Felice Peretti (Grottammare 1520 o 1521 - Roma 1590), di umile famiglia, originaria di Montalto Marche, entrò (1534) nell'ordine dei minori conventuali. Addottoratosi in teologia a Fermo nel 1548, fu predicatore e teologo nel suo ordine. A Roma nel 1552, conobbe Michele Ghislieri, il futuro Pio V, che lo appoggiò nella nomina a consultore della congregazione dell'Inquisizione nel 1560; successivamente fu dallo stesso Pio V creato vescovo e vicario generale dei conventuali (1566), poi cardinale (1570). Tenutosi in disparte durante il pontificato di Gregorio XIII, nel 1585, pur non facendo parte dei partiti dominanti nel collegio cardinalizio, fu eletto papa. Volle riordinare lo stato, da una parte, attraverso la repressione del banditismo, operata mediante un più efficace funzionamento della giustizia; dall'altra opponendo alle spinte provenienti dalla nobiltà, mirate a una gestione feudale dello stato pontificio, una centralizzazione del potere. Con una rigida economia, con la severità dei controlli doganali, con la vendita degli uffici e con vantaggiosi e sicuri prestiti pubblici garantiti dalle entrate della Chiesa, volle riassestare le finanze dello stato (alla sua morte aveva tesaurizzato in Castel S. Angelo circa 4 milioni di scudi). Esecutore dei deliberati tridentini, curò anche una nuova edizione della Vulgata; volle ordinare la Curia romana fissando a settanta il numero dei cardinali e creando, e in alcuni casi riorganizzando, quindici congregazioni cardinalizie permanenti, di cui sei destinate all'amministrazione degli affari dello stato e le rimanenti istituite come organismi con funzioni spirituali. Complessa fu la sua politica estera, tesa a mantenere, per la libertà della Chiesa, un equilibrio politico in Europa, che arrestasse però anche la marcia della riforma protestante: la crisi della Francia, disputata tra il partito cattolico, alleato a Filippo II di Spagna, e il partito ugonotto, protestante, rendeva particolarmente difficile il suo programma. Dopo inutili tentativi di conciliare i cattolici francesi con la loro monarchia, quando sorse l'astro dell'ugonotto Enrico IV di Navarra, dopo aver saggiato la possibilità di un'alleanza con Filippo II, si orientò definitivamente verso trattative con Enrico IV, il quale andava preannunciando la sua conversione. La politica di S. si svolse sempre con l'appoggio di Venezia, preoccupata anch'essa di contrapporre all'influenza spagnola la potenza francese. Su Venezia e su una pacificazione europea S. contava per eliminare dal Mediterraneo la potenza ottomana, e perciò vide con rammarico l'impegno delle forze navali spagnole contro l'Inghilterra. La sua visione politica, veramente europea, la sua energica opera per il riordinamento della Chiesa e dello stato pontificio si accompagnarono all'interesse per una "modernizzazione" della città di Roma, progettando e attuando in parte un complesso piano di rinnovamento cittadino che comprendeva la razionalizzazione dell'impianto viario e che intendeva simboleggiare il trionfo definitivo della Roma cristiana sulla pagana.