LAPI, Scipione
Nacque il 24 maggio 1847 ad Apecchio, nell'Appennino umbro-marchigiano (oggi provincia di Pesaro-Urbino) da Giuseppe Lodovico e da Angela Bartolucci. Seguendo le peregrinazioni del padre, medico, si spostò con la famiglia prima a Paciano, poi a Castiglione del Lago, poi di nuovo a Paciano. Dopo aver frequentato il liceo a Perugia, fece il servizio militare come sergente furiere a Orvieto; nel 1871 si laureò in ingegneria a Pisa e nell'ottobre dello stesso anno fu nominato insegnante di matematica nell'istituto tecnico di Città di Castello.
Nel 1871 riallacciò i rapporti con G. Raschi, conosciuto durante il servizio militare e allora incisore presso la tipografia Verga di Perugia. Da questo incontro nacque la passione del L. per la tipografia; insieme con Raschi e un collega di insegnamento, Bezzi, anche lui ingegnere, fondò a Città di Castello il 5 sett. 1872 un'officina tipolitografica che venne dotata di macchine per stereotipia, calcografia, tipografia.
Nata come Stabilimento Lapi-Bezzi, dopo due soli anni l'officina divenne Lapi-Raschi e C., per il ritiro di Bezzi e la sostituzione con F. Petrini. Nel 1874 il L. inviò un saggio dei lavori di stampa e di incisione litografica a S. Landi, raffinato tipografo a Firenze e direttore de L'Arte della stampa, ottenendo una menzione largamente elogiativa nelle pagine del periodico fiorentino. La ricerca dell'approvazione del Landi fu il segno di una scelta di campo e di gusto per un'attività tipografica volta a privilegiare il lavoro artigianale e il lato estetico del prodotto librario, in un momento in cui l'industrializzazione della stampa e lo sviluppo del mercato spingevano verso una produzione quantitativamente rilevante ma spesso assai scadente.
Le prime pubblicazioni furono comunque tutte su committenza di enti locali, istituti bancari o singoli privati; dalla stampa di moduli e registri si passò ai bilanci della locale Cassa di risparmio, agli statuti di associazioni o ai numerosissimi opuscoli per nozze, spesso arricchiti da pregevoli incisioni. L'inizio dell'attività editoriale vera e propria si ebbe nel 1878 con la Guida storico-artistica di Città di Castello di E. Mannucci, pubblicata per l'inaugurazione dell'Esposizione agricola industriale dell'Alta Valle del Tevere.
Il volume, prima opera consistente uscita dalla tipografia, fu probabilmente l'unico pubblicato con il marchio editoriale "L" e "R" che riproduceva le iniziali dei due soci; infatti dal 1879 il Raschi si spostò a Vicenza per intraprendere una nuova attività e i volumi editi successivamente furono contrassegnati dalle iniziali "L" e "S" e dal motto Fac et spera. Nello stesso anno, del resto, il L. chiese al Comune l'esonero dall'insegnamento in modo da potersi dedicare più efficacemente alla sua produzione tipografico-editoriale.
Dal 1879 l'attività del L. si mosse su due binari. Inizialmente curò la produzione su ordinazione, da lui preferita anche perché più lucrosa e senza rischi, a carattere sia locale sia nazionale; rientrarono infatti in questa tipologia il Bollettino delle opere moderne straniere della Biblioteca nazionale di Roma, ma anche numerose riviste specialistiche, come la Rivista critica delle scienze giuridiche e sociali dal 1885 al 1903, edita prima da Loescher poi da Bocca, Il Foro italiano dal 1889 al 1903 e il Giornale dantesco dal 1894 al 1897, edito da Olschki e diretto da G.L. Passerini. Presto il L. divenne rinomato sia per l'accuratezza delle pubblicazioni sia per il basso prezzo richiesto ai committenti, dovuto, come egli stesso affermava, alle basse retribuzioni e all'impiego di mano d'opera in gran parte femminile, perché meno costosa. In tal modo lo stabilimento si ampliò notevolmente, arrivando nel 1884 a impiegare 49 operai, di cui 8 donne esperte nella composizione a mano, ancora prevalente nell'impresa.
Intanto il L. venne a contatto con alcuni intellettuali di prestigio come R. De Cesare, che trascorreva a Città di Castello buona parte dell'anno, il linguista L. Morandi e R. Bonghi, che presto non solo pubblicarono le loro opere presso di lui ma assunsero quasi il ruolo di consulenti editoriali. Di De Cesare curò la pubblicazione de Il conclave di Leone XIII (1887) e più tardi de La fine di un Regno (1895; quindi in ed. ampl., I-II, 1900; I-III, 1908-09), mentre di Morandi pubblicò tra l'altro Origine della lingua italiana (1883), Voltaire contro Shakespeare. Baretti contro Voltaire (1884) e una fortunata Antologia della nostra critica letteraria moderna compilata… per uso delle persone colte e delle scuole (1885), che ebbe oltre trenta edizioni.
Proprio Morandi fu il fautore e il curatore dell'edizione de I sonetti romaneschi di G.G. Belli, pubblicata per iniziativa del nipote del poeta, Giacomo, in sei volumi dal 1886 al 1889 e condotta, dopo alcune discutibili edizioni di Salviucci, Barbera e Perino, direttamente sugli autografi. Malgrado la dichiarazione di assoluta fedeltà all'originale, l'opera risultò filologicamente scorretta e fu assai criticata soprattutto perché il Morandi sostituì con puntini di sospensione le parole ritenute sconce e raccolse nel sesto volume, venduto in busta chiusa, i sonetti giudicati "osceni".
La produzione del L. riguardò soprattutto opere di critica letteraria, con volumi tra l'altro di E. Monaci, G. Zanella, E. Mestica e D. Comparetti, e libri scolastici per le classi inferiori e superiori. Significativa l'ideazione di alcune collane, di cui curò particolarmente la veste tipografica, come "Rara. Biblioteca dei bibliofili", edita dal 1883 seguendo la moda del collezionismo librario sviluppatasi in quegli anni, e la "Collezione di opuscoli danteschi inediti e rari" nata nel 1893 e diretta da Passerini, con contributi di S. Betti, P. Fanfani, S. Scaetta. Meno rilevante fu l'interesse per la narrativa, anche se il L. pubblicò una collezione di novelle e romanzi denominata "Alba" in cui raccolse, accanto a operette di autori contemporanei come Grazia Pierantoni Mancini, anche le prime traduzioni di autori stranieri come B. Bjørnson (scrittore norvegese insignito del premio Nobel nel 1903) o H. Sienkiewicz.
La sua impresa più impegnativa fu, alla fine del secolo, la ristampa dei Rerum Italicarum Scriptores di L.A. Muratori. Nata da un incontro con V. Fiorini, discepolo di G. Carducci, e ideata nel 1893, l'opera monumentale richiese un decennio di preparazione per la ricerca dei curatori e per la raccolta di finanziamenti, necessari in un momento di gravi difficoltà economiche dell'azienda.
Alla stesura della prefazione fu chiamato G. Carducci che, dovendo redigere una breve storia della Società palatina, elaborò un saggio critico molto più corposo, dal titolo Di Lodovico Antonio Muratori e della sua raccolta di storici italiani dal 500 al 1500, pubblicato nel primo fascicolo. Con l'aiuto finanziario del ministero della Pubblica Istruzione, che si impegnò ad acquistare 60 volumi, e la dedica alla regina Margherita, il primo fascicolo vide finalmente la luce nel 1900. Per quanto ambiziosa, l'iniziativa parve a P. Villari carente sotto il profilo scientifico e fu criticata per la frammentazione delle cronache in differenti fascicoli.
Nel frattempo il L. doveva fronteggiare gravi problemi debitori, che resero necessaria la nomina di una commissione amministratrice da parte del tribunale, e i difficili rapporti con gli operai (un centinaio all'inizio del secolo), che, dopo aver costituito una Cassa di risparmio aziendale, aderirono in parte nell'ottobre del 1901 a uno sciopero della Lega di miglioramento tra i tipografi. Questa vicenda, incomprensibile per un imprenditore che aveva improntato i rapporti con le maestranze a un severo paternalismo, segnò profondamente le ultime tappe dell'attività del Lapi.
Dell'opera muratoriana uscirono 21 fascicoli sino al 1903. L'ultimo fra questi recò la notizia dell'improvvisa scomparsa del L., avvenuta il 3 sett. 1903 mentre si trovava per un periodo di riposo a La Consuma.
Vedovo di Anna Manciati, già vedova Palazzeschi, il L. non aveva figli. Alla sua morte furono aperti i tre testamenti olografi: nell'ultimo, datato 15 marzo 1903, il L. esprimeva la volontà di lasciare lo stabilimento, "pensiero e faro della mia vita", a una cooperativa costituita dai suoi dipendenti.
Fonti e Bibl.: Ed. naz. delle opere, di G. Carducci, XX, ad ind.; Archivio muratoriano, I (1904), 1, pp. 53-56 (prefazione del L. alla nuova ed. dei Rerum Italicarum Scriptores); A. Falchi - A. Marinelli, La stampa a Città di Castello dal Magister Mazzocchi (1538) a S. L. (1875), Città di Castello 1909; A. Marinelli, La casa editrice S. Lapi nella sua nuova sede, Città di Castello 1914; Catalogo generale delle edizioni di Scipione Lapi, a cura di G. Cecchini - P. Pimpinelli, con un discorso commemorativo di A. Giraldi, Città di Castello 1969; A. Tacchini, La stampa a Città di Castello. Tipografie e tipografi dal 1538 ad oggi, Città di Castello 1987; G. Fagioli Vercellone, Fiorini, Vittorio Emanuele, in Diz. biogr. degli Italiani, XLVIII, Roma 1997, pp. 208 s.; A. Tacchini, Grifani-Donati 1799-1999. Duecento anni di una tipografia, Città di Castello 1999, pp. 90-95.