SINIBALDI, Raffaele detto Raffaello da Montelupo
– Raffaele Bastiano Romolo Sinibaldi, quartogenito di Bartolomeo (lo scultore e architetto Baccio da Montelupo) e di sua moglie Agnoletta, nacque a Firenze il 9 luglio 1504 (Verellen, 1981, p. 127).
Secondo quanto ricordato dallo stesso Sinibaldi nel frammento di autobiografia della Biblioteca nazionale di Firenze, ebbe un’istruzione scolastica a Empoli, ospite di uno zio. Tornato a Firenze nel 1516, nonostante volesse diventare scultore, fu affidato dal padre all’orafo Michelangelo Bandinelli: oltre a imparare le basi del mestiere si dedicò al disegno su suggerimento del figlio di questi, lo scultore Baccio. Solo nel 1518 fu accolto nella bottega paterna e partecipò alla realizzazione della tomba del cardinale Niccolò Pandolfini per la Badia Fiorentina.
Nel 1520, alla morte di Bartolomé Ordoñez, si recò a Carrara e collaborò con la sua bottega alla conclusione delle opere rimaste interrotte. Nel 1522 raggiunse il padre a Lucca e partecipò ai lavori della tomba di Silvestro Gigli vescovo di Worcester in S. Michele in Foro: si può riconoscere la sua mano nella Madonna col Bambino, rilievo che mostra una già raggiunta padronanza nei mezzi tecnici e la predilezione per ampi panneggi decorativi più che per la solidità dei volumi e per la loro collocazione nello spazio; secondo la sua testimonianza avrebbe anche finito la figura del defunto, iniziata dal padre.
Forte di queste esperienze, nelle quali aveva dimostrato la propria abilità e la capacità di lavoro in équipe nel rispetto della cifra stilistica dei maestri, nel 1523 poté presentarsi a Lorenzetto ed essere accolto nella sua bottega romana: collaborò con lui al restauro di statue antiche (in particolare per Andrea della Valle e Isabella d’Este), portò a termine la Madonna col Bambino della tomba di Raffaello al Pantheon, e il Profeta Elia e la Samaritana al pozzo della Cappella Chigi in S. Maria della Pace (Frommel, 2009b, pp. 455-461); scolpì inoltre le statue per la tomba di Bernardino Capella in S. Stefano Rotondo – i santi Bernardino e Pietro, un putto (perduto) e il ritratto del defunto giacente – collocati all’interno di un’edicola classicheggiante in marmi colorati (Verellen, 1981, pp. 13 s.): statue i cui modelli, per il senso dello spazio e per l’impostazione dinamica, andranno attribuiti al Lorenzetto.
La prima commissione autonoma sembra essere stata un Ercole bambino che strozza un serpente, richiesto da Domenico Buoninsegni (1526-27): l’opera, ancora incompiuta, fu dispersa durante il sacco di Roma, ma è attestata dallo studio preparatorio dell’Ashmolean Museum (inv. n. P.413). Con l’ingresso degli imperiali a Roma, all’inizio di maggio del 1527, Raffaello seguì Lorenzetto in Castel Sant’Angelo impegnandosi nella difesa del papa: la notizia, riportata nell’autobiografia, è confermata da un passo di quella di Benvenuto Cellini. Il racconto del Sinibaldi s’interrompe nella narrazione di queste vicende, per cui non sono note le circostanze del suo ritorno a Firenze, ma sicuramente vi si trovava prima del 1530, quando realizzò il perduto epitaffio di Andrea del Sarto all’Annunziata (Verellen, 1981, pp. 15-17); a questo periodo veniva datata l’esecuzione della tomba del cardinale Luigi de’ Rossi in S. Felicita, tradizionalmente riferita al Montelupo, ma restituita su base documentaria a Giovanni Battista del Tasso da Marco Collareta (1984).
Alla fine dello stesso 1530, o all’inizio del 1531, insieme al Tribolo e a Francesco da Sangallo, Raffaello fu chiamato a Loreto da Antonio da Sangallo il Giovane, responsabile del completamento del rivestimento marmoreo della Santa Casa, incompiuto alla morte di Andrea Sansovino e progredito di poco con l’incarico al Bandinelli (Weil-Garris, 1977; L’ornamento marmoreo..., 1999, pp. 83 s.). Giorgio Vasari ricorda il Sinibaldi all’opera nello Sposalizio della Vergine, iniziato dal Sansovino (conclusione che Kathleen Weil-Garris ha ricondotto invece alla mano del Tribolo); dai documenti risulta che fu Raffaello a finire la Natività della Vergine iniziata dal Bandinelli e a eseguire interamente l’Adorazione dei Magi; per via stilistica gli si dovrà riconoscere anche la paternità della Visitazione (Weil-Garris, 1977).
In queste opere, obiettivo primario dell’autore fu quello di armonizzare il suo intervento con quanto già realizzato dal Sansovino, con il quale condivideva l’impostazione classicista e la ricerca di una bellezza idealizzata, senza cedimenti all’espressività dei personaggi; alla semplificazione delle superfici dei corpi e dei panneggi Raffaello abbinò quella della rappresentazione spaziale, con le figure che non si integrano ma piuttosto si sovrappongono ai paesaggi di fondo.
Nell’estate 1533 tornò con il Tribolo a Firenze per collaborare con Michelangelo alla decorazione della Sagrestia Nuova di S. Lorenzo. Tra le statue lasciate agli aiuti si trovavano il S. Cosma e il S. Damiano per la tomba dei Magnifici, rispettivamente affidati a Giovanni Angelo Montorsoli e al Montelupo: i due artisti lavorarono sotto la stretta direzione del Buonarroti, seguendone fedelmente disegni e modelli in terra o cera, come ricorda Vasari e come indica un disegno del Louvre (inv. n. 837), nel quale il carattere e la postura dei due santi appaiono poco variati rispetto alle statue. Pur nella piena aderenza al linguaggio michelangiolesco, il S. Damiano mostra, soprattutto nel panneggio, la tendenza tipica del Montelupo alla semplificazione della forma, e all’accostamento e sovrapposizione di superfici piane e lisce che lasciano scivolare la luce senza creare contrasti e zone di ombre profonde.
Il lavoro fu portato a termine con diligenza e puntualità entro il 1534, e l’anno successivo, sempre insieme al Tribolo, Raffaello fu impiegato dal duca Alessandro de’ Medici per scolpire l’arme medicea e quella di Carlo V per i baluardi della fortezza di S. Giovanni Battista (la Fortezza da Basso); in questo momento si collocherebbe anche il Crocifisso ligneo scolpito per le monache di S. Apollonia (Verellen, 1981, pp. 51 s.), unica testimonianza certa di un genere in cui eccelleva il padre Baccio e che Raffaello dovette praticare soprattutto in gioventù, come lui stesso ricordava (in attesa di poter raggiungere Lorenzetto a Roma, «feci di molte cosette di chreta e de’ Christi di legno»: Autobiografia, 1565-1566?, 1879, p. 557).
Nella primavera del 1536 Montelupo partecipò alla realizzazione degli apparati per gli ingressi trionfali di Carlo V a Roma e a Firenze; nello stesso periodo entrò al servizio della Fabbrica del duomo di Orvieto (Verellen, 1981, pp. 52-55), sotto la guida di Antonio da Sangallo e al fianco di Simone Mosca e del di lui figlio Francesco, detto Moschino: incaricato di scolpire la pala marmorea con l’Adorazione dei Magi entro la struttura architettonica di Michele Sanmicheli, Raffaello creò una composizione di forte impatto, con un volo d’angeli tra le nuvole e il mondo terreno nella porzione inferiore, resi con ampio ricorso allo stiacciato, cui si sovrappongono le figure a medio e alto rilievo.
Questa prima fase orvietana si concluse nell’estate del 1541, quando l’artista tornò a Roma, chiamato a intervenire sulla tomba di Leone X in S. Maria sopra Minerva lasciata incompiuta dal Bandinelli, affiancando Nanni di Baccio Bigio impegnato in quella di Clemente VII. Ancora una volta, dunque, il Montelupo partecipava a un’impresa lasciata incompiuta dal Bandinelli e che aveva visto attivi il Sangallo, autore dei disegni delle sepolture, e Lorenzetto, che scolpì le opere di quadro (Partridge, 2014, pp. 178 s.). Leone X è ritratto con un’espressione severa e assorta, seduto in posizione statica e frontale, e la sua figura è impreziosita dalla ricchezza della tiara e della bordura del piviale, posato su una veste fittamente pieghettata.
Le statue furono concluse prima del 6 giugno 1542, quando i resti dei due papi furono collocati nelle tombe, e già dal 27 febbraio Sinibaldi si era accordato con Michelangelo per «finire tre figure di marmo maggiore ch’el naturale, bozzate di mia mano» (I Contratti di Michelangelo, 2005, n. XCVII). Quali fossero tali lavori è specificato nella lettera di Luigi del Riccio a Paolo III del 20 luglio: «messer Michelagnolo alloghò a fornire le dette tre figure, quali erano molto inanzi, c[i]oè una Nostra Donna con putto in braccio, ritta, et uno Profeta et una Sibilla a sedere, a Raphaello da Montelupo, fiorentino, approvato fra e’ migliori maestri di questi tempi». Dalla stessa lettera si apprende che Michelangelo aveva già iniziato a scolpire «la Vita contemplativa et la activa, le quali sono assai bene avanti, di sorta che con facilità si possano da altri maestri fornire» (Il carteggio..., 1979, n. CMXCIII); anche per queste ultime il maestro diede incarico al Sinibaldi il 21 agosto (I Contratti di Michelangelo, 2005, n. CVII), ma due giorni dopo cambiò idea e il Montelupo accettò formalmente la risoluzione (n. CVIII). Alla fine di agosto la Madonna col Bambino era già terminata, e Raffaello lavorava al Profeta e alla Sibilla: se l’impostazione volumetrica e spaziale e la posa dinamica delle figure rivelano la paternità michelangiolesca, tipici del Montelupo sono la definizione delle superfici ampie e pesanti dei panneggi, il nitore degli incarnati, la serenità olimpica dei volti.
Parallelamente, Raffaello realizzò la tomba dell’avvocato concistoriale Sigismondo Dondolo in S. Maria della Consolazione (1543), per la quale scolpì le Nozze mistiche di s. Caterina d’Alessandria – adattamento sul medio rilievo dei prototipi michelangioleschi della tomba di Giulio II – e il ritratto del defunto, classicamente impostato come imago clipeata (Verellen, 1981, pp. 81-85). Sempre negli stessi anni (1542-44) iniziò ad affiancare all’attività di scultore quella di architetto, essendo stato chiamato dal cardinale Tiberio Crispo, prefetto di Castel Sant’Angelo, quale architetto di quella fabbrica. Autore dei progetti dell’appartamento e della loggia di Paolo III, del cortile dell’Angelo e della rampa di Paolo III, lavorò anche come scultore: tra il 1544 e il 1545 realizzò infatti l’Arcangelo Michele per il coronamento dell’edificio, ora nel cortile detto dell’Angelo, un Busto di Paolo III (Napoli, Museo di S. Martino) e il rilievo della Madonna col Bambino della cappella di Leone X, oltre agli elementi architettonici delle stanze e del cortile (Gaudioso, 1976b). Dallo stesso Crispo fu anche coinvolto nella costruzione del suo palazzo a Bolsena (Verellen, 1981, pp. 86 s.), mentre per Paolo III realizzò i modelli per le statue degli Apostoli che Manno Sbarri avrebbe eseguito in argento (Bertolotti, 1878, pp. 196, 200).
Sulla fine degli anni Quaranta, forte del prestigio ottenuto dalla collaborazione con Michelangelo e dalle commissioni papali, Montelupo ottenne importanti incarichi privati, come il monumento funebre dell’avvocato concistoriale Girolamo de’ Giustini in S. Maria della Pace (1548: Frommel, 1963, pp. 146, 148) – che riprendeva, all’interno di un’edicola architettonica, lo schema del monumento Dondolo – o quello Lurago in S. Croce di Gerusalemme (perduto: Verellen, 1981, pp. 92 s., 131 s.). L’affermazione ormai raggiunta è testimoniata dal riferimento a una sua statua ideale da parte di Anton Francesco Doni (ante 1566), dalla corrispondenza con Benedetto Varchi a proposito di possibili commissioni ducali a Firenze (1550: in Raccolta di lettere sulla pittura..., 1822), e da due lettere inviategli da Annibal Caro (1538 e 1566?). L’onda lunga di questo successo continuò anche per buona parte del decennio successivo: nel 1553 fu incaricato di concludere la tomba di Baldassarre Turini nel duomo di Pescia, lasciata incompiuta da Pierino da Vinci, cui spettano il progetto d’insieme e la figura del Genio funerario di sinistra, dal quale il Montelupo derivò quello di destra, identico e speculare; di mano di Raffaello è anche la figura del defunto sul sarcofago (Kusch-Arnhold, 2008, pp. 214-226). Scolpì poi una S. Barbara per Castel Sant’Angelo (perduta) e, secondo la recente attribuzione di Frommel (2009a), progettò l’ala nord-occidentale del Sacro Bosco e realizzò alcuni interventi nel palazzo Orsini a Bomarzo (1551-52 e 1560-66).
A metà degli anni Cinquanta, il Crispo si affidò ancora una volta a lui per sovrintendere alla costruzione del suo palazzo a Orvieto, iniziato dal Sangallo (Verellen, 1981, pp. 99-101). Fin dal 1546 Sinibaldi aveva ripreso i contatti con quella città: da Roma aveva mandato due disegni per l’altare della Visitazione in duomo, con la pala scolpita dal Moschino; dieci anni più tardi vi tornò stabilmente per assumere la carica di architetto della fabbrica del duomo, progettando gli altari delle navate laterali e avviando un ciclo di statue degli Apostoli per la facciata. Oltre a dirigere i lavori, si occupò direttamente di alcune statue marmoree, come Cristo redentore (1547) e la Madonna (1560-65), e Adamo ed Eva (1560-65) per le nicchie ai lati delle cappelle del Corporale e di S. Brizio, e il S. Pietro (1558) per il ciclo degli Apostoli della navata (Verellen, 1981, pp. 105-113): tutte statue di una solenne severità, concepite per una visione frontale e che emergono dalle nicchie più per il contrasto coloristico tra il marmo bianco e quello scuro del fondo che per l’impostazione volumetrica. Come architetto si occupò anche di progettare la chiesa di S. Lorenzo in Vineis e sovrintendere alla realizzazione del modello ligneo (pp. 101-103, 134).
Nell’aprile del 1563 la sua attività subì una drastica riduzione per dei problemi di salute; questi dovettero temporaneamente risolversi, per poi tornare gravi e invalidanti nell’estate del 1565, quando l’artista ottenne uno stipendio fisso a fronte di consulenze in campo architettonico. Alla metà di dicembre del 1566, per la gravità della sua malattia e la necessità di cure costose gli fu versata in anticipo la paga del mese successivo: tentativo che si rivelò inutile, perché Sinibaldi morì di lì a qualche giorno, e il 26 dicembre il suo funerale era già stato celebrato, come risulta dal pagamento dei ceri effettuato in quella data (Verellen, 1981, p. 137). Fu sepolto nel duomo di Orvieto, accanto a Simone Mosca.
Pur con alcuni sfasamenti nella cronologia e con qualche imprecisione nella distinzione delle mani per le opere realizzate in collaborazione, la biografia di Raffaello, aggiunta dal Vasari nel 1568 a quella del padre Baccio, appare degna di fede per la ricchezza e la correttezza delle informazioni, che hanno trovato precisi riscontri nelle ricerche archivistiche. Utile guida è anche l’autobiografia frammentaria, che però non dovrà essere accettata acriticamente, per l’intento autocelebrativo dichiarato dallo stesso Raffaello e per l’inserimento di episodi di fantasia, come sembra essere l’incontro con Michelangelo e Sebastiano del Piombo presso l’Arco di Costantino, di impossibile collocazione nel percorso biografico dei tre artisti.
Il Vasari diede grande risalto alla produzione grafica di Raffaello, ricordata anche da quest’ultimo in riferimento alle copie dai maestri fiorentini e dai monumenti antichi. Mentre delle prime non è rimasta traccia, delle seconde è preziosa testimonianza un codice del Musée des beaux-arts di Lille (1535-40: noto come Livre des dessins de Michel-Ange, attribuito per la quasi totalità a Sinibaldi – e, per qualche foglio, ad Aristotile da Sangallo – da Nesselrath, 1983; cfr. anche Lemerle, 1997a e 1997b); oltre a questo, gli è riferito un corpus grafico di circa sessanta fogli, il cui nucleo fondante è stato identificato da Bernard Berenson. Se è ora difficile riconoscere in questi pochi fogli la qualità lodata da Vasari, essi hanno però un alto valore documentario, perché sono spesso testimonianze uniche di disegni perduti di Michelangelo o di fasi intermedie dell’elaborazione a noi altrimenti ignote, come per il Baccanale di putti (Gallerie degli Uffizi, inv. n. 619E; Ashmolean Museum, inv. n. P410; Musée du Louvre, inv. n. 715v; Windsor Castle, inv. n. 0505r; Stoccarda, Staatsgalerie, inv. n. C.90/3970) e la Caduta di Fetonte (Ashmolean Museum, inv. n. P405; Windsor Castle, inv. n. 0505v) di Michelangelo ora a Windsor, per il Giudizio universale (Ashmolean Museum, inv. nn. P406 e P408), per la facciata di S. Lorenzo (Lille, Musée des beaux-arts, inv. nn. 30v, 56v) o per il ricetto della Biblioteca Laurenziana (Lille, Musée des beaux-arts, inv. n. 78v). Pur guardando all’opera di Michelangelo come inesauribile repertorio di forme, lo stile dei disegni del Montelupo – quasi tutti a penna – rimanda direttamente a quello di Baccio Bandinelli che, più di tutti, sembra aver avuto un ruolo decisivo nella sua formazione.
Fonti e Bibl.: A.F. Doni, Disegno..., Venezia, Giolito di Ferrari, 1549, p. 48; B. Cellini, La Vita (1558-1567), a cura di L. Bellotto, Parma 1996, p. 374; Autobiografia di Raffaello da Montelupo (1565-1566?), in Le opere di G. Vasari ..., a cura di G. Milanesi, IV, Firenze 1879, pp. 551-562; A.F. Doni, Attavanta Villa del Doni (ante 1566), in Disegno, a cura di M. Pepe, Milano 1970, p. 118; G. Vasari, Le vite (1550 e 1568), a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, IV, Firenze 1976, pp. 290-296; Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura..., a cura di G. Bottari - S. Ticozzi, I, Milano 1822, pp. 112-114, n. L; A. Bertolotti, Speserie segrete e pubbliche di papa Paolo III, in Atti e memorie delle R.R. Deputazioni di storia patria per le province modenesi e parmensi, III (1878), pp. 169-212; B. Berenson, I disegni di Raffaello da Montelupo, in Bollettino d’arte, s. 3, XXIX (1935), pp. 105-120; A.E. Popham - J. Wilde, The Italian drawings of the XV and XVI centuries in the Collection of His Majesty the King at Windsor Castle, London 1949, passim; J. Wilde, Michelangelo and his Studio. Italian drawings in the Department of prints and drawings in the British Museum, London 1953, passim; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, I, Firenze 957, p. 66 n. 37, III, 1961, pp. 281 s., n. 799; P. Barocchi, Michelangelo e la sua scuola. I disegni di Casa Buonarroti e degli Uffizi, I-II, Firenze 1962, ; Ch.L. Frommel, Miszellen zu Sangallo dem Jüngeren, Rosso und Montelupo in S. Maria della Pace in Rom, in Il Vasari, XXI (1963), pp. 144-148; E. Gaudioso, I lavori farnesiani a Castel Sant’Angelo. Precisazioni ed ipotesi, in Bollettino d’arte, s. 5, LXI (1976a), pp. 21-42; Id., I lavori farnesiani a Castel Sant’Angelo. Documenti contabili (1544-1548), ibid. (1976b), pp. 228-262; K. Weil-Garris, The Santa Casa di Loreto. Problems in Cinquecento sculpture, I, New York-London 1977, pp. 82-84, 110-156, 257-263; Il carteggio di Michelangelo [XV-XVI secolo?], ed. postuma a cura di G. Poggi - P. Barocchi - R. Ristori, IV, Firenze 1979, pp. 135-140 nn. CMXCIII-CMXCIV, pp. 197-202 nn. MXXXIII-MXXXVI; T.R. Verellen, Raffaello da Montelupo 1504-1566 als Bildhauer und Architekt, tesi di dottorato, Università di Amburgo, 1981; A. Nesselrath, Das Liller “Michelangelo-Skizzenbuch”, in Kunstchronik, XXXVI (1983), pp. 46 s.; M. Collareta, Una restituzione al Tasso legnaiolo, in Paragone, XXXV (1984), 411, pp. 81-91; A. Nesselrath, Il “Libro di Michelangelo” a Lille, in Quaderni dell’Istituto di storia dell’architettura, n.s., XXIV (1994), pp. 35-52; F. Lemerle, Le Codex italien du Musée des beaux-arts de Lille: les modèles d’architecture antiques et moderne de Raffaello da Montelupo (1504-1566), in Revue du Louvre, XLVII (1997a), 2, pp. 47-57; Ead., «Livre de dessins de Michel-Ange», in B. Brejon de Lavergnée, Catalogue des dessins italiens. Collections du Palais des Beaux-Arts de Lille, Paris 1997b, pp. 281-322; R. Gatteschi, Vita di Raffaello da Montelupo, Firenze 1998; L’ornamento marmoreo della Santa Cappella di Loreto, a cura di F. Grimaldi, s.l. 1999; P. Joannides, Michel-Ange. Élèves et copistes, Inventaire général des dessins italiens. VI, Paris 2003; I Contratti di Michelangelo, a cura di L. Bardeschi Ciulich, Firenze 2005, pp. 235 s., n. XCVII, pp. 248-259, nn. CV-CVIII; P. Joannides, The drawings of Michelangelo and his followers in the Ashmolean Museum, New York 2007; B. Kusch-Arnhold, Pierino da Vinci, Münster 2008; Ch.L. Frommel, Vicino Orsini, Giulia Farnese e la regia architettonica di Raffaello da Montelupo nel Sacro Bosco di Bomarzo, in Bomarzo: il Sacro Bosco, a cura di S. Frommel, Milano 2009a, pp. 56-65; Id., La Cappella Chigi, in Santa Maria del Popolo. Storia e restauri, a cura di I. Miarelli Mariani - M. Richiello, II, Roma 2009b, pp. 445-478; B. Franci, Le sculture di Simone e Francesco Mosca nel transetto del Duomo di Orvieto, in Le cattedrali. Segni delle radici cristiane in Europa. Atti del II Convegno... 2007, a cura di L. Andreani - A. Cannistrà, Orvieto 2010, pp. 225-236; C. Brothers, Designing what you cannot draw: Michelangelo and the Laurentian Library, in Michelangelo e il linguaggio dei disegni di architettura. Atti del Convegno... Firenze 2009, a cura di G. Maurer - A. Nova, Venezia 2012, pp. 153-167; L. Partridge, Le tombe dei papi Leone X e Clemente VII, in Baccio Bandinelli. Scultore e maestro (1493-1560) (catal.), Firenze 2014, pp. 169-187.