MANGANO, Silvana
Nacque a Roma il 23 apr. 1930 da Amedeo, ferroviere siciliano, e Jackie Webb, ballerina inglese. Seconda di quattro figli, sin da bambina si distinse per una bellezza fuori dall'ordinario.
La M. crebbe in una famiglia molto unita nel popolare quartiere di S. Giovanni. Da adolescente, dimostrò particolare predisposizione per la danza, tanto che la madre la spinse a frequentare i corsi di danza classica di Jia Ruskaja.
Anche quando, intrapresa la strada del cinema, fu costretta ad abbandonare le lezioni, il balletto rimase una sua grande passione, tanto che volle, e riuscì a ottenere, scene di danza in molti dei suoi film.
Nel 1946, con la ripresa dell'attività cinematografica a Cinecittà, la M., insieme con la sorella Patrizia e molte altre aspiranti attrici, si mise in fila davanti agli studi in cerca di una scrittura come generica. Esordì con una figurazione speciale in una versione cinematografica dell'Elisir d'amore di M. Costa, come una delle amiche di Adina. In quello stesso anno, lavorò come indossatrice presso l'atelier Mascetti e partecipò a vari concorsi di bellezza, conquistando, tra l'altro, il titolo di Miss Roma (tra i giurati di quel concorso c'era anche il suo futuro marito, Dino De Laurentiis, all'epoca giovane produttore della Lux Film). Nonostante il padre fosse contrario, il suo interesse prevalente rimaneva il cinema e, nel 1947, ottenne piccoli ruoli in quattro film: Cagliostro, di G. Ratoff (che in Italia uscì solo nel 1949), Follie per l'opera di Costa, Il delitto di Giovanni Episcopo di A. Lattuada e Gli uomini sono nemici di E. Giannini. La sua particolare, prorompente bellezza non passò inosservata e, nel 1948, il regista G. De Santis, in procinto di realizzare Riso amaro, la chiamò per un provino.
"Si era presentata con i capelli cotonati, molto truccata e vestita in maniera vistosa: De Santis la scartò. La incontrò dopo qualche tempo a Via Veneto in una giornata di pioggia, aveva una rosa in mano, era vestita in maniera semplice e aveva i capelli completamente bagnati. Rimase abbagliato perché era proprio la figura che cercava" (Fusco).
Nonostante la ferma opposizione dei produttori, contrari alla scelta di un'attrice sconosciuta, la M. guadagnò al suo ruolo una visibilità da protagonista (in realtà la "buona" Doris Dowling) in questo melodramma a sfondo sociale, destinato a essere uno fra i maggiori successi internazionali del neorealismo. Nei succinti panni di una spregiudicata mondina contesa fra il "vilain" V. Gassman e l'"onesto" R. Vallone nelle risaie della Lomellina, la M. entrò di prepotenza nel cinema italiano.
Scrisse di lei I. Calvino: "Ha diciotto anni, il viso e i capelli della Venere di Botticelli, ma un'espressione più fiera, dolce e fiera insieme, [(] spalle che si aprono con una dolcezza da cammeo, un busto di ardita armonia, di linee trionfali e aeree, la vita come uno stelo snello e un mirabile ritmo di curve piene e di arti longilinei" (cfr. Cimmino - Masi, p. 26).
Sull'onda del trionfo di Riso amaro, la Lux Film di C. Ponti e De Laurentiis continuò a proporre la M. in ruoli il più possibile somiglianti a quello che l'aveva lanciata.
Nel 1949 girò Il lupo della Sila, modesto melodramma "avventuroso" di D. Coletti al fianco di A. Nazzari e, l'anno seguente, sempre con Nazzari il più convincente Il brigante Musolino, di M. Camerini.
Intanto, sempre nel 1949, aveva consolidato con il matrimonio il legame sentimentale con De Laurentiis, da cui ebbe i figli Veronica, Raffaella, Federico e Francesca.
Le nozze ebbero conseguenze rilevanti sull'attività cinematografica della Mangano. Per un verso, la maggiore tranquillità, anche economica, portò allo scoperto un certo distacco, una sua certa indolenza caratteriale e fisica, che da allora si manifestarono progressivamente sempre più evidenti nella conduzione di una "carriera" mai giocata sullo sfruttamento intensivo dei propri mezzi: aspetti ulteriormente potenziati dall'indole riservata e introversa della M. che cercò sempre di difendere la propria vita privata (ibid., p. 43). Dall'altro la condizione di moglie del produttore la portò - con l'ovvio aiuto del marito - ad adeguare, in qualche modo a imborghesire, anche i ruoli e la recitazione, mettendo comunque in evidenza un'eleganza naturale, una distinzione che facevano già parte della sua personalità.
Al momento, quando nel 1951, dopo la nascita della prima figlia, la M. ritornò sul grande schermo con Anna, si trattò ancora una volta di un mélo, sia pure orchestrato da un regista raffinato come Lattuada, in cui interpretava il ruolo di una novizia, ex ballerina dal passato burrascoso, combattuta fra i due soliti Gassman (il mascalzone) e Vallone (il fidanzato). Seguì il mitologico Ulisse di Camerini (1953).
Un kolossal con un prestigioso cast internazionale nel quale vestì con duttilità e sobrietà i panni di due diversi personaggi: la seduttrice Circe e la fedele Penelope; la critica, generalmente positiva, vide nell'interpretazione della M. (nonostante fosse ancora doppiata da Lidia Simoneschi) un simbolico passaggio di testimone dalla fase della mondina a quella di interpretazioni più "mature".
Dopo un cammeo nella commedia di M. Mattoli Il più comico spettacolo del mondo, nel 1954 girò Mambo, di R. Rossen, una storia a forti tinte in cui fu ancora una volta una ballerina di night e dove, in una coreografia di Katherine Dunham che sottolineava il suo sex-appeal, lanciò una nuova danza, appunto il mambo del titolo. Nello stesso anno mancò, almeno in parte, la sua prima vera prova d'attrice (e, sempre per la prima volta, recitò con la sua voce) nel film a episodi L'oro di Napoli, regia di V. De Sica.
Nell'episodio drammatico Teresa, la M. interpreta una prostituta che proprio per togliersi dalle "case" rinuncia a ogni sincerità di sentimento e quindi, paradossalmente, a qualsiasi autentica dignità; "giusta", equilibrata nella prima parte, quando ancora non ha capito i veri termini della sua situazione, non riesce a raggiungere un'autentica espressività nel finale: una lunga inquadratura del suo volto nel momento della decisione definitiva.
Un anno dopo, la M. tornò a recitare per De Santis in Uomini e lupi; unica incursione fuori dalle produzioni De Laurentiis, fu tutt'altro che un successo anche perché proprio sul piano cinematografico non funzionò la coppia con Y. Montand. Nel 1957 fu protagonista, insieme con A. Perkins, di La diga sul Pacifico, di R. Clément, tratto dal romanzo omonimo di Marguerite Duras.
Nel ruolo di Suzanne, figlia di coloni dell'Indocina francese che eredita dalla madre il sogno di costruire una diga contro le inondazioni del fiume, la M. sembrò finalmente a suo agio e offrì una prova d'attrice esemplare per intensità e realismo.
L'anno successivo fu protagonista di La tempesta, di Lattuada, film ispirato alla novella di A.S. Puškin, La figlia del capitano, con un notevole cast internazionale. Quindi, nel 1959, passò per le mani di un regista hollywoodiano, M. Ritt, in Jovanka e le altre, una pellicola, al femminile, sulla lotta partigiana in Iugoslavia; ben più interessante fu, ne La Grande Guerra di M. Monicelli, il ruolo della prostituta Costantina, in cui rivelò notevoli doti comiche (per l'occasione elaborò un irresistibile accento veneto) che avrebbe utilizzato spesso nel corso degli anni Sessanta.
Partecipò a Crimen (1960), divertente commedia in cui il vecchio Camerini mostra di non aver ancora perso la mano e conduce benissimo - insieme con A. Sordi, N. Manfredi, e Franca Valeri - la collaudata coppia M. - Gassman, che si gioca al casinò di Montecarlo i risparmi di una vita. Nel 1961 tornò a lavorare con De Sica, per il quale interpretò il ruolo di una parvenue in Il giudizio universale. Nello stesso anno girò il peplum-kolossal Barabba, in cui veste con spontaneità i dimessi panni di Rachele, e fece una breve apparizione, nel ruolo di se stessa, in Una vita difficile di D. Risi.
Nel 1963, C. Lizzani la volle come Edda Ciano nel dramma storico Il processo di Verona, per il quale la M. ottenne il David di Donatello come migliore interprete femminile.
La M. offrì una delle sue prove più convincenti "in equilibrio meditatissimo fra il più concreto realismo e un certo distacco astratto che consentiva, più a Silvana che non al suo personaggio, di muoversi quasi al di sopra della terra, come sollevata in spazi arcani: gli spazi della tragedia" (Rondi).
Partecipò poi a svariati film molti dei quali a episodi, una formula frequentata spesso negli anni Sessanta dai principali autori e interpreti della commedia all'italiana.
Nel 1964 girò La mia signora (con Sordi per la regia di T. Brass, L. Comencini e M. Bolognini), in cui, sempre in chiave comica interpretò cinque diversi "tipi" di moglie italiana, dimostrando una notevole capacità istrionica; e Il disco volante (ancora con Sordi, regia di Brass) dove vestì i panni di una rozza contadina veneta. Nel 1965 fu diretta da Blasetti in Io, io, io e gli altri, nel ruolo vagamente autobiografico di una malinconica attrice di successo, inquieta e nostalgica, che ha tutto quanto si possa desiderare ma vive con amaro distacco la propria posizione sociale. Nel successivo Scusi, lei è favorevole o contrario? (1966), tornò al comico in coppia con Sordi, in questo caso anche regista.
Nel 1967 Le streghe - a episodi, tutti interpretati dalla M. - segnò l'importante incontro con due maestri del cinema italiano come L. Visconti e P.P. Pasolini. Quest'ultimo rimase colpito dalle sue potenzialità di attrice tragica - dimensione che la M. raggiungeva attraverso una fisicità ormai ieratica e distante - e la chiamò come Giocasta per Edipo re (1967); il sodalizio artistico si ripeté nel successivo Teorema (1968), uno dei film più "a tesi" del regista che le affidò il ruolo di Lucia, moglie altoborghese alla disperata ricerca di una verità esistenziale che crede di poter trovare attraverso il sesso.
Nonostante la M. si dimostrasse in seguito scontenta di avervi partecipato, venne tuttavia considerata dai critici, anche da quanti avevano giudicato negativamente la pellicola, insieme con Laura Betti, la più precisa tra gli interpreti.
All'inizio degli anni Settanta, dopo una fase critica per la sua casa di produzione, De Laurentiis decise di trasferirsi negli Stati Uniti con la famiglia, puntando sulle coproduzioni con Hollywood; la M. seguì il marito, pur senza particolare entusiasmo. Per due anni lontana dalle scene, nel 1971 partecipò a tre film: una breve apparizione nel Decameron dell'amico Pasolini; come protagonista al fianco di M. Mastroianni nella satira in costume Scipione detto anche l'Africano, di L. Magni; e, soprattutto, interpretando la diafana figura della madre del giovane Tadzio in Morte a Venezia, di Visconti, dal romanzo di Th. Mann.
La mondina di Riso amaro si era trasformata con gli anni, attraverso un processo di affinamento del fisico e della recitazione, in un'icona dotata di un'eleganza regale e ricca di sfumature, capace di "una malinconia raggelata che però non lascia spazio alla commozione, l'ideale di una femminilità intangibile" (Cimmino - Masi, p. 119), in grado di diventare una delle attrici preferite di un regista "aristocratico" e intellettuale come Visconti.
Nel 1972 tornò, infatti, a recitare per Visconti in Ludwig, nel quale tratteggiò il personaggio di Cosima von Bülow; nel 1974 il regista le riservò, in Gruppo di famiglia in un interno, l'importante ruolo di una signora dell'alta borghesia, ma questa volta invadente e volgare, che turba la quiete di uno schivo professore (B. Lancaster). Sempre nel 1972 girò il melodramma di C. Carunchio D'amore si muore, che ebbe scarso successo, e tornò al fianco di Sordi per Lo scopone scientifico, di Comencini, nel quale fu la derelitta Antonia che, insieme con il marito, gioca occasionalmente a carte con una miliardaria americana interpretata da Bette Davis.
Rimase quindi lontana dallo schermo per un lungo periodo, poco felice anche per la sua vita privata: nel 1981 perse il figlio Federico in un incidente aereo, un lutto dal quale non riuscì mai a risollevarsi completamente, e, tra il 1984 e il 1985, si separò dal marito, trasferendosi a Madrid. Proprio nel 1984 era ritornata al cinema, nell'inquietante ruolo della sacerdotessa Ramallo per il fantascientifico Dune di D. Lynch, prodotto dalla figlia Raffaella. Nel 1987, già malata di tumore, interpretò il suo ultimo film, Oci ciornie di N. Michalkov, nel ruolo della borghese Elisa, moglie dello spiantato Romano, interpretato da Mastroianni.
La M. morì a Madrid il 16 dic. 1989.
La M., che fu spesso buona attrice e qualche volta ottima, non nascose mai alcune insicurezze di fondo che, probabilmente, ne inibirono la carriera in più di un'occasione: "Non ho mai studiato recitazione, mi sono sempre improvvisata attrice e ho sempre avuto paura di essere inadeguata. Questo timore, mescolato all'orgoglio della perfezionista, mi ha sempre bloccata" (Righetti). Un altro grande scrittore e regista che la conosceva e la stimava, Pasolini, descrive bene, tuttavia, la particolarità del suo fascino maturo: "Cara Silvana [(] la tua bellezza amara che si offre, incombente come una teofania, ha uno splendore di perla, mentre in realtà tu sei lontana".
Fonti e Bibl.: Necr., in Il Messaggero (C. Costantini), 16 dic. 1989; Il Giornale (D. Righetti) e La Repubblica (M.P. Fusco), entrambi in data 17 dic. 1989. Vedi anche: G. Puccini, Il fenomeno M., in Cinema nuovo, 1 marzo 1954; P.P. Pasolini, Lettera aperta a S. M., in Il Tempo illustrato, 16 nov. 1968; F. Faldini - G. Fofi, L'avventurosa storia del cinema italiano, Milano 1981, ad ind.; G.L. Rondi, S. amara bella e misteriosa, in Il Tempo, 15 dic. 1989; S. Masi - E. Lancia, Stelle d'Italia, Roma 1989, ad ind.; G. Cimmino - S. Masi, S. M.: il teorema della bellezza, Roma 1994; S. Carpiceci, S. M.: il volto di una bellezza amara, Roma 1994.