SISTEMATICA
(XXXI, p. 922; App. III, II, p. 756)
Scienze biologiche. - La zoologia, come la botanica, è una delle discipline che, per tradizione, è appesantita da una classificazione, tanto che a volte la classificazione degli animali viene considerata, dai meno interessati, l'unico scopo della zoologia. E probabilmente lo è, ma lo è nei limiti in cui il suo intento è quello di definire un'ipotesi di sistema naturale al cui interno fluisce, con discontinuità più o meno circoscrivibili, la storia della vita sul nostro pianeta. La s. zoologica, cioè la definizione del sistema naturale sulla base del quale viene proposta una classificazione degli animali viventi ed estinti, costituisce quindi un criterio interpretativo della natura. Facendo tesoro delle acquisizioni utili fornite da altre discipline (dalla biologia molecolare all'anatomia comparata, dalla genetica all'ecologia) produce un sistema interpretativo della dinamica della diversità animale, sistema costantemente adeguato all'evolvere della ricerca. Tale sistema interpretativo costituisce (in parallelo alla necessità di ordinare l'enorme massa di dati acquisita nel tempo) l'intento della classificazione degli animali.
Trattandosi di una disciplina antica quanto l'uomo, la s. ha evidentemente subito, nel tempo, profonde trasformazioni in parallelo con il modificarsi progressivo del rapporto uomo-natura. La visione della natura come sistema-risorsa, e quindi dell'animale-cibo o dell'animale-pericolo, ha dato origine, e dà origine tuttora, a raffinate e validissime classificazioni, e relativi apparati nomenclaturali, basate, per es., su secolari esigenze di caccia o pesca, più in generale di sopravvivenza. Le lunghe liste di specie che lingue e dialetti producevano e producono vengono riunite in classi (non necessariamente esplicitate ma reali nell'uso) del tipo ''edule-non edule'', ''pericoloso-innocuo'', oppure legate alla stagionalità o ai metodi di cattura o alle modalità d'uso. Queste classificazioni, frutto di un rapporto funzionale con la natura, mancano ovviamente di formalizzazione e si arricchiscono quindi di categorie molto meno sostenibili sul piano di una pragmatica interpretazione della natura. In passato la conoscenza del mondo al di fuori dei limiti del quotidiano era affidata a nebulosi racconti di viaggiatori e a fantasiose interpretazioni venate di astratti principi metafisici o religiosi in cui il reale e l'irreale perdevano i rispettivi confini. Va sottolineato che ancora oggi, a causa del progressivo allontanarsi dell'uomo dalla natura, permane un'idea astratta e approssimativa della complessità del mondo vivente che si riflette, nell'uso comune, in un'estrema semplificazione classificatoria. Al di fuori dei ristretti contesti tecnici, ovviamente, gli ''insetti'' o i ''vermi'' costituiscono spesso un più o meno nebuloso pullulare di creature indefinite e sgradevoli, farfalle escluse, da cui difendersi.
Un'esigenza di conoscenza che trascenda la quotidianità, e la conseguente necessità di sistematizzare il conosciuto, nasce, per la cultura occidentale, con Aristotele. Ma, per quanto riguarda la s. animale e vegetale, quasi duemila anni di sostanziale silenzio separano le prime intuizioni aristoteliche dai successivi tentativi di razionalizzare i principi di gerarchizzazione nella classificazione degli ''oggetti'' viventi da cui avrebbe avuto origine la s. moderna. È infatti nella seconda metà del Cinquecento che prendono corpo le prime proposte formalizzate di ordinamento delle forme viventi che privilegiavano soprattutto il mondo vegetale. Naturalisti come A. Cesalpino (1519-n,1603), J. Ray (1627-1705) e altri faranno in modo che, agli inizi del 18° secolo, sia ormai disponibile un'elaborata proposta di ordinamento gerarchico delle entità animali e vegetali conosciute che possiamo considerare moderna e da cui parte la s. contemporanea. Il maturare del razionalismo nella seconda metà del Settecento ha portato a un profondo cambiamento della cultura, quindi dell'interpretazione collettiva del mondo. C. Linneo è il nome che rappresenta la biologia in questa importante fase di evoluzione dei criteri interpretativi della natura, e produce il suo Systema naturae la cui decima edizione (1758) viene convenzionalmente considerata il punto di partenza della s. moderna. Il libro offre una classificazione di elementi naturali (piante, animali, minerali), ma ciò che è qualificante è il sistema di riferimento di tale classificazione, rappresentando un passo importante nell'interpretazione del vivente, seppure ancora legato a principi religiosi (da cui consegue una visione creazionista e fissista). Il secolo di Linneo vedeva il mondo vivente costituito da un numero definito di realtà naturali immutabili nel tempo, che erano state volute, ab initio, da un Infinitum Ens: le specie. Ogni specie era costituita da un numero variabile ma comunque rilevante di individui, diversi tra loro per trascurabili varietates minores, ma tutti corrispondenti a uno stesso modello comune di riferimento, quasi a un'idea platonica. Per ogni specie esistente Linneo proponeva una definizione diagnostica basata su uno (il tipo) o più esemplari di riferimento, che ne consentiva il riconoscimento e che escludeva, relegandolo implicitamente ad altre attività dell'intelletto umano, l'immaginario e il fantastico. Oltre a ciò, proponeva un nome convenzionale costituito generalmente da un aggettivo (sapiens per la specie umana) in lingua latina, lingua che superava le difficoltà di comunicazione tra gli studiosi. Il numero di 4236 specie animali dell'edizione del 1758 era, nell'ottica del tempo, relativamente vicino al numero di specie esistenti (solo nel 1983 ne sono state descritte in realtà 11.000), il che offriva un panorama del vivente potenzialmente accessibile, nella sua totalità, alla curiosità dello studioso.
Dalla definizione delle specie, unità naturali che si continuano nel tempo grazie alle ''leggi imposte dalla generazione che producono forme sempre simili a loro'', nasceva il problema sistematico. L'inconfutabile somiglianza tra due o più specie diverse doveva evidentemente rientrare nel disegno provvidenziale dell'Infinitum Ens, disegno che era compito del naturalista rivelare. Linneo intravede quindi "un'entità naturale creata tale in principio", una categoria gerarchica superiore che accomuna specie simili, che è il genere. Anche per il genere propone un nome latino, un sostantivo. Un certo numero di specie, quindi, come lupus, latrans, aureus, vengono riunite, per la loro ''naturale'' somiglianza, in un unico genere, quindi vengono definite con un unico sostantivo latino: Canis. Ne deriva la famosa classificazione binomia, tuttora in uso (anche se fondata su principi sostanzialmente diversi), per cui ogni specie è definita dal suo nome generico, un sostantivo, e dal suo nome specifico, generalmente un aggettivo, come Canis lupus (lupo), Canis latrans (coyote), Canis aureus (sciacallo). Linneo non sottolinea la ''naturalità'' delle categorie superiori al genere ammettendo, implicitamente, la difficoltà dello studioso di penetrare nei meandri del disegno divino, ed evidenziando una necessità di funzionalità che consenta di rintracciare agevolmente un oggetto-specie tra le tante esistenti. Naturalmente la storia dell'origine della s. zoologica moderna è estremamente più complessa e ha coinvolto un gran numero di studiosi. Qui si è voluto solo individuare uno degli aspetti che ha implicitamente animato i suoi cultori: la ricerca di un principio ispiratore legato all'interpretazione del vivente (oltre che alla necessità di organizzare le conoscenze disponibili).
Darwin, esaltando le varietates minores trascurate in passato, produceva una rivoluzione nella concezione della storia naturale che ha coinvolto profondamente la cultura dell'uomo nei suoi vari aspetti. Per quanto riguarda la s. zoologica, il principio ispiratore diventa la ricostruzione della storia della vita sulla Terra, dell'intero sistema genealogico dei viventi. A una scienza che constata si sostituisce una scienza del capire, che propone continue ipotesi di lavoro, e ne saggia la consistenza con numerosi strumenti. L'evoluzione del darwinismo corre sulla scia del grande fiorire delle discipline che un secolo fa erano in embrione (come l'ecologia, l'etologia, la biogeografia) e di quelle nate successivamente (come la genetica, la biologia molecolare, l'informatica). Definire oggi in maniera esaustiva l'unità ''naturale'' di partenza, la specie, è assai arduo, soprattutto perché la specie ha perso la sua fissità ab initio ma ha assunto, concettualmente, un suo momento temporale e geografico d'inizio e di fine (potendo trasformarsi, suddividersi in due o più specie o estinguersi). Questo implica l'esistenza di meccanismi biologici complessi alla cui spiegazione contribuiscono le più diverse discipline. Inoltre l'attenzione del biologo si è spostata sulle popolazioni (che costituiscono il realizzarsi dinamico della specie su una definita area geografica), più o meno correlate tra loro dai fenomeni dispersivi e quindi dal flusso genico. Ciò apre un panorama d'insieme di tale complessità da escludere la possibilità, accarezzata in epoca linneana, di disegnare un definitivo quadro d'insieme. Si procede con un continuo sperimentare che rivela sempre nuove e inaspettate proprietà dinamiche del vivente.
Tutto ciò costituisce, inevitabilmente, il principio ispiratore attuale della s. anche se, a un osservatore superficiale, la classificazione che ne deriva non appare molto dissimile da quella linneana. Restano infatti le unità di base, le specie, sempre convenzionalmente definite con un aggettivo latino; ma non si tratta più di entità definibili solo sulla base di una generica somiglianza morfologica tra gli individui che le compongono. È invece diventato molto più difficile fornire una definizione concisa ed esaustiva della specie: pur limitandoci alla sola zoologia e, nell'ambito della zoologia, al caso più semplice delle specie bisessuate, considerare una specie come un complesso di individui tra loro fertili e in grado di dare prole fertile è attualmente molto riduttivo. Tali caratteristiche segnano in effetti, in un notevole numero di casi, un confine naturale, quello della compatibilità riproduttiva, all'interno del quale sono compresi tutti gli individui che compongono una specie, ma si tratta di caratteristiche non sempre praticamente analizzabili che spostano l'attenzione su un aspetto della specie estremamente rilevante ma del tutto parziale. Una specie è in realtà caratterizzata dalla dinamica morfo-funzionale, genetica e comportamentale degli organismi che la compongono in termini sia ontogenetici (nel corso del ciclo vitale di un singolo individuo) che filogenetici (come risultato di una storia evolutiva trascorsa e come base di un'evoluzione adattativa in atto). Inoltre, se si tiene conto che una specie è inevitabilmente distribuita su una determinata area geografica (l'areale) e che nella quasi totalità dei casi l'areale si presenta variamente discontinuo, formato da un sistema di aree di più limitata estensione tra loro più o meno direttamente interconnesse, l'idea di specie si complica ulteriormente. La discontinuità geografica dell'areale comporta una conseguente discontinuità ecologica (con le relative risposte adattative differenziate da parte degli organismi che popolano le aree minori e che costituiscono le popolazioni) e una più o meno marcata difficoltà di scambio genetico attraverso le varie modalità che consentono il flusso genico. Ne risulta, come si vede, un quadro estremamente dinamico difficilmente riducibile a una definizione concisa e onnicomprensiva. Oltretutto in un notevole numero di occasioni il limite della compatibilità riproduttiva tra specie diverse è risultato meno insormontabile di quanto ci si aspettasse in passato. Naturalmente le cose si complicano quando si tratta di organismi che presentano un tipo di riproduzione sessuale limitata al solo sesso femminile (partenogenesi) o del tutto assente (moltiplicazione per via asessuata). Nascono quindi infinite eccezioni. Al momento il numero conosciuto di queste entità, più o meno definitivamente circoscritte, è salito a circa due milioni, e siamo ben lontani da un catalogo definitivo.
Resta ancora, dell'impianto linneano, il genere (sempre definito da un sostantivo latino), ma sta a indicare l'ipotetica (in quanto ricostruita sulla base di una serie di dati e di considerazioni) stretta affinità filogenetica tra le specie che ne fanno parte. Viene ammesso che sia esistita un'entità unica da cui sono successivamente derivate tutte le specie attuali che noi attribuiamo a uno stesso genere. Il concetto di genere fornisce tra l'altro una serie di indicazioni di estremo interesse che danno alla s. un valore di scienza, entro certi limiti, predittiva. Due specie congeneri condividono una notevole serie di caratteristiche morfo-funzionali, genetiche e comportamentali. Nei limiti di opportune approssimazioni è, per es., prevedibile il ruolo che una specie non ben conosciuta può svolgere nel suo contesto ecologico partendo dalle conoscenze relative a una specie congenere più disponibile. Salendo per la scala gerarchica (famiglia, ordine, ecc.), si mettono in evidenza affinità filogenetiche sempre più lontane.
Resta ancora in uso il ''tipo'', un esemplare di riferimento che rappresenta un'intera specie. Ma, specialmente se si tiene conto della notevole plasticità di una specie, non può più essere considerato, come nell'ottica linneana, una materializzazione di un'idea platonica. Si tratta di un espediente tecnico con finalità molto più ristrette: un esemplare di riferimento che ha la funzione di dirimere questioni di nomenclatura che possono nascere dall'acquisizione di nuovi dati e quindi da nuovi criteri interpretativi di quella determinata specie rispetto ad altre simili. Il tipo è legato alla descrizione diagnostica su base morfologica di ogni singola specie. In effetti, anche se la seconda metà del 20° secolo ha infinitamente dilatato e complicato l'universo del sapere (e l'idea che oggi abbiamo di specie ne è un esempio), alcune metodologie di ricerca che apparentemente appartengono al passato mantengono intatta la loro validità. Il primo essenziale approccio alla conoscenza di una specie resta infatti quello della descrizione morfologica, anche se raffinata da tecnologie e presupposti teorici molto complessi. Per la maggior parte le specie note (e se ne scoprono a migliaia ogni anno) sono attualmente identificate solo su base morfologica e di loro si conosce poco più del luogo e dell'ambiente in cui vivono. Queste preliminari informazioni diventano il filo di Arianna che guiderà successivamente i biologi delle più varie specializzazioni a una più completa conoscenza. Senza contare che, anche per le specie più accuratamente conosciute, il poter individuare caratteri morfologici differenziali mantiene una sua insostituibile utilità. È ovvio infatti che uno o più caratteri morfologici, possibilmente ben evidenti, rendono più immediata l'attribuzione di un individuo a una determinata specie di quanto possa un'improbabile analisi completa delle infinite proprietà biologiche che, nella realtà, sono proprie di quella determinata specie rispetto a tutte le altre esistenti. I caratteri morfologici che consentono la distinzione tra le specie, di cui si serve il tassonomo per il loro riconoscimento, sono in genere diversi dai caratteri, morfologici e d'altro tipo, che vengono utilizzati dal sistematico per stabilire il grado di affinità evolutiva tra entità sistematiche diverse. Il sistematico, infatti, a seconda del tipo di competenza e quindi degli strumenti metodologici di cui dispone, analizza aspetti diversi della biologia di una specie per poterla inserire nel quadro dinamico dell'evoluzione dei viventi. A questo scopo si può servire, per es., dello studio di alcuni aspetti del comportamento, di strutture molecolari, dei cromosomi, e, non certo ultimo, di strutture morfologiche opportunamente scelte.
Il tassonomo si assume invece il comunque non facile compito di individuare, per es. in un contesto ecologico o faunistico, biogeografico, museologico e così via, le singole specie. Le sue indagini comparative fanno quindi largo uso di caratteri morfologici che, nei limiti in cui possano garantire la diagnosi delle singole specie, siano i più facilmente accessibili. S'individua quindi una disciplina parallela e ampiamente sovrapposta alla s., la tassonomia, in cui prevale l'aspetto funzionale della classificazione. Ma va ricordato che, in generale, la stessa distinzione, e relativa nomenclatura, tra le discipline è una forma di classificazione, evidentemente in gran parte arbitraria stante l'unicità del sapere: una maggior ''affinità'' tra due o più discipline si manifesta con un più o meno ampio grado di sovrapposizione di intenti. È così è per la s. e la tassonomia.
In realtà una delle ''scuole'' contemporanee di classificazione biologica marca, nella sua impostazione originaria, nettamente i confini tra la s. e la tassonomia. Si tratta della cosiddetta scuola fenetica, nata negli Stati Uniti negli anni Sessanta grazie a P.H.A. Sneath, microbiologo, e a R.R. Sokal, entomologo, i quali, rinunciando totalmente all'idea di poter correlare in termini filogenetici gli organismi viventi, proposero un programma di classificazione strettamente legato ai caratteri morfologici prescindendo da qualsiasi considerazione, o speculazione, biologico-evolutiva. La tassonomia numerica da loro proposta partiva da un confronto, reso possibile dalle tecniche informatiche, tra due OTU (Operational Taxonomic Units) identificate da un numero il più ampio possibile di caratteri morfologici tradotti in forma numerica. Si tornava quindi al concetto dell'organismo-oggetto, l'OTU appunto (che non ha nulla a che fare con la specie), da identificare e inquadrare in maniera oggettiva in un sistema classificatorio funzionale. Opportuni algoritmi consentono di raggruppare OTU diversi in un dendrogramma basato sulle distanze fenetiche. In questo tipo di dendrogramma i maschi e le femmine di una stessa specie a dimorfismo sessuale marcato, per es., andranno a trovarsi, in quanto OTU diversi, in posizioni del tutto indipendenti e distanti gli uni dalle altre. Questo tipo di tassonomia, strettamente indirizzata a un ordinamento funzionale degli oggetti biologici, se poteva risolvere alcuni problemi del microbiologo, che lavora su caratteri biochimici e quindi su un materiale biologico che offre pochi agganci alla speculazione evoluzionistica, ebbe fortuna limitata nel campo zoologico e ancor meno in quello botanico.
L'impegno dei ricercatori che operarono nel contesto della scuola fenetica mise comunque a punto una tecnologia di software che attualmente costituisce un importante strumento d'indagine nell'ambito di un'altra scuola sistematica contemporanea, la cosiddetta ''scuola cladistica o filogenetica''. L'entomologo tedesco W. Hennig propose la sua ipotesi di lavoro nel 1950, ma solo nella seconda metà degli anni Sessanta cominciò a prendere corpo una vera e propria scuola. Il presupposto della s. cladistica rientra nei concetti generali che sono stati presentati in precedenza, ed è quindi quello di costruire, su basi estremamente rigorose, una classificazione che rispecchi la struttura dell'albero filogenetico. Per poter valutare, e in qualche modo quantificare il grado di parentela, in termini evolutivi, si procede ovviamente a un confronto tra le specie paragonando tra loro singole strutture. Le uniche strutture che possono fornire indizi probanti su eventuali rapporti di parentela sono quelle tra loro omologhe, quelle cioè che, indipendentemente dalla funzione che svolgono, presentano uno stesso piano strutturale di base, una stessa origine embrionale, risultano in sostanza controllate dallo stesso complesso di informazioni genetiche. L'ala di un uccello e la mano sono due strutture tradizionalmente citate per esemplificare il concetto di omologia. L'anatomia comparata insegna che, indipendentemente dalla loro funzione, costituiscono due versioni alternative di una stessa struttura (l'arto anteriore di un Vertebrato) presente, in una condizione primitiva (nel vocabolario hennighiano si dice plesiomorfa) in un antenato comune (le pinne pettorali di un pesce). Si deve supporre quindi, per i caratteri analizzati, una polarità, la possibilità di riconoscere il passaggio, nel corso dell'evoluzione, da una condizione originaria primitiva (plesiomorfia) a una derivata (apomorfia). Un carattere che si presenti in specie diverse nella stessa condizione di apomorfia (sinapomorfia) testimonia evidentemente un percorso evolutivo comune, una stretta parentela filogenetica tra le specie stesse. Esse formano un gruppo ''naturale'' e vengono così accomunate in una stessa categoria sistematica.
La metodica trae i suoi vantaggi dall'analisi di un numero più rilevante possibile di caratteri: a un maggior numero di sinapomorfie condivise da più specie corrisponde una più alta garanzia di affinità filogenetica e quindi di ''naturalità'' del gruppo sistematico che vengono a costituire. Gli algoritmi creati dai tassonomi numerici acquistano, in questo tipo di analisi, notevole rilevanza. Su tali basi vengono realizzati alberi filogenetici di varia complessità, i cosiddetti cladogrammi, con successive ramificazioni che rappresentano graficamente il grado di affinità filogenetica tra le specie che, partendo dal genere, va via via abbassandosi verso i livelli gerarchici superiori (famiglia, ordine, classe, phylum). Non tragga in inganno questa semplicistica trattazione dei criteri che sono alla base della s. cladistica: una sempre più voluminosa letteratura specializzata testimonia della difficoltà di risolvere nella pratica molti problemi legati, per es., all'interpretazione della polarità dei caratteri o al peso da dare ai gruppi parafiletici (che non comprendono tutti i gruppi di specie derivanti dallo stesso tronco comune) rispetto ai gruppi olofiletici. Un gruppo olofiletico comprende, rigidamente, tutte le specie derivanti da un comune antenato: un esempio molto citato è quello dei Rettili che, nell'accezione olofiletica, comprende anche tutti gli Uccelli (che sulla base di una documentata serie di evidenze risultano essere strettamente affini agli ''altri'' rettili, quelli che siamo da sempre abituati a considerare come tali).
La cosiddetta ''scuola evoluzionistica classica'' (definizione rimasta nell'uso per motivi di primogenitura, in parte legati al vantaggio della lingua inglese, ma inadeguata in quanto anche la scuola ''cladistica'' si basa su principi evolutivi) è invece più pragmatica e, nel caso citato, considera gli Uccelli come Uccelli, ben distinti dai Rettili (senza peraltro negare le evidenze di affinità). Accetta quindi i raggruppamenti di specie di tipo parafiletico considerando gli Uccelli un gruppo a sé, benché derivino dallo stesso tronco degli ''altri'' Rettili. Questa scuola, che muove dalle grandi sintesi di E. Mayr e G.G. Simpson, dà particolare peso, nel caso in questione, al fatto che le straordinarie novità evolutive che caratterizzano gli Uccelli sul piano morfologico, funzionale, comportamentale, hanno condizionato la loro intera storia evolutiva su vie del tutto indipendenti da quelle dei Rettili. La ''scuola classica'' parte dalla dinamica adattativa delle popolazioni, nell'accezione esposta in precedenza, magnificando il ruolo originale delle novità evolutive che caratterizzano i vari gruppi di organismi e le trasformazioni cui tali novità andranno incontro, È inevitabile che, stante l'unicità dell'obiettivo da raggiungere, che è quello di ricostruire attraverso la s. la storia evolutiva dei viventi, i principi e i linguaggi delle varie ''scuole'' vadano lentamente fondendosi su basi di pensiero comuni.
Per concludere questa concisa trattazione sulla s. resta da chiarire un dettaglio nomenclaturale che spesso ingenera confusione. Il termine taxon (da cui deriva tassonomia), ampiamente usato in s., ha un doppio significato: individua le categorie gerarchiche della classificazione (specie, genere, famiglia, ordine, classe, phylum) ma indica anche le singole unità tassonomiche. La famiglia è un taxon, ma anche Homo sapiens è un taxon: è una ben determinata specie definita, secondo la convenzione linneana, dai due termini: di genere (Homo) e di specie (sapiens). Va infine ricordato che la complessa nomenclatura zoologica, come anche quella botanica, è legata a norme convenzionali concordate in ambito internazionale. Per la zoologia tali norme sono raccolte nell'International Code of Zoological Nomenclature.
Bibl.: R.R. Sokal, P.H.A. Sneath, Principles of numerical taxonomy, San Francisco 1963; W. Hennig, Phylogenetic systematics, Urbana 1966; M. Ridley, Evolution and classification. The reformation of cladism, Londra 1986; C. Jeffrey, Biological nomenclature, ivi 19893; Molecular systematics, a cura di D.M. Hillis e C. Moritz, Sunderland 1990; D.R. Brooks, D.A. McLennan, Phylogeny, ecology and behaviour, Chicago 1991; P.H. Harvey, M.D. Pagel, The comparative method in evolutionary biology, Oxford 1991; E. Mayr, P.D. Ashlock, Principles of systematic zoology, New York 19912; A. Minelli, Introduzione alla sistematica biologica, Padova 1991.