Sistemi di comunicazione wireless
Una delle caratteristiche distintive della società odierna è l’enorme aumento del flusso di informazioni che vengono scambiate quotidianamente. È ormai abituale comunicare a distanza o acquisire informazioni tramite Internet pur senza essere fisicamente collegati a un telefono o a un terminale fisso. Una delle principali richieste della moderna società dell’informazione è proprio quella di essere connessi anytime and anywhere, in qualsiasi momento e in ogni luogo. È evidente che queste due richieste possono essere soddisfatte solo mediante un sistema di comunicazione che non prevede un’infrastruttura fissa.
Esistono due sistemi fondamentali per trasportare informazione: i sistemi guidati, o wired, in cui l’informazione viaggia attraverso un supporto fisso, come per esempio il doppino telefonico, il cavo coassiale o la fibra ottica, e i sistemi radio o wireless, in cui l’informazione si propaga mediante onde elettromagnetiche.
I sistemi di comunicazione wireless hanno caratteristiche uniche – che li contraddistinguono dai sistemi wired – quali la capacità di consentire collegamenti tra mezzi mobili e diffondere segnali da una stazione base a un numero imprecisato di utenti; la capacità di consentire una connettività in grado di variare dinamicamente in funzione del traffico; di creare un sistema di comunicazione senza la necessità di stendere cavi o fibre ottiche in luoghi in cui questa operazione sarebbe non economica o impossibile; infine la capacità di localizzare un terminale mobile e quindi scambiare informazioni georeferenziate.
D’altro canto, i sistemi wired hanno alcuni vantaggi rispetto ai sistemi wireless: il canale guidato è meno soggetto a interferenze rispetto al collegamento radio, che avviene su un canale condiviso; anche in assenza di interferenze, il canale guidato non è soggetto alle aleatorietà del canale radio, in cui la propagazione è influenzata da meccanismi complicati quali la riflessione, diffrazione, rifrazione e diffusione delle onde elettromagnetiche; la banda di trasmissione di alcuni sistemi guidati, le fibre ottiche, è infine enormemente maggiore della banda degli attuali sistemi di comunicazione wireless.
Tuttavia, la capacità di consentire connessioni anytime and anywhere è la caratteristica distintiva dei sistemi wireless che ne ha determinato l’enorme sviluppo degli ultimi decenni. Le difficoltà legate alla propagazione di onde elettromagnetiche attraverso un mezzo condiviso sono divenute nel tempo un grande stimolo alla ricerca e un’opportunità per lo sviluppo di sistemi in grado di trarre addirittura vantaggio dalla diversità offerta dalla propagazione non guidata.
Un collegamento radio può essere visto, in generale, come un canale attraverso il quale si propaga informazione da una sorgente a un destinatario. I primi sistemi di comunicazione erano tutti sistemi analogici. In tali sistemi, il segnale audio o video va a modulare una portante sinusoidale, in modo da rendere il segnale da trasmettere più adatto alla trasmissione attraverso il canale radio. Modulare una portante sinusoidale vuol dire far variare i parametri di una sinusoide oscillante a una frequenza detta portante, in funzione del messaggio da trasmettere. A seconda che si varino l’ampiezza, la fase o la frequenza istantanea della sinusoide, si parla di sistemi a modulazione di ampiezza, di fase e di frequenza. Uno degli effetti fondamentali della modulazione è la traslazione dello spettro del messaggio da trasmettere verso le alte frequenze, nell’intorno della portante. In tal modo si ottengono vari benefici: (a) le antenne forniscono una maggiore efficienza nella conversione dell’energia ricevuta dal segnale in un’onda elettromagnetica; (b) è possibile multiplare, ovvero trasmettere più segnali simultaneamente sullo stesso mezzo, modulando ciascun segnale usando portanti con frequenze diverse, spaziate di un intervallo maggiore della banda del segnale utile in modo da consentire comunque al ricevitore di separare i vari segnali e prelevare il segnale di interesse mediante un filtro centrato intorno alla portante del segnale desiderato, che lasci passare il segnale voluto ed elimini tutti gli altri segnali; (c) la modulazione può rendere il segnale trasmesso più robusto rispetto alle distorsioni introdotte dalla propagazione attraverso il canale radio. Nel caso della modulazione di frequenza, per esempio, qualsiasi variazione dell’ampiezza del segnale ricevuto è chiaramente imputabile solo a effetti della propagazione e quindi può essere eliminata dal segnale ricevuto, senza produrre effetti sul segnale utile.
Nel tempo, i sistemi analogici hanno ceduto il passo ai sistemi numerici o digitali, che hanno maggiore flessibilità e versatilità nel progettare sistemi efficienti e robusti rispetto a potenziali interferenze e disturbi dovuti alla propagazione.
I sistemi digitali sono in grado di trasportare sia segnali a tempo continuo, come la voce o un video ripreso da una telecamera, sia segnali a tempo discreto, cioè sequenze di simboli di un testo generato, per esempio, dalla tastiera di un computer o di un cellulare. Questa flessibilità è fornita, a livello base, dalla possibilità di convertire i segnali a tempo continuo in sequenze di numeri ed essere in grado, al tempo stesso, di poter ricostruire il segnale a tempo continuo a partire dalla sequenza corrispondente. Il principio alla base di questa conversione è il teorema del campionamento che stabilisce che, se un segnale a tempo continuo occupa una banda limitata, con frequenza massima B, è possibile prelevare campioni dal segnale a intervalli di T secondi e ricostruire esattamente il segnale di partenza a partire dai suoi campioni, purché il passo di campionamento T rispetti la condizione T〈1/(2B), nota come condizione di Nyquist.
Poiché i segnali audio e video sono strutturalmente a banda limitata, è sempre possibile campionare tali segnali e ricostruire il segnale originario a partire dai campioni. L’unico parametro che varia, nel campionamento di un segnale audio o video, è la frequenza di campionamento, legata alla diversa banda di questi segnali. I campioni ottenuti sono successivamente quantizzati per ottenere simboli appartenenti a un alfabeto finito. Ciascun simbolo viene infine convertito in una sequenza di numeri binari, o bit, che rappresentano la codifica binaria del numero di partenza. Se M è il numero di livelli di quantizzazione, il numero di bit richiesto per la codifica binaria è il primo numero intero maggiore di log2M. In questo modo, ogni segnale analogico, purché a banda limitata, può essere convertito in una sequenza di bit. Per esempio, il segnale telefonico viene inizialmente filtrato in modo che il suo spettro rientri nella banda che va da 300 a 3400 Hz, viene campionato con un passo T=0,125 ms (tale da rispettare la condizione di Nyquist). Ciò equivale a prelevare 8000 campioni al secondo. Successivamente, ogni campione viene quantizzato in 256 livelli e quindi convertito in una parola di 8 bit. Il segnale telefonico viene così convertito in una sequenza di 64 kbit/s.
La maggiore flessibilità dei sistemi digitali consente non solo di trasmettere segnali analogici (mediante conversione in sequenze di bit) o segnali numerici generati direttamente come tali, ma anche di applicare una serie di operazioni non disponibili nelle trasmissioni analogiche, come per esempio la codifica del segnale da trasmettere. Le basi teoriche delle comunicazioni numeriche furono stabilite da Claude Shannon nel 1948. Shannon mostrò innanzitutto che, in un sistema punto-punto, si può sempre suddividere la codifica in due operazioni indipendenti consecutive: la codifica di sorgente e la codifica di canale. Shannon dimostrò l’esistenza di limiti fondamentali per entrambe, indipendenti dalla tecnologia utilizzata.
La codifica di sorgente consiste nel comprimere la sequenza da trasmettere in modo da ridurre o possibilmente eliminare la ridondanza presente nel messaggio originario. Ciò consente di evitare di trasmettere bit inutili. La codifica di sorgente può essere senza perdite o con perdite. Nel primo caso, si può passare dal file sorgente al file codificato e viceversa, senza compromettere la qualità.
Nel suo teorema sulla codifica di sorgente, Shannon dimostrò che il numero medio minimo di bit per simbolo con cui si può codificare, senza perdite, l’informazione emessa da una sorgente stazionaria è l’entropia della sorgente, che indicheremo con H(S). Esempi di codifiche di sorgente senza perdite sono la codifica di Huffman e la codifica di Lempel-Ziv, comunemente usata per la compressione di file in un calcolatore. Tali codifiche tendono, all’aumentare della lunghezza della sequenza da codificare, a un numero medio di bit per simbolo pari all’entropia della sorgente.
La codifica di canale serve invece a rendere la sequenza trasmessa più robusta rispetto al rumore o alle interferenze che, in un sistema di propagazione radio, inevitabilmente si sovrappongono al segnale utile. La codifica di canale avviene introducendo una ridondanza controllata sulla sequenza trasmessa, tale da rendere il ricevitore in grado di rivelare o correggere alcuni errori di trasmissione.
Una possibile forma di codifica consiste nel suddividere la sequenza dei bit da trasmettere in parole composte da k bit e tradurre poi ogni parola di k bit in ingresso in una parola da n bit in uscita, con n maggiore di k. In questo modo si aggiungono n−k bit di ridondanza per ogni parola trasmessa. I bit ridondanti sono usati dal ricevitore per rivelare o, possibilmente, correggere eventuali errori di trasmissione.
Chiaramente, aumentando il numero di bit di ridondanza è possibile correggere più errori, ma al tempo stesso si riduce la velocità di trasmissione dei bit di informazione. Il parametro fondamentale di un sistema di comunicazione digitale è pertanto il numero massimo di bit al secondo (bps) che possono essere trasmessi attraverso il canale garantendo la possibilità, al ricevitore, di recuperare la sequenza trasmessa con una probabilità di errore piccola a piacere. Tale parametro è noto come ‘capacità’ del canale.
Uno dei risultati fondamentali delle comunicazioni è il teorema di Shannon sulla codifica di canale. Tale teorema stabilisce che, se la velocità di trasmissione della sorgente R è minore della capacità C, allora esiste un sistema di codifica dell’informazione che consente al ricevitore di ricostruire la sequenza trasmessa con una probabilità di errore arbitrariamente piccola. Al contrario, se R>C, non può esistere alcuna tecnica di codifica che consente di ottenere una probabilità di errore piccola a piacere. In altri termini, se si trasmette troppo velocemente, è inevitabile commettere errori di ricostruzione. È importante sottolineare che, se R>C, l’impossibilità di ricostruire esattamente la sequenza trasmessa è un limite fondamentale, cioè indipendente dalla tecnologia usata per la trasmissione e dalle tecniche di codifica/decodifica. In altre parole, tale limitazione sta a significare che non possono esistere né una tecnologia né una tecnica di codifica in grado di evitare di commettere errori di decodifica, se si eccede la velocità di trasmissione R=C.
Più specificamente, indichiamo con R=H(S)k/n il tasso di informazione trasmesso, dato dal prodotto tra l’informazione media emessa dalla sorgente – quantificata dalla sua entropia H(S) – e il rapporto di codifica k/n. Il teorema sulla codifica di canale dimostra che, se R〈C, esiste un sistema di codifica tale che la probabilità di errore Pe nella decodifica di una generica parola ricevuta è limitato superiormente dalla seguente disuguaglianza
[1] Pe ≤ 2−nE(R)
dove E(R) è una funzione non negativa decrescente di R. Per un fissato R, aumentando la capacità del canale, aumenta l’esponente E(R). La formula [1] mostra che è possibile diminuire la probabilità di errore agendo in tre modi alternativi: (a) diminuendo la velocità di trasmissione dell’informazione R, per esempio diminuendo il rapporto di codifica, per una data capacità del canale e una data lunghezza n delle parole codificate; (b) aumentando la capacità del canale, per una fissata velocità di trasmissione R; (c) aumentando la lunghezza delle parole codificate n, a parità di velocità di trasmissione e di capacità del canale.
Mentre le prime due strategie sono più o meno intuitive, la terza strategia è in realtà una possibilità prevista inizialmente solo dalla teoria e poi messa in pratica solo dopo aver scoperto le opportune tecniche di codifica. Ai tempi in cui Shannon derivò questi limiti fondamentali, infatti, non erano note le tecniche di codifica in grado di trasmettere a una velocità di trasmissione R che si avvicinasse alla capacità C, per una dato rapporto segnale/rumore SNR, garantendo, al contempo, una probabilità di errore arbitrariamente piccola. Solo negli ultimi anni, con la scoperta dei turbo-codici o dei codici Low density parity check (LDPC), si è riusciti ad avvicinarci ai limiti teorici previsti da Shannon.
Nel caso semplice di canale affetto da rumore additivo gaussiano bianco e sorgente aleatoria che emette variabili continue con varianza prefissata, è possibile esprimere la capacità in forma chiusa, in funzione della banda del canale e del rapporto segnale/rumore. Indicando con B la banda del canale, con PS la potenza del segnale ricevuto, con N0/2 la densità spettrale di potenza del rumore, la capacità vale
[2] formula
avendo indicato con il simbolo z il guadagno in potenza del canale.
La formula [2] rivela un aspetto fondamentale delle comunicazioni numeriche: il compromesso esistente tra la banda e la potenza trasmessa. Dalla [2], si evince che, se per un dato rapporto segnale/rumore SNR si vuole raddoppiare la capacità, occorre raddoppiare la banda. Se si vuole quadruplicare la capacità, occorre quadruplicare la banda. Al contrario, se, per una fissata banda B, si vuole raddoppiare la capacità, occorre elevare al quadrato l’argomento del logaritmo che compare nella [2]. Ad alti rapporti segnale/rumore, cioè per z∙SNR≫1, ciò equivale praticamente a elevare al quadrato la potenza del segnale trasmesso. Analogamente, se si vuole quadruplicare la velocità, occorre elevare la potenza trasmessa alla quarta potenza. Si capisce quindi che per aumentare la capacità agendo solo sulla potenza trasmessa, occorre pagare un prezzo molto alto. Una tale strategia sarebbe comunque sconsigliabile in quanto indurrebbe un incremento del cosiddetto inquinamento elettromagnetico. Al contrario, la via apparentemente più immediata per aumentare la capacità del canale è quella di aumentare la banda di trasmissione, pur mantenendo costante il rapporto segnale/rumore. È peraltro opportuno sottolineare, sempre dalla [2], che, per un dato rapporto tra la potenza del segnale ricevuto e la densità spettrale di potenza, la capacità non aumenta linearmente all’aumentare della banda B. In realtà, all’aumentare della banda B, la capacità tende a un asintoto pari a C(∞)=PS/ln(2)N0. Questo è il limite teorico alla velocità di trasmissione, pur in presenza di una banda teoricamente infinita.
Se ora entriamo nel contesto delle comunicazioni wireless, la stessa formula [2] suggerisce ulteriori considerazioni fondamentali. È evidente infatti dalla [2] che, se il trasmettitore vuole garantire che la velocità di trasmissione non ecceda la capacità del canale, deve conoscere il valore assunto dalla capacità. Tuttavia, in un canale radio, il trasmettitore non conosce il canale e quindi non è in grado di determinarne la capacità C. Pertanto non c’è modo, per il trasmettitore, di scegliere una velocità di trasmissione che garantisca una probabilità di errore di decodifica piccola a piacere. In tal caso, data la complessità della propagazione elettromagnetica nei sistemi di comunicazione wireless, il coefficiente z è modellabile come una variabile aleatoria. Pertanto, una volta scelta la velocità di trasmissione R, esiste in generale una probabilità non nulla che la capacità del canale risulti essere minore di R. Tale evento viene comunemente indicato come evento di outage. Se tale evento si verifica, non esiste alcun metodo di codifica in grado di assicurare una probabilità di errore piccola a piacere. In tal caso, l’approccio tipico utilizzato nella scelta di R consiste nel fissare una probabilità di outage massima Pout e determinare la potenza in trasmissione che consente di trasmettere con velocità R, garantendo una probabilità di outage minore di Pout. Data la variabilità del canale, un approccio che sta acquisendo sempre più successo nei moderni sistemi di comunicazione wireless è l’uso di modulazioni adattative, per cui la velocità di trasmissione varia nel tempo, in funzione della capacità istantanea, misurata mediante canali di feedback.
La variabilità del canale radio rappresenta dunque uno degli aspetti più critici delle comunicazioni wireless.
Alle frequenze tipicamente usate nei sistemi wireless esistenti, la propagazione è affetta da fenomeni di riflessione, diffusione, rifrazione e diffrazione che rendono praticamente impossibile prevedere, a priori, l’andamento del canale di propagazione. Anche se, in linea di principio, la propagazione delle onde elettromagnetiche è formalmente descritta dalle equazioni di Maxwell, la loro soluzione richiede l’imposizione delle condizioni al contorno che, in un ambiente di propagazione complesso quale per esempio una città, rende praticamente impossibile la soluzione delle equazioni. È tuttavia fondamentale saper estrarre alcune caratteristiche del canale, per essere in grado di progettare un sistema di comunicazione wireless. A tal proposito, è utile adottare modelli sia deterministici sia aleatori dei canali, come descritto nel seguito. Tali modelli, pur se basati su presupposti diversi, sono infatti da vedere non in contrapposizione tra loro, ma come complementari nelle loro capacità di estrarre parametri significativi.
Consideriamo un’antenna che irradia un’onda elettromagnetica con potenza PT. Una proprietà fondamentale delle antenne è la loro ‘direttività’, cioè la capacità di dirigere la potenza ricevuta verso prefissate regioni dello spazio. Indichiamo con GT(θ,φ) il diagramma di radiazione dell’antenna in trasmissione, dove θ e φ rappresentano gli angoli di elevazione e azimut. Il diagramma di radiazione rappresenta il guadagno di direttività dell’antenna, cioè il guadagno, per ogni fissata coppia di angoli, rispetto a un’antenna omnidirezionale che trasmette la stessa potenza in tutte le direzioni. La potenza trasmessa verso una direzione individuata dalla coppia di angoli θT e φT è quindi GT(θT,φT)PT. La densità di potenza ricevuta a una distanza d dall’antenna trasmittente è quindi GT(θT,φT)PT/4πd2. La potenza effettivamente captata dall’antenna ricevente è pari alla densità di potenza incidente per l’area equivalente dell’antenna ricevente. Indicando con Ae(θR,φR) l’area equivalente dell’antenna in ricezione, la potenza captata è quindi:
GT(θT,φT) Ae(θR,φR)
[3] PR = ________________ PT .
4πd2
L’area equivalente di un’antenna e il suo diagramma di radiazione sono legati tra loro in base al principio di reciprocità. In particolare, il legame tra le due funzioni è il seguente:
[4] formula
avendo indicato con λ la lunghezza d’onda dell’onda elettromagnetica (si è fatta qui l’ipotesi che l’onda sia monocromatica; in pratica, tale ipotesi è valida con buona approssimazione se il segnale convogliato dall’onda elettromagnetica è un segnale a banda stretta, cioè la sua banda è molto minore della frequenza della portante). La potenza ricevuta può quindi essere espressa in termini dei guadagni di antenna come
[5] formula
dove η è un coefficiente minore di uno che tiene conto dell’efficienza dell’intero sistema. Dalla [4] si evince una proprietà importante delle antenne: per ottenere un guadagno elevato in certe direzioni occorre che le dimensioni dell’antenna siano grandi rispetto alla lunghezza d’onda. In alcuni sistemi, come per esempio nelle comunicazioni via satellite, la proprietà di direttività è un requisito fondamentale. In tal caso, infatti, date le grandi distanze in gioco, è essenziale che la potenza trasmessa dalle stazioni terrestri sia convogliata principalmente verso il satellite. Per questo motivo, le stazioni di terra utilizzano delle grandi antenne a paraboloide, con diametro molto maggiore della lunghezza d’onda.
Al contrario, nel progettare l’antenna di un cellulare, si vuole che essa sia omnidirezionale, in modo da facilitare l’accesso verso stazioni base senza sapere in quale direzione è presente la stazione più vicina. Al tempo stesso, anche le stazioni base devono coprire un grande intervallo azimutale, per cui anche a esse non è richiesto avere direttività.
Il modello di propagazione illustrato in precedenza è valido nel vuoto o in una propagazione punto-punto in cui non sono presenti fenomeni di riflessione o diffrazione delle onde elettromagnetiche. Tuttavia, nella propagazione di onde in ambienti complessi, come per esempio in una città, è necessario tener in conto riflessioni delle onde. Il modello di canale corrispondente è composto da cammini multipli. Dato un segnale trasmesso x(t), il segnale ricevuto y(t) è dato dalla sovrapposizione di repliche del segnale trasmesso, ognuna ritardata ed eventualmente caratterizzata da effetto Doppler:
[6] formula
dove hk, τk e fk rappresentano, rispettivamente, il coefficiente di attenuazione (complesso), il ritardo e la frequenza Doppler relativi al k-esimo percorso. Supponendo che il ricevitore si muova con velocità ν, la frequenza Doppler fk vale
[7] formula
dove θk è l’angolo tra la direzione di arrivo dell’onda al ricevitore e la direzione della velocità, mentre λ è la lunghezza d’onda. Il sistema descritto dalla [6] è un sistema tempo-variante. Tuttavia, usando valori tipici nelle comunicazioni wireless, il canale soddisfa sempre una condizione di quasi-stazionarietà, nel senso che il canale può essere ritenuto costante all’interno della trasmissione di ciascun simbolo. In tal caso, lo spettro del segnale ricevuto Y(f ), in corrispondenza dell’n-esimo simbolo trasmesso è legato allo spettro del segnale trasmesso X(f ) dalla relazione
[8] formula
avendo indicato con H(f;nT) la funzione di trasferimento del canale durante la trasmissione del blocco n-simo (supposto di durata T). Per ogni dato blocco trasmesso, il canale introduce una ‘distorsione lineare’ se la funzione di trasferimento H(f;nT) non ha modulo costante e fase lineare all’interno della banda di frequenze del segnale trasmesso. Se l’effetto della distorsione lineare non è trascurabile, è necessario compensarla, in ricezione. L’operazione di compensazione è nota come ‘equalizzazione’ e agisce sulla base di una stima del canale. La stima viene effettuata periodicamente, utilizzando opportune sequenze di apprendimento, note sia al trasmettitore sia al ricevitore.
Il progetto di un sistema di comunicazioni wireless richiede la conoscenza di alcune caratteristiche del canale. Tuttavia, in un canale wireless, data la complessità della propagazione, non è possibile disporre di una tale conoscenza a priori. Gli unici modelli utili per la descrizione del canale in tal caso sono i modelli aleatori o stocastici, i cui parametri sono dettati da considerazioni fisiche.
Nel caso in cui il segnale ricevuto in un dato istante sia costituito dalla somma di molti contributi dovuti a riflessioni multiple, per esempio, pur senza conoscere le proprietà statistiche di ciascun contributo, è possibile modellare la densità di probabilità dell’ampiezza del campo ricevuto. Se non ci sono percorsi dominanti rispetto agli altri e le ampiezze legate a ciascun percorso sono statisticamente indipendenti, invocando un teorema fondamentale della teoria della probabilità, vale a dire il teorema del limite centrale, è possibile modellare l’ampiezza ricevuta come una variabile aleatoria Rayleigh. In tal caso, il coefficiente di guadagno in potenza z che appare nella [2] è una variabile aleatoria esponenziale, la cui densità di probabilità è riportata nella fig. 2, in corrispondenza all’etichetta L=1.
Dall’andamento mostrato in fig. 2, si capisce che i valori di guadagno più probabili, per un canale senza percorso diretto tra trasmettitore e ricevitore, sono i valori bassi, nell’intorno dell’origine. Questo è uno degli aspetti più critici dei sistemi wireless perché determina un’attenuazione e quindi un aumento della probabilità di errore. Un esempio di prestazioni è mostrato in fig. 3, dove è riportata la probabilità di errore in un sistema di trasmissione numerico binario in funzione del rapporto segnale rumore (SNR), espresso in decibel (dB). La curva con i cerchi rappresenta un canale ideale. La curva con l’etichetta L=1 rappresenta un canale in cui il guadagno in potenza è modellato come una variabile esponenziale, la cui densità di probabilità è riportata in fig. 2. Nel caso di canale ergodico, la probabilità di errore media è ottenuta mediando le probabilità di errore rispetto a tutte le possibili realizzazioni del canale. La fig. 3 mostra in maniera evidente la grande perdita di prestazioni dovuta all’aleatorietà del canale wireless.
Se esiste un percorso diretto dal trasmettitore al ricevitore, le prestazioni migliorano perché, in tal caso, il percorso diretto garantisce che il guadagno di canale non possa assumere valori molto piccoli.
In ambienti in cui la propagazione è affetta da fenomeni di diffrazione, per cui occorre modellare il passaggio da zone di visibilità a zone in ombra, la potenza media ricevuta è modellata anch’essa come una variabile aleatoria. Un modello comunemente usato è la densità di probabilità log-normale.
Le densità di probabilità menzionate sopra sono alcuni esempi di statistiche del primo ordine delle variabili aleatorie estratte dal canale (per es., dalla funzione di trasferimento del canale). Parallelamente, è utile avere dei modelli per le statistiche del secondo ordine, vale a dire le densità di probabilità congiunte di coppie di variabili estratte in istanti di tempo diverso oppure a frequenze diverse. Ciò consente di misurare la dipendenza statistica tra i parametri del canale. Due parametri sono importanti per misurare la variabilità di un canale: il tempo di coerenza e la banda di coerenza. Il tempo di coerenza del canale è definito come il tempo entro il quale il canale è da ritenere pressoché invariante. Analogamente, la banda di coerenza è la banda di frequenze entro la quale la funzione di trasferimento del canale è da ritenersi all’incirca costante. Per esempio, nel caso del canale tra una stazione base e un cellulare mobile, in un ambiente urbano, il tempo di coerenza assume l’espressione seguente
[9] formula
avendo indicato con λ la lunghezza d’onda della portante e con ν il modulo del vettore velocità. In modo simile, se indichiamo con στ la dispersione dei ritardi introdotti dal canale, la banda di coerenza è pari a
[10] formula
dove κ è una costante moltiplicativa che dipende dalla distribuzione delle ampiezze dei ritardi. Dalla [9] si evince che il canale è tanto più tempo-variante quanto maggiore è la velocità relativa tra trasmettitore e ricevitore o, per una data velocità, quanto minore è la lunghezza d’onda del segnale trasmesso. Poiché la lunghezza d’onda è inversamente proporzionale alla frequenza della portante utilizzata, la variabilità del canale è sempre più evidente man mano che aumenta la portante utilizzata.
La classificazione del canale e le azioni da svolgere al ricevitore per compensarne le distorsioni non desiderate dipendono dalla relazione esistente tra la durata e la banda del segnale trasmesso, da un lato, e il tempo e la banda di coerenza del canale, dall’altro. In particolare, si dice che un canale è ‘selettivo in frequenza’ o, equivalentemente, ‘dispersivo nel tempo’, se la banda del segnale B è maggiore della banda di coerenza del canale Bc. Analogamente, un canale è ‘selettivo in tempo’ (o dispersivo in frequenza), se la durata del segnale trasmesso T è maggiore del tempo di coerenza del canale Tc.
Se un canale è selettivo in frequenza, occorre inserire un equalizzatore in ricezione per compensare la distorsione lineare introdotta dal canale. Ciò richiede la stima del canale, in ricezione. Al contrario, poiché è arduo predire l’andamento nel tempo del canale, si tende a evitare la selettività in tempo del canale utilizzando dei segnali in trasmissione la cui durata sia minore del tempo di coerenza del canale.
È importante sottolineare che, sebbene le selettività in frequenza e nel tempo del canale siano in genere viste come inconvenienti, in realtà possono essere convertite in una sorgente di guadagno, il cosiddetto guadagno di diversità, se trasmettitori e ricevitori vengono progettati tenendone conto. Alcuni accenni ai sistemi in diversità saranno esposti più avanti.
Un esempio di sistema di trasmissione wireless è composto dai blocchi riportati in fig. 4.
I dati emessi da una sorgente sono inizialmente codificati mediante un codificatore di sorgente che ne riduce la ridondanza. Per ottenere alti rapporti di compressione, si usano tipicamente codifiche con perdite, per cui il segnale ricostruito in ricezione non è esattamente uguale al segnale di partenza, ma la distorsione può essere resa praticamente impercettibile. Esempi di codifica di sorgente con perdita utilizzati sono la codifica a predizione del segnale vocale, la codifica mp3 per i file audio, la codifica JPEG per le immagini e la codifica MPEG per i segnali video. Queste codifiche sfruttano la forte correlazione tra i campioni dei segnali o, nel caso delle immagini o dei segnali video, tra i pixels di un’immagine o tra un quadro e il successivo.
A valle della codifica di sorgente opera un codificatore di canale che introduce bit di ridondanza in modo da consentire la rivelazione o correzione di errori al ricevitore. I dati da inviare sono suddivisi in pacchetti. Ogni pacchetto contiene una codifica che consente di rivelare la presenza di errori. In questo caso, il ricevitore può richiedere la ritrasmissione dei pacchetti errati. Esempi di codifiche di canale comunemente usate sono i codici convoluzionali, i codici di Reed-Solomon, i turbocodici.
Poiché il canale radio ha un tempo di coerenza dettato dalla variabilità nel tempo del canale stesso, è utile associare a ogni parola da codificare dei bit codificati che non sono in stretta successione, per evitare che molti di essi siano in errore in quanto trasmessi in un intervallo di tempo in cui il canale assume valori particolarmente bassi. Per ovviare a tale inconveniente, si usa interallacciare i bit codificati tra loro, in modo che gli eventuali errori associati ai bit di una stessa parola divengano pressoché scorrelati. Ciò consente una maggiore capacità di correzione di errori isolati al ricevitore. Questa operazione di interallacciamento è nota come interleaving. La profondità dell’interleaving è dettata dal tempo di coerenza del canale.
Il terzo blocco presente in fig. 4 contiene la codifica di utente. Per consentire la condivisione del canale radio, occorre infatti associare un codice diverso a ciascun utente. Ciò consente al ricevitore di separare i segnali trasmessi da utenti diversi.
I bit codificati vengono quindi raggruppati e a ciascun gruppo di m bit viene associato un simbolo di una costellazione composta da 2m elementi. Tipicamente, si usano costellazioni complesse, i cui elementi sono composti da una coppia di simboli reali, interpretati, per comodità, come la parte reale e la parte immaginaria di un numero complesso. Esempi di costellazioni complesse comunemente usate nelle trasmissioni wireless sono la QAM (Quadrature amplitude modulation) e la PSK (Phase shift keying). La modulazione PSK è caratterizzata da un’ampiezza costante, il che la rende appropriata per trasmettitori i cui amplificatori di potenza entrano in regime di saturazione. La modulazione QAM, al contrario, dà luogo a simboli con diversa ampiezza, quindi è meno adatta della PSK a operare in regime di saturazione. Però, se si lavora in regime di linearità, la QAM consente di ottenere, a pari ampiezza massima in trasmissione e pari varianza dell’errore, una minore probabilità di errore della PSK.
Trasmettere un simbolo complesso significa, in pratica, trasmettere una coppia di simboli reali simultaneamente. Per consentire la ricezione separata di ciascun termine della coppia, i due simboli reali vengono associati rispettivamente alla componente in fase e in quadratura di una portante sinusoidale. Più specificamente, come mostrato in fig. 4, all’uscita del modulatore che mappa una sequenza di bit in un simbolo complesso avremo due flussi di dati, identificati come la parte reale e la parte immaginaria della sequenza di simboli complessa. Ciascuna sequenza viene convertita in un segnale a tempo continuo mediante un convertitore D/A (digitale/analogico). Il segnale associato alla parte reale viene quindi moltiplicato per un termine cos(2πf0t) (componente in fase), mentre il segnale associato alla parte immaginaria viene moltiplicato per un termine sen(2πf0t) (componente in quadratura). I due segnali risultanti vengono quindi sommati, amplificati e inviati al sistema di antenna che provvede all’irradiazione del segnale corrispondente.
Nel caso di trasmissione di segnali a modulazione di fase continua o CPM (Continuous phase modulation), la sequenza di bit {bn} passa inizialmente attraverso un filtro numerico, che restituisce una sequenza Φ(n). Tale sequenza viene quindi convertita, mediante due tabelle (memorie ROM), in due sequenze cos(Φ(n)) e sen(Φ(n)). Queste due sequenze vengono poi convertite in due segnali a tempo continuo cos(Φ(t)) e sen(Φ(t)), mediante convertitori digitale/analogico. Le due componenti sono quindi moltiplicate, rispettivamente, per la portante cos(2πf0t) e per una sua versione sfasata di 90 gradi, −sen(2πf0t). I due segnali così ottenuti sono quindi sommati e amplificati, producendo il segnale a modulazione di fase da trasmettere
[11] formula.
Agendo sul filtro numerico iniziale, si possono far variare le caratteristiche della fase istantanea Φ(t). In particolare, se la durata della risposta impulsiva del filtro è pari alla durata di un simbolo trasmesso, la fase istantanea varia in genere bruscamente quando si passa da un periodo di simbolo al successivo. Tale variazione brusca porta, come conseguenza, un allargamento dello spettro del segnale trasmesso. Per evitare questo inconveniente, si può utilizzare un filtro con risposta impulsiva di durata maggiore del periodo di simbolo. Ciò rende la fase istantanea Φ(t) continua per costruzione. La modulazione corrispondente è una CPM. Un caso particolare della CPM è la modulazione Gaussian minimum shift keying (GMSK) usata nel sistema cellulare GSM. Le caratteristiche principali della modulazione GMSK sono di avere un inviluppo costante e una buona efficienza spettrale.
Lo schema di fig. 4 può essere visto come uno schema di trasmissione su portante singola. Uno schema che sta ricevendo molta attenzione negli ultimi anni, per le sue capacità di combattere efficacemente la selettività in frequenza del canale, è lo schema di trasmissione multi-portante.
Nei sistemi a larga banda, in cui la banda del segnale è maggiore della banda di coerenza del canale, è necessario equalizzare il canale al ricevitore, prima della decodifica, per evitare interferenza intersimbolica. L’equalizzazione può essere effettuata facendo transitare il segnale ricevuto a un filtro che compensi la distorsione lineare introdotta dal canale. Alternativamente, per facilitare l’operazione di equalizzazione, è possibile seguire il seguente approccio. Invece di trasmettere un simbolo di durata T su una banda B=1/T, si trasmettono N simboli in parallelo su N sottocanali, ognuno di banda B/N, utilizzando un tempo di NT secondi. Ogni sottocanale dista dal canale adiacente di un intervallo B/N. In tal modo, si trasmettono N simboli in NT secondi, utilizzando una banda B, come nel sistema iniziale, per cui la velocità di trasmissione dei simboli non cambia. Però, se N è scelto in modo tale che la banda di ciascun sottocanale B/N sia minore della banda di coerenza del canale, la suddetta tecnica di trasmissione consente di convertire la trasmissione su un singolo canale a banda larga, selettivo in frequenza, nella trasmissione in parallelo su un insieme di N sottocanali a banda stretta, ognuno approssimativamente piatto in frequenza. In questo modo, l’equalizzazione su ciascun sottocanale è considerevolmente semplificata, in quanto può essere realizzata mediante un semplice rifasamento del segnale ricevuto sulla relativa sottoportante.
L’idea così descritta ha portato allo sviluppo dei sistemi OFDM (Orthogonal frequency division multiplexing). Un sistema OFDM opera nel modo seguente. I bit emessi dalla sorgente sono codificati e mappati in simboli di una costellazione (tipicamente QAM). I simboli sono quindi raggruppati in blocchi di N dati. L’operazione di creazione di N sottocanali paralleli è ottenuta mediante una trasformata di Fourier discreta (Discrete Fourier transform o DFT) inversa. Nel caso in cui N sia una potenza di 2, la DFT può essere implementata mediante IFFT (Inverse fast Fourier transform). Questa operazione è effettuata mediante un chip integrato apposito. Sono attualmente disponibili in commercio chip che calcolano la FFT su blocchi di migliaia di campioni. Al blocco in uscita dalla IFFT viene aggiunto un prefisso ciclico di durata pari alla massima durata del canale. Il blocco risultante viene quindi letto serialmente, convertito in analogico, modulato, amplificato e trasmesso. Al ricevitore, dopo una demodulazione convenzionale, avviene l’operazione inversa della FFT. Ognuno degli N sottocanali viene equalizzato molto semplicemente mediante moltiplicazione per un coefficiente che compensa la variazione di fase introdotta dal canale. I campioni risultanti vengono quindi decodificati. I coefficienti utilizzati per l’equalizzazione sono ottenuti mediante una stima del canale che si ottiene molto semplicemente spedendo periodicamente dei toni pilota. Il vantaggio principale dei sistemi OFDM è quindi la semplicità con cui consentono di equalizzare canali a larga banda. Gli aspetti più critici dei sistemi OFDM sono la necessità di una accuratezza elevata nella sincronizzazione in frequenza e la modulazione di ampiezza del segnale trasmesso.
I sistemi di comunicazione wireless adoperano il canale radio che, per definizione, è un canale condiviso da molti utenti. È necessario quindi stabilire delle regole di accesso al canale che consentano la condivisione. I meccanismi di accesso si dividono in metodi con o senza contesa.
Nei sistemi senza contesa, a ogni utente viene assegnata una risorsa radio per tutto il tempo associato alla comunicazione. A seconda della risorsa assegnata, si hanno: (a) i sistemi a divisione di frequenza o FDMA (Frequency division multiple access); (b) i sistemi a divisione di tempo o TDMA (Time division multiple access); (c) i sistemi a divisione di codice o CDMA (Code division multiple access).
Nei sistemi FDMA a ciascun utente è assegnata una banda di frequenze non sovrapposta a quelle già assegnate ad altri utenti. In genere, tra una banda e l’altra si inserisce un intervallo di guardia utile per facilitare la separazione di utenti diversi in ricezione e per prevenire interferenze dovute a errori di sincronizzazione in frequenza. Il sistema FDMA è adatto alle situazioni in cui il traffico è relativamente stazionario, come per esempio nella trasmissione della voce. Al contrario, FDMA è meno adatto per la trasmissione di dati emessi in modo sporadico, come nel caso di dati trasmessi da un computer da utenti che accedono sporadicamente ad Internet, per esempio.
Nei sistemi TDMA, a ciascun utente è assegnato un dato intervallo temporale (time slot) all’interno di una trama. Il sistema TDMA è duale a FDMA. Al contrario di FDMA, nel TDMA a ciascun utente viene assegnata tutta la banda disponibile, ma solo per una percentuale della durata della trama. Il sistema più comune basato su TDMA è la rete telefonica pubblica. Come con FDMA, il TDMA è più appropriato per traffico stazionario e meno adatto per trasportare traffico sporadico.
Il sistema TDMA è in genere più flessibile di FDMA nell’allocare diverse velocità di trasmissione a diversi utenti, semplicemente assegnando più o meno time slot in una stessa trama. In una trasmissione wireless, inoltre, un sistema TDMA può trasmettere segnali a inviluppo costante, il che consente l’uso di amplificatori di potenza che lavorano in regime di saturazione. Al contrario, FDMA richiede la linearità degli amplificatori di potenza. I sistemi TDMA sono inoltre più robusti rispetto a interferenze a banda stretta. In presenza di interferenze a banda stretta, infatti, la potenza interferente può compromettere considerevolmente le prestazioni del canale FDMA corrispondente. Al contrario, in un sistema TDMA un’interferenza a banda stretta incide solo con una porzione della sua potenza su ciascun time slot. I sistemi FDMA, invece, sono più robusti rispetto al rumore impulsivo, di durata temporale limitata. Infine i sistemi TDMA, composti da tanti canali a banda larga, possono richiedere equalizzazione al ricevitore. Invece, nei sistemi FDMA, ciascun canale è spesso piatto in frequenza per cui non c’è bisogno di equalizzazione.
Nei sistemi CDMA, a ciascun utente viene assegnato un codice. I codici assegnati a utenti diversi sono forme d’onda ortogonali e a larga banda. In linea di principio, a ciascun utente è consentito usare tutta la banda disponibile, per tutto il tempo di ciascuna trama. La separazione degli utenti in ricezione avviene sfruttando l’ortogonalità dei codici assegnati a utenti diversi. In realtà, nella propagazione su canali affetti da cammini multipli (selettivi in frequenza) le forme d’onda, anche se ortogonali in trasmissione, vengono ricevute come non perfettamente ortogonali. Ciò genera interferenza multiutente. Tale interferenza può essere comunque mantenuta limitata utilizzando opportune tecniche di elaborazione in ricezione, controllando la potenza emessa da ciascun utente e limitando il numero di utenti che accedono contemporaneamente al sistema.
I sistemi CDMA sono meno rigidi dei sistemi TDMA e FDMA nell’assegnare risorse fisiche quali intervalli di tempo o frequenza, nel senso che evitano il rischio di assegnare una risorsa radio che, qualora inutilizzata, sarebbe persa. Peraltro i sistemi CDMA sono limitati dall’interferenza multiutente, che va mantenuta sotto controllo.
I vantaggi principali dei sistemi CDMA sono i seguenti: (a) al contrario dei sistemi TDMA, possono operare senza una sincronizzazione temporale perfetta degli utenti; (b) sono robusti contro rumori impulsivi oppure interferenze a banda stretta; (c) nei sistemi cellulari consentono, a utenti posti nella regione di confine tra due celle, di sfruttare i segnali provenienti da stazioni base diverse; (d) permettono di avere una struttura in celle di dimensioni variabili, in maniera tale da mantenere il livello di interferenza pressoché costante da una cella all’altra. In questo modo, zone con più alta densità di utenti attivi saranno coperte automaticamente da celle di dimensioni più piccole rispetto a zone caratterizzate da una densità minore.
I sistemi TDMA e FDMA sono sistemi rigidi: una volta assegnata una risorsa a un utente, quella risorsa non viene liberata fintanto che l’utente non abbatte il collegamento. Il sistema CDMA ha maggiore flessibilità ma anche nel suo caso, una volta assegnato un codice a un utente, esso non può essere assegnato ad altri fintanto che non viene reso disponibile dall’utente cui era stato assegnato. Nei casi in cui il traffico è molto sporadico, tipicamente nelle comunicazioni tra calcolatori, è meglio seguire una filosofia alternativa basata sull’accesso aleatorio o con contesa. Un esempio di accesso con contesa è il CSMA (Carrier sense multiple access).
In tal caso, quando un utente ha dei dati da trasmettere prova autonomamente a impegnare il canale radio, per esempio un time slot. Se nessun altro ha cercato di usare quello stesso time slot, l’utente può iniziare a trasmettere. Se, al contrario, c’è una collisione perché più utenti hanno tentato di accedere alla stessa risorsa, si ha una contesa. In tal caso, ciascun contendente aspetta un tempo scelto a caso e riprova a trasmettere su un altro canale. L’inizio della comunicazione avviene quando non ci sono contese. In questo modo, l’uso di un canale è dettato dall’effettiva esigenza di trasmettere e non da un’assegnazione rigida delle risorse radio.
La variabilità del canale radio è uno degli aspetti più critici dei sistemi wireless, come già evidenziato a commento della fig. 3. Una delle tecniche più efficaci per contrastare tale variabilità consiste nello sfruttare la diversità, possibile quando il collegamento tra sorgente e destinatario è composto da più canali in parallelo. I canali in parallelo possono essere canali spaziali nel caso di sistemi con antenne multiple, oppure canali frequenziali nel caso di trasmissioni multiportante. I sistemi con ingressi multipli e uscite multiple sono noti come sistemi MIMO (Multiple input-multiple output).
Misurando le prestazioni di un sistema mediante il rapporto segnale/rumore necessario per garantire una prefissata probabilità di errore, dalla fig. 3 è evidente che la trasmissione su un canale wireless può andare incontro a perdite significative rispetto a un canale deterministico. Per ovviare a tali perdite, è possibile usare i sistemi in diversità. Il più semplice modello di tale sistema è basato sull’uso di L antenne riceventi, poste a distanza sufficiente da assicurare l’indipendenza statistica tra i canali relativi. Nel terminale mobile usato in un sistema cellulare, questa distanza tra le antenne dovrebbe essere dell’ordine di λ/2, dove λ è la lunghezza d’onda. Tale requisito limita però l’impiego delle antenne multiple a terminali di una certa dimensione, un computer portabile per esempio, piuttosto che a un cellulare, al quale si richiede di avere dimensioni sempre più piccole.
Una soluzione alternativa per ottenere un guadagno di diversità significativo consiste nell’utilizzare antenne multiple in trasmissione, per esempio alla stazione base, pur continuando a usare un’antenna singola sul terminale mobile. In tal caso, è necessario codificare la sequenza da trasmettere utilizzando i cosiddetti codici spazio-temporali. Grazie al loro uso, in un sistema con L antenne in trasmissione e una sola antenna in ricezione, è possibile raggiungere prestazioni simili a quelle ottenibili con un sistema di una sola antenna in trasmissione e L antenne in ricezione. In particolare, il guadagno di diversità ottenibile usando L antenne in totale, a condizione che i canali tra ciascuna antenna trasmittente e ciascuna antenna ricevente siano statisticamente indipendenti, è mostrata in fig. 3 al variare di L. Dalla figura si evince che, all’aumentare del numero di canali indipendenti, è possibile recuperare gran parte delle perdite dovute all’aleatorietà dei canali. Ciò mostra che la variabilità del canale può essere efficacemente combattuta utilizzando i sistemi in diversità.
Metodi alternativi per ottenere guadagni di diversità tramite antenne singole consistono nel creare canali multipli sfruttando la polarizzazione delle onde elettromagnetiche oppure i sottocanali dei sistemi multiportante.
I sistemi multiantenna possono essere usati non soltanto per ottenere un guadagno di diversità, ma anche per aumentare la capacità del canale, rispetto ai sistemi ad antenna singola, a parità di banda e di potenza trasmessa. Per ottenere tale vantaggio, è necessario avere antenne multiple sia in trasmissione che in ricezione. Il canale risultante è noto come canale MIMO. Si è dimostrato infatti che la capacità ergodica di un canale MIMO composto da nT antenne in trasmissione e nR antenne in ricezione è rappresentata da
[12] C = min(nT,nR)log2(1 + βSNR) bps
raggiungibile se i canali tra le antenne trasmittenti e quelle riceventi sono statisticamente indipendenti. Data lacronica scarsità delle bande di frequenza disponibili, la [12] indica le grandi potenzialità dei sistemi MIMO come sistemi in grado di aumentare la capacità del canale senza richiedere né maggiore banda, né maggiore potenza complessiva in trasmissione. È utile sottolineare che il guadagno di capacità è possibile se il numero delle antenne in trasmissione e in ricezione è maggiore di uno. Inoltre, il guadagno previsto dalla [12] è ottenibile solo se i canali sono statisticamente indipendenti, il che richiede una spaziatura sufficiente tra le antenne. In pratica, la richiesta di indipendenza statistica implica che il canale radio sia composto da molti percorsi che arrivano alle antenne riceventi da un grande intervallo angolare. Se le antenne trasmittenti e riceventi sono in linea di vista, non c’è il guadagno di capacità previsto dalla [12]. D’altro canto, se c’è un canale diretto il rapporto segnale/rumore al ricevitore è tipicamente alto, per cui la capacità è buona. Al contrario, se non ci sono percorsi diretti – come per esempio nella trasmissione da una stazione base a un terminale mobile collocato in un ambiente urbano caratterizzato da molte riflessioni – il rapporto segnale/rumore risente fortemente dell’aleatorietà del canale e, di conseguenza, la capacità può essere bassa. Tuttavia, proprio in tal caso, è più probabile che i canali siano indipendenti e quindi esiste la possibilità di ottenere il guadagno di capacità offerto dai sistemi MIMO. È per questi motivi che negli ultimi documenti di standardizzazione dei sistemi wireless si è inserita la possibilità di usare sistemi MIMO.
Una rete cellulare è progettata in modo da coprire un dato territorio, assicurando una prefissata qualità del servizio agli utenti che ne fanno uso. La sua caratteristica fondamentale è la suddivisione del territorio in tante celle adiacenti, ciascuna servita da una stazione base. In ogni cella c’è una stazione base che possiede e aggiorna periodicamente la lista degli utenti mobili presenti nella propria cella. La stazione base è connessa con la rete pubblica e provvede a instradare le comunicazioni tra gli utenti mobili o tra utenti mobili e fissi e viceversa. A ogni stazione è assegnato un sottoinsieme delle risorse globali della rete. Nei sistemi cellulari di seconda generazione, per esempio, ogni cella ha a disposizione una frazione della banda totale. Per migliorare l’efficienza del sistema complessivo, però, la stessa risorsa assegnata a una cella viene riutilizzata da celle poste a distanze tali da garantire una bassa interferenza. Tale meccanismo è noto come riuso spaziale delle frequenze. Le celle sono tipicamente organizzate in gruppi, o cluster, ognuno dei quali utilizza tutta la banda disponibile. La disposizione delle celle all’interno di un cluster è scelta in modo da massimizzare il rapporto segnale/interferenza.
Un esempio schematico è riportato in fig. 5: sono mostrate varie celle, ciascuna contraddistinta dalla propria banda, organizzate secondo due tipi di cluster, uno composto da tre celle e uno composto da sette celle.
Il numero N di celle che compongono un cluster è detto fattore di riuso. Due celle che usano la stessa banda di frequenza sono dette celle cocanale. Per un dato raggio R di una cella, aumentando il fattore di riuso si aumenta il rapporto di potenza S/I tra segnale utile e interferenza cocanale, cioè l’interferenza dei segnali provenienti dalle celle cocanale. Il fattore di riuso si può calcolare facilmente mediante la seguente formula
[13] N = i2 + ij + j2
dove gli interi i e j misurano il numero di passi, partendo da una cella, che devono essere contati lungo le due direzioni in cui si sviluppa il cluster, in modo da raggiungere la più vicina cella che riusa la stessa banda di frequenza. Per esempio, nel caso del cluster da tre si ha i=1 e j=1, mentre il cluster da sette corrisponde a prendere i=1 e j=2. La minima distanza D tra due celle co-canale è detta distanza di riuso e vale
[14] formula.
Il rapporto tra D e R, e quindi indirettamente il fattore di riuso N, è dettato dal requisito sul rapporto di potenza S/I tra segnale utile e interferenza cocanale. Tale rapporto può essere calcolato approssimativamente nel modo seguente. Consideriamo un utente mobile al bordo di una cella, cioè a distanza R dalla stazione base. Indichiamo con Dk la distanza tra l’utente mobile e la stazione base della k-sima cella cocanale più vicina. Assumendo che tutte le stazioni trasmettano con la stessa potenza e che la potenza associata all’onda elettromagnetica si attenui con la distanza secondo un coefficiente D−γ, dove γ è l’esponente di attenuazione, il rapporto segnale/interferenza vale
[15] formula
dove K indica il numero di celle interferenti. Nella propagazione in ambienti urbani γ assume valori che vanno tipicamente da 2 a 6. Se si considerano soltanto le celle più vicine, dalle quali l’interferenza è più forte, si tiene conto che la struttura esagonale dei cluster fa sì che per ogni cella ci sono sempre sei celle cocanale poste alla stessa distanza indipendentemente dal fattore di riuso, e infine si assume per semplicità che le distanze tra le stazioni delle celle cocanale e l’utente siano uguali tra loro, cioè Dk=D, si arriva a un’espressione semplificata del rapporto segnale/interferenza:
[16] formula
avendo posto q=D/R. Il rapporto S/I minimo è dettato dal requisito sulla massima probabilità di errore. Richiedendo per esempio un rapporto S/I pari a 10 dB e combinando la [13] e la [14], si ottengono vari fattori di riuso in funzione dell’esponente di attenuazione: per γ=4 si ottiene N=2,58, mentre per γ=3 si ha N=5,1. Ovviamente N deve essere un numero intero e non tutti i fattori di riuso sono possibili ma solo quelli dettati dalla [13]. Di conseguenza, nei due casi precedenti, utilizzando ancora la [13] si ottengono rispettivamente N=3 e N=7. Come prevedibile, in ambienti con forti attenuazioni (tipicamente urbani) e quindi alti valori di γ, si ottiene un fattore di riuso più basso, mentre in ambienti con minore attenuazione occorre utilizzare fattori di riuso più alti.
L’efficienza di un sistema cellulare si misura in base al traffico trasportato per cella, normalizzato alla banda totale utilizzata. Se si indica con nc il numero di canali per cella, con W la banda di ciascun canale, con N la dimensione del cluster, con S l’area di ciascuna cella e con Ac il traffico per cella, il rendimento è pari a
[17] formula.
Nei sistemi cellulari esistenti si è soliti classificare le celle come macrocelle, microcelle e picocelle, a seconda delle loro dimensioni. Le macrocelle sono tipicamente usate per coprire zone a bassa densità di traffico (aree rurali o montane). Il loro raggio varia tipicamente da 1 a qualche decina di km. Le microcelle, al contrario, sono utilizzate per coprire aree ad alta densità di traffico (aree urbane) e il loro raggio varia da 200 m a 1 km. L’uso delle picocelle è infine di solito ristretto a coprire ambienti interni (indoor) e il loro raggio varia da 10 m a 200 m.
Le potenze trasmesse e il delay spread ovviamente cambiano a seconda della dimensione delle celle.
Alcune caratteristiche tipiche, da prendere solo come indicative data la grande variabilità delle situazioni, sono riassunte nella tab.1.
Il sistema di seconda generazione GSM ha iniziato ad operare in Europa nel 1991. L’acronimo deriva dal nome del gruppo di lavoro istituito dalla Conférence Européenne des Administrations des Postes et des Télécommunications per progettare una rete cellulare europea digitale: Groupe Spécial Mobile (GSM). Le caratteristiche tecniche principali del GSM sono le seguenti.
Codifica. - Il segnale vocale è codificato in modo da non eccedere la velocità di trasmissione di 16 kbit/s. Tale valore, pur così inferiore ai 64 kbit/s della rete telefonica fissa, determina una qualità del suono ritenuta comunque soddisfacente grazie al codificatore del segnale vocale adottato. La codifica usa una combinazione di predizione a lungo termine ed eccitazione regolare di impulsi. Dal 1998, è stato introdotto un nuovo codificatore del segnale vocale, l’Enhanced full rate (EFR), che opera suddividendo i bit da codificare in tre classi a seconda della loro importanza soggettiva, in termini di qualità del segnale ricostruito. I bit della classe più importante vengono in seguito protetti maggiormente rispetto ai bit meno importanti. A parità di numero finale di bit trasmesso nell’unità di tempo, questo tipo di combinazione della codifica di sorgente e codifica di canale consente di avere dei vantaggi rispetto alla codifica classica.
Modulazione. - Il GSM usa la modulazione di fase Gaussian minimum shift keying (GMSK). La scelta di questo tipo di modulazione è dettata da due proprietà importanti della GMSK: (a) consente di trasmettere segnali con inviluppo costante, il che permette un uso efficiente degli amplificatori di potenza presenti nei cellulari; (b) la fase istantanea del segnale trasmesso non presenta mai discontinuità. Di conseguenza, lo spettro del segnale trasmesso è ben localizzato nella banda allocata, il che consente di ridurre al minimo la spaziatura tra canali FDM.
Metodo di accesso. - Il sistema opera in modalità frequency division duplexing, nel senso che le trasmissioni dalle stazioni base agli utenti mobili avvengono in una banda di frequenza diversa da quella utilizzata per la trasmissione dagli utenti mobili alle stazioni base. In particolare, nel sistema operante intorno ai 900 MHz, la trasmissione da parte delle stazioni base avviene nella banda da 935 a 960 MHz (canale di downlink), mentre le trasmissioni verso le stazioni base avvengono nella banda da 890 a 915 MHz (canale di uplink). Il metodo di accesso è una combinazione di TDM e FDM. I canali radio sono spaziati di 200 KHz, il che consente l’esistenza di 124 canali FDM entro la banda di 25 MHz allocata su entrambe le tratte downink e upink. Nella modalità TDM ci sono 8 intervalli temporali (time slots) di durata 0,577 ms, organizzati in una trama (frame) di durata 4,615 ms. Ciascun canale fisico è quindi caratterizzato dalla sua portante e dal time slot corrispondente. Successivamente, al GSM sono state assegnate le bande di frequenza intorno ai 1800 e ai 1900 MHz, per venire incontro alla sempre crescente domanda di traffico radio.
Dimensione delle celle. - Il raggio delle celle può variare in relazione alla densità degli utenti. Usando celle grandi, diminuisce la frequenza degli handover (passaggio di un utente da una cella all’altra). D’altro canto, sistemi con celle più piccole sono più efficienti in quanto possono operare con una minore potenza di trasmissione. In pratica, la dimensione delle celle è determinata dal volume di traffico previsto. Per esempio, nelle aree rurali possono avere un raggio che arriva a 35 km. Raggi maggiori sono improponibili perché, oltre alla potenza richiesta, determinerebbero anche un ritardo di propagazione intollerabile. Al contrario, nelle aree metropolitane, il raggio delle celle è dell’ordine delle centinaia di metri e ciò consente un volume di traffico fino a 200 erlang/km2.
Nel contesto dell’evoluzione del GSM verso i sistemi cellulari di terza generazione, è stata data particolare importanza alla richiesta sempre maggiore di scambio di messaggi multimediali e accesso radio a Internet. Il risultato è stata l’introduzione nel 2001 del General packet radio service (GPRS). Esso rappresenta la prima implementazione della commutazione di pacchetto all’interno del GSM, che è essenzialmente una tecnica a commutazione di circuito. La differenza fondamentale sta nel fatto che nella commutazione di circuito, una volta stabilito un collegamento (circuito) tra due utenti, la risorsa radio associata al collegamento non può essere usata da nessun altro utente fintanto che il collegamento non viene abbattuto, mentre nella commutazione di pacchetto una risorsa radio è impegnata solo quando ci sono effettivamente dei dati da trasmettere. La stessa risorsa radio può quindi essere condivisa tra più utenti. Il GPRS consente una velocità di trasmissione fino a 114 kbit/s.
L’evoluzione successiva ha portato all’introduzione del sistema Enhanced data rate for GSM, noto come EDGE. EDGE, a differenza di GSM e GPRS, utilizza una modulazione 8-PSK e consente di ottenere velocità di trasmissione fino a 236 kbit/s. Inoltre, permette lo scambio di segnali multimediali pur utilizzando la stessa struttura base del GSM.
In Europa, il sistema cellulare di terza generazione è stato sin dall’inizio identificato come Universal mobile telecommunications system (UMTS). Dal 1999, si è formato il Third generation partnership project (3GPP) con lo scopo di coordinare le iniziative presenti in varie nazioni verso la definizione di un sistema comune di terza generazione.
UMTS nasce per la trasmissione di segnali multimediali (voci, immagini, video) e la navigazione su Internet. I sistemi UMTS attualmente operanti arrivano fino auna velocità di 384 kbit/s, ma è previsto un aggiornamento dello standard in modo da arrivare fino a 2 Mbit/s. In generale, le velocità maggiori sono previste per gli utenti a bassa mobilità, mentre utenti a bordo di automobili o treni possono comunque usufruire del servizio ma a velocità minori. Il sistema prevede l’uso di velocità di trasmissione variabili, in funzione dei requisiti dell’utente e della disponibilità di codici. A differenza del GSM, l’accesso al canale radio si basa sulla tecnica CDMA. Ogni utente utilizza tipicamente tutta la banda e tutta la durata del frame. La separazione degli utenti avviene assegnando a ogni utente un codice ortogonale ai codici assegnati agli altri utenti. La velocità variabile viene ottenuta assegnando agli utenti un codice di lunghezza variabile (da 4 a 256 chip) e un codice a correzione di errore con diverso rapporto di codifica. A differenza del GSM, in UMTS celle adiacenti possono usare la stessa banda di frequenza. La separazione tra utenti appartenenti a celle diverse avviene assegnando a ogni cella un codice di scrambling diverso, identificativo della cella. Il fatto che celle adiacenti usino la stessa banda di frequenza consente ai terminali mobili che si trovano al confine tra una cella e l’altra di utilizzare i segnali da entrambe le celle. La dimensione di una cella in un sistema CDMA è intrinsicamente variabile, in quanto l’accesso da parte di un utente dipende dal livello di interferenza presente nella cella. Quindi celle con basso traffico tendono a essere più estese rispetto a celle con alta intensità di traffico. La copertura varia in realtà dinamicamente in funzione del traffico presente. Questa proprietà è nota come cell breathing.
Le reti locali WLAN (Wireless local area network) sono utilizzate per coprire aree geografiche di dimensioni limitate, tipicamente distanze indoor di 20÷25 m e distanze outdoor di 50÷500 m. Le bande di frequenze utilizzata sono quelle senza licenza, intorno ai 2,4 e 5 GHz. Le specifiche tecnologiche per le WLAN sono stabilite dallo standard IEEE 802.11. I terminali mobili possono es-sere di vario tipo: notebook, palmari, cellulari. Tipicamente, questi terminali accedono alla WLAN tramite un access point (AP), in genere collegato alla rete fissa.
Esistono vari tipi di strato fisico previsti per le WLAN. Lo standard 802.11-b, a 2,4 GHz, è un sistema a portante singola con codifica spread spectrum e vari tipi di modulazione che consentono di arrivare a velocità di trasmissione fino a 11 Mbps. Lo standard 802.11-a, a 5 GHz, prevede l’uso di OFDM, con numero di sottoportanti 52 e costellazioni di dimensione variabile su ciascuna sottoportante. La velocità di trasmissione è variabile in funzione delle condizioni del canale e il sistema supporta velocità fino a 54 Mbps.
L’accesso al mezzo è tipicamente con contesa. Il protocollo scelto è il CSMA/CA (Carrier sense multiple access/collision avoidance). A fianco del sensing fisico del canale, ne viene implementato anche uno virtuale, effettuato mediante uno scambio di pacchetti preliminare alla trasmissione.
Il sistema WiMAX (Worldwide interoperability for microwave access) è il sistema previsto per la diffusione delle connessioni a larga banda nelle aree rurali e montane. WiMAX è un sistema a larga banda per utenti fissi o a bassissima mobilità. Prevede una copertura fino a 50 km nel caso in cui sia presente un percorso diretto tra trasmettitore e ricevitore e una copertura fino a 9 km nel caso in cui non ci sia un percorso diretto. WiMAX utilizza una modulazione adattativa: ad alti rapporti segnale/rumore (tipicamente 22 dB) si usa la modulazione 64 QAM, mentre a bassi rapporti (dell’ordine dei 6 dB) si usa una semplice modulazione BPSK. Questa tecnica consente di coprire il territorio con diverse velocità di trasmissione, in funzione della distanza dell’utente dalla stazione base. WiMAX prevede l’uso di bande di 20, 25 e 28 MHz. Combinando le diverse larghezze di banda con le diverse modulazioni disponibili, QPSK, 16 QAM e 64 QAM, è possibile ottenere bit rate fino a 134,4 Mbit/s, come evidenziato nella tab. 2. L’impulso sagomatore è un coseno rialzato con fattore di roll-off pari a 0,25.
Le portanti utilizzate per WiMAX vanno da 2 a 66 GHz. In pratica, si distinguono due modi operativi a seconda della portante utilizzata. Nei sistemi utilizzanti portanti tra 10 e 66 GHz, si richiede una trasmissione con un percorso diretto. Data la forte direttività delle antenne in tali bande, il canale è approssimativamente piatto in frequenza. Nei casi in cui sia difficile avere un percorso diretto, è preferibile utilizzare portanti con minore frequenza. Si usano allora portanti da 2 a 11 GHz. Poiché WiMAX usa una banda larga, il canale è selettivo in frequenza e quindi occorre equalizzare il canale in ricezione. Per semplificare l’equalizzazione del canale, è previsto l’uso di OFDM nelle bande da 2 a 11 GHz.
Un campo applicativo che ha ricevuto una notevole attenzione negli ultimi anni è quello delle reti di sensori, sistemi utilizzati per monitorare l’ambiente naturale o costruzioni artificiali. Nella loro versione più comune, le reti sono composte da nodi che misurano dei parametri fisici da tenere sotto controllo e li inviano ad una stazione di raccolta dati. La stazione elabora i dati raccolti e prende decisioni sullo stato del fenomeno osservato. Le applicazioni sono molto vaste, dal monitoraggio ambientale per la rivelazione di contaminanti o la prevenzione di incendi (tenendo sotto controllo temperatura, umidità del suolo e condizioni del vento), al controllo di intrusioni in ambienti protetti, fino al monitoraggio di strutture meccaniche sottoposte a sollecitazioni come i ponti o le dighe. Uno degli aspetti critici più evidenti nelle reti di sensori è il consumo energetico. In molte applicazioni, i sensori sono posti in punti difficilmente raggiungibili, per cui è necessario prevedere sistemi per la ricarica delle batterie, per esempio mediante celle solari. In alcuni casi, si pensa di avere sensori totalmente passivi che utilizzano come fonte energetica l’onda stessa con la quale il sensore viene interrogato dall’esterno. La ricerca è quindi principalmente volta a trovare metodi a basso consumo energetico per far funzionare la rete. La tendenza più recente è quella di fornire la rete con capacità di autoorganizzazione, sia in termini di topologia che di capacità di autonomia decisionale, al fine di ottenere sistemi distribuiti più robusti rispetto a spegnimenti inattesi dei sensori per mancanza di energia o rotture.
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