PERIODICO, SISTEMA
. Si chiama così un ordinamento dove gli elementi chimici sono disposti secondo l'ordine crescente dei pesi atomici, e dove a intervalli regolari ricompaiono quelli chimicamente simili, in modo che, con opportuna disposizione grafica, essi si trovano su una medesima colonna, risaltando così nel modo migliore le analogie e le dissimiglianze fra tutti gli elementi. Esso è dovuto al russo Dmitrij Mendeleev (1869) dopo precursori di scarso rilievo (J. W. Döbereiner, 1817; M. J. von Pettenkofer, 1850; Newlands, 1864) ma anche dopo che S. Cannizzaro aveva già dato (1858) un criterio sicuro e obiettivo per fissare il valore di ogni peso atomico. Con il Mendeleev divide il vanto il tedesco L. Meyer, che, quasi contemporaneamente, pubblicò una curva (ascisse, il p. at.; ordinate, il volume atomico = p. at. diviso per il peso specifico allo stato solido) di cui pose in rilievo il carattere periodico e le correlazioni con altre proprietà fisiche e chimiche degli elementi. Il sistema periodico, dapprima accolto con diffidenza, ha avuto poi continue conferme: la definizione, nel senso voluto, di pesi atomici (Be, Th, U, terre rare) ancora incerti nel 1870: la scoperta dei tre elementi gallio (1875) scandio (1879) germanio (1886), coi p. at. e le proprietà previste: la scoperta dei gas inerti (1894) felice complemento del sistema, ecc.
Anche le recenti scoperte della radioattività e isotopia hanno consolidato il sistema periodico (spiegando, ad es., l'inversione dei p. at. per Ar-K, Co-Ni, Te-J, e risolvendo l'annoso problema delle terre rare) finché se ne è potuta dare una completa teoria elettronico-quantistica (1925). Riportiamo la "tavola periodica" nella sua forma moderna. Le linee orizzontali si chiamano serie, ed eterologhi gli elementi in esse ordinati: una, o due consecutive, costituiscono un periodo piccolo, o grande (numeri romani): le colonne verticali racchiudono i gruppi di elementi omologhi, che a partire dal 1° periodo son incolonnati in sottogruppi a e b.
Il 1° piccolo periodo cominciando da un metallo molto reagibile come il litio, attraverso l'indebolimento di queste qualità nel berillio e l'affermarsi delle opposte, metalloidee, nel boro e carbonio, arriva a metalloidi caratteristici quali l'azoto, l'ossigeno, il fluoro. A questi segue il gas inerte neo, che ci rappresenta la necessaria transizione al 2° piccolo periodo, dove, incominciandosi con un metallo assai simile al litio, quale è il sodio, si finisce ancora con un alogeno, il cloro, e un gas inerte, l'argo, attraverso una serie di elementi di cui ognuno presenta innegabili analogie con l'omologo inferiore. E la gradualità dei passaggi e le strette relazioni di omologia risultano anche più nette se consideriamo la valenza dei composti ossigenati al massimo (esclusi i perossidi, come S2O7 che hanno diversa costituzione, come illustrò, fra altri, Piccini) dove si hanno i tipi: Na2O, MgO, Al2O3, SiO2, P2O5, SO3, Cl2O7, coincidendo la valenza col numero del gruppo. Per i composti con l'idrogeno (o, in mancanza, con radicali alchilici) si hanno i tipi NaX, MgX2, AlX3, SiX4, PX3, SX2, ClX, di valenza, cioè, uguale alla precedente fino all'elemento mediano, ove torna a calare, talché la somma delle due valenze è adesso costantemente 8. E tutto questo continua a valere per gli omologhi superiori. In molti caratteri, peraltro, gli elementi del primo periodo si discostano da quelli del secondo e successivi, allo stesso modo, rilevò il Mendeleev, come i primi termini di una serie alifatica si scostano sempre dai superiori; egli perciò diede loro il nome di tipici. Si comprende allora il carattere speciale dell'idrogeno, primo fra gli elementi, che forma con l'elio la prima serie (e un periodo minimo, privo di reali omologie, che si potrebbe numerare zero). Ai precedenti segue il 1° grande periodo, di cui i primi due elementi si raccordano (pur attraverso certe differenze) agli omologhi inîeriori, ma dove, col procedere dei p. at., le divergenze si vanno accentuando, finché il cromo e il manganese hanno in comune con zolfo e cloro solo la forma di combinazione e il carattere acido dell'ossido superiore. S'inizia qui col titanio, e si accentua sempre più con gli eterologhi, la variabilità della valenza, la colorazione dei composti, la tendenza a dare ioni complessi, e, dal lato fisico, l'alto peso specifico, la refrattarietà, la tenacità, il carattere insomma del metallo pesante. Questo si continua ancora con altri tre elementi: ferro, cobalto e nichelio, che non hanno corrispondenti fra quelli veduti finora e che il Mendeleev, con concezione geniale, raccolase come triade in un nuovo gruppo, l'ottavo. In questi la valenza massima torna a calare (FeO3, CoO2, Ni2O3). Tali caratteri dileguano gradualmente nei primi due termini della serie successiva (il rame bivalente è il netto compagno del nichelio, mentre il monovalente si riattacca, se non altro per il tipo di combinazione, agli alcali) e ulteriormente torna a riaffermarsi il carattere degli omologhi dei primi due piccoli periodi, come è infine evidente con selenio, bromo, xeno. Di questo 1° grande periodo quindi si suole dire che ha inizio e fine simile ai piccoli, ma si espande, in mezzo, in una successione di elementi di carattere nuovo (pur sempre variando regolarmente le proprietà fra eterologhi), e detti perciò anche elementi di transizione. In questo periodo ogni elemento della prima serie è più elettropositivo del suo omologo nella seconda, e qui perciò comincia la distinzione in sottogruppi a e b che continuerà nei periodi superiori. Questo andamento si ripete nel 2° grande, che non possiamo esaminare minutamente, e nel 3°, dal cesio all'ekaiodio, omologo, tuttora ignoto, dello iodio. In questi due periodi la valenza massima sale a 8 con RuO4, OsO4. Il 4° poi, che comincerebbe con l'ekacesio, si tronca ben presto con l'uranio, ultimo degli elementi conosciuti. In queste ultime serie trovano pure posto una quarantina di elementi radioattivi (v.) che corrispondono però a solo dieci tipi chimici, nelle cui caselle si collocano come isotopi. I 14 elementi delle terre rare (v.) sono indicati nella tavola con un solo R fra lantanio e afnio: tale infatti sarebbe la loro collocazione secondo i pesi atomici, ma può bastare quell'accenno, mancando omologhi a cui ravvicinarli.
Queste sono le relazioni fra elementi eterologhi: anche fra gli omologhi, lungo uno stesso gruppo, si ha una regolare variazione delle proprietà con il crescere del p. at. Chimicamente, crescono le proprietà metalliche e basiche, calano le metalloidee (a eccezione dei gruppi VIII, Ib, IIb: platino, oro, mercurio più nobili del ferro, rame, zinco); fisicamente, crescono i pesi specifici (curva di L. Meyer), ecc., talché, in generale, si può enunciare la regola: le proprietà (chimiche e fisiche) di un elemento e suoi composti sono circa la media aritmetica fra quelle dei quattro contigui (eterologhi e omologhi). E così appunto il Mendeleev previde le proprietà dello scandio, del gallio e del germanio. La regola, tuttavia, vale soprattutto per la parte centrale del sistema, agli estremi facendosi più sentire le singolarità individuali.
Nella tabella sopra riportata a fianco di ogni elemento è segnato in grassetto il numero atomico, cioè il numero d'ordine secondo cui gli elementi si susseguono nella tabella.
Si deve a H. G. J. Moseley (1914) la scoperta che le radici quadrate delle frequenze delle righe caratteristiche X dei varî elementi sono funzioni lineari del numero atomico; tale scoperta fece sorgere spontaneo il problema di ricercare quale fosse la interpretazione fisica del numero atomico, che fino allora aveva avuto il solo significato di numero d'ordine degli elementi nel sistema periodico.
La soluzione di questo problema ci viene data dalla teoria di Rutherford-Bohr, secondo la quale gli atomi dei varî elementi sono costituiti da un nucleo centrale, carico positivamente, attorno al quale si muove un certo numero di elettroni; il numero atomico nell'elemento non è altro che la carica nucleare, misurata prendendo come unità la carica dell'elettrone cambiata di segno. Passare da un elemento del sistema periodico all'elemento successivo significa quindi crescere di uno la carica nucleare.
Il numero degli elettroni che gravitano in un atomo attorno al nucleo è sempre tale da dare luogo a un complesso elettricamente neutro; ciò significa che il numero atomico si può altresì interpretare come numero degli elettroni che si muovono in un atomo.
Tale significato fisico del numero atomico ci fornisce la chiave della legge dello spostamento radioattivo, stabilito nella sua forma definitiva da F. Soddy (1913): "L'emissione di una particella α da parte di un elemento radioattivo, dà luogo a un abbassamento di 2 del numero atomico, mentre l'emissione di una particella β dà luogo a un aumento di 1 del numero atomico". Basta infatti ricordare che la particella α è dotata di una doppia carica positiva mentre la particella β è dotata di una carica negativa, per riconoscere il semplice significato di questa legge.
La maggior parte delle proprietà fisiche e chimiche degli elementi, come il volume, la conducibilità elettrica e termica, la valenza, il magnetismo, lo spettro visibile e lo spettro X, ecc., sono proprietà elettroniche, mentre alcune altre, come la massa e la radioattività, sono proprietà di origine nucleare. Queste ultime non si possono influenzare con gli ordinarî metodi sperimentali e dipendono, oltre che dal numero atomico, anche da altre grandezze. Non si può quindi pensare, per queste proprietà, di fare una semplice classificazione degli elementi in funzione del solo numero atomico (v. nucleo).
Il sistema periodico di Mendeleev è dunque uno schema atto a rappresentare le sole proprieta elettroniche degli elementi.
Prima di passare a esporre i concetti fondamentali, in base ai quali è stato possibile giustificare anche nei più piccoli particolari la struttura del sisiema periodico, è opportuna una considerazione qualitativa che farà apparire chiara la diversa origine delle varie proprietà degli elementi. Immaginiamo di prendere un atomo di un metallo allo stato di elemento e di studiarne tutte le proprietà chimiche e spettroscopiche. Queste sono dovute agli elettroni più esterni; se noi infatti leghiamo l'atomo considerato in un qualsiasi composto chimico, tali proprietà si alterano nel modo più completo poiché nel composto gli elettroni esterni descrivono orbite del tutto diverse da quelle su cui si muovevano nell'elemento. La massa invece e le proprietà radioattive, qualora l'atomo in esame ne avesse, non vengono in alcun modo influenzate dal legame chimico. Vi sono infine altre proprietà le quali vengono alterate assai poco quando si passa dall'elemento al composto, come, per esempio, la frequenza delle righe X caratteristiche dell'elemento; esse sono dovute agli elettroni più interni.
Secondo la meccanica quantistica, un elettrone che si muove attorno a un nucleo non può descrivere un'orbita qualsivoglia; le orbite possibili sono fissate dalle condizioni di quantizzazione e si possono classificare a mezzo di numeri che si chiamano numeri quantici (v. atomo). Per ciò che qui c'interessa, basta considerare il numero quantico totale n e il numero quantico azimutale k; questi due numeri fissano rispettivamente il diametro maggiore e l'eccentricità dell'orbita elettronica; il numero quantico totale può assumere tutti i valori interi 1, 2, 3, ...; si tenga presente che quanto minore è n, e tanto più interna è l'orbita corrispondente. Il numero quantico azimutale k può assumere, per un dato numero quantico totale n, solo i valori 0, 1, 2, ..., n-1.
Dalla considerazione di un vasto numero di fatti sperimentali, W. Pauli riuscì a stabilire il suo principio di esclusione (v. atomo) secondo il quale viene fissato il numero di posti possibili per dati valori dei numeri quantici n e k; secondo tale principio, in un atomo vi possono essere al massimo 2n2 elettroni con numero quantico totale n e 4k + 2 elettroni con numero quantico azimutale k.
Vediamo ora quali sono le conseguenze che si possono trarre da questo stato di cose, qualora si tenga presente che in un atomo nello stato normale gli elettroni tendono ad andare sempre nelle orbite più profonde e vicine al nucleo, in quanto esse corrispondono agli stati di minima energia.
Il complesso degli elettroni di un atomo che hanno un dato numero quantico totale n si chiama strato o anello; i varî strati per cui n vale 1, 2, 3, s'indicano spesso con le lettere K, L, M, N, ecc.
Nell'atomo dell'idrogeno l'unico elettrone andrà nello strato più basso, ossia nell'anello K; nell'elio i due elettroni andranno entrambi nell'anello K, che viene così a essere completo (2n2= 2.12=2); l'atomo di questo elemento viene allora ad avere una configurazione elettronica particolarmente stabile poiché essa è costituita da un anello completo. Se si passa all'elemento successivo, ossia al litio, questo contiene 3 elettroni, di cui 2 andranno a riempire l'anello K, mentre il terzo, non trovando più posti liberi con n = 1, andrà nell'anello L (n = 2); in quest'anello vi sono 2.22 = 8 posti, i più profondi dei quali sono quelli di quanto azimutale k = 0; il terzo elettrone del litio andrà quindi in questo strato e sarà legato assai più debolmente dei due elettroni dell'anello K.
Poiché nell'anello L vi sono 8 posti, esso sarà completo per l'elemento di numero atomico 10, ossia per il neo, che viene così ad avere una struttura elettronica analoga all'elio. Da questi semplici esempî si capisce come si possa costruire una tabella nella quale vengono date le configurazioni degli elettroni in tutti gli elementi. Una parte di tale tabella, nota con il nome di tabella Stoner, è riportata nella voce atomo; dal suo esame è facile riconoscere che elementi chimicamente omologhi hanno sempre la stessa disposizione degli elettroni più esterni. Come si è visto, i gas nobili hanno sempre l'anello esterno completo, il che porta come conseguenza una struttura elettronica molto stabile e quindi poca attività chimica. Gli alcalini invece hanno sempre un unico elettrone con k = o nello strato più esterno, elettrone che è legato in modo piuttosto debole, così da giustificare la tendenza che hanno questi elementi a formare ioni positivi monovalenti. Elementi chimicamente omologhi hanno sempre spettri visibili analoghi, poiché questi sono dovuti agli elettroni più esterni o, come si suol dire, agli elettroni di valenza. Le cose sono invece assai diverse per gli spettri di raggi X, i quali non presentano alcuna periodicità in funzione del numero atomico. Come s'è già detto, la spiegazione è da ricercarsi nel fatto che, mentre le proprietà chimiche e ottiche dipendono dagli elettroni più esterni, le righe X dei varî elementi traggono la loro origine dagli elettroni più interni. La nomenclatura stessa delle righe X corrisponde a questo stato di cose; si dicono infatti righe K, L, M, ecc. le righe dovute rispettivamente agli elettroni degli anelli K, L, M. Col raffinarsi della tecnica della spettroscopia dei raggi X, si è potuto riconoscere che mentre per le righe K, dovute agli elettroni più interni, la radice quadrata della frequenza ha una dipendenza quasi perfettamente lineare dal numero atomico, tale linearità si va perdendo a mano a mano che si passa alle righe L, M, N, ecc. Per le righe X di questi anelli meno interni, al semplice andamento rettilineo si sostituisce un grafico a forma di spezzata, i cui spigoli si presentano in corrispondenza degli elementi che si trovano al principio dei varî periodi del sistema di Mendeleev.