SKIAGRAPHIA (σκιαγραφία)
Alla varietà delle proposte avanzate per spiegare il termine come «chiaroscuro» (v. vol. I, p. 475, s.v. Apollodoros, 2°), «stile di pittura impressionistica» (v. vol. V, p. 165, s.v. Monochromata), «pittura prospettica, illusionistica, teatrale» (v. vol. VI, p. 212, s.v. Pittura), «prospettiva» (v. vol. VI, p. 231, s.v. Platone e Aristotele), ovvero «disegno delle ombre» (v. vol. VII, p. 84, s.v. Saurias), va aggiunta l'ipotesi che s. rappresenti in Platone una tecnica pittorica assimilabile al moderno «divisionismo»: dissoluzione del tessuto cromatico in macchie o punti di colore, per esaltare i colori contrastanti, e ottenere un effetto unitario in distanza (Keuls). L'identificazione di tale procedimento nel testo dei Dialoghi, incide nella nostra conoscenza della pittura greca non meno positivamente che nella critica platonica, tanto più che il concetto sembra riferirsi alla generazione precedente quella di Platone, cioè al tempo di Apollodoros che era detto appunto skiagràphos. Ma è chiaro che l'interpretazione, come quelle precedentemente offerte, coglie soltanto un aspetto della s., poiché non soddisfa l'etimo della parola, e non ne copre completamente il significato, esteso in antico anche alla skenographìa.
Il problema va rivisto alla luce di nuove acquisizioni, che consentono di storicizzare il termine, e di raggiungere una giustificazione globale nell'apparente contraddizione delle ipotesi. La chiave è nel mantenere in tutte le occorrenze di s. la base semantica di «ombra» per la prima componente della parola, sfruttando di volta in volta il valore primario di skià, come oscurità causata da un corpo opaco alla luce, e quindi di «silhouette», «contorno» dell'ombra stessa, ovvero quello metaforico di «fantasma», «parvenza» che skià facilmente assume (Hom., Od., X, 495; Eurip., frg. 532), come i suoi corrispettivi nelle lingue moderne (ital.: ombra, fr.: ombre, spagn.: sombra, ted.: Schatten, ingl.: shadow). Un'ulteriore alternativa viene dalla diversa sfumatura della seconda componente, -graphìa, che indica in senso stretto il «disegno», o generale la «pittura». Tenendo conto di tali combinazioni si raggiunge una coerente spiegazione per le presunte antinomie della tradizione.
Per qualificare i prodromi dell'arte, s. segnalava effettivamente in Atenagora (Leg. pro Christ., 14) il «disegno di ombre», nel senso che Saurias avrebbe tracciato il solo contorno dell'ombra proiettata da un cavallo al sole; e in questo senso il concetto corrisponde esattamente al procedimento attribuito da Plinio (Nat. hist., XXXV, 15) agli anonimi precursori della pittura a Sicione o a Corinto: «umbra hominis lineis circumducta». Importanti persistenze di tale accezione si rilevano nel graffito alessandrino del II sec. a.C., che si legge accanto a un profilo disegnato a tratto bruno in una tomba della necropoli di Anfushi: Διόδωρος σκιὰν Ἀντιφίλου ἐποίησε, «Diodoros ha fatto la silhouette di Antiphilos» (A. Adriani, Repertorio d'arte dell'Egitto greco-romano, serie C, 1-11, Palermo 1966, pp. 193-194, n. 142), e presso uno scoliaste: «σκιαγραφѽν ἄνθρωπον καὶ φυτόν [...] ἐν τῇ τοũ προσώποv σκιαγραφίᾳ» «disegnando il contorno di un uomo e di una pianta [...] nel profilo del volto» (Ps. Alex., ad Arist., Metaph., 1092 b 8).
Per quel che riguarda Apollodoros, l'epiteto di skiagràphos (Schol. ad Il., X, 265) trova origine dalla mera specificazione tecnica di «pittore di ombre», nel senso in cui Plutarco (Mor., 346) dice che l'artista «fu il primo tra gli uomini a trovare lo sfumato e l'addensarsi dell'ombra». Da tale valore si sviluppa tuttavia quello di «pittore di parvenze», cioè dell'apparenza illusiva delle cose, grazie al chiaroscuro e al divisionismo: tecniche che a loro volta trovano ragione nella contemporanea affermazione di Democrito, che non è la cosa a colpire gli organi dei nostri sensi, e quindi a poter essere effettivamente rappresentata dal pittore, bensì un'immagine inconsistente, emanata dagli atomi che compongono la materia. La prova viene da Plinio (Nat. hist., XXXV, 60), che risolve a proposito di Apollodoros il termine di σκιαγραφεĩν con species exprimere: dove species, «parvenze», è il felice corrispettivo degli èidola di Democrito. Il fatto che al tempo di Apollodoros e di Democrito venissero introdotte nella commedia le forme σκιαμαχεĩν (Cratin., frg. 17) σκιαμαχία, che indicheranno anche in Platone (Ap., 18 d; Respubl., 520 c; Leg., 830 c) immaginarie lotte contro avversari inconsistenti, non è che la risposta beffarda a una teoria assimilabile per la sua audacia a quella degli impressionisti: «non è la cosa che bisogna fare ma il sembiante della cosa» (Eugène Delacroix). Possiamo pertanto recuperare su una nuova base la legittimità dell'equazione s.-«impressionismo», tenendo presente che anche la definizione moderna ha avuto origine dall'ironia su un concetto pregnante: École impressioniste, escogitata dal cronista di un giornale satirico, sulla traccia del titolo Impression proposto da Claude Monet per il proprio capolavoro. Al tempo di Apollodoros, l'arguzia riusciva tanto più pungente in quanto il termine s. era già stato adottato per la maniera dei pittori primitivi, nell'accezione segnalata sopra, che doveva essere ben viva nel pensiero greco. Platone ce lo conferma col mito della caverna, dove gli ignari abitatori vivono in un mondo di «ombre» proiettate dal sole come «parvenze» della verità: poiché la produzione artistica diventa per il filosofo imitazione di queste «ombre», s. avrà sempre nei suoi dialoghi un'implicita allusione alla povertà del procedimento seguito dai pittori delle origini, e insieme quel connotato negativo, aggiornato alla dottrina di Democrito, che già i contemporanei di Apollodoros potevano annettervi, nel senso di un'arte ingannevole.
Indipendentemente dal versante denigratorio, la formulazione di s. come mimesi dell'apparenza corrispondeva alla nascita della pittura stessa nella sua completezza e sintesi di mezzi prospettici, cromatici e luministici: il concetto trasmesso da Plinio (Nat. hist., XXXV, 60-61) quando afferma che Apollodoros aveva «aperto le porte all'arte», che «rifulse primo» tra i pittori della sua generazione, e che «per primo diede giusta gloria al pennello». Conseguentemente s. diventa sinonimo di «pittura» in generale, e skiagràphos significa «pittore» per antonomasia (Hesych., s.v. σκιά; Pollux, Onomast., VII, 127): un riflesso dell'antica concezione si coglie oggi nello spagnolo dibujar, che indica il «disegnare», ma anche il concretarsi di un'apparizione nell'ombra.
Bibl.: J. J. Pollitt, The Ancient View of Greek Art, New Haven-Londra 1974, pp. 247-254, 462; E. Keuls, Skiagraphia Once Again, in AJA, LXXIX, 1975 pp. 1-16; E. G. Pemberton, A Note on Skiagraphia, ibid., LXXX, 1976, pp. 81-84; V. Bruno, Form and Color in Greek Painting, New York 1977, pp. 14, 27, 34, 37, 41, 43; E. Keuls, Plato and Greek Painting, Leida 1978, pp. 38, 40, 55, 62, 89, 94, 110, 115, 129, 130; P. Moreno, Pittura greca, Milano 1987, pp. 33, 81; A. Rouveret, Histoire et imaginaire de la peinture ancienne, Roma 1989, pp. 13-63.
(P Moreno)