servitu della gleba
Condizione di dipendenza di un coltivatore che lo vincola alla terra su cui risiede. Con questo termine storiografico si tende a unificare, ma in modo impreciso, la condizione sociogiuridica dei contadini dipendenti del Basso impero romano con quella dei loro analoghi dell’Alto e Basso Medioevo. La s. della g. ha le sue origini negli ultimi secoli dell’impero romano, quando si era venuto formando un ceto di coltivatori, giuridicamente ancora liberi, ma vincolati al fondo e assoggettati alla legge particolare della villa padronale (coloni). Nel corso dell’Alto Medioevo, si diffusero svariate forme di dipendenza del ceto contadino, con l’obbligo ereditario di residenza sul fondo padronale. In Italia, in età comunale, tra la metà del sec. 12° e la metà del 13°, la dipendenza contadina era caratterizzata sempre più da obblighi e da legami personali di tipo signorile (soggezione all’autorità coercitiva e giudiziaria del padrone, albergaria, guardia dei castelli ecc.) e sempre meno invece dall’obbligo di residenza. A partire dalla metà circa del sec. 13° si sviluppò in Italia un movimento diretto all’affrancazione dei servi della gleba avente lo scopo di affermare l’autorità dei comuni nel contado e di acquisire una più libera disponibilità della terra e degli uomini. Nei Paesi dell’Europa occidentale si tese gradualmente all’attenuazione degli oneri servili, e soltanto nei secc. 18° e 19° le riforme liberali eliminarono la s. della gleba. Nell’Europa orientale (Polonia, Lituania, Russia) l’istituto della s. della g. non fu tipico dell’età medievale, ma si andò sviluppando fra il Cinquecento e il Seicento, quando il numero dei contadini liberi diminuì progressivamente fino a sparire. In Polonia l’emancipazione dei contadini si svolse in tempi diversi nelle zone annesse dalle potenze spartitrici (Prussia, Austria e Russia); in Ungheria essa fu sancita durante la rivoluzione del 1848-49; nell’impero zarista la s. della g. fu abolita nel 1861.