SIZZO DE NORIS, Cristoforo. –
Nacque il 19 agosto 1706 a Trento, figlio unico di Alberto e di Barbara Trentini.
La famiglia paterna, probabilmente originaria di Gandino nel Bergamasco, giunse nella seconda metà del Quattrocento a Trento, dove riuscì a rientrare nel ristretto gruppo delle famiglie antiche, ovvero quelle ammesse alla cittadinanza prima del 1528. Il diploma di nobiltà episcopale e la dignità comitale ottenuti a metà Seicento confermano l’ascesa sociale della famiglia, attestata anche dalla sua presenza nel Magistrato consolare, l’organo di governo amministrativo della città di Trento. Da una famiglia ‘nuova’, invece, discendevano i Trentini (furono ammessi alla cittadinanza nel 1577), che pure ebbero esponenti nel Magistrato consolare.
Nella città natale Cristoforo frequentò il collegio dei gesuiti, poi proseguì gli studi nel collegio gesuitico di Dillingen in Baviera e nel collegio virgiliano di Salisburgo. Rimasto orfano di padre in età giovanile, fu la madre a occuparsi della sua formazione e a preoccuparsi di contenerne le passioni. Le fonti ci restituiscono il profilo di un giovane incline a praticare gli esercizi cavallereschi e soprattutto il gioco della pallacorda, anziché versato per lo studio. Tornato in patria, abbracciò la vita religiosa verosimilmente per non gravare sul tenue patrimonio familiare, sebbene testimonianze dal sapore agiografico imputino questa scelta a un rovinoso incidente occorso mentre giocava alla pallacorda. Fu consacrato sacerdote il 30 maggio 1733. Dopo la morte della madre Cristoforo fu accolto nella famiglia materna, che lo aiutò a completare gli studi nel collegio romano delle missioni di S. Vincenzo de’ Paoli e ne agevolò la carriera ecclesiastica. Un’iniziativa determinante in questo senso fu la decisione presa nel 1750 dallo zio materno Pietro Saverio Trentini di rinunciare al canonicato in favore del nipote, permettendogli di entrare nel capitolo della cattedrale, l’organo che eleggeva il principe vescovo e amministrava il Principato e la diocesi nei periodi di vacanza della sede episcopale.
A pochi mesi dalla scomparsa del principe vescovo Francesco Felice Degli Alberti (31 dicembre 1762) il capitolo si riunì per procedere all’elezione del successore, compito che si rivelò assai tormentato e che ebbe un esito singolare. Come di consueto all’interno del capitolo presero corpo due fazioni contrapposte, in questa circostanza, però, complice anche l’introduzione della nuova procedura elettiva che prevedeva il voto segreto, l’una non riuscì a prevalere sull’altra. Per più di trenta scrutini il candidato gradito alla corte austriaca, Pietro Vigilio conte Thun, ottenne lo stesso numero di voti del concorrente, Carlo Giuseppe Sebastiano conte Trapp. La scelta del nuovo principe vescovo, espressione del potere ecclesiastico e del potere temporale, sfuggì quindi all’influenza dei commissari austriaci, solitamente abili a condizionare le votazioni del capitolo, e passò di diritto alla corte di Roma. Papa Clemente XIII nominò allora Sizzo de Noris, un uomo poco apprezzato da entrambe le fazioni capitolari, come pure dall’ambiente del patriziato cittadino, dal quale proveniva.
Prese possesso della diocesi il 19 dicembre 1763 e ricevette l’investitura temporale il 30 giugno 1764 dall’imperatore Francesco I nella persona del conte Giovanni Carlo di Herberstein. L’opera più rilevante realizzata in ambito religioso da Sizzo de Noris fu la visita pastorale che condusse dal luglio del 1766 al luglio del 1769 (la precedente era stata compiuta dal principe vescovo Leopoldo Ernesto Firmian negli anni 1749-51) per, come ebbe a scrivere lo stesso presule, «consolidare, dentro il gregge del Signore, ciò che è traballante, per sanare ciò che è malato, per ricomporre ciò che è spaccato, per ricuperare ciò che s’è gettato via, così da andare in cerca di ciò ch’era perduto» (Farina, in Storia del Trentino, 2000, p. 538). La volontà di conoscere personalmente i luoghi e i fedeli lo spinse a recarsi nei territori della diocesi e a richiedere a parroci e a curati la compilazione di un dettagliato questionario, mutuato da Firmian, sullo Stato d’anime, gli uffici sacri, l’attività e la solidità economica dei loca pia, la condotta dei sacerdoti.
Attento alla preparazione del clero, nel 1771 tolse ai padri somaschi la gestione del seminario, negli ultimi anni, invero, contrassegnata da un percorso formativo assai carente, e ne affidò la direzione a un prete diocesano, Francesco Santoni di Ceniga. Un altro episodio che connota il governo spirituale del presule si colloca nel 1773: a seguito della soppressione della Compagnia di Gesù ordinata da papa Clemente XIV, Sizzo de Noris sciolse quella attiva a Trento e ne trasferì i beni al seminario diocesano. Sul versante religioso riuscì a contenere gli interventi della monarchia asburgica e sull’esempio dei predecessori si rifiutò, ancora nel 1764 all’indomani della sua nomina a principe vescovo, di diventare suffraganeo della Chiesa di Gorizia, per non dover accettare le istruzioni asburgiche in materia ecclesiastica.
Sul versante politico la sua azione si presta a discordanti interpretazioni: per alcuni studiosi mostrò un atteggiamento accondiscendente verso la politica centralizzatrice di Casa d’Austria, mentre per altri si impegnò, per quanto consentito dalle circostanze, nella salvaguardia dell’autonomia del principato vescovile. Una lettura unanime non affiora nemmeno da chi lo conobbe. La biografia non sempre edificante abbozzata dal canonico Sigismondo Antonio Manci, con il quale, è bene ricordarlo, Sizzo de Noris ebbe alcuni dissidi, e le pagine elogiative riportate nelle Cronache di pugno del giurista Francesco Vigilio Barbacovi, suo fedele consigliere aulico, risentono del legame dei due autori con il presule trentino.
Certo è che il suo governo si svolse in un periodo assai complesso, durante il quale la monarchia asburgica, proseguendo una strada intrapresa nei decenni precedenti soprattutto dalla coreggenza di Giuseppe II (1765-80), esercitò non poche pressioni nel tentativo di modernizzare e di accentrare le strutture amministrative del territorio del Principato.
I principati vescovili di Trento e di Bressanone dipendevano dal papa e dall’imperatore ed erano territori confederati del Tirolo sulla base delle compattate tre-quattrocentesche e poi del Landlibell del 1511, che riconoscevano ai conti del Tirolo una serie di diritti militari e giudiziari. Dal 1665, estintosi il ramo cadetto degli Asburgo tirolesi, il titolo di conte del Tirolo era passato all’arciduca d’Austria e Sacro Romano imperatore. In questa cornice si inseriva il disegno della monarchia austriaca di uniformare anche i territori confederati alle direttive in materia monetaria e daziaria, misure che ostacolavano i rapporti commerciali assai vivaci con i vicini paesi veneti, nonché di esigere la perequazione e l’aumento dei contributi militari trasformandoli da straordinari a ordinari.
Sizzo de Noris non accettò silenziosamente questi provvedimenti e presentò le sue rimostranze alla corte imperiale nel tentativo, rivelatosi fallace, di preservare le prerogative del Principato vescovile. La Casa d’Austria, infatti, proseguì il suo programma riformatore, nonostante la ritrosia del presule trentino e le opposizioni del patriziato cittadino che ne dilatarono i tempi di attuazione, introducendo nuovi dazi e sostituendo le monete.
Se nel contesto politico dei territori ereditari il principe vescovo provò a contrastare le posizioni assolutistiche asburgiche aderenti alle proposte illuministe, nei confronti degli organismi e dell’ordinamento del Principato vescovile la sua azione fu orientata a modernizzare e a centralizzare le strutture politiche e amministrative del territorio, suscitando la tenace opposizione dell’oligarchia cittadina. Attraverso varie iniziative e la pubblicazione di editti puntò a razionalizzare il sistema giudiziario, ridimensionando le prerogative nobiliari, e ad assorbire nella sfera di competenza del principe vescovo aspetti amministrativi e giudiziari tradizionalmente sottoposti al controllo del Magistrato consolare della città di Trento. La politica di ampliamento delle facoltà giurisdizionali principesche a scapito di quelle consolari indusse i consoli a ricorrere al supremo tribunale imperiale, affinché obbligasse il principe vescovo a rispettare i loro diritti. La sentenza imperiale (7 dicembre 1775) fu favorevole a Sizzo de Noris in linea con l’orientamento assolutistico asburgico incline ad appoggiare misure politiche atte a limitare le autonomie locali. Tale decisione non concluse la vertenza tra i consoli e il principe vescovo, che si aggravò negli anni a seguire sotto il governo del successore.
In quel periodo Sizzo de Noris fu colpito da una malattia che lo costrinse a letto per alcuni mesi; morì a Trento il 16 marzo 1776. La salma fu deposta nel duomo di Trento nella tomba del vescovo Giuseppe Vittorio Alberti d’Enno.
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