SONNINO, Sidney Costantino
– Nacque a Pisa l’11 marzo 1847, terzogenito di Isacco (1803-1878) e di Georgina Sofia Dudley Arnaud Menhennet (1824-1907).
Il padre era un banchiere e commerciante livornese di origine ebraica, al quale Vittorio Emanuele II concesse il 29 novembre 1862 il titolo nobiliare di barone. La famiglia Sonnino si era trasferita a Livorno e a Firenze da Alessandria d’Egitto, dove erano nati il fratello primogenito Giorgio (1844-1921, deputato nelle legislature XIII-XV, nominato senatore il 7 giugno 1886) e le sorelle Alice (1845; sposata in prime nozze nel 1868 con Rudolph von Tautphoeus) ed Edith (1850; sposata nel 1869 con Francesco De Renzis). L’ultimogenita Emmeline nacque invece in Italia (1858-1944, sposata in prime nozze nel 1876 con Calogero Gabriele Colonna di Cesarò).
Dopo avere trascorso una parte dell’infanzia ad Alessandria d’Egitto, Sidney si diplomò al liceo Fiorentino e si iscrisse all’Università di Pisa dove conseguì, nel 1865, la laurea in legge. Due anni dopo iniziò la carriera diplomatica presso la legazione di Madrid; la continuò a Vienna e poi a Berlino, prima di ritornare nella capitale spagnola; si trasferì infine a Parigi dove assistette alle vicende della Comune, più volte richiamate nel suo diario e nei suoi scritti. Il suo impegno nel servizio diplomatico fu tuttavia brevissimo: lo abbandonò definitivamente nel 1873 dopo aver chiesto, il 24 maggio 1871, il congedo illimitato.
Aveva nel frattempo iniziato un’intensa attività politico-amministrativa e di studio: consigliere comunale a San Miniato (1870-74), poi a Montespertoli – fino al 1920 – di cui fu nominato sindaco (1874-78), venne eletto anche nel Consiglio provinciale di Firenze per il mandamento di San Casciano Val di Pesa (1878-1914). Frequentatore, a Firenze, di artisti e di ambienti del movimento macchiaiolo e dei salotti di Emilia Peruzzi e di Malwida von Meysenbug, vi poté conoscere, fra gli altri, Karl Hillebrand e docenti dell’Istituto di studi superiori.
Fin da allora i suoi interessi di studio riguardarono l’agricoltura, le condizioni dei contadini, il tema della partecipazione politica, la questione elettorale. Favorevole al suffragio universale maschile – e alla rappresentanza proporzionale, convinto della «stretta affinità tra i due termini» (Scritti e discorsi extraparlamentari, 1972, I, p. 62) – ne rintracciava la ragione «nell’eguaglianza dinanzi alla legge e a tutti quanti gli oneri civili» (p. 7), nella coscrizione obbligatoria, nel pagamento delle imposte dirette e di quelle indirette – gravanti proporzionalmente sulle classi più povere – e sottolineava i nessi fra mancate riforme e suffragio ristretto, fra rappresentanza e questione sociale. Sostenitore della mezzadria come fattore di conciliazione degli interessi, di conservazione sociale e di progresso, ma sottolineando i doveri della proprietà, condivideva con gli esponenti della Destra toscana i princìpi del liberalismo, la difesa intransigente dello Stato unitario e della monarchia, ma non il loro conservatorismo, la loro concezione della proprietà fondiaria, la pratica dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa, il ridotto rilievo dato al problema della rappresentanza politica, le loro intransigenti posizioni liberiste. Sonnino, vicino seppur non aderente alla luzzattiana Associazione per gli studi economici dopo essersi allontanato dalla Società Adamo Smith, riteneva legittimo l’intervento dello Stato anche mediante la legislazione sociale e la regolamentazione dei contratti agrari. Attribuiva inoltre una fondamentale importanza – nell’ambito di un’ampia politica di riforme – all’istruzione popolare, considerata problema centrale per la formazione del cittadino e per contribuire a migliorare la distribuzione della ricchezza nelle campagne.
Significative della sua attenzione costante ai vari aspetti della questione sociale sono anche le traduzioni, fatte con Carlo Fontanelli, dei volumi di William Thomas Thornton e di John Elliott Cairnes sul lavoro e sull’economia politica, e soprattutto le inchieste sul campo, seguendo la lezione villariana, sulle condizioni economiche e sociali delle campagne.
Dal marzo al maggio del 1876 condusse poi con Leopoldo Franchetti ed Enea Cavalieri un’inchiesta di grande valore e interesse in Sicilia, percorrendo a cavallo, in condizioni assai precarie, tutta l’isola. I dati raccolti attraverso l’analisi empirica – con controlli, sopralluoghi, ispezioni e colloqui – sulle gravissime condizioni sociali e politiche, in particolare sulla realtà contadina, vennero poi presentati e interpretati nei volumi di Sonnino, I contadini in Sicilia (Firenze 1877), e di Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia (Firenze 1877).
Questi volumi costituirono un’esemplare indagine sociale, anche per i metodi e le categorie analitiche utilizzate; contribuirono a far conoscere le drammatiche condizioni dell’isola, la realtà della mafia, il sistema delle clientele, le connivenze del potere politico e a far considerare il problema meridionale come grande questione nazionale. Temi ripresi da Sonnino, in un quadro più generale di studio e di analisi del sistema politico, nella rivista fondata con Franchetti a Firenze nel 1878 e con lui diretta fino al 1880, La Rassegna settimanale, trasformata nel 1882 nel quotidiano La Rassegna, affidata fino alla chiusura delle pubblicazioni, nel 1886, alla direzione di Michele Torraca.
Eletto deputato per la prima volta nel collegio di San Casciano Val di Pesa (Firenze) per la XIV legislatura, vi fu rieletto per altre dieci (ma nel periodo 1882-90, con il sistema a scrutinio di lista, nel collegio di Firenze IV).
Alla Camera il suo primo intervento riguardò una proposta di legge relativa alla tutela dei lavoratori, un tema della questione sociale più volte riproposto nei discorsi e negli scritti dei decenni successivi. Favorevole all’abolizione dell’imposta sul macinato, Sonnino caratterizzò, da allora, la sua attività parlamentare con la ricerca dell’equilibrio finanziario, ritenuta compatibile con l’impegno per la giustizia fiscale, per il miglioramento delle sorti delle classi agricole, delle condizioni del Mezzogiorno e per l’espansione coloniale a sostegno dell’emigrazione in Africa, considerata ‘una valvola di sicurezza’. Nell’ottobre del 1889 fece in quel continente un lungo viaggio con il fratello Giorgio, da cui scaturì un dettagliato resoconto (L’Africa italiana. Appunti di viaggio, in Nuova Antologia, 1° febbraio 1890, pp. 425-465).
Dagli anni Ottanta sostenne inoltre la necessità della trasformazione dei partiti e della formazione di un partito nazionale che superasse le tradizionali distinzioni fra Destra e Sinistra, basato sul Centro.
Alla Camera ripropose senza successo pure il tema del suffragio universale: avrebbe favorito la consapevolezza dell’identità e della solidarietà nazionale; tutti si sarebbero «considerati veramente come cittadini, come cives dell’Italia libera e una» (Discorsi parlamentari..., 1925, I, p. 31). La classe dirigente, proclamando il voto universale, avrebbe dimostrato che la monarchia avrebbe potuto «vivere e prosperare insieme con il più alto svolgimento della libertà e dei diritti popolari», che era insomma «essenzialmente una monarchia democratica» (p. 42). Approvò comunque la legge di riforma elettorale proposta da Agostino Depretis che aumentò gli elettori politici da 621.896 a 2.049.461, ma non lo scrutinio di lista.
Pur non condividendo un incondizionato ministerialismo, fu favorevole ai ministeri Depretis, ma critico della politica estera di Pasquale Stanislao Mancini e delle scelte del ministro delle Finanze Agostino Magliani. Accettò il ‘trasformismo’ ritenendolo utile alla definizione di nuovi partiti. Mantenendo la sua libertà d’azione anche fra i dissidenti del gruppo di Centro, condivideva il suo programma in parte con esponenti della Destra, per quanto riguardava la legislazione sociale, in parte con Quintino Sella e con una parte della Sinistra, per il laicismo. Tenne inizialmente una posizione riservata di fronte al primo ministero Crispi, poi accettò la carica di sottosegretario al Tesoro, per un breve periodo, dal 3 gennaio al 7 marzo 1889, nel dicastero guidato da Costantino Perazzi, ma non volle mantenerlo nel secondo governo Crispi, pur aderendo, nel complesso, al suo programma, ai suoi importanti progetti riformatori (dalla legge sulla sicurezza pubblica a quella comunale e provinciale e al nuovo codice penale, dalla legge di contabilità a quelle sull’igiene e la sanità pubblica e sulle Opere pie). Accettò tuttavia di essere rieletto – la prima volta lo era stato dopo le elezioni generali del 1882 – nell’importante giunta generale del Bilancio, da cui si dimise però nel giugno del 1889. Nella giunta e in aula, alla Camera. si batté per una rigorosa politica finanziaria e per una politica di economie, denunciando il preoccupante incremento del debito pubblico e i pericoli derivanti dalle continue emissioni di titoli di Stato, oltre che per un incisivo ruolo di controllo del Parlamento. Contrario alla successione a Francesco Crispi da parte di Antonio Starrabba di Rudinì, favorì invece la formazione del primo governo Giolitti, pur non accettando di farne parte. Fu poi ministro delle Finanze ed ebbe l’interim del Tesoro (dal 14 giugno 1894 fu anche ministro del Tesoro) nell’ultimo ministero formato da Crispi, con il quale non mancò uno «stato di tensione e di reciproca diffidenza» (Diario, I, a cura di B.F. Brown, 1972, 29 gennaio 1896, p. 219) per la sua opposizione all’aumento delle spese militari e per le preoccupazioni antiespansionistiche espresse in occasione della guerra d’Africa.
In un periodo di gravissima crisi economica, Sonnino svolse un’importante attività di restaurazione delle finanze statali attraverso l’aumento di alcune tasse e imposte, ritenendo impossibile risanarle secondo la formula giolittiana ‘economie senza imposte’. Si impegnò altresì nel risanamento del sistema bancario, ponendo il Tesoro al centro dell’azione monetaria e ridefinendo l’ambito operativo della Banca d’Italia.
All’opposizione del secondo ministero di Rudinì per la sua maggioranza parlamentare, per il programma di politica interna – in particolare per la proposta di istituire un commissario civile per la Sicilia – e di politica estera, Sonnino cercò di tenere insieme, senza riuscirvi, le diverse componenti della ‘maggioranza crispina’. Il 1° gennaio 1897 pubblicò poi sulla Nuova Antologia l’appello Torniamo allo Statuto, firmandolo «Un deputato»: una riflessione sull’evoluzione delle istituzioni parlamentari e governative, sulle patologie del parlamentarismo – denunciate fin dagli anni Settanta – e sull’effettivo ruolo della Corona in relazione al dettato statutario.
La sua proposta di un sistema costituzionale ‘puro’ era motivata dall’obiettivo non di esautorare il Parlamento, ma di richiamarlo alle sue funzioni e soprattutto di accrescere forza e stabilità al governo, restituendo alla Corona il diritto effettivo di nomina e di revoca dei ministri che dovevano tornare a essere «ministri del Principe». Il tentativo rimase senza esito.
Il tema dei poteri e di un più incisivo ruolo della monarchia, di una «Corona operativa», secondo la sintesi della proposta sonniniana di Domenico Farini (Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, II, Roma 1962, p. 1274), venne ripreso dagli ambienti conservatori, con tendenze reazionarie, durante la crisi di fine secolo. Sonnino svolse in quella fase un ruolo di particolare rilievo come leader della maggioranza che sostenne i due governi Pelloux (29 giugno 1898-24 giugno 1900) e i disegni di legge governativi, limitativi fra l’altro della libertà di stampa, di associazione e di riunione, contrastati, come le modifiche al regolamento della Camera, dai gruppi di opposizione con un durissimo ostruzionismo.
Dopo le elezioni politiche del giugno 1900 – che segnarono l’insuccesso politico di Luigi Girolamo Pelloux e la sconfitta dei tentativi reazionari – e l’assassinio di Umberto I, Sonnino accettò la ‘politica di libertà’ dei ministeri Zanardelli e Giolitti, sottolineando nel Quid agendum? (in Nuova Antologia, 16 settembre 1900) l’importanza centrale della questione sociale e in Questioni urgenti (ibid., 16 settembre 1901) la necessità di costituire un «grande partito liberale», anche federando le associazioni esistenti nel Paese, «dato che il governo non funziona[va] più come centro di organizzazione dei costituzionali». Un tema ripreso, con gli altri che avevano caratterizzato la sua attività negli anni precedenti, dal Giornale d’Italia, da lui fondato nel novembre del 1901 e diretto da Alberto Bergamini. Il quotidiano rappresentò, infatti, le posizioni del leader dell’opposizione costituzionale come alternativa a Giovanni Giolitti, dal quale lo differenziavano i programmi di politica economica e sociale, le idee sul ‘partito liberale’, la scelta delle alleanze, in particolare i rapporti con i cattolici.
La posizione di Sonnino – che non aveva fatto alcuna adesione confessionale, né israelita né evangelica, nonostante la forte influenza della madre – fu caratterizzata in quel periodo, come nei precedenti, da un intransigente laicismo, da una rigorosa difesa della legge delle guarentigie, da una netta e costante ostilità al papato che escludeva ogni possibilità di conciliazione, come di accordi con il movimento cattolico.
Nel 1906 formò il suo primo governo con esponenti del Centro, della Destra rudiniana e, per la prima volta, anche del Partito radicale. Il ministero si caratterizzò per un programma di importanti investimenti nelle ferrovie (con un piano pluriennale di 1300 milioni di lire), di riduzione del 30% dell’imposta fondiaria per i terreni con redditi inferiori alle 6000 lire nelle province meridionali e insulari, di riforma dei patti agrari, di progetti per favorire la concessione delle enfiteusi e la formazione di nuove proprietà coltivatrici, di limitazione della facoltà governativa di scioglimento dei Consigli comunali e provinciali e con la proposta di istituzione del ministero del Lavoro. Durante la sua breve durata (8 febbraio-29 maggio 1906), il ministero sonniniano dei ‘cento giorni’ preparò, con il ministro del Tesoro Luigi Luzzatti e con il decisivo apporto di Bonaldo Stringher, direttore generale della Banca d’Italia, la conversione della rendita relativa a uno stock di titoli di 8100 milioni di lire. Realizzata il 29 giugno 1906, questa operazione emblematizzò il risanamento monetario e finanziario del Paese. Breve durata ebbe anche il secondo governo Sonnino (11 dicembre 1909-31 marzo 1910) di ‘concentrazione costituzionale’, senza radicali, che si caratterizzò per un programma di vaste riforme e per la proposta di un diverso assetto da dare al ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Le diffuse opposizioni al progetto di convenzioni marittime presentate dal ministro Giovanni Bettòlo provocarono le dimissioni del secondo ‘ministero dei Cento giorni’ senza aspettare il voto della Camera.
All’opposizione del quarto ministero Giolitti, ma esplicitamente favorevole all’impresa di Libia, Sonnino ripropose l’universalità del suffragio, pur dividendo il Centro, e la necessità di costituire «un grande partito liberale, con un largo programma politico e sociale, progressista e conservatore a un tempo, […] avverso ad ogni fusione tra moderati e cattolici da un lato, tra progressisti e socialisti dall’altro» (Il partito liberale e il suffragio universale, in Nuova Antologia, 16 settembre 1911).
Dopo le elezioni politiche dell’ottobre-novembre 1913, le prime a suffragio quasi universale maschile, l’autoscioglimento del gruppo parlamentare di ventuno deputati che faceva riferimento a Sonnino, all’inizio della XXIV legislatura, e la confluenza di gran parte di loro nel nuovo gruppo ‘parlamentare liberale’ di Antonio Salandra, nominato presidente del Consiglio il 21 marzo 1914, sancirono la fine della sua leadership.
Nominato ministro degli Esteri, il 5 novembre 1914, nel secondo governo Salandra, succedendo ad Antonino Paternò Castello di San Giuliano morto il 16 ottobre, Sonnino mantenne la carica nei tre ‘governi di guerra’ (Salandra, Boselli, Orlando). Convinto della scelta della neutralità, dopo esserne stato critico fino alla metà di settembre, come periodo utile per armarsi e per prepararsi a qualsiasi evenienza, iniziò poi trattative con il governo di Vienna con l’obiettivo di un accordo, sulla base dell’articolo 7 del Trattato della Triplice Alleanza, per la cessione di territori dell’Impero austro-ungarico abitati da italiani o ritenuti necessari per la sicurezza strategica, come compenso per le conquiste asburgiche nei Balcani e per la posizione di neutralità mantenuta dall’Italia. La sostanziale indisponibilità del governo di Vienna durante le trattative, svoltesi dal dicembre del 1914 all’aprile del 1915, a soddisfare le richieste italiane – peraltro sostenute dalla Germania – con adeguate cessioni di territori da consegnare immediatamente, e a riconoscere inoltre la sovranità italiana su Valona e la sua baia e a disinteressarsi dell’Albania, orientarono decisamente Sonnino all’alleanza con la Triplice Intesa, sancíta dal Patto di Londra (26 aprile 1915). Seguì l’intervento in guerra contro l’Austria-Ungheria il 24 maggio, contro l’Impero ottomano il 20 agosto e soltanto il 27 agosto 1916, dopo forti pressioni anglo-francesi, contro la Germania, per rendere meno gravosi gli impegni militari degli alleati.
Le vicende militari, le relazioni internazionali, i ‘fini di guerra’ furono sconvolti, l’anno successivo, da rinnovate offerte di pace degli Imperi centrali, dall’entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco dell’Intesa, come potenza ‘associata’, dal crollo dell’Impero zarista e poi dagli esiti della Rivoluzione d’ottobre.
In una gravissima situazione del Paese, caratterizzata da un’ondata di agitazioni e di scioperi e poi dalle conseguenze di Caporetto, Sonnino dovette affrontare nuovi difficili problemi con gli alleati e far fronte alle aspirazioni e alle rivendicazioni degli iugoslavi. La sconfessione dei trattati conclusi dalla Russia imperiale e la loro divulgazione da parte della diplomazia bolscevica, l’enunciazione dei Quattordici punti del presidente degli Stati Uniti Thomas Woodrow Wilson sulle future condizioni di pace (8 gennaio 1918), la posizione del primo ministro inglese sugli obiettivi di guerra del suo Paese, resero irrealistiche, nel quadro delle mutate relazioni internazionali, la richiesta sonniniana e del presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando, ribadita alla fine del conflitto alla Conferenza della pace, di rispettare il Patto di Londra, e quella di ottenere Fiume, rivendicandone l’italianità. L’articolato programma di richieste italiane, semplificato e sintetizzato nella riduttiva formula del «Patto di Londra più Fiume», non trovò infatti positiva accoglienza, nonostante una dimostrata disponibilità al compromesso. Totale si rivelò poi l’incompatibilità tra le posizioni italiana e statunitense, oltre quella di carattere e di opinioni fra Sonnino e Wilson. Il manifesto da quest’ultimo rivolto al popolo italiano, critico del programma di politica estera del governo di Roma, motivò la decisione della delegazione italiana, il 24 aprile 1919, di abbandonare la Conferenza della pace, a Parigi, per chiedere la fiducia al Parlamento. L’assenza dei delegati italiani non interruppe però i lavori della Conferenza che decise, fra l’altro, la sistemazione del Mediterraneo orientale, dell’Asia minore, e delle colonie tedesche in Africa affidate, sotto forma di mandati internazionali, a Francia e Gran Bretagna, escludendo la partecipazione dell’Italia. Il ritorno al tavolo della Conferenza di Orlando e di Sonnino, il 7 maggio, dopo il voto favorevole del Parlamento alle loro posizioni, non riuscì comunque ad assicurare alle rivendicazioni italiane un’accoglienza migliore rispetto al passato. Le trattative sulla questione adriatica, su quelle delle colonie e delle riparazioni si conclusero con il fallimento della linea sostenuta dai delegati italiani, peraltro in dissenso fra loro e poco impegnati nella definizione della nuova carta geopolitica dell’Europa.
La fine dell’impegno ministeriale di Sonnino coincise con le dimissioni del governo Orlando, presentate il 23 giugno 1919, in seguito a un voto di sfiducia della Camera che portò Francesco Saverio Nitti alla presidenza del Consiglio. Sonnino non ripresentò la sua candidatura alle elezioni del 16 novembre 1919, le prime svoltesi a suffragio universale maschile e con il sistema proporzionale, che egli aveva lungamente sostenuto, ma che riteneva inopportuno nelle condizioni del dopoguerra.
Nominato senatore il 3 ottobre 1920 per la III e V categoria, non prese mai la parola nell’Assemblea vitalizia. Si dedicò all’attività della Casa di Dante, a Roma, di cui era presidente dal 1914, riprendendo gli studi danteschi (Beatrice, Roma 1920). Prudentemente favorevole nei confronti del fascismo, espresse riserve sulla sua capacità di risolvere i gravi problemi economici e finanziari del Paese.
Morì celibe a Roma il 24 novembre 1922.
Due giorni dopo venne sepolto nella sua dimora, il castello del Romito, a Quercianella (Livorno).
Scritti e discorsi. Oltre a quelli citati si segnalano: Discorsi parlamentari pubblicati per deliberazione della Camera dei deputati, I-III, Roma 1925; Scritti e discorsi extraparlamentari, 1870-1922, a cura di B.F. Brown, I-II, Bari 1972; I discorsi parlamentari di S. S. 1915-1919, a cura di P.L. Ballini, Firenze 2015.
Fonti e Bibl.: Montespertoli (Firenze), castello Sonnino, Archivio Sidney Sonnino. Nella collezione Quaderni Sidney Sonnino per la storia dell’Italia contemporanea pubblicati dal Centro studi Sidney Sonnino è disponibile l’Inventario dell’Archivio S. S., a cura di R. Baglioni, Firenze 2010. Sono stati pubblicati i seguenti volumi dei diari e dei carteggi: Diario, I, 1866-1912, a cura di B.F. Brown, Bari 1972; II, 1914-1916, a cura di P. Pastorelli, Bari 1972; III, 1916-1922, a cura di P. Pastorelli, Bari 1972; Carteggio, I, 1891-1913, a cura di B.F. Brown - P. Pastorelli, Bari 1975; II, 1914-1916, a cura di P. Pastorelli, Bari 1974; III, 1916-1922, a cura di P. Pastorelli, Bari 1975. Fra gli studi di carattere complessivo si segnalano: A. Jannazzo, S. meridionalista, Roma-Bari 1986; G.A. Haywood, Failure of a dream. S. S. and the rise and fall of Liberal Italy, 1847-1922, Firenze 1999; R. Nieri, Costituzione e problemi sociali. Il pensiero politico di S. S., Pisa 2000; S. e il suo tempo, a cura di P.L. Ballini, Firenze 2000; S. e il suo tempo (1914-1922), a cura di P.L. Ballini, Soveria Mannelli 2011. Su Sonnino giovane e sui primi decenni del suo impegno parlamentare: U. Levra, Il colpo di Stato della borghesia. La crisi politica di fine secolo in Italia, 1896-1900, Milano 1976, ad ind.; M. Sagrestani, Italia di fine secolo. La lotta politico-parlamentare dal 1892 al 1900, Bologna 1976, ad ind.; P.L. Ballini, L’«ordinata libertà» di S. S., in Nuova Antologia, 1997, vol. 2201, pp. 240-277; P. Carlucci, Lettere di S. S. ad Emilia Peruzzi, 1872-1878, Pisa 1998; Ead., Il giovane S. tra cultura e politica, 1847-1886, Roma 2002. Sul Giornale d’Italia: E. Decleva, “Il Giornale d’Italia”, 1918-1926, in 1919-1925. Dopoguerra e fascismo. Politica e stampa in Italia, a cura di B. Vigezzi, Bari 1965, pp. 1-62; M. Gandini, Alberto Bergamini, giornalista e uomo politico, Bologna 1972, ad ind.; A. Bergamini, Storia del “Giornale d’Italia”, Roma 1977, ad indicem. Sull’età giolittiana: H. Ullrich, La classe politica nella crisi di partecipazione dell’età giolittiana, 1909-1913, I-III, Roma 1979, ad indices; P.L. Ballini, La Destra mancata. Il gruppo rudiniano-luzzattiano fra ministerialismo e opposizione, 1901-1908, Firenze 1984, ad ind.; U. Gentiloni Silveri, Conservatori senza partito. Un tentativo fallito nell’età giolittiana, Roma 1999, ad ind.; E. Minuto, Il partito dei parlamentari. S. S. e le istituzioni rappresentative, 1900-1906, Firenze 2004; R. Nieri, S. S., Guicciardini e la politica estera italiana 1899-1906, Pisa 2005; P.L. Ballini, Debito pubblico e politica estera all’inizio del ’900. Luigi Luzzatti e la conversione della rendita del 1906, Venezia 2017, ad indicem. Sulla politica estera degli anni successivi: M. Toscano, Il Patto di Londra. Storia diplomatica dell’intervento italiano, 1914-1915, Bologna 1934, ad ind.; B. Vigezzi, L’Italia di fronte alla prima guerra mondiale, I, L’Italia neutrale, Milano-Napoli 1966, ad ind.; A. Monticone, La Germania e la neutralità italiana 1914-1915, Bologna 1971, ad ind.; M.G. Melchionni, La vittoria mutilata. Problemi e incertezze della politica estera italiana sul finire della grande guerra (ottobre 1918-gennaio 1919), Roma 1981, ad ind.; L. Riccardi, Alleati e non amici. Le relazioni politiche tra l’Italia e l’Intesa durante la prima guerra mondiale, Brescia 1992, ad ind.; I. Garzia, L’Italia e la nascita della Società delle Nazioni, Roma 1995, ad ind.; D. Veneruso, La grande guerra e l’unità nazionale. Il ministero Boselli, Torino 1996, ad ind.; D. Rossini, Il mito americano nell’Italia della Grande Guerra, Roma-Bari 2000, ad ind.; L. Monzali, S. S. e la politica estera italiana nell’età degli imperialismi europei, in La politica estera dei toscani ministri degli Esteri del Novecento, a cura di P.L. Ballini, Firenze 2012, pp. 13-53; M. Cattaruzza, L’Italia e la questione adriatica. Dibattiti parlamentari e panorama internazionale (1918-1926), Bologna 2014, ad ind.; L. Monzali, Gli italiani di Dalmazia e le relazioni italo-jugoslave nel Novecento, Venezia 2015, ad ind.; G. Petracchi, 1915. L’Italia entra in guerra, Pisa 2015, ad ind.; A. Varsori, Radioso maggio. Come l’Italia entrò in guerra, Bologna 2015, ad ind.; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, https://notes9.senato.it/ Web/senregno.NSF/ S_l2?OpenPage; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/deputato/sidney-costantino-sonnino-18470311#nav.