CAPECE, Scipione
Umanista e giureconsulto, nato a Napoli alla fine del sec. XV, morto ivi l'8 dicembre 1551. Fu professore d'istituzioni di diritto civile nel 1518, indi di diritto civile nel 1534 e ultimo presidente dell'Accademia Pontaniana, che, dopo la morte del Sannazzaro (1530), trasferì in sua casa. L'avere aderito alle dottrine religiose di Giovanni Valdés e Bernardino Ochino gli valse nel 1543 la destituzione da consigliere del Sacro reale consiglio e il bando. Si ritirò allora a Salerno presso Ferrante Sanseverino, ove rimase fino al 1550.
Fra le sue opere giuridiche e poetiche ebbero maggior grido due poemi: De divo Iohanne Baptista vate maximo libri tres (Napoli 1533) e, particolarmente, De principiis rerum libri duo (Venezia 1546). In questo ultimo, lodato da Pietro Bembo e Paolo Manuzio come superiore al De rerum natura di Lucrezio, su cui è modellato, l'autore critica la teoria atomistica, a cui sostituisce l'altra dell'aria principio di tutte le cose, non senza, nel secondo libro (v. 767 segg.), dimostrare la fluidità dei cieli contro l'antica teoria dei cieli solidi e cristallini.
Bibl.: T. Tasso, Dialogo del piacere onesto, in Dialoghi, I, Firenze 1858, p. 45; L. Giustiniani, Scrittori legali del regno di Napoli, I, Napoli 1787, pp. 171-178; C. Minieri-Riccio, S.C., in L'Italia reale, I, n. 86; L. Amabile, Il Santo Officio dell'Inquisizione in Napoli, I, Città di Castello, 1892, pp. 193-94; N. Cortese, in Storia dell'univ. di Napoli, Napoli 1925, p. 317 e passim.