SELINUNTE
(XXXI, p. 324)
L'insediamento sulla costa sud-occidentale della Sicilia, tra Capo Granitola e Capo S. Marco, è noto soprattutto per i resti monumentali della colonia greca, fondata, secondo due diverse tradizioni (Diodoro e Tucidide), nel 657 o nel 628 a.C. Le ricerche più recenti sul terreno fanno propendere per la data più antica, pur riconoscendo che la seconda debba essere un momento importante nella storia della neofondata colonia.
I coloni provenivano soprattutto da una delle più antiche fondazioni greche di Sicilia, Megara Hyblaea, ma a essi se ne erano aggiunti altri dalla madre patria e, in genere, dalla Grecia centrale. Li guidava l'ecista Pammilo, chiamato appunto dalla Megara di Grecia. A differenza di quanto avviene per i casi di altre subcolonie di Occidente, è difficile riconoscere interessi di Megara Hyblaea, città sulla costa orientale della Sicilia, con forte vocazione terriera, per il mare africano e per un'area, nella fase protocoloniale, rimasta ai margini degli interessi dei progetti di fondazione. La costa meridionale della Sicilia aveva visto, fino a quel momento, però più a occidente di quello che sarà il territorio di S., solo la fondazione rodio-cretese di Gela. Non crediamo che la spinta alla fondazione della subcolonia possa essere venuta dal desiderio di occupare altre terre, quanto dal bisogno di una parte della popolazione megarese − le classi imprenditoriali e artigianali che si erano venute formando nella città coloniale nelle generazioni seguenti quella della fondazione − di sottrarsi alla condizione di sudditanza e di subalternità politica in cui li confinavano gli originari politai, i proprietari terrieri. Vedremo come la primitiva vocazione della fondazione greca di S. non fu quella terriera, come in altri casi nelle città di Occidente, ma nettamente mercantile; lo prova, fin dai primi anni della fondazione, l'apertura dei due porti-laguna allo sbocco in mare del Modione e del Cottone, i due corsi d'acqua che fiancheggiano a ovest e a est la collina, su cui sorse il primo impianto della città greca che chiamiamo usualmente Acropoli.
La fama della città è stata finora soprattutto legata alle testimonianze dell'architettura templare che, in un luogo paesaggisticamente splendido, costituiscono, insieme con strutture grandiose di terrazzamento e di fortificazione, il grande richiamo di quello che oggi è diventato il parco di Selinunte. Sono undici i templi finora individuati, e alcuni con più fasi costruttive, distribuiti in un arco di tempo tra gli inizi del 6° secolo a.C. e l'ultimo decennio del 5°, a dimostrazione della grande floridezza culturale ed economica della città greca in questo periodo. Le costruzioni si dispongono su tre colline che si susseguono, da est verso ovest, con andamento grosso modo perpendicolare alla costa, denominate rispettivamente collina orientale o di Marinella, dal nome del moderno borgo di pescatori, sulla costa a sud-est dell'antico insediamento; Acropoli, quella centrale, in gran parte occupata dal santuario dei templi C e D e caratterizzata, nella sua forma, dalla fase di età punica (4°-3° secolo a.C.) della città; infine collina della Malophoros, quella più occidentale, che non fece mai parte della città greca, ma è occupata dal santuario di una divinità di tradizione pregreca, grecizzata in Malophoros appunto, e da un altro leggermente più a nord, quello intorno al tempio M, ugualmente pertinente a un originario culto anellenico.
Le importanti ricerche sull'urbanistica, l'architettura e le fortificazioni di S., condotte, a partire dall'inizio degli anni Settanta, rispettivamente da un gruppo di ricerca francese, guidato da R. Martin, da uno italiano, guidato da G. Gullini, e da uno tedesco, guidato da D. Mertens, hanno portato a rivedere totalmente inquadramenti e classificazioni tradizionali e a fare di S. uno dei siti archeologici più interessanti di tutta l'area mediterranea. In particolare le indagini sul tempio E e sulla collina orientale hanno permesso di rivedere, alla luce di nuovi dati, molte delle classificazioni e valutazioni tradizionali sull'architettura selinuntina, nello specifico, e su quella della Grecia di Occidente, in generale. L'approfondimento dei problemi emersi dagli studi sul tempio E ha condotto ad affrontare, con metodologie particolarmente avanzate, l'analisi del territorio selinuntino, come fondale e contenitore, al tempo stesso, delle vicende storiche e culturali che le fasi architettoniche del tempio ci conducono a suggerire.
Le ricerche e i saggi, effettuati nell'area del tempio e del suo temenos, hanno rivelato ben due fasi precedenti a quella testimoniata dalla discutibile anastilosi della peristasi e che ormai, anche su base stratigrafica, può essere datata tra il 465 e il 460 a.C. Per tale motivo questa fase è stata convenzionalmente chiamata E3, dando il nome E2 a un precedente periptero, su un rettangolo leggermente più ampio, rimasto interrotto al livello delle fondazioni, poco al di sotto della quota della euthynteria.
I livelli a esso pertinenti del riempimento dei setti di sostegno dei pavimenti della peristasi e della cella permettono di datare questa fase negli anni tra il 515 e il 510, quando i lavori furono interrotti e la piattaforma del tempio venne in qualche modo sistemata, e verosimilmente trovata una protezione, sia pure provvisoria, per la statua di culto, fino all'avanzato quarto decennio del 5° secolo, quando, dopo l'avvento della democrazia a S. nel 467, il progetto venne ripreso e modificato leggermente con la realizzazione di E3. Ma E2 non era il primo edificio di culto nel temenos. Le sue strutture, nella parte più meridionale, sono pressoché per intero realizzate con materiale lapideo di reimpiego, in parte danneggiato da un incendio, chiaramente pertinente a un edificio più antico del quale si è anche rinvenuta parte delle fondazioni. Queste hanno permesso di ricostruire un tempio in antis con le proporzioni della cella di E3, del quale, nelle esplorazioni di scavo intorno al tempio, si sono rinvenuti molti elementi architettonici e soprattutto circa l'80% del tetto fittile e della sua decorazione, scaricato fuori dell'area prevista per le fondazioni del periptero E2 come macerie di un rovinoso incendio, intenzionale, che mise fine all'edificio. L'analisi di tutto il materiale ha consentito di ricostruire graficamente questo edificio, fino alle palmette del kalypter hegemon, e quindi di recuperare quello che finora possiamo considerare il primo tempio monumentale della bottega architettonica selinuntina. I dati stratigrafici delle fondazioni ancora in sito, più che le considerazioni sulle forme stilistiche delle sagome e delle terrecotte architettoniche, permettono di collocarlo intorno al terzo decennio del 6° secolo. La data dell'incendio e della distruzione va fissata intorno agli anni 520-15. La grandiosità delle dimensioni e della decorazione era monumentalmente integrata da una piattaforma che occupava un'area all'incirca corrispondente, per la parte più orientale esplorata, al rettangolo dello stilobate di E3. Essa si disponeva davanti e intorno al tempio E1; sul lato orientale, sosteneva un grandioso altare rettangolare di oltre venti metri di lunghezza, terminante, sui lati brevi, con ricche fiancate verosimilmente ricoperte da decorazioni metalliche. Il tempio in antis veniva così a integrarsi con una terrazza sopraelevata sul piano del temenos, meno a nord e più a sud.
Le ricerche e lo scavo di tutti i riempimenti tra i setti e le strutture di fondazione nella metà orientale di E3, ove non era più conservato il lastricato del pavimento lapideo, hanno permesso di accertare che anche E1 era stato preceduto da un più antico edificio ben più ridotto in larghezza, ma di poco soltanto più corto, con la caratteristica tipologia e suddivisione dei cosiddetti megara di tradizione preellenica. Va posto in relazione con un propileo ad H che si apre sul lato meridionale del più antico temenos, presso la sua estremità orientale. Di quest'ultimo rimangono parte degli zoccoli lapidei delle strutture murarie sopra il filare di euthynteria, realizzati con una tipica tecnica a ortostati, che, ormai, appare essere stata quella propria delle prime strutture lapidee eseguite a S., prima ancora della fondazione della colonia greca. Per quanto riguarda il megaron, l'eccezionale larghezza delle sue fondazioni (oltre 2 metri) ha fatto pensare a strutture verticali di tipo reticolare secondo modelli che trovano singolari riferimenti a quanto conosciamo da recenti ricerche a Creta, soprattutto, addirittura nella prima età medio-minoica.
Purtroppo le ripetute ricostruzioni dell'edificio, con strutture sempre più imponenti e quindi con l'esigenza di profonde fondazioni, hanno radicalmente sconvolto i livelli occupazionali più antichi: ciò finora ha impedito una definizione assoluta, attraverso materiali stratigraficamente pertinenti, di quelle indicazioni che le vicende sequenziali delle murature rinvenute suggeriscono per le fasi più antiche delle presenze architettoniche sulla collina orientale, alle quali appartengono il megaron e il propileo. Sembra importante rilevare il diverso orientamento, sia pure pochi gradi soltanto, delle strutture del megaron rispetto a quelle di E, dalla fase E1 fino a quella E3. Il megaron fu circondato da una piattaforma destinata a rinforzare le strutture longitudinali ed estesa soprattutto sul lato orientale per ricevere il corpo di un primo grande altare rettangolare; i materiali rinvenuti nei cavi di fondazione permettono di datare sullo scorcio del 7° secolo la costruzione di questa piattaforma. Essa fu la prima monumentalizzazione del megaron, in chiave più propriamente greca, con l'aggiunta di un altare di tipologia greca, realizzata con una tecnica costruttiva e di apparecchio lapideo che non possiamo non ritenere sviluppata, nell'arco di tre generazioni, dai coloni greci. Questo fatto sembra provare che megaron e propileo, che costituiscono la fase architettonica antecedente alla piattaforma, risalgono a età precoloniale.
Questa presenza precedente ha condotto a indagare nel temenos e nell'area di tutta la collina orientale per individuare altre tracce di vicende insediative precoloniali. L'applicazione delle metodologie dell'''approccio sistematico al territorio'' − cioè l'elaborazione e interpretazione di immagini da satellite, da aereo e da bassa quota e i successivi controlli a terra con ricognizioni dirette e con prospezioni geofisiche − hanno fatto raccogliere una sequenza di informazioni relative a vicende insediative che si sono succedute sulla collina orientale in un ampio arco di tempo. S'identificano i fondi di capanna scavati nella roccia dei villaggi dall'Eneolitico al Medio Bronzo e un primo impianto regolare orientato come il megaron; un secondo orientamento regolare coincide con quello del tempio E e degli altri templi della collina orientale; si mantiene nelle strutture dell'abitato di 4°-3° secolo, in parte scavato e visibile nella fascia tra il tempio E e il tempio F. Queste informazioni hanno condotto a rivedere, con la stessa metodologia, l'impianto urbanistico della città già riconosciuto da Martin e, recentemente, ripreso da A. Di Vita, per metterlo in rapporto con quanto è emerso nell'area della collina orientale. Si è così giunti al recupero di un originario grandioso impianto ortogonale di plateiai e stenopoi che dal corso del Selino si estendeva sulla collina dell'Acropoli per discendere nella valle del Cottone e raggiungere il quartiere sorto dalla ristrutturazione dell'insediamento precoloniale della collina orientale di cui abbiamo parlato. L'impianto aveva all'incirca la forma di π in cui i due bracci verticali sono l'Acropoli e la collina orientale, mentre avvolgeva due porti sul Selino e sul Cottone ai piedi rispettivamente nord e sud dell'Acropoli. L'impianto è stato datato da Martin nel decennio 580-70: a esso, sulla collina orientale, corrisponde esattamente la costruzione di E1 sul luogo di un edificio di culto più antico, verosimilmente precoloniale. Si comprende bene così perché E1 sia stato il primo tempio monumentale della S. greca. La crescita economica e culturale della nuova fondazione, avvenuta evidentemente con l'accordo degli abitanti della prima città sulla collina orientale, consentì una completa revisione dell'impianto urbano unificando quello della colonia sull'Acropoli e quello della città sulla collina orientale. L'edificio di culto di quest'ultima fu monumentalizzato nell'occasione, quando i templi delle divinità autenticamente greche si presentavano, sull'Acropoli, in forme ancora modeste.
Se vogliamo dare un nome agli abitanti precoloniali di S., possiamo pensare a quei Sicani che, arrivati in Sicilia all'inizio della seconda metà del secondo millennio, si erano, secondo la tradizione letteraria, trasferiti dalla Sicilia orientale in quella centro-occidentale, dove rimasero a lungo stanziati e dove la tradizione di Minosse, Cocalo e Dedalo li colloca. Se le tipologie architettoniche sono, come pensiamo, un decisivo tracciante mentale di una cultura, la tipologia del megaron sotto E1, mantenutasi attraverso i tempi, potrebbe farci pensare ai Sicani come genti cretesi, allontanatisi da Creta al momento della prima occupazione micenea, trasferitisi nell'altra grande isola del Mediterraneo, la Sicilia, per riprendere qui la fondamentale occupazione di coltivatori e organizzatori della coltivazione e distributori dei prodotti della terra. Essi mantengono tenacemente, attraverso i secoli, forme di cultura e di espressione legate al loro originario quadro di civiltà, non intaccato da apporti diversi fino almeno all'arrivo dei Greci.
La fortuna economica di S., conseguenza dell'apertura di commerci ''internazionali'', via mare, deve aver spinto soprattutto le classi imprenditoriali e mercantili della città a cercare di adeguare alle nuove concezioni economiche e tecnologiche l'uso agricolo del territorio, fonte principale di quei prodotti che, grazie agli scambi commerciali, rendevano ricca la città. Gli anni intorno alla metà del 6° secolo sono un momento estremamente felice nella storia politica e culturale di S.: una serie di osservazioni sugli edifici e sulle infrastrutture della città dà modo di cogliere invenzioni, innovazioni e capacità tecnologiche.
Nel più antico e vistoso dei templi sull'Acropoli, il tempio C, la peristasi presenta parte delle colonne monolitiche e parte a rocchi imperniati l'uno con l'altro da un polos ligneo. È questa la prova applicativa di un grande salto di qualità nell'attuazione di un principio di scienza delle costruzioni che l'architettura del periodo considerava basilare, resa possibile da un'innovativa scoperta. Sul piano strutturale la scienza meccanica aveva realizzato che la colonna monolitica − che poteva essere trasportata con difficoltà dalla cava, ma che doveva essere soltanto drizzata sul posto − era una struttura assolutamente fragile di fronte a sollecitazioni, soprattutto di taglio, in dipendenza di scosse telluriche, che, in una zona sismica come la Sicilia in genere, e quella occidentale in specie, non erano certo infrequenti. Di qui la necessità di sezionare il fusto con una serie di giunti, cioè costruire una colonna a rocchi opportunamente collegati verticalmente, in modo che, in caso di sollecitazione, il movimento consentito ai rocchi venisse a dissipare una parte cospicua dell'energia che colpiva la struttura. La costruzione di una colonna a rocchi esige però il libero sollevamento di ciascuno di essi per poterli assemblare l'uno sull'altro e imperniarli. Colonne di notevoli dimensioni comportano rocchi di un peso che va oltre la tonnellata: richiedono quindi uno sforzo che dev'essere largamente suddiviso per poter essere assolto dalla modesta energia disponibile, quella delle braccia umane. I rinvii fissi della fune traente, i più ovvi a essere impiegati, a causa dell'attrito con la fune ben poco possono essere ripetuti; se ne possono impiegare due, al massimo tre, con una modesta divisione. L'invenzione del rinvio mobile, della carrucola, riduce notevolissimamente l'attrito e consente, con applicazione di una modesta quantità di energia, il sollevamento di carichi pesanti, come i grossi rocchi e, perciò, il montaggio di quella che possiamo considerare la prima struttura antisismica applicata intenzionalmente dall'uomo, la colonna a rocchi. Il tempio C prova che questa fu un'invenzione selinuntina.
Il grandioso muraglione a gradini che costituisce il bastione orientale dell'Acropoli è il documento, conservatoci in forma monumentale, di un geniale intervento per fermare la frana che, negli anni precedenti la metà del 6° secolo, aveva minacciato di sconvolgere l'impianto appena ristrutturato sul pianoro superiore dell'Acropoli. Le ricerche stratigrafiche e i sondaggi per chiarire le vicende urbanistiche della città hanno dimostrato come le plateiai sull'Acropoli in direzione nord-sud, e specialmente quella centrale, presentino un cospicuo rialzamento che, cronologicamente, dev'essere inserito poco dopo la messa sul terreno dell'impianto regolare nel terzo decennio del 6° secolo. Anche l'apparente abbandono di parte delle strutture degli isolati dell'abitato, realizzato in conseguenza del nuovo impianto, è difficilmente spiegabile a breve distanza dalla costruzione. Riteniamo che entrambi i fenomeni siano conseguenza di un movimento di frana innescatosi sull'Acropoli in conseguenza della penetrazione delle acque meteoriche, drenate dalla nuova rete regolare delle strade, al di sotto della piattaforma di calcarenite, tra questa e le sottostanti argille. Con l'acqua queste divengono scivolose e così si dovette innescare un processo di scorrimento della calcarenite sulle argille, tradottosi in un movimento franoso tale da mettere a rischio l'assetto della collina dell'Acropoli e tutte le costruzioni su di essa. Ma gli ''ingegneri'' selinuntini furono in grado di comprendere le ragioni del fenomeno perché lo affrontarono con i provvedimenti più opportuni. Infatti costruirono un enorme bastione a forma di piramide a gradini − oggi visibile solo nella sua metà rimasta esterna − davanti alla fronte della frana; riempirono la parte verso monte, tra questa piramide e la collina, con le sabbie dragate dal porto in modo da assicurare un perfetto drenaggio delle acque della terrazza dell'Acropoli. Il profilo altimetrico di questa fu sistemato in modo che le strade formassero la rete di un naturale displuvio delle acque meteoriche, assicurandone un rapido scarico verso l'esterno della collina senza rischiare infiltrazioni sotto la piastra di calcarenite. Perciò la dorsale della collina (la plateia centrale nord-sud) fu notevolmente rialzata per ottenere le necessarie pendenze. La frana fu bloccata e si poté dar corso al grande progetto di sistemazione del santuario sull'Acropoli con la costruzione del tempio C (circa la metà del 6° secolo) e poi del tempio D, nonché dell'altare davanti a C e del portico a L sulla fronte più orientale della terrazza.
Questo quadro di floridezza economica, d'impegno costruttivo, di capacità tecnologiche spiega come poco dopo la metà del 6° secolo si sia progettata una riorganizzazione del territorio per renderlo meglio e più produttivo. Nasce in questo momento la pianificazione dell'impianto sulla collina più a nord dell'Acropoli, Manuzza, che viene a inglobare e trasformare un precedente villaggio indigeno che aveva ricevuto prodotti e materiali greci fin dal momento della fondazione. Il nuovo quartiere abitativo è il cuore di un'organizzazione il cui orientamento e il cui sistema investe tutto il vastissimo territorio selinuntino, dalle cave di Cusa, a ovest, fino al Belice, a est, e dal mare fino a una linea che collega Partanna, Castelvetrano e Campobello di Mazara per un'estensione di circa 400 km2. La data più probabile per questo grandioso piano territoriale è il terzo quarto del 6° secolo. Esso costituisce il più antico esempio di una divisione regolare del territorio noto nella storia dell'urbanistica greca: la si è potuta controllare su un'amplissima zona e dovette durare per tutto il periodo di vita della città fino alla fine del 5° secolo a.C. (la distruzione di S. ad opera dei Cartaginesi nel 409 a.C.).
La nuova pianificazione non fu certamente indolore all'interno della città: chiaramente dovette essere avversata dai vecchi proprietari terrieri, espropriati o costretti a ritagliare i loro campi: questi proprietari erano, molto verosimilmente, ancora i discendenti di quella popolazione ''sicana'' che aveva il suo quartiere sulla collina orientale intorno al tempio E, erede delle più antiche forme di culto. Una grave rivolta interna dovette scoppiare a S. alla fine del terzo quarto del 6° secolo, rivolta che è provata dalla distruzione violenta e dolosa del tempio E1 e del suo temenos e dall'abbandono simultaneo quanto definitivo dei quartieri della città sulla collina orientale, in parte sradicati fino alla roccia. Ne è prova ulteriore il fatto che la cerchia greca di mura della fine del 6° secolo, costruita per difendere la parte fondamentale della città rimasta sull'Acropoli e sulle sue pendici, come è stato dimostrato dai lavori degli studiosi tedeschi, corre alla base della collina dell'Acropoli verso il Cottone, lasciando fuori la collina orientale, occupata ormai soltanto nella zona immediatamente alle spalle del porto orientale, forse già al di fuori delle mura.
Sull'area del distrutto quartiere fu immediatamente costruito il tempio F, con la caratteristica chiusura degli intercolumni che sta a significare la coincidenza del muro del temenos con la linea della peristasi. Poco dopo la definitiva cancellazione di ogni struttura abitativa sulla collina orientale fu progettata e avviata la costruzione del tempio G, dedicato a Zeus e realizzato secondo i modelli dei grandi dipteri ionici nei quali il recinto della peristasi costituisce la monumentalizzazione del più antico luogo di culto. Nel tempio G tutto (peristasi, cella e sacello interno) è contemporaneo, ma la tipologia scelta vuole propagandare che il luogo era da sempre destinato al culto del padre degli dei. La famosa iscrizione, trovata su un pilastro del sacello, all'interno del tempio, ci dà un elenco degli dei protettori di S. e crediamo li fornisca in ordine di disposizione topografica dei loro templi: dopo Zeus, titolare del tempio G, è nominato Phobos, il terrore, il dio della guerra civile, che dovrebbe essere perciò la divinità del tempio F; non è nominata Hera, la titolare del tempio E, come sappiamo da un'iscrizione ben più tarda, perché era questo il tempio della gente di origine sicana della città, cioè gli abitanti del distrutto quartiere, la cui ricostruzione non era stata ancora autorizzata, come prova l'arresto dei lavori di E2, per altro limitati a materiale di recupero. Seguono poi, nell'iscrizione, Apollo ed Ercole, i titolari dei due grandi templi sull'Acropoli, C e D; quindi Atena, Poseidon e i Dioscuri, verosimilmente i titolari dei templi nell'area di Manuzza, cui debbono appartenere i resti architettonici e le metope che furono reimpiegati nelle fortificazioni di 4° secolo, quando S. fu trasformata in una enclave punica. Infine Malophoros e Pasikrateia, da collocare, pensiamo, nei temene della collina occidentale, al di là del Selino.
La tentata ricostruzione del tempio E1, cioè E2, usò soltanto materiale di recupero e fu sospesa a livello delle fondazioni; subito dopo il 480 fu completato il tempio G, ma il tempio E rimase ancora nella fase incompiuta di E2, fino a che una profonda trasformazione politica a S., l'avvento della democrazia, nel 467, permise di riprendere in forma grandiosa la ricostruzione del tempio con l'edificio che chiamiamo E3. Esso fu concepito con particolare larghezza di mezzi: basta ricordare l'eccezionalità del tetto bronzeo che venne fuso dai Cartaginesi al momento della conquista di S. nel 409.
Dalla metà del 5° secolo comincia uno splendido momento della vita di S. che costruisce ancora due templi, A e O, e arricchisce sontuosamente anche gli edifici privati nella città entro la cerchia di mura che lasciavano fuori sia la collina orientale sia i due santuari a occidente: quello della Malophoros e del tempio M. Dallo studio del territorio sappiamo che questi erano legati all'area di un grosso insediamento pregreco, nella zona oggi invasa dal sobborgo di Triscina; conservano infatti anche elementi e tracce di una tradizione precedente alle consuetudini e alle forme costruttive più propriamente elleniche.
La distruzione del 409 segna la fine della fortuna di S., della sua ricchezza e della sua cultura architettonica e scultorea. Dopo un periodo di gravi sconvolgimenti, in cui gli scontri tra Cartaginesi e Greci travagliano tutta la Sicilia, ma specialmente quella occidentale, si giunge a una stabilizzazione verso la fine della prima metà del 4° secolo. Allora di S. viene ricostruita la parte sulla terrazza principale dell'Acropoli entro una cerchia di robuste e monumentali fortificazioni che le danno la caratteristica forma a pera, concluse dall'imponente sistema di difesa in corrispondenza dell'istmo, verso nord oggi, ben studiato e che ci ricorda il grandioso impianto dell'Eurialo di Siracusa. È l'immagine più consueta e tradizionale di S. che cela quella della grande città del 5° secolo.
Sulla collina orientale il distrutto quartiere, che era stato già la città sicana, viene ricostruito con una serie di edifici che invadono i temene e gli stessi templi G ed F, ma rispettano E che viene restaurato e riceve un nuovo tetto di tegole in cotto a sostituzione di quelle bronzee saccheggiate dai Cartaginesi. È una città senza mura, ma verosimilmente occupata da coloro che continuavano a coltivare gran parte dei campi della chora selinuntina.
Una profonda trasformazione avviene con la conquista romana della Sicilia, nel 241. La città sull'Acropoli, irreparabilmente insabbiati i due porti, viene abbandonata già prima della conclusione della prima guerra punica; la conquista romana segna la fine dell'abitato sulla collina orientale come conseguenza della trasformazione dell'uso del territorio, pianificata dai Romani. È l'organizzazione che abbiamo potuto identificare, attraverso le immagini, e che si orienta dal Lilibeo fino al Belice, su tutta la fascia della Sicilia sud-occidentale. Questa limitatio contiene al suo interno i resti di numerose ville-fattoria come quelle che si sono potute verificare nel territorio selinuntino vero e proprio. È una vita completamente diversa per queste ultime, senza più un grande centro catalizzatore e produttore di cultura, ma pur sempre a notevole livello economico e organizzativo.
La tarda antichità vede raggrupparsi gli abitanti delle ville-fattoria in alcuni vici che costituiscono le presenze insediative tardo-antiche del territorio. A esse seguono quelle relative all'occupazione araba, a cui sembra si debba attribuire l'ultima vicenda insediativa individuata subito a nord del tempio G. Essa segna la fine di una storia di presenze umane nel territorio selinuntino che parte dalla metà del terzo millennio a.C. e trova uno iato alla fine dell'8° d.C., in un momento in cui verosimilmente si deve collocare la catastrofe sismica che fece crollare i templi dell'Acropoli e della collina orientale; l'evento sismico fu accentuato dall'effetto piastra della calcarenite delle colline che esasperò una scossa tellurica, non eccezionale, ma che ebbe l'epicentro molto vicino a Selinunte. Vedi tav. f.t.
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