Amidei, Sergio
Sceneggiatore, nato a Trieste il 30 ottobre 1904 e morto a Roma il 14 aprile 1981. Di cultura mitteleuropea, A. portò con sé un ricco bagaglio culturale che nutrì la sua scrittura per il cinema. Collaborò alla realizzazione di un grandissimo numero di film appartenenti a generi diversi, riuscendo a cogliere i cambiamenti storici della realtà italiana, le trasformazioni dei modelli sociali, linguistici e di comportamento. Passò infatti dalle opere storico-avventurose alle commedie dell'epoca dei telefoni bianchi (v. commedia), ai film neorealisti (per i quali collaborò con Vittorio De Sica e Roberto Rossellini), alle commedie che seppe arricchire e sostanziare di ascendenze letterarie (dalle novelle di Boccaccio alla tradizione del teatro colto e dialettale), per giungere infine, negli anni Settanta, a un disilluso ripiegamento su opere e personaggi grotteschi e amari. Personalità di spicco e figura professionale di rilievo, scrisse prevalentemente in collaborazione, avviando la consuetudine del lavoro di squadra basato sulla scrittura come fatto collettivo e divenendo punto di riferimento per i colleghi più giovani. Ottenne quattro nominations all'Oscar: nel 1948 per Sciuscià (1946)di De Sica, nel 1947 per Roma città aperta (1945), nel 1950 per Paisà (1946) e nel 1962 per Il generale Della Rovere (1959) tutti di Rossellini; gli vennero aggiudicati postumi due David di Donatello: nel 1982 per Storie di ordinaria follia (1981) di Marco Ferreri e nel 1983 per Il mondo nuovo, noto anche come La nuit de Varennes (1982) di Ettore Scola. A lui è dedicato il Premio Sergio Amidei per la sceneggiatura che, a partire dal 1983, viene consegnato a Gorizia.
Trasferitosi a Torino cominciò a lavorare nel cinema come comparsa e aiuto regista. Dopo molte collaborazioni non accreditate firmò il primo soggetto, Don Bosco (1934) di Goffredo Alessandrini; in quell'occasione conobbe Aldo Vergano, con cui realizzò in seguito sceneggiature di film storico-avventurosi. Il suo gusto per il lavoro di équipe risultò confermato dalla collaborazione con Domenico M. Gambino, Nunzio Malasomma, Ferdinando M. Poggioli, Carmine Gallone e Mario Camerini. Oltre ai drammi storici, A. scrisse melodrammi e commedie sofisticate, che ricalcavano autarchicamente le commedie hollywoodiane, spesso caratterizzati da un certo calligrafismo nello stile. I condizionamenti culturali del regime, la frequentazione trasversale dei generi, il lavoro in gruppo sono tutti elementi che rendono comunque difficile valutare il reale contributo di A. ai film realizzati sino alla fine della guerra, che peraltro lui stesso giudicò con sufficienza, compresi i film 'storicheggianti' scritti con Giacomo Debenedetti. Certi tratti sofisticati però lasciano ben intravedere l'artigiano di classe che si rivelerà pienamente in seguito, e preannunciano la svolta neorealista. Così accade con gli adattamenti di testi della letteratura verista come Gelosia (1942), tratto da Il marchese di Roccaverdina di L. Capuana, e Il cappello da prete (1944), dal romanzo di E. De Marchi, entrambi diretti da Poggioli. A. partecipò attivamente alla Resistenza e fece confluire questa fondamentale esperienza in Roma città aperta, di cui condivise l'avventurosa genesi con Federico Fellini e Rossellini, e che segnò l'affermazione definitiva del Neorealismo. Questo film avviò anche un'intesa artistica con Rossellini destinata a durare nel tempo: A. infatti costruì l'impianto narrativo di Paisà, Stromboli ‒ Terra di Dio (1950), La macchina ammazzacattivi (1952), La paura (1954), Il generale Della Rovere, Era notte a Roma (1960), Viva l'Italia! (1961). La capacità di A. di far emergere direttamente dai personaggi, colpiti nella loro dignità, la portata del dramma collettivo aveva già caratterizzato la sua collaborazione con De Sica per Sciuscià e anche per Ladri di biciclette (1948), anche se in questo caso il suo nome non è accreditato. A partire dagli anni Cinquanta A. riuscì a raccontare con particolare sensibilità la nuova realtà urbana dell'Italia piccolo-borghese protagonista dei film di Gianni Franciolini (Racconti romani e Le signorine dello 04, entrambi del 1955) pervasi da una vena picaresca e da un'attenzione documentaria, e di Luciano Emmer, opere che secondo alcuni critici inaugurarono la stagione del cosiddetto Neorealismo rosa. Per Emmer scrisse il soggetto di Una domenica d'agosto (1950), film in cui si intrecciano cinquantasei storie (invenzione di cui A. andò fiero), cui fecero seguito, per lo stesso regista, Parigi è sempre Parigi (1951), Le ragazze di piazza di Spagna (1952), Terza liceo (1954), Il bigamo (1955), Il momento più bello (1957). La scomposizione del racconto, alla quale A. ricorre in tutte queste sceneggiature, è una fonte di rinnovamento per la struttura del film e, al contempo operazione originale che consente a tutti i personaggi di esistere ed esprimersi, restituendo la vivacità della vita quotidiana. Moltiplicando i centri di interesse e di narrazione, A. accelera la disgregazione del racconto cinematografico, ne vanifica i presupposti di linearità e sostituisce gli snodi drammaturgici con il paradosso e l'ironia, facendo scivolare la narrazione su notazioni collaterali e scenette umoristiche. Nell'ultima fase creativa, la meno personale, l'ironia lasciò il passo al cinismo, affidato soprattutto alla maschera dell'italiano medio di Alberto Sordi, con il quale A. avviò una lunga collaborazione sceneggiando il suo film di debutto alla regia, Fumo di Londra (1966), e il successivo Scusi, lei è favorevole o contrario? (1966). In seguito scrisse per l'attore commedie di successo che ricalcano formule collaudate: Il medico della mutua (1968) di Luigi Zampa, Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue (1969) di Luciano Salce, Il presidente del Borgorosso football club (1970) di Luigi Filippo D'Amico. E sempre più si accentuarono la delusione e la rabbia che cancellarono definitivamente l'ottimismo di un tempo in film come Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy, La più bella serata della mia vita (1972) di Ettore Scola, Anastasia mio fratello (1973) di Steno, Un borghese piccolo piccolo (1977) di Mario Monicelli. A. scrisse le ultime sceneggiature per il dolente e disperato Storie di ordinaria follia e per il raffinato e letterario Il mondo nuovo. La sua figura è stata rievocata in Celluloide (1995) di Carlo Lizzani, scritto da Ugo Pirro e Furio Scarpelli, film basato sulle vicende legate alla realizzazione di Roma città aperta, che al contempo costituisce un particolare, affettuoso omaggio ad Amidei.
L'avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti, 1935-1959, a cura di G. Fofi, F. Faldini, Milano 1979, passim.
M. Monicelli, Non è che mancano le idee, ma le speranze, in Cinema italiano, ma cos'è questa crisi, Bari 1979, pp. 15-23.
Sergio Amidei, 55 anni di cinema italiano, a cura di D. Bratina, L. Codelli, Gorizia 1981.
L. Codelli, Hypothèses sur l'œuvre du scénariste Sergio Amidei, e J.A. Gili, 'Je me sens provisoire… un film après l'autre, toujours provisoire', in "Positif", 253, 1982, pp. 2-12 e 13-21.
G.P. Brunetta, Storia del cinema italiano, 3° vol., Roma 2000³, e 4° vol., Roma 1998³, ad indicem.