SESOSTRIS
Nome appartenuto a tre faraoni della XII dinastia (2000-1785 a. C.) Kheperkara S. I, conquistatore e colonizzatore della Nubia; Khakheperra S. II, il cui regno è poco conosciuto, ma al quale probabilmente si devono grandi lavori di bonifica nel Fayyūm, e Khakaura S. III. Quest'ultimo sovrano e il più importante della serie, le sue imprese di conquistatore in Palestina e in Nubia e la sua opera di pacificatore all'interno del paese gli procurarono una fama leggendaria, che continuò anche in età greca (per quanto la tradizione greca - Erodoto e Diodoro Siculo - conservi soltanto il nome attribuendogli in realtà, almeno in parte, le imprese di Thutmosis III, Seti I e Ramesses II). Anche nella storia artistica del paese notevole fu l'influenza esercitata dalle personalità di questi faraoni.
La ritrattistica di ognuno di essi è rappresentata da numerosissime opere di assai diversa fattura, in cui si riconoscono più scuole, ma che fondamentalmente si possono raggruppare in due tendenze principali: la prima, legata soprattutto all'ambiente memfita e Fayyūm, fortemente influenzata dalla tradizione aulica dell'Antico Regno, fornisce dei faraoni immagini idealizzate ed alquanto convenzionali; l'altra, invece, localizzata soprattutto nelle zone periferiche del Delta e della Tebaide, mostra una accentuazione passionale dei tratti individuali resi con una maggiore rudezza nel S e una certa tendenza luministica al N. La differenziazione tra queste scuole non è, ovviamente, assoluta; anche per la possibilità di spostamento di maestranze o addirittura di opere già complete. Tra i monumenti pervenutici è possibile individuare una serie di veri e proprî ritratti nei quali l'accurato rendimento dei particolari fisionomici appare legato e sorretto da una intensa volontà di individuazione psicologica. Il sovrano non è più l'incarnazione serena della divinità quale era apparsa nei ritratti dell'età memfita (v. khepheren; mykerinos); i turbamenti del primo periodo intermediario hanno mostrato le debolezze e i pericoli della monarchia, riportando il sovrano ad un livello umano, sul quale pesano le angosce e le cure del governo, le colpe e le ingratitudini dei sudditi. Di questa mutata condizione della regalità fanno testimonianza anche alcuni testi letterarî che, in forma di ammonizioni per i figli, ci tramandano le amare riflessioni di due sovrani (Istruzione per Merikara e Insesegnamento di Amenemhet I).
Di S. I esiste una serie di statue frigidamente convenzionali da el-Lisht (Cairo, 411-420), alcune statue osiriache da el-Lisht (Cairo, 397-402, e New York, Metropolitan Museum, 08.200.1, 09.180.529), da Abido (Cairo, 429) e da Karnak (Cairo, 48851), due statuette lignee da el-Lìsht (Cairo, 44951 e New York, Metropolitan Museum, 14.3.17), quattro statue frammentarie dal Delta (Tanis e Alessandria, di cui due solo conservano la testa: Cairo, 384 e 37465), due torsi da Memfi (Berlino, 1205 e Londra, British Museum, 924), pure da Memfi una testa colossale molto rovinata (British Museum, 137), due colossi di granito da Karnak (Cairo J. d. E., 38286-38287) e, infine, una testa di sfinge pure da Karnak (Cairo, 42007). Un certo intento ritrattistico si nota nella vigorosa impostazione del volto rettangolare dal mento squadrato del già citato pezzo British Museum 924 da Memfi. Del tutto convenzionali sono invece i ritratti a rilievo del sacello bianco di Karnak nei quali il faraone è rappresentato in piedi abbracciato da varie divinità, del pilastro da Karnak ora al Cairo, del tempio di Koptos ora a Londra (University College) e del tempio di Medamud (New York, Metropolitan Museum).
Di S. II, si conoscono poche statue complete (Cairo, 430,432; Berlino, 7264), cui si aggiungono due busti (Copenaghen, Ny Carlsberg, AEIN 659; Vienna, 5576) che pur nel loro generico impianto freddamente convenzionale mostrano alcune delle caratteristiche fisionomiche del sovrano: il volto minuto e tondeggiante, gli occhi piccoli e ravvicinati, la bocca sottile.
I ritratti di S. III provengono quasi tutti dalla regione tebana e tutti mostrano una intensa volontà di penetrazione psicologica nell'espressione tesa e angosciata del volto allungato con alti zigomi e guance scavate. La linea delle labbra, generalmente arcuata verso il basso, insieme alle profonde rughe che in alcuni ritratti appaiono tra le sopracciglie, dà al volto un'espressione malinconica e assorta, quasi sdegnosa. La parte più notevole dei tratti fisionomici di S. III è però costituita dagli occhi infossati con palpebre tumide e profonde occhiaie; questa precisa volontà di individualizzazione dello sguardo costituisce una felice eccezione nella tradizione ritrattistica egiziana. Un frammento di testa ora ad Hildesheim (n. 412), infatti, è perfettamente riconoscibile come ritratto di S. III pur avendo conservato solo la fronte e gli occhi fino all'altezza del setto nasale.
La serie proveniente da Medamûd (Cairo, 486, 32639; Parigi, Louvre, E 12960, E 12961, E 12962), è caratterizzata da una notevole vitalità interiore espressa attraverso un realismo discreto e una plastica sensibile al variare delle luci (soprattutto nelle due teste del Cairo). Il frammento E 12962 del Louvre, le cui superfici morbidamente modellate mirabilmente assecondano la solida costruzione interna, è forse il capolavoro della serie. Un realismo alquanto più rude traspare dalle opere provenienti da Deir el-Bah ari (Londra, British Museum, 158, 159, 16o; Cairo 18-4-22 4), tra cui è particolarmente notevole soprattutto l'ultima citata del British Museum. Da Karnak provengono due colossi di solido impianto volumetrico (Cairo, 42011, 42012), con teste rudemente vigorose, dense di ombre nel volto che, soprattutto nella prima, efficacemente contrasta con l'alta tiara cilindrica, nonché una statuetta del sovrano accoccolato sui talloni con due vasi nelle mani (Cairo, 42013). Da Hierakonpolis proviene una statua seduta perfettamente conservata, ma di non eccelsa qualità (Brooklyn Museum, 52. 1) simile per certi aspetti a una statua di Baltimora (Walters Art Gallery, 22.115). Una testa da Ehnasya, ora al Louvre (E 25370), ricorda il frammento già citato di Hildesheim nonché una testa del Metropolitan Museum di New York (08.200.2) proveniente da el-Lisht e da alcuni attribuita ad Amenemhet I. Altre due teste sono state trovate in Nubia: una a Semnah (Boston, Museum of Fine Arts, 24.1764) e l'altra a Kerma (Boston, Museum of Fine Arts, 13.3968), ma il loro stato di conservazione non permette un sicuro giudizio stilistico. Ricca di contrasti luministici e di contenuto patetico è una testa colossale in granito da Abido ora al British Museum (161).
Restano, infine, da ricordare alcuni pezzi di provenienza sconosciuta: una testa della Collezione Gallatin (n. ii), e una testa ora a Vienna (5813) originariamente appartenuta a una sfinge. Quest'ultima, per alcune sue caratteristiche soprattutto di modellato, è stata attribuita anche all'età saitica (W. von Bissing-F. Bruckmann, Denkmäler ägyptischer Sculptur, Monaco 1914, tav. 27), ma il solido impianto delle masse, l'evidente colorismo e l'intrinseca, concentrata vigoria restituiscono questo pezzo all'età di 5.111. Un'altra sfinge di piccole proporzioni è al Metropolitan Museum, New York (17.9.2).
Alcune opere hanno un'importanza assai minore e in qualche caso non sono sicuramente attribuibili a 5.111: Berlino, 9526 e 20175; Vienna, 6; Cairo, 487; Londra, British Museum, 36258, 36298; tre teste di Cambridge (senza numero); un busto a Gotha (C. A e i); Boston, Museum of Fine Arts, 05.195 dal Sinai; New York, Metropolitan Museum, 45.2.6. e 12.183.6. Anche la testa in ossidiana della Collezione Gulbenkian (da alcuni attribuita ad Amenemhet III) presenta certe affinità di costruzione e di fisionomia con la iconografia più nota di 5.111, ma l'attribuzione non è facilmente risolvibile anzitutto per l'affinità fisionomica dei due sovrani e anche perché è impossibile controllare se il caratteristico naso aquilino trovasse originariamente riscontro nei ritratti sicuri e più significativi di 5.111, tutti lacunosi in questo particolare.
Il capolavoro tra tutti questi ritratti è però un frammento di testa, ridotto alla sola maschera, di provenienza sconosciuta, ora al Metropolitan Museum di New York (26.7.1394, già Collezione Carnarvon). I tratti del sovrano sono qui resi con una dolcezza di modellato che affina e liscia le superfici, sciogliendo la durezza e l'amarezza degli altri ritratti in una espressione stanca e malinconica.
Del tutto convenzionali nella loro fredda eleganza sono, invece, i ritratti a rilievo provenienti da un sacello di Medamud.
Bibl.: D. Dunham, An Egyptian Portrait Head of the XII Dynasty, in Bull. Mus. Fine Arts Boston, XXVI, 1928, p. 61-64; H. G. Evers, Staat aus dem Stein, Monaco 1929, pp. 96-99; 105-109; tavv. 26-46; 64-69; 77-92; H. R. Hall, A Portrait-Statuette of Sesostris III, in Journ. Egypt. Arch., XV, 1929, p. 154; C. H. Boreux, A propos d'un linteau représentant Sésostris III trouvé à Médamoud, in Mon. Piot, XXXII, 1932, p. 1-20; G. Steindorff, A Portrait-statue of Sesostris III, in Journ. Walters Art Gall., III, 1940, p. 42-53; W. C. Hayes, Royal Portraits of the 12th Dynasty, in Bull. Metr. Museum, N. S., V, 1946-47, p. 119-124; R. Würfel, Ein Königskopf des Mittleren Reiches in Gotha, in Jahrbuch, Arch. Anz., 67, 1953, c. 38-47; K. Lange, Sesostris. Ein ägyptischer König in Mythos, Geschichte u. Kunst, Monaco 1954; J. Vandier, Manuel d'archéologie égyptienne, III, Parigi 1958, p. 173-195.