SIRI
La parola Siri è talvolta usata a indicare la popolazione della Siria dopo la conquista araba e l'islamizzazione del paese, sino ai giorni nostri (per cui v. siria). Ma in tale accezione è più comunemente usata la forma Siriani e come Siri si designano piuttosto gli abitanti della Siria, di stirpe aramaica, prima della conquista o anche posteriormente alla conquista stessa, ma in quanto mantenenti una propria fisionomia etnica e culturale di fronte ai vincitori arabi, che andò man mano attenuandosi sino a scomparire del tutto nel basso Medioevo. Etnicamente (v. siria: Storia preellenistica), di Siri aramaici in Siria si può parlare a partire circa dal sec. XII a. C., allorché l'immigrazione aramaica (v. aramei) proveniente dal deserto siro-arabico cominciò a imprimere stabile carattere semitico al paese, e si mantenne poi dominante nei secoli, resistendo alla ellenizzazione seleucidica, fino a fondersi dopo il sec. VII d. C. con la sopravvenuta ondata araba. Linguisticamente e culturalmente (v. sotto) la zona entro cui si svolge l'opera dei Siri supera di assai i confini della Siria, e abbraccia anzitutto la Mesopotamia, culla della lingua siriaca (aramaico orientale) e della relativa letteratura, a cui collaborano non solo veri e proprî Siri, ma Persiani, Babilonesi, Armeni, Egiziani stessi. In questo senso linguistico culturale la denominazione Siri non coincide cioè più affatto con gli abitanti della Siria, ma abbraccia tutti coloro di varia stirpe che del siriaco si servono come di lingua letteraria.
La lingua siriaca.
Il linguaggio che viene comunemente chiamato "siriaco" è propriamente la lingua parlata di Edessa (v.), la capitale dell'Osroene che dalla posizione dominante conseguita dalla chiesa edessena (a sua volta conseguenza dell'importanza politica assunta dalla città nei primi secoli d. C.) è stata condotta a divenire la lingua letteraria della chiesa siriaca. Essa si differenzia pochissimo, così nella morfologia come nella sintassi, dalle altre parlate dell'aramaico orientale; ma mentre, da una parte, il dialetto cosiddetto talmudico babilonese (ossia la lingua d'uso degli Ebrei del basso corso del Tigri e dell'Eufrate) e il mandeo (anch'esso parlato presso a poco nella stessa regione) riflettono una parlata popolare, sì da essere molto più progrediti nella fonetica, dall'altra parte l'influenza del greco, che il siriaco ha risentito in misura assai più forte per motivi religiosi e culturali, ha introdotto in questa lingua gran copia di elementi lessicali, aumentandone la differenziazione dal talmudico babilonese e dal mandeo. Anche più vicina di questi due al siriaco appare, dagli avanzi purtroppo scarsissimi che ne sussistono, quella varietà dell'aramaico orientale che servì da lingua letteraria al manicheismo nella regione mesopotamica.
Se pure è incontestabile che il cristianesimo ebbe importanza decisiva nella formazione del siriaco letterario, sarebbe tuttavia inesatto l'affermare (come si è affermato per lungo tempo) che questa lingua sia prodotto esclusivo della religione. Un siriaco letterario esisteva anche prima del cristianesimo, per quanto i resti (la lettera di Mārā bar Sarapyōn, qualche frammento storico incorporato in cronache di tempo più tardo, qualche iscrizione su monete) ne siano scarsissimi. Nei più antichi monumenti pervenutici, la traduzione della Bibbia e gli inni bardesanici, il siriaco appare già compiutamente fissato, il che presuppone un lungo svolgimento letterario anteriore.
Comune con gli altri dialetti dell'aramaico orientale il siriaco ha il prefisso n- nell'imperfetto 3ª pers. masch. (singolare) e masch. e femm. (plurale). Come è noto, questo fenomeno si ritrova parzialmente anche nel cosiddetto aramaico occidentale; tuttavia, almeno da un punto di vista empirico, esso appare un comodo criterio distintivo. Il grande sviluppo assunto dalla masora biblica giova a farci conoscere con esattezza il vocalismo del siriaco, rispetto al quale, soprattutto, si distinguono le due varietà del siriaco: l'orientale (in uso presso i nestoriani) e l'occidentale (in uso presso i monofisiti, i melchiti e i maroniti). La prima è più conservativa, avendo mantenuto le vocali ā, ō, õ, ē mentre nel siriaco occidentale la prima è passata a ō, le altre si sono fuse con ö, ū, ī. Viceversa il siriaco orientale ha ridotto a scempie le vocali doppie originarie o secondarie, che l'occidentale ha conservato e anzi sviluppato.
Nella morfologia il siriaco non si differenzia notevolmente dall'aramaico comune; nella sintassi è notevole il particolare sviluppo della coniugazione perifrastica (participio + pronome personale), la grande libertà nell'ordine delle parole entro la proposizione e la complessità, maggiore che nelle altre lingue semitiche, delle relazioni di subordinazione: benché nei due ultimi fenomeni non sia da disconoscersi l'influsso del greco, essi sono dovuti in parte a uno sviluppo autonomo, i motivi del quale sono da ricercarsi nella storia letteraria.
Il siriaco, divenuto lingua letteraria della chiesa e della scienza, sorpassò di gran lunga i confini del territorio in cui era lingua parlata; a partire però dal sec. VIII anche in questo esso cedette gradualmente il posto all'arabo, riducendosi sempre più a lingua esclusivamente artificiale: fin dal sec. X comincia il fenomeno di autori che usano indifferentemente, a seconda delle circostanze, il siriaco e l'arabo nei loro scritti, fenomeno generalizzatosi poi nel sec. XIII, quando il siriaco poteva dirsi ormai lingua morta.
In forma di dialetto, preservato dalla scomparsa dall'isolamento geografico, culturale e religioso di coloro che lo parlano, il siriaco si è mantenuto sino ai giorni nostri in alcune località dell'alta Mesopotamia e dell'Armenia orientale: a Ṭūr ‛Abdīn, nei dintorni di Mossul (cosiddetto felliḥ o "dialetto rurale"), presso il Lago di Urmia (neosiriaco): per iniziativa di missioni protestanti il dialetto di quest'ultima località ha avuto anche qualche modesto prodotto letterario e la traduzione dell'intera Bibbia. Nel neosiriaco la fonetica è fortemente differenziata da quella originaria (notevole lo sviluppo delle palatali, ignote al siriaco antico), la coniugazione perifrastica ha interamente soppiantato quella a desinenze e a prefisso, il lessico è copiosamente alterato dall'introduzione di vocaboli arabi, turchi e curdi.
Bibl.: Th. Nöldeke, Kurzgefasste syrische Grammatik, 2ª ed., Lipsia 1898; C. Brockelmann, Syrische Grammatik (con crestomazia e bibliografia), 4ª ed., Berlino 1925; H. Gismondi, Chrestomathia syriaca (con grammatica), 2ª ed., Roma 1900; R. Payne Smith, Thesaurus Syriacus, Oxford 1863-1901 (Supplementum, ivi 1927); C. Brockelmann, Lexicon Syriacum, 2ª ed., Halle 1928. Per il neosiriaco: Th. Nöldeske, Neusyrische Grammatik, Lipsia 1868; A. J. Maclean, Grammar of the dialects of vernacular Syriac, Cambridge 1895.
La letteratura Siriaca.
È il complesso delle opere letterarie scritte in lingua siriaca dai cristiani della Mesopotamia, della Siria e dell'impero persiano. Tutti gli scrittori siri sono stati bensì cristiani - ad eccezione forse di pochissimi di religione manichea - ma non tutti gli scrittori siri sono stati di lingua materna siriaca. Nell'impero dei Persiani e nell'interno dell'Asia hanno scritto opere letterarie in lingua siriaca anche autori mongoli o persiani o persino cinesi. Questa circostanza è dovuta al fatto che la lingua siriaca fu la lingua ufficiale della chiesa nestoriana (v. nestoriani), la quale ebbe vasta diffusione anche nell'interno dell'Asia e contò tra i suoi adepti numerosi Persiani Mongoli e Cinesi e ancora fedeli di altre nazionalità. In siriaco non si scrisse dunque soltanto nei paesi originarî della letteratura siriaca, che sarebbero la Mesopotamia settentrionale e meridionale, ma anche in altri paesi. Siccome poi monaci siriaci fondarono monasteri anche in Siria, in Palestina e in Egitto, non è da meravigliarsi che si sia scritto in siriaco anche in questi paesi, quantunque la lingua nazionale di queste contrade fosse diversa dalla siriaca. Tra gli scrittori siriaci troviamo quindi anche autori che non portano affatto nomi siriaci e che provengono da regioni molto distanti dalla Mesopotamia, persone dunque delle quali in nessun modo si potrebbe affermare che sono di lingua o di civiltà semitica.
La letteratura siriaca ebbe inizio a Edessa e forse contemporaneamente anche a Nisibi, più ad oriente della prima città, ma ancor sempre entro i confini della Mesopotamia settentrionale. È possibile - anzi sarà certo - che a Edessa si sia scritto in siriaco, cioè nel dialetto aramaico che si parlava nella città stessa e nei suoi dintorni, ancor prima dell'era volgare o subito dopo il principìo di questa, ma di tale letteratura siriaca pagana non abbiamo nessuna opera veramente letteraria, ad eccezione di una pretesa lettera di un certo Mārā di Samosata e di qualche documento ufficiale del principato di Edessa, documento che non può pretendere a nessun pregio letterario. Per ora dunque la letteratura siriaca è una letteratura prettamente cristiana. Eppure l'antica versione siriaca dell'Antico Testamento, la "Semplice", Peshīṭtā, deve essere stata fatta in ambiente giudaico, da qualche scrittore giudaico, forse non ancora passato al cristianesimo, della città di Edessa, poiché essa contiene brani di carattere aggadico che non possono esser stati noti che nei circoli giudaici della Mesopotamia settentrionale. L'antica versione semplice dell'Antico Testamento ha esercitato in seguito grandissima azione non soltanto sulla lingua siriaca ma anche su tutta la letteratura dei Siri. Se dunque le origini della letteratura siriaca risalgono, si può dire, quasi al principio dell'era volgare, la sua fine non è a rigore ancora giunta, perché qualche opera letteraria in questa lingua si pubblica ancora al giorno d'oggi. Ma in realtà essa può dirsi tramontata già dal sec. XV; da questo secolo infatti non si è scritto più che assai poco in siriaco.
La letteratura siriaca condivide pienamente tutte le qualità caratteristiche delle letterature dell'Oriente cristiano (v.). Essa è una letteratura essenzialmente religiosa, tutta intenta a scopi apologetici e teologici. È una letteratura quasi esclusivamente di sacerdoti e monaci che con le loro opere mirano alla propagazione della religione e all'istruzione e predicazione cristiana. Siccome i Siri si divisero in due grandi sette o chiese, la giacobitica e la nestoriana, molte loro opere letterarie hanno per scopo la polemica e la controversia dogmatica. Per assolvere però degnamente a questo compito, gli scrittori siriaci non trascurarono naturalmente tutte quelle discipline che contribuiscono all'educazione e all'istruzione dell'uomo. Essi scrissero a questo scopo anzitutto molto di filosofia, in quanto essa insegna a pensare rettamente e fornisce gli strumenti per lo studio della teologia e di qualsiasi altra disciplina. Nella filosofia occupa il primo posto la logica. Essi coltivarono inoltre la storia e compilarono molte cronache, sia locali e particolari sia universali, attenendosi spesso ai modelli greci, senza avventurarsi nella storiografia vera e propria. Studiarono inoltre la grammatica siriaca e ne scrissero numerosi trattati. Cura speciale essi dedicarono all'insegnamento della pronuncia, segnatamente a quella del testo della Sacra Scrittura nel corso delle funzioni religiose. Non mancano quindi i manoscritti punteggiati molto meticolosamente, con tutte le indicazioni atte a dare al lettore informazione esatta sulla retta pronuncia e intonazione.
I Siri scrissero anche di scienza, senza essere però originali in questo ramo letterario. Inoltre essi tradussero moltissimo dal greco in siriaco. Anche in questo campo essi si attennero in primo luogo alla letteratura religiosa, pur non disdegnando generi letterarî, come trattati di mantica e di medicina popolate. Come tutti gli altri Semiti ebbero forte vena poetica e compilarono grande numero di poesie, nelle quali i versi devono avere un numero prestabilito di sillabe. Trattarono in versi di qualsiasi argomento, anche, a titolo d'esempio, di psicologia. Comunque, la stragrande maggioranza delle opere letterarie è di argomento religioso e va dai commenti alla Sacra Scrittura ai martirologi e alle pie leggende, agli scritti di teologia fortemente filosofica e ai libri e trattati ritualistici e alle opere sulle cerimonie religiose, alle descrizioni della creazione e agli scritti sul computo della data della Pasqua. Un'altra caratteristica, in comune con le altre letterature cristiane d'Oriente, è la mancanza di originalità negli scrittori. La letteratura cristiana in lingua greca è il grande, non soltanto insuperabile, ma anche ineguagliabile, modello per cui quasi tutti gli scrittori siriaci avevano grande ammirazione. Quasi nulla è stata invece l'azione dell'antica letteratura greca pagana, della quale i Siri non conobbero che alcuni nomi di autori, segnatamente di filosofi trovati negli scritti di autori cristiani greci, a eccezione però di Aristotele. La loro mentalità differiva tanto dalla concezione classica del mondo da rimanere essi affatto privi di comprensione per la cultura classica, vista di cattivo occhio anche per il fatto che era pagana. Con tutto ciò però essi tradussero qualche opera letteraria greca, a mo' d'esempio, alcuni trattatelli di Plutarco. Nei secoli migliori della letteratura siriaca i sacerdoti più intelligenti non si contentarono dell'insegnamento che potevano dare loro le scuole siriache, tra le quali ebbe grande prestigio in primo luogo quella famosa di Edessa, ma volendo acquistare più profondo sapere solevano recarsi in scuole e conventi greci, dove l'istruzione si faceva in greco, e quindi assorbivano insieme con le cognizioni il rispetto e l'amore per tutto ciò che era greco e segnatamente per la letteratura di questo popolo che essi cercavano di imitare in tutti i modi. Si potrebbe quindi quasi affermare che buona parte della letteratura siriaca è letteratura greca in lingua siriaca. Una certa originalità la letteratura siriaca può vantare soltanto per i primi secoli dell'era volgare, quando l'aramaismo era ancora vigoroso in Mesopotamia e aveva dietro di sé parecchi secoli di potenza politica e di prestigio letterario. I più antichi scrittori siriaci seguono nelle loro composizioni letterarie generi che sono di carattere aramaico e indigeno. Il mēmrā paleosiriaco deve in realtà poco all'omilia greca. Originale è eziandio la poesia siriaca con le sue regole sul numero esatto delle sillabe e dei versi. Per questo lato essa diverge anche dalle sue consorelle semitiche. Se dunque durante i secoli più floridi della letteratura siriaca questa risentì in modo molto pronunciato l'azione delle lettere greche, e ciò per ragioni di prestigio letterario, più tardi, dopo la conquista della Mesopotamia e della Siria da parte degli Arabi, fu il prestigio politico della nuova schiatta dominante a spingere gli scrittori siriaci verso l'imitazione della letteratura araba, imitazione che riusciva loro più facile di quella della greca per la grande affinità delle due letterature e mentalità semitiche in parola. Alcuni scrittori siriaci poterono comporre le loro opere letterarie indifferentemente in siriaco e in arabo. Qualcuno preferì scrivere addirittura in arabo, sia con l'alfabeto arabo sia con l'alfabeto siriaco. Ma gli scritti vergati in lingua araba appartengono veramente alla letteratura araba cristiana. Qualche azione risentì la letteratura dei Siri anche da parte di quella persiana. Furono tradotte in siriaco opere letterarie scritte in mediopersiano (pehlevi), e qualche autore siriaco, di origine persiana, scrisse tanto in persiano quanto in siriaco oppure, pur scrivendo in lingua siriaca, ha uno stile fortemente persiano, intercalato qua e là di parole persiane.
Per quanto concerne la storia della letteratura siriaca e i suoi periodi possiamo distinguere un periodo più antico, primitivo, nel quale l'influsso delle lettere greche non si fa quasi ancora sentire, periodo che va fino al sec. IV e al quale appartengono alcuni corifei della letteratura, scrittori che tutti i Siri hanno sempre venerato e che hanno quindi esercitato sempre grande azione sullo spirito letterario del loro popolo, scrittori classici insomma. Nel periodo che segue, e che abbraccia tutta la rimanente letteratura siriaca, bisogna fare una netta distinzione tra gli scrittori nestoriani e gli scrittori giacobitici, monofisitici. La letteratura resta bensì una quantunque la lingua e l'alfabeto dei giacobiti siano occidentali e quelli dei nestoriani orientali, ma con tutto ciò le due sette seguono il loro proprio filone. La posizione geografica e le vicende storiche delle due sette determinano inoltre alcune differenze. I giacobiti sono in contatto immediato con la civiltà greca e perciò ne risentono più profondamente e completamente l'azione, i nestoriani invece sono più orientali, guardano più verso l'Asia e sono in contatto immediato con ben altre civiltà, di carattere alquanto diverso dalle occidentali. Certamente anche i nestoriani attingono alle stesse fonti della letteratura e della cultura greche, ma ne risentono l'azione in misura minore, con intensità diminuita. Verso il Mille però, quando le polemiche religiose si attenuano, i due rami della letteratura siriaca tendono a ricongiungersi sempre più, gli scrittori attingono senza riguardo anche alle opere letterarie prodotte dall'altro ramo, e di qualche grande scrittore siriaco di dopo il Mille non si potrebbe affermare con esattezza se sia giacobitico o nestoriano. Un solco nella storia letteraria è rappresentato dalla conquista araba e questo avvenimento può quindi denotare il principio di un nuovo periodo.
La letteratura siriaca oltre che offrire alla nostra ammirazione alcune buone opere letterarie tanto in versi quanto in prosa è meritevole di studio anche per il fatto che ci fa conoscere l'attività letteraria, spirituale, religiosa e scientifica di una nazione e di due chiese che ebbero una parte importante nei destini dell'Asia occidentale durante tutto il Medioevo. Alla letteratura siriaca attingiamo quindi molte notizie di carattere storico che altrimenti ci sarebbero affatto ignote. I Siri diffusero in Asia alcuni dei più grandi prodotti dello spirito filosofico e religioso dei Greci e trasmisero fedelmente questi tesori a molti popoli asiatici che in quei tempi erano ancora in uno stato di semibarbarie. Essi furono inoltre gli intermediari tra l'Occidente greco e gli Arabi, e la conoscenza che gli scrittori arabi dei primi secoli dell'ègira ebbero dello spirito greco essi l'acquistarono per il tramite di versioni siriache le quali alla loro volta furono tradotte in arabo. Se durante il Medioevo persino tra i Mongoli e i Turchi orientali le dottrine di Aristotele e di Platone erano non soltanto note ma anche dibattute con passione, ciò si deve all'umile attività dei monaci e sacerdoti siri, i quali con le loro versioni dal greco avevano dischiuso all'Oriente fino alla Cina i tesori dello spirito occidentale greco.
Ma lo studio della letteratura siriaca ha attirato già da parecchio tempo l'attenzione degli studiosi ancora per altri motivi. Essa ci ha conservato in lingua siriaca, in traduzioni più o meno fedeli, parecchi scritti, documenti e vere opere letterarie che non ci sono state trasmesse nelle loro lingue originali. Non poche opere, p. es., che non conosciamo più nella loro originale stesura greca, possiamo leggere invece ancora nella versione siriaca.
Per lo studio della letteratura dei Siri abbiamo a nostra disposizione grande quantità di ottime edizioni di opere letterarie scritte in lingua siriaca, edizioni fatte per la maggior parte da orientalisti occidentali. Ma una grande quantità di scritti siriaci è ancora inedita. Li possiamo conoscere però attraverso i manoscritti siriaci conservati in grandissimo numero nelle più importanti biblioteche di Europa. I manoscritti più antichi, i quali risalgono al sec. IV d. C., sono di pergamena, sono scritti in due colonne per ciascuna pagina e con scrittura chiamata esṭrangēlā (στρογγύλη), ossia scrittura maiuscola perché grande, ma graziosa di forma. È una forma aggraziata dell'antica scrittura aramaica. I manoscritti più recenti sono in serṭā, se vergati dai giacobiti, scrittura che rappresenta un ulteriore sviluppo dell'antica scrittura maiuscola, e in nestoriana, se vergati da scrittori nestoriani, che non è altro che la stessa scrittura antica con leggerissime modificazioni che le conferiscono un aspetto più angoloso.
Al periodo ancora pagano della letteratura siriaca sembra appartenere una lettera di un certo Mārā di Samosata a suo figlio Serapione, d'ispirazione stoica, a meno che essa non sia una versione, o forse meglio, un rifacimento dal greco. Subito all'inizio si presenta inoltre la versione Semplice dell'Antico e del Nuovo Testamento, versione sempre accettata da tutte le sette sire e perciò di grandissima importanza e profonda azione sulle lettere siriache. La versione dell'Antico Testamento è stata fatta direttamente sul testo ebraico e dovrebbe risalire al sec. II. Sta di fatto che essa era nota già a Bardesane. Per autori essa dovrebbe avere dei Giudei passati al cristianesimo. Essa è chiamata Semplice, Peshòṭtā, per opposizione all'Essaplare. Il suo testo fu poi riveduto allo scopo di armonizzarlo con quello della versione dei LXX. Meno antica è la traduzione paleosiriaca del Nuovo Testamento, anche essa detta Semplice. È stato tradotto inoltre in siriaco il Diatessaron di Taziano, forse da lui stesso. Esisteva ancora una versione dei Vangeli, la cosiddetta Separata. Dopo il 505 Filosseno di Mabbūgh incaricò un certo Policarpo di fare una versione letterale dell'Antico e del Nuovo Testamento. Ma la versione ebbe poco successo. Essa è chiamata versione filosseniana. L'Essaplare siriaca è calcata sui LXX secondo le Essaple di Origene. La versione filosseniana del Nuovo Testamento fu riveduta da Tommaso di Eraclea (Harqel) nel 616.
Subito sulle soglie della letteratura dei Siri si presenta la figura avvincente di Bardesane di Edessa, filosofo stoico e grande poeta, che mediante i suoi inni di carattere gnostico cercava d'instillare negli abitanti della sua città il sottile veleno delle dottrine eterodosse. Egli è famoso segnatamente per il suo dialogo intitolato Libro delle leggi dei paesi (v. bardesane). Morì nell'anno 222.
Altro grande scrittore dei primordî è Afraate, di origine persiana, grande teologo, scrittore di numerosi mēmrē ossia di omilie di contenuto dogmatico e teologico. Egli esercitò sempre grande azione sulle generazioni posteriori degli scrittori siri.
La triade dei grandi scrittori del primo periodo si completa col nome di Efrem, il quale fu incontestabilmente il più grande scrittore delle lettere siriache, veemente polemista, commentatore delle Sacre Scritture, ottimo poeta, scrittore fecondissimo, ardente avversario di tutte le numerose eresie che in quel periodo di tempo pullulavano nella chiesa della Mesopotamia. Efrem ebbe vari discepoli, tra i quali emerse specialmente Cirillona, autore di non poche poesie. Visse prima e dopo l'anno 393. Verso l'anno 460 morì uno scrittore siriaco di molte poesie chiamato Isacco d'Antiochia, anche lui uno degli autori classici della letteratura siriaca. Il numero dei suoi mēmrē metrici arriva alla cifra di quasi duecento. Essi trattano segnatamente di eresie e gettano qualche luce anche sulla religione degli Arabi pagani di quel tempo. Alla stessa epoca risale anche Bālay, corepiscopo della regione di Aleppo, autore di inni e di altre poesie.
Se il primo periodo può vantare alcuni scrittori di grande fama, il secondo, che va dal sec. V alla conquista araba e vide la formazione delle due grandi sette dei giacobiti e dei nestoriani, è certamente il più brillante di tutta la letteratura dei Siri. L'educazione presso i Siri ebbe durante questo periodo grande impulso in primo luogo per la fondazione di alcune ottime scuole che sorsero a Edessa, a Nisibi, a Seleucia nella Mesopotamia meridionale. Segnatameme la famosa scuola di Edessa, la cui organizzazione conosciamo bene, può vantarsi di aver fatto sbocciare l'ingegno di alcuni ottimi scrittori. Tra questi emerge anzitutto Rabbūlā, che fu vescovo della città nordmesopotamica, autore di parecchie opere letterarie delle quali però purtroppo ben poco ci è stato conservato. Rabbūlā ebbe per successore Hībhā (Ibas), scrittore noto segnatamente per le sue versioni dal greco. Hībhā scrisse una famosa lettera a Mārī, metropolitano di Rēwardāshīr, per la quale fu condannato dal concilio di Efeso del Mg. Così cominciò il nestorianesimo tra i Siri. Nella sua opera di traduttore Hībhā ebbe per compagni Kūmī e Prōbhă, dei quali il primo fece dal greco versioni di scritti teologici (anche del trattato di Teodoro di Mopsuestia sull'incarnazione), il secondo invece tradusse dal greco e commentò alcuni scritti di logica, segnatamente di Aristotele.
Ai primordî del movimento nestoriano appartengono alcuni scrittori che anche coi loro scritti concorsero a propagare la nuova dottrina tra i sudditi dell'impero persiano e contribuirono non poco a consolidare la sua posizione. Sono da ricordare Bābhōy, Bdrṣawmā, autore di omilie, madhrāshē, discorsi funebri, lettere, poi Acacio (Aqaq) e Narsay, direttore per qualche tempo della scuola dei Persiani a Edessa, poi riformatore della scuola di Nisibi, indi capo di un monastero, grande poeta e perciò detto Arpa dello Spirito, ma autore eziandio di commenti alla Sacra Scrittura. Le sue poesie sono scritte in versi di dodici o di sette sillabe. Alla scuola di Nisibi appartenne anche Giuseppe Hūsāyā che fu un discepolo di Narsay, autore della versione siriaca della Τέχνη grammaticale di Dionisio e creatore di un sistema siriaco di puntazione.
Il più cospicuo rappresentante però dello spirito della scuola di Nisibi è il cattolico Mār Ābhā, morto nell'anno 552, buon conoscitore della lingua greca, il quale aveva viaggiato in Palestina, Egitto, Grecia, Elam, Persia, fondatore della scuola teologica di Seleucia, autore di omilie e mēmrē, commentatore della Sacra Scrittura e compilatore di un compendio di diritto matrimoniale. Suoi scolari furono Paolo di Nisibi, morto nel 571, Tommaso di Edessa e Teodoro di Marw, cui Sergio di Resaina dedicò alcuni dei suoi lavori filosofici.
Il periodeuta Būdh tradusse in questo tempo dal mediopersiano le Favole di Kalila e Dimna (Qalīlagh e Damnagh). Da qualche scrittore nestoriano sarà stato tradotto anche il cosiddetto romanzo di Alessandro in lingua siriaca. Direttore della scuola di Nisibi fu anche un altro scrittore rinomato di questo tempo, Ḥenānā dell'Adiabene, morto nel 610. Egli emanò nuovi statuti per l'organizzazione e il funzionamento della scuola e scrisse numerosi trattati e omilie, nonché commenti a varî libri dell'Antico e del Nuovo Testamento. Insegnante alla stessa scuola fu anche Michele Bādhōqā, autore di varî scritti di argomento prevalentemente filosofico, tra i quali menzioneremo il Libro delle definizioni.
Abramo di Kashkar si ritirò, dopo aver fatto la conoscenza della vita degli eremiti dei deserti di Egitto e del Sinai, sulle alture del monte Izlā vicino a Nisibi e vi fondò il Gran Monastero. Le regole per il nuovo convento furono dettate da lui. Vanno menzionati inoltre Abramo Nathperāyā, autore di scritti di argomento ascetico; Bābhay, detto lo scrivano di Me‛arrē, che trattò di argomenti ascetici; e Bābhay il Grande, monaco nel grande convento di Izlā e poi suo capo. Egli scrisse ben novanta opere, tra le quali va rilevata in primo luogo la trattazione teologica Sull'unione, che contiene un'esposizione accurata e chiara della dottrina nestoriana. Bābhay è inoltre autore di commenti, di inni, di trattati o omilie, e di regole monastiche.
Di questo periodo è da menzionare ancora una storia ecclesiastica, composta da un certo Meshīḥazekhā tra gli anni 540 e 569, storia che tratta specialmente dell'Adiabene e della metropoli Arbela. Una Storia di Karkhā di Bēth Selōhh e dei suoi martiri, che dovrebbe risalire a questo tempo, è rimasta anonima. Contenuto storico ha ancora la Causa della fondazione delle scuole di Barḥadhbeshabhā di Halwān, con notizie concernenti anche la scuola già più volte menzionata di Nisibi. Di questo periodo sono da annoverare parecchi martirologi e non poche biografie.
Passiamo ora agli scrittori monofisiti o giacobiti di questo secondo periodo della letteratura siriaca. Due scrittori emergono nel secolo V sopra tutti gli altri: Giacomo di Serūgh, e Filosseno di Mabbūgh, il primo nato nel 452, vescovo di Baṭnān, e famoso poeta, cui si attribuiscono non meno di settecentosessanta omilie metriche, per le quali fu detto Flauto dello Spirito Santo e Arpa della Chiesa Ortodossa, il secondo invece autore in prosa, scrittore molto fecondo, eloquente, dallo stile energico, dalla lingua pura, e noto specialmente per i suoi trattati dogmatici, tra i quali menzioneremo quello sulla Trinità e sull'incarnazione. Compose anche numerose omilie.
Contemporaneo di Filosseno fu Stefano bar Ṣudhaylē, eretico perché professò dottrine spiccatamente panteistiche. Un ardente avversario dei nestoriani fu Simeone dì Bēth Arshām, morto a Costantinopoli nel 548. Abilissimo nelle discussionì dialettiche, fu chiamato il Sofista Persiano. Di lui sono ben note segnatamente due lettere, delle quali una tratta delle origini del nestorianesimo in Persia e l'altra ha per oggetto le persecuzioni dei cristiani del Negirān nello Yemen.
Autore di canoni e di risposte a domande del sacerdote Sergio fu un altro ardente monofisita di questo tempo, Giovanni bar Kūrsōs. tna traduzione degli scritti di Severo d'Antiochia, del vero capo della chiesa monofisitica, fu pubblicata da Paolo di Callinico.
Sergio di Resaina, archiatro, fu la mente più addottrinata tra i Siri monofisiti del secolo VI. Scrisse molte opere di filosofia e di medicina, attenendosi però strettamente sia ad Aristotele sia a Galeno. In quest'epoca furono fatte versioni del Fisiologo dal greco, dei Geoponici, di varî trattati alchimistici.
L'attività di Giacomo Baradeo si è esplicata più nel campo pratico della riorganizzazione della chiesa monofisita che in quello delle lettere. Tuttavia rimangono ancora di lui alcune lettere e qualche altra composizione di poco conto. Aḥūdhemmēh, decapitato nel 575, scrisse anche di argomenti filosofici. Egli trattò del libero arbitrio e della composizione della persona e compilò una raccolta di definizioni filosofiche. Grande rinomanza ebbe in questo secolo Giovanni d'Efeso, autore di una Storia ecclesiastica divisa in tre parti, e di un libro delle Vite dei beati orientali, con cinquantotto brevi biografie. In questo secolo è stata scritta probabilmente da un monaco di Edessa la Storia di Giuliano. In Mesopotamia fu composta anche La caverna dei tesori. Ma di tutte e due queste opere ignoriamo l'autore. Sempre allo stesso secolo va attribuita la cosiddetta Storia ecclesiastica dello pseudo-Zaccaria, divisa in dodici libri. Paolo di Tellā esplicò la sua attività letteraria principalmente nel campo della letteratura liturgica.
La letteratura nestoriana del periodo seguente è non meno ricca di quella dell'epoca or ora menzionata. Del cattolico Ishō‛yahbh II quasi tutti gli scritti sono andati perduti e perciò non siamo in grado di giudicare il suo valore di letterato, ma di Īshō‛ahbh III, morto nel 657, possiamo ancora al giorno d'oggi ammirare grande quantità dei suoi molti scritti che vanno dalle lettere ai trattati antiereticali, dalle prediche ai discorsi funebri, da opere di carattere ascetico a molti mēmrē e madhrāshē poetici. In quest'epoca molti autori nestoriani sono di origine persiana.
Persiano di nascita era Giuseppe Hazzāyā, autore di non meno di mille e novecento trattati. Tra questi menzioneremo il Libro dei tesori, il Paradiso degli Orientali, commenti dei Capita scientiae di Evagrio e di scritti di altri asceti, episiole sulla vita monastica. Sahdōnā fu anzitutto autore di opere ascetiche. Di filosofia trattò ‛Enānīshō‛, in una raccolta di divisioni e definizioni. Egli è maggiormente noto però per la sua opera Paradiso dei padri, la quale si compone di storie e di sentenze. Biografie di asceti compilò anche Aphnīmāran che morì nell'anno 652 e scrisse anche poesie di argomento liturgico. Simone di Rēwardāshīr è noto per una raccolta di ventidue decisioni di diritto familiare ed ereditario.
Il cattolico Henaniesu compilò tra l'altro un commento agli Analitici di Aristotele, omilie, lettere, mēmrē in versi, due libri di diritto, dei quali però soltanto uno si è conservato, e parecchie altre opere. Di Giovanni Azraq si ha, tra altri scritti, una raccolta di indovinelli. Menzione merita ancora Giovanni bar Penkāyē per un'opera dal titolo Libro dei punti principali della storia del mondo, che tramezza tra la storia universale e il trattato di filosofia della storia.
Al sec. VIII appartiene Īshō‛bōkht di Rēwardāshīr, noto segnatamente per un suo libro di diritto, scritto originariamente in lingua persiana. Egli ha scritto anche un breve trattato sulle Categorie di Aristotele. Isacco di Ninive è l'autore di parecchie opere di carattere ascetico e mistico.
La figura più eminente però tra gli autori nestoriani di questo secolo è Timoteo, morto nell'823, autore segnatamente di una raccolta di decisioni di diritto, di canoni, d'importanti lettere. Nel Libro degli scolî di Teodoro bar Kōnay si trovano raccolte accanto a un commento della Sacra Scrittura moltissime notizie di carattere scientifico e filosofico, religioso e dogmatico, e una lista molto ampia di eresie. Del cattolico Īshō‛bar Nūn abbiamo Questioni sopra tutta la Sacra Scrittura, alcune lettere, discorsi funebri, canoni e decisioni giuridiche.
Una storia monastica importante per la copia delle notizie è la Storia dei superiori di Tommaso di Margā, cominciata nell'840. Uno dei più notevoli commenti nestoriani alla Sacra Scrittura è quello che ha per autore Īshō‛dādh di Marw. L'attività di Ḥunayn ibn Isḥāq di Ḥīrah non si manifestò che in parte soltanto nell'ambito delle lettere siriache, poiché egli scrisse molto anche in arabo. Egli compose una grammatica, un trattato sui punti, un altro sugli equilitteri e una spiegazione delle parole greche in siriaco, che può essere riguardata come il primo lessico siriaco. Un suo discepolo fu Bar ‛Alī, autore di un grande lessico del tutto fondato su quello del suo maestro. Bar Bahlūl che visse verso la metà del sec. X compilò un Lessico importante della lingua siriaca. Di Michele il Siro va ricordata una Cronaca, finita nell'anno 1195.
Di rilievo per la storia del monachesimo in Oriente è il Libro della castità di Īshō‛denaḥ. Egli redasse ancora un trattato di logica, omilie, una storia ecclesiastica in tre libri. Elia di Anbar, Giorgio di Arbela, Giovanni bar Kaldūn appartennero alla stessa cerchia di autori nestoriani.
Non minore importanza ebbero durante questo periodo i numerosi e celebri autori monofisiti. Già durante quest'epoca l'azione della lingua e letteratura araba si fa sentire in grado sempre maggiore, sicché verso il Mille le lettere decadono molto tra i giacobiti, per risorgere però durante un breve periodo dopo il Mille. Mārūthā di Taghrīth apre la schiera degli autori più celebri di questo periodo. Tra questi va messo al primo posto Severo Sēbhōkht, morto nel 666, vescovo di Qenneshrīn, filosofo e scienziato. La palma però tra gli autori giacobitici spetta a Giacomo di Edessa uomo coltissimo, imbevuto di scienza greca, autore molto fecondo che scrisse anche di grammatica e fu la mente più originale di tutti i Siri.
Atanasio di Bālādh, morto nel 686, scrisse specialmente sulla logica. Di Giorgio delle Nazioni va menzionata prima di tutto la versione quasi letterale dell'Organo aristotelico, della quale non si sono però conservati tutti i libri. Di Teofilo di Edessa si narra che tradusse in siriaco l'Iliade e l'Odissea. Egli scrisse anche trattati di astronomia. Dawīdh bar Pawlōs pubblicò un'opera di grammatica, scrisse un dialogo di argomento teologico e un commento al capitolo decimo della Genesi. L'opera principale di Dionisio di Tellmahrḥrē una Storia, divisa in due parti. Giovanni di Dārā compilò trattati sull'anima, sugli angeli, sulla resurrezione dei corpi, sul sacerdozio e commentò le opere dell'Areopagita.
A Mosè bar Kēphā dobbiamo parecchi scritti. Egli scrisse sul Paradiso d'Eden e compose un Essaemero. Redasse inoltre un commento a una scrittura logica di Aristotele.
Qui va fatta menzione di una vasta opera anonima di carattere filosofico dal titolo Libro della causa delle cause, nella quale già si sente l'azione del pensiero islamico su quello delle chiese cristiane d'Oriente. Risalgono a questo tempo anche parecchie versioni dall'arabo in siriaco.
Ed ora, passato il Mille, comincia la decadenza sempre più rapida e profonda delle lettere siriache. Gli scrittori diventano per la maggior parte meri compilatori, i quali attingono a piene mani alle opere letterarie del passato e anche alla letteratura araba che nel frattempo si era sviluppata e aveva raggiunto grandi altezze. Sia presso i giacobiti sia presso i nestoriani assistiamo bensì nei primi secoli del secondo millennio a una specie di rinascimento dello spirito letterario, ma il rinascimento è seguito ben tosto dalla rovina completa. Tra i giacobiti va fatta menzione di Dionisio bar Ṣalībhi, autore enciclopedico, rimarchevole per i suoi commenti alla Sacra Scrittura. Di Teodoro bar Wahbūn, morto nel 1192, abbiamo scritti compilati anche in lingua araba. Gīwargīs (Giorgio) Wardā di Arbela compose grande quantità di poesie di argomento religioso. Pretese enciclopediche ebbe anche Salomone di Baṣrā del quale si conosce un Libro dell'ape. Egli è inoltre l'autore del Libro della forma del cielo e della terra. Giovanni bar Zō‛bī fu scolaro di Simone di Shanqelābhādh, che scrisse un libro sulla cronologia. Giovanni compilò dissertazioni su varî soggetti in versi. Trattò anche di filosofia e di grammatica. Di Giacomo bar Shakkō abbiamo due specie di enciclopedie: una, d'argomento ecclesiastico e religioso, reca il titolo Libro dei tesori, mentre l'altra, di contenuto scientifico, è chiamata Libro dei dialoghi. Egli vi discute in forma di domanda e risposta di filosofia, di fisica, di matematica, di metafisica, di retorica e di altre discipline affini. Il vero scrittore enciclopedico dei Siri giacobiti fu però Gregorio Barhebreo, la cui posizione preminente nelle chiese siriache è paragonabile soltanto a quella di Alberto Magno in Occidente. Le sue opere più importanti vertono sulla teologia e sulla filosofia. Attività letteraria molto vasta esplicò ancora il nestoriano ‛Abdīshō ‛bar Berīkhā (v. ebediesu) che morì nel 1318. Ma oramai la letteratura siriaca aveva raggiunto la sua fine. Nei secoli seguenti si è scritto ben poco. È significativo però che si compilarono ancora varî scritti di filosofia, calcati sulle opere logiche di Aristotele.
La letteratura siro-palestinese.
È la letteratura sviluppatasi in Palestina (ma i cui prodotti si sono estesi anche verso Antiochia, il Sinai e l'Egitto) tra i cristiani di lingua aramaica separatisi dalla chiesa siriaca monofisita in seguito al concilio di Calcedonia e dichiaratisi fedeli all'ortodossia bizantina. La loro antica dipendenza dalla chiesa siriaca fece sì che essi continuassero a usare la scrittura siriaca (in una varietà che presenta alcuni caratteri inconfondibili, ma che ha una grande analogia con l'antica esṭrangēlā), pur servendosi del proprio dialetto, una varietà dell'aramaico occidentale molto simile a quella parlata dagli Ebrei palestinesi (perciò anche, per via di contrasto, è designata col termine "cristiano-palestinese"), della quale è verosimile che la chiesa palestinese si sia servita, nell'uso liturgico, fin dalle origini. La stretta connessione di fede con Bisanzio ha avuto per conseguenza che la letteratura siro-palestinese, di assai scarsa estensione, sia costituita quasi esclusivamente da traduzioni dal greco, qualcuna dalla più antica letteratura siriaca: evangeli, apocrifi, lezionarî, liturgie, vite di santi, omilie. I suoi più antichi monumenti risalgono al secolo VII d. C., e hanno, più che altro, importanza linguistica, giacché quella per la critica testuale degli originali greci non è molto grande.
I testi siro-palestinesi penetrano assai per tempo nei conventi del Sinai, dove, e specialmente in quello di Santa Caterina, sono stati scoperti i più antichi e più importanti manoscritti, alcuni dei quali palinsesti (pubblicati i più da due studiose inglesi, Agnes Smith Lewis e Margaret Dunlop Gibson, nelle serie Studia sinaitica e Horae semiticae, nonché da H. Duensing). La prima conoscenza di questo dialetto è dovuta tuttavia a un italiano, F. Miniscalchi-Erizzo (1811-75), il quale nel 1861-64 pubblicò a Verona (dal codice vat. sir. 19), l'Evangeliarium Hierosolymitanum, lavoro di grande importanza, nonostante i molti errori che contiene, il quale fornì a Th. Nöldeke il materiale per la prima sistemazione scientifica del dialetto (in Zeitschr. d. deutschen morgenl. Gesellsch., XXII, 1868, pp. 443-527). Il materiale lessicale si trova raccolto in F. Schulthess, Lexicon Syropalaestinum (Berlino 1903); lo stesso ha dato la più recente esposizione grammaticale, Grammatik d. christlich-palästinischen Aramäisch (Tubinga 1924) con crestomazia, glossario e bibliografia.
Particolare interesse presenta la cosiddetta "Liturgia del Nilo", redatta in Egitto, che ha conservato un antico rituale dove si riscontrano tracce dell'antica religione egiziana.
Bibl.: Lo studio scientifico della letteratura siriaca è piuttosto recente. Possiamo bensì prendere il Catalogo di Ebediesu, metropolita nestoriano di Nisibi (v. ebediesu) per una rudimentale storia letteraria dei Siri e mettere nella stessa categoria con ben maggiore diritto la Bibliotheca Clementino-Vaticana di G. S. Assemani (v.), ma la vera prima storia della letteratura siriaca è appena il Conspectus rei litteriae Syrorum, che G. Bickell pubblicò a Münster, nel 1871. Nel 1887 W. Wright scrisse per l'Encyclopaedia Britannica, la voce Syriac literature, che egli pubblicò poi anche a parte in forma di libro sotto il titolo A short history of Syriac literature (Londra 1894), non senza avervi fatto alcune aggiunte. Risale all'anno 1899 la prima edizione della Littérature syriaque di Rubens Duval, della quale si hanno una seconda e una terza edizione degli anni 1900 e 1907; C. Brockelmann rese di pubblica ragione una sua storia della letteratura siriaca con intenti di divulgazione nel libro Die syrische und die christlich-arabische Literatur (Berlino-Lipsia 1906). L'opera più perfetta sulla letteratura siriaca è ora il libro di A. Baumstark, Geschichte der syrischen Literatur mit Auschluss der christlich-palästinensichen Texte (Bonn 1922), completa segnatamente per le indicazioni biobliografiche. Era già antiquata invece al suo apparire la Littérature syriaque di J.-B. Chabot (Parigi 1934), perché non aggiornata per quanto riguarda le pubblicazioni di testi fatte nei due ultimi decenni. Grande numero di ottime edizioni di opere siriache è stato edito nella Patrologia Orientalis del Graffin di Parigi e nel Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium, Scriptores Syria cura di varî studiosi. In Italia di letteratura siriaca si sono occupati precipuamente Ignazio Guidi e Giuseppe Furlani, quest'ultimo principalmente con edizioni e analisi di testi filosofici.
La chiesa siriaca.
In Siria il cristianesimo si diffuse fin dall'inizio della sua espansione fuori dalla Palestina, e precisamente ad Antiochia, dove, secondo gli Atti degli Apostoli, XI, 26, i seguaci della nuova religione furono chiamati per la prima volta "cristiani". Per le vicende della primitiva cristianità siriaca v. antiochia (III, p. 511 segg.). La chiesa siriaca, imperniata sui patriarcato di Antiochia, al principio del sec. V estendeva la sua autorità dall'isola di Cipro fino alla Persia inclusa; ma, in detto secolo, si staccarono da essa dapprima per ragioni giurisdizionali la Persia (424) e Cipro (431), e poi, col sorgere delle grandi questioni cristologiche, quelle cristianità che seguirono il nestorianesimo (v. nestorio e nestoriani). Il concilio di Calcedonia (451), che condannava in pieno il monofisismo, non fu accettato da molti cristiani del patriarcato di Antiochia, il quale per parecchi anni fu conteso fra i due partiti, cattolico e monofisita, finché nel 543-44 essi si separarono costituendosi ciascuno in gerarchia separata: i monofisiti vennero chiamati giacobiti, dal nome del loro organizzatore Giacobbe Baradeo (v.), e i cattolici imperiali ossia melchiti (v.). Per le ulteriori vicende storiche, v. monofisiti (XXIII, p. 686 segg.).
Nel periodo di massimo splendore la chiesa siriaca monofisita contò molte metropoli con più di 120 sedi vescovili; oggi il patriarca monofisita, che ha il titolo di , "patriarca della città di Antiochia e dell'intero dominio sottomesso alla cattedra apostolica", estende la sua giurisdizione soltanto su 14 sedi vescovili, di cui alcune sono rimaste semplicemente titolari. I fedeli, compresi quelli sparsi fuori del territorio patriarcale, sembra si aggirino sui 100.000; è da ricordare tuttavia che sono egualmente monofisiti, e seguono in sostanza il rito di Antiochia, anche i circa 200.000 cristiani del Malabar (v.) che dal sec. XVII aderiscono allo scisma di Tommaso Parambil (v. caldea, chiesa).
I siri cattolici odierni discendono da monofisiti tornati all'unione con Roma, perché gli antichi avversarî del monofisismo - ossia i melchiti - aderirono allo scisma dei Bizantini da Roma. Già al concilio di Firenze (1444) era avvenuta l'unione ufficiale dei Siri con Roma, la quale tuttavia durò pochissimo. Un efficace movimento di ritorno al cattolicismo s'iniziò durante il sec. XVII, e attraverso violente reazioni dei monofisiti e de' Turchi continuò più o meno fino al sec. XIX, allorché fu ottenuta la libertà di organizzazione religiosa. I Siri cattolici, concentrati in Siria e nel ‛Irāq, e sparsi in Palestina, Egitto e altrove, contano 11 vescovati fra effettivi e titolari, sotto il patriarca cattolico di Antiochia, il cui titolare Ignazio Gabriele Tappunī è stato recentemente elevato alla dignità cardinalizia (1935). Seguono il rito d'Antiochia anche circa 12.000 cattolici del Malabar, riunitisi con Roma dallo scisma del Parambil. È anche in sostanza il rito antiocheno, quello seguito dai Maroniti tutti cattolici, per i quali v. maroniti.