorie contrarie, l'universale e il singolare (che a se stanti portano, per la rispettiva astrattezza ed episodicità, all'idealismo e al nominalismo) attraverso la categoria unificante e significativa del particolare. Il particolare, il tipico - che non sono una media statistica ma un nesso organico dell'esperienza sociale - rappresentando in modo concreto e totalizzante l'universale costituiscono la forma realizzata (specifica) in cui l'opera d'arte esprime il suo contenuto. Di qui la concezione lucacciana del realismo come rivelazione che l'arte fa dell'esperienza del mondo, che da realtà per sé diventa realtà per noi. L'arte dunque si fa autocoscienza dello sviluppo dell'umanità. Questa visione di un'arte e quindi di una letteratura "progressista" - che mediante la "partiticità", ossia la scelta realistica dello scrittore, si appropria dell'essenziale, del tipico, colto in una determinata società - conduce Lukács a sostenere come autentico realismo solo quella parte della grande stagione del romanzo borghese che va dalla rivoluzione francese ai moti socialrivoluzionari del 1848 (in cui si avverte la potenza espressiva di un pieno possesso della realtà); mentre dopo il 1848, con il consolidamento del capitalismo in Europa, si avrebbe il declino del realismo testimoniato dall'isolamento elitario - l'arte per l'arte - in cui gli scrittori della decadenza si chiudono di fronte alle contraddizioni dell'ideologia borghese divenuta da progressista conservatrice. Allo stesso modo le avanguardie novecentiste, eludendo il richiamo partitico della realtà sociale e gettandosi con la sperimentazione puramente stilistica e formale nella perenne ricerca del nuovo, obbedirebbero a una legge eccentrica rispetto all'essenzialità del realismo costituendo un mondo letterario artificiale, stereotipato, destinato agl'iniziati e quindi reazionario, diseducativo. Alla fine ciò che Plechanov aveva disgiunto - considerando l'arte analizzabile solo come veicolo di comunicazione delle idee e non come valore - Lukács sembrava aver unificato. A queste due tendenze appunto si rifarà la s. della l. nella progressiva ricerca del proprio campo d'indagine.
Negli anni Trenta l'inglese C. Caudwell (che sarebbe morto nella guerra di Spagna a fianco dei democratici) registra con Studies in a dying culture, Londra 1938 (trad. it., Torino 1948), lo stato di frustrazione sociale della piccola borghesia che si riflette nell'irrazionalismo di quegli anni, mentre con Illusion and reality. A study of the sources of poetry (Londra 1937; trad. it., Torino 1950) indica nella trasformazione del linguaggio il processo di mediazione dei mutamenti sociali. L. L. Schucking in Germania scopre con Die Soziologie der Geschmacksbildung (Lipsia 1931) i diversi gradi di fruizione del prodotto artistico; su questa linea Q. D. Leavis, discepolo di I. A. Richards, scrive Fiction and the reading public, Londra 1932; negli SUA la nuova scuola di s. di Chicago dà il via a una vasta ricerca organica nel campo della lettura, dall'opera di D. Waples e R. W. Tyler, What people read about, Chicago 1931, a ricerche settoriali di Ch. Compton (1934), R. A. Miller (1936), E. Weeks (1934-37) di cui appaiono interessanti le indagini sul best seller americano. W. Benjamin, della scuola di Francoforte, con Das Kunstwerk im zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit (pubblicato postumo a Francoforte s. M. nel 1963; trad. it., Torino 1966), esamina l'impatto che l'avvento dei monopoli e la tecnologia industriale avanzata hanno avuto sull'esperienza dell'artista dopo la seconda metà dell'Ottocento, quando la fotografia - riproducendo fedelmente sia le scene della vita quotidiana, sia i paesaggi, sia le opere d'arte figurative - riduce lo spazio creativo dell'opera avvolta da sempre in un'aura di mistero. Nasce di qui la rivolta dell'artista che, di fronte al livellamento delle esperienze (la "caduta dell'aura") e alla mercificazione dell'arte (la cultura di massa) avvia un processo d'interiorizzazione della realtà con cui, attraverso forme simboliche ed ermetiche, tenterà di recuperare l'antico privilegio del distacco dalla normalità quotidiana. Pertanto l'avanguardia - secondo Benjamin d'accordo con B. Brecht e in contrasto con Lukács -, smascherando quell'antico privilegio e impossessandosi delle nuove, concrete forme espressive esibite dalla civiltà delle macchine, potrà favorire un processo di democratizzazione dell'arte. I. Mukařovský, della scuola strutturalista di Praga, sottolinea in La funzione, la norma e il valore estetico come fatti sociali (Praga 1935; trad. it., Torino 1966) la componente ideologica della struttura artistica che nelle mani della classe egemone diviene istituzione culturale, norma del gusto, codice dell'immaginario. L'attenzione posta alla tecnica della creazione letteraria e insieme al livello di fruizione dell'opera si ritrova in E. Auerbach con Da Montaigne a Proust (un gruppo di saggi dal 1926 al 1954) e con Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur, Berna 1946 (trad. it., Torino 1967).
Dopo gli anni Trenta (quando il tema arte-società era stato drammaticamente dibattuto in chiave politica), gli anni Cinquanta, ossia gli anni tumultuosi del secondo dopoguerra, quelli del duro confronto dei blocchi tra Est e Ovest, rappresentarono per l'Occidente - al culmine di un apparato tecnologico e di una strategia del consumo altamente elaborati e diffusi - un impatto clamoroso della civiltà delle macchine sulle strutture di una società ancora legata alla tradizione dei valori individuali, sicché affrontare il problema della cultura di massa diventava una questione di sopravvivenza nel procesao di reificazione totale della realtà portato avanti inesorabilmente dalla macchina industriale. Anche qui si trattava di una scelta. Negli SUA, dove il boom consumistico appariva più vistoso, ci si limitò a registrare il galoppante fenomeno del livellamento culturale: Bern J. Bell, Crowd culture, New York 1952; D. MacDonald, A theory of mass culture (in Mass culture, a cura di B. Rosenberg e D. M. Whithe, Glencoe 1957); oppure si giudicò il fenomeno in chiave etica: E. Larrabee, R. Meyersohn, Mass leisure (1958), E. Shils, Mass society and its culture (in Varieties of modern social theory, a cura di H. M. Ruitenbeek, New York 1963), di tono trionfalistico; E. van Den Haag, A dissent jrom the consensual society (1960), di tono pessimistico. Il problema era stato affrontato già da M. Horkheimer e T. W. Adorno, della scuola di Francoforte, con Dialektik der Aufklärung (Amsterdam 1947; trad. it., Torino 1966), per i quali la cultura di massa appare come un logico sviluppo del processo di espansione del capitalismo monopolistico, e viene chiamata chiaramente "industria culturale", ossia un'operazione di strategia del consenso condotta dai detentori del potere. Ancora M. Horkheimer e T. W. Adorno, nei Soziologische Exkurse (Francoforte s. M. 1956, in Frankfurter Beiträge zur Soziologie, vol. IV; trad. it., Torino 1966), indicano come l'arte in tutte le sue forme non può essere isolata nel solo rapporto con l'autore o col pubblico ma va compresa muovendo dalla totalità sociale. In Francia J. P. Sartre, ancora legato alle istanze etiche dell'esistenzialismo, in Che cos'è la letteratura? (Milano 1960; trad. it. da Situations I II III, 1947-50), pone il problema della spinta creativa dello scrittore come situazione totale della sua presenza nel mondo, in cui deve sentirsi impegnato (engagé), assieme agli altri, il suo pubblico, al quale deve chiedere quel consenso libero e fiducioso che solo potrà dare un significato alla sua opera. Discepolo di Lukács e attento alle tendenze strutturaliste, dalla scuola russa a quella francese, L. Goldmann instaura un nuovo ordine di ricerche sociologiche condotte sul nucleo essenziale del testo letterario in rapporto all'area della sua lettura. È questo, sulla linea degli studi epistemologici di J. Piaget, lo "strutturalismo genetico", secondo cui esistono precise analogie (omologie) di struttura e di sviluppo fra l'universo formale dell'opera d'arte e l'universo mentale di determinati gruppi sociali. Di tendenza opposta, più interessato all'esame della distribuzione e della fruizione del prodotto letterario che a quello della sua creazione, R. Escarpit, con Sociologie de la littérature (Parigi 1958; trad. it., Napoli 1970), ha segnato una tappa importante nella registrazione del processo editoriale-consumistico dell'opera letteraria. Nello stesso anno Escarpit ha fondato all'università di Bordeaux l'Institut de Littérature et des Techniques Artistiques de Masse (ILTAM) che opera con metodi socio-statistici nell'indagine di fenomeni riguardanti il grado e l'ampiezza del consumo letterario. In Inghilterra R. Hoggart, in The uses of literacy (Londra 1987; trad. it., Roma 1969), offre uno spaccato del mutamento linguistico e culturale in atto nel proletariato dagli anni della radio a quelli della televisione. R. Williams, con Culture and society (Londra 1958; trad. it. Cultura e rivoluzione industriale in Inghilterra, Torino 1968), e con The long revolution (Londra 1961), traccia con grande coerenza e ricchezza di osservazioni critiche un profilo dell'evoluzione dell'idea di cultura dall'età romantica al secondo dopoguerra. In Italia - dove la tradizione umanistica continuò, attraverso Croce e Gentile, durante tutto il regime fascista - solo dopo la liberazione si ebbe un'esplosione d'interessi per il rapporto arte-società. L'evento che colpì profondamente, catalizzando attorno a un'attenta ricerca del sociale i vari indirizzi culturali degli anni Cinquanta, fu la scoperta e la pubblicazione dei Quaderni del carcere di A. Gramsci, scritti negli anni Trenta. L'importanza di questo critico militante, lucido organizzatore della cultura esaminata nelle sue più ampie articolazioni, si rivelava nella sua concezione del modello egemonico/istituzionale della cultura italiana legata alle sorti dello status borghese e completamente estranea alla vita e alla sensibilità delle classi subalterne. Un altro fondamentale apporto critico per la definizione del carattere razionale e sociale dell'arte e della letteratura è venuto dalla Critica del gusto (Milano 1960) di G. della Volpe. Attorno a questi due studiosi marxisti, in sostegno o contro le loro teorie, e con influssi che portano da Lukács a Freud, da Goldmann a Williams, a Escarpit, si sono mossi in Italia i primi passi di una ricerca che, attraverso un'analisi diretta dei testi o la teorizzazione dei risultati, tenta di dare alla s. della l. la prospettiva critica e lo statuto coerente di una nuova disciplina.
Bibl.: Sulla s. della l. è assai ampia e, per la sua eterogeneità, controversa. Soltanto in Italia, per non dire delle cospicue raccolte americane, francesi, inglesi, L. Benzi e M. Marchetti hanno classificato con questa disciplina ben 1430 titoli (in Quaderni di Sociologia, vol. XVII, Torino 1968). Cfr. inoltre: A. Hirsch, Soziologie und Literaturgeschichte, in Euphorion, XXIX, 1928; N. Arvin, Literature and social change, in Modern Quarterly, VI, 1932; A. Denbery, Pour une interpretation sociologique de la littérature, in French Review, vol. 37, 1936; H. Levin, Literature as an institution, in Accent, vol. 6, 1945; C. Muscetta, Letteartura militante, Firenze 1953; R. Bastide, Sociologie et littérature comparée, in Cahiers internationales de sociologie, 17, 1954; L. Gallino, Critica letteraria e sociologia della letteratura, in Il Mulino, VI, 3, 1957; I. S. Roncek, La Sociologia de la literatura, in Revista Mexicana de Sociologia, XXI, 2, 1959; G. Salinari, La questione del realismo, Firenze 1960; id., Miti e coscienza del decadentismo italiano, Milano 1960; F. Ferrarotti, Per una sociologia dell'arte (1961), in Idee per la nuova società, Firenze 1966; U. Eco, Opera aperta, Milano 1962; G. Venè, Letteratura e capitalismo in Italia, ivi 1963; A. Asor Rosa, Scrittori e popolo, Roma 1964; G. Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo 1964; F. Fortini, Verifica dei poteri, Milano 1965; G. Scalia, Critica, letteratura, ideologia (1958), Padova 1968; L. Goldmann, La Sociologia della letteratura; situazione attuale e problemi di metodo, Relazione per l'UNESCO (1968), in Sociologia della letteratura, Roma 1974; nello stesso volume: G. N. Pospelovv, Letteratura e sociologia, e I. Leenhardt, Sociologia della letteratura; alcune tappe; M. Spinella, Un'ipotesi sociologica della letteeratura, in Menabò, 8, 1968; A. Saccà, Rapporti possibili tra letteratura e sociologia, in Revue Intern. de Sociologie, vol. IV, 1968; M. Rak, Tre tecniche di Sociologia della letteratura, in Il Cannocchiale, 2-4, 1968; G. C. Ferretti, La letteratura del rifiuto, Padova 1968; R. Runcini, Illusione e paura nel mondo borghese, da Dickens a Orwell, Bari 1968; F. Ferrarotti, La prospettiva sociologica negli studi di arte e letteratura, in La Critica sociologica, 9, 1969; M. Zeraffa, La Revolution romanesque, Parigi 1969; G. Tumminello, Industria culturale, istituzioni intellettuali, in Quaderni del Convegno, Cremona 1970; M. Gallas, Teorie marxiste della letteratura (1971), trad. it., Bari 1974; R. Luperni, Marxismo e letteratura, Bari 1971; D. Laurenson, A. Swingewood, The sociology of literature, Londra 1972; Sociologia della letteratura, a cura di G. Pagliano Ungari, Roma 1972; A. Zambardi, Per una sociologia della letteratura, ivi 1973; G. Bordoni, Introduzione alla Sociologia della letteratura, Pisa 1973; A. Abruzzese, Forme estetiche e società di massa, Padova 1973; G. Corsini, L'istituzione letteraria, Napoli 1974; F. Camon, Letteartura e classi subalterne, Padova 1974; A. Leone De Castris, Modelli sociologici e critica della letteratura, in Lavoro critico, 2, 1975; E. Golino, Letteratura e classi sociali, Bari 1976; L. V. Mannucci, Ideali e classi nella poesia di Milton, Milano 1976; R. Williams, Marxism and literature, Oxford 1977. Sulla scia della cospicua raccolta di saggi di autori vari a cura della Pagliano Ungari, sono apparsi vari manuali italiani di carattere antologico intitolati alla sociologia della letteratura; tra questi, Interpretazioni sociologiche della letteratura, a cura di F. Mollia, Messina, Firenze 1974; Sociologia della letteratura, a cura di A. Abruzzese, Roma 1977; Sociologia della letteratura, a cura di A. Luzi, Milano 1977; ultimamente è uscita la pubblicazione degli Atti del Primo Convegno Nazionale di questa disciplina (Gaeta, 2/4 ottobre 1974), a cura di F. Ferrara, M. Rak, A. Abruzzese, R. Runcini, Sociologia della letteratura, Roma 1978.