Scienza egizia. Geografia
Geografia
di Horst Beinlich
La rappresentazione geografica degli antichi Egizi era determinata dalla direzione di scorrimento del Nilo, dal sud verso il nord, che portava a individuare nel sud il punto cardinale principale. Secondo quanto ci è stato tramandato, l'asse dell'orbita solare da est verso ovest ‒ ad angolo retto rispetto al sud ‒ era determinante per i fenomeni religiosi, ma non per la conoscenza geografica: est era sinonimo di sinistra e ovest di destra. Gli Egizi orientavano quindi la loro visione in direzione opposta alla corrente del Nilo. Di conseguenza orientavano gli edifici o le raffigurazioni indifferentemente verso sud o verso est, quali punti di origine rispettivamente del Nilo e del Sole; così come il nord e l'ovest, in quanto luoghi di destinazione rispettivamente del Nilo e del Sole, erano fra loro equivalenti. In una breve sintesi delle più importanti cognizioni della geografia egizia, ci è stata tramandata una determinazione dell'estensione sud-nord dell'Egitto, che evidentemente fa riferimento al punto cardinale principale, e calcola 106 iteru (cioè 1113 km ca., essendo 1 iteru, o miglio egizio, pari a 10,5 km ca.) all'interno dei confini tradizionali da Elefantina fino a Tell el-Balamun nel Delta del Nilo; mentre l'estensione longitudinale (da est a ovest), probabilmente a causa delle variazioni dovute alle differenze morfologiche della Valle e del Delta del Nilo, è nominata una sola volta e in epoca tolemaica, cioè nel III-I sec. (Le Temple d'Edfou, VI): 14 iteru (147 km ca.) tra i due bracci esterni del Nilo. Poiché secondo gli Egizi il loro paese constava di due parti (Alto e Basso Egitto), nei testi si riporta non soltanto l'estensione complessiva da sud verso nord, ma anche la lunghezza delle due parti. Si riteneva che da Elefantina (Assuan) fino a Per-Hapi (all'altezza circa delle piramidi di Giza) corresse una distanza di 85 iteru, cioè 892,5 km ca., e da Per-Hapi a Behedet (Tell el-Balamun) una di 21 iteru, cioè 220,5 km ca.; queste distanze sono basate sulle indicazioni della cosiddetta 'Cappella bianca' di Sesostri I, mentre sulla base delle indicazioni dei cosiddetti 'cubiti votivi', cioè tabelle contenenti elenchi di nomoí esposte in un tempio, le grandezze sarebbero, rispettivamente, di 86 e 20 iteru, cioè 903 e 210 km ca., rispettivamente. La famosa valutazione di Eratostene (III-II sec. a.C.) della lunghezza del raggio della sfera terrestre si fondava proprio su una valutazione di distanze interne dell'Egitto (precisamente, della distanza da Alessandria ad Assuan), probabilmente perché ci si poteva rifare a precedenti calcoli egizi.
Per definire la posizione di una città all'interno della stretta Valle del Nilo, a sud del Delta, non erano necessarie carte geografiche. Erano più importanti le distanze da una città all'altra, in particolare le indicazioni, che risalivano alle liste catastali, riguardanti la lunghezza della riva di un nomós, cioè di un distretto (unità amministrativa tradizionale dell'Egitto, abitualmente designata con questo termine greco). In un testo della 'Cappella bianca' di Sesostri I (Medio Regno, 1950 ca.) a Karnak, il quale potrebbe ben risalire alla fine dell'Antico Regno ed essere quindi anteriore di 300 anni, sono conservate indicazioni che riguardano la lunghezza dei nomoí egizi e anche l'estensione complessiva del paese. Per ciascun nomós sono anche indicate le altezze raggiunte dalle inondazioni del Nilo.
Soltanto in epoca tolemaica (332-30) troviamo altre informazioni sull'Egitto nel suo complesso (1 arura=0,274 ettari ca.; 1 iteru=10,5 km ca.; 1 cubito di 7 palmi=0,525 m ca.):
determinazione della superficie di tutto l'Egitto […] con inizio da Elefantina fino alle paludi (della costa del Delta): 27.000.000 [arure] di terreno coltivabile […] Dati specifici: […] terreno coltivabile in arure per tutti i campi con orzo e spelta per il mantenimento della vita: 9.000.000. Per quanto concerne le acque del Delta con coltivazioni di papiro-scr e papiro-mnḥ, di loto-srpt e loto-sšn, così come di tutte le erbe che crescono nel Nilo: 18.000.000 arure. Dati specifici: [il terreno coltivabile] di tutti i bracci del Nilo nell'Alto e nel Basso Egitto che scorrono [e straripano] presso tutte le [città] ammonta a 2.400.000 arure e [il terreno coltivabile] delle paludi dell'Egitto inferiore [Delta], del lago Moeris [Fayyum] e anche del suo canale [Bahr Yussuf] ammonta a 6.600.000 arure […] La sua [dell'Egitto] lunghezza a partire da Elefantina nella sua totalità e [fino] al Mar Mediterraneo ammonta a 106 iteru e la sua estensione sulla terraferma, dal braccio occidentale fino a quello orientale ammonta a 14 iteru. Totale: 27.000.000 arure […] La portata massima del Nilo, durante il periodo di piena presso Elefantina ammonta a 24 cubiti e 3 1/4 palmi, senza che vi sia qualcosa di male o di impuro. (Le Temple d'Edfou, VI)
La conoscenza di questo tipo di dati di base doveva rientrare nella formazione dei funzionari egizi. Lo stesso può essere affermato per gli onomastiká (elenchi di nomi) che comprendevano, tra l'altro, i toponimi della Valle del Nilo enumerati in base a un ordine che procedeva da sud verso nord; per il settore del Delta del Nilo erano citati anche i nomi dei bracci del fiume. Sebbene gli onomastiká siano attestati soltanto a partire dal Medio Regno, il loro principio di enumerazione di toponimi è presente già nell'Antico Regno (Decreto di Copto, primo), cioè dal 2750 ca.; anche nei predetti cubiti votivi si trovano indicazioni che riguardano la grandezza dell'Egitto, la sua divisione in nomoí e il calcolo del livello massimo raggiunto dalle inondazioni.
Processione dei 'domini'
Nelle tombe dell'Antico Regno, la rappresentazione dei 'domini' (proprietà delle fondazioni) sotto forma di processione rispecchia la fattispecie giuridica per la quale a un alto funzionario, ma anche al re, erano trasferite rendite ricavate dai beni del re o del tempio o anche dei privati, per il culto dei morti. L'allineamento delle offerte poteva seguire criteri diversi: uno di questi era la disposizione geografica; un altro si basava sulla successione storica dei nomi dei re legati ai 'domini'. Nei templi solari dell'Antico Regno troviamo per la prima volta le scene in cui i nomoí egizi, o per dir meglio le loro personificazioni, offrono sé stessi alla divinità principale del tempio dove si trovano le immagini; in questo modo alla divinità e al suo tempio è attribuita una posizione preminente rispetto al resto dell'Egitto. Scene templari con processioni di nomoí sono piuttosto frequenti dall'inizio del Nuovo Regno fino all'epoca romana. Nell'architettura del tempio esse occupano la parte bassa delle pareti, insieme ad altre personificazioni di fertilità, e, nel microcosmo del tempio egizio come altri simboli e rappresentazioni, indicano l'ambito della Terra. La divisione dell'Egitto in singoli nomoí non aveva una connessione con la realtà coeva, ma si riferiva a una situazione pregressa, ripetitiva nel tempo. Tuttavia, a partire dalla XXV dinastia (712-664) la forma del testo e delle raffigurazioni relative alla processione dei nomoí è profondamente ampliata; infatti, le raffigurazioni originali dei nomoí sono accompagnate da tre ulteriori personificazioni (Mer, U, Pehu). Non ci si può sottrarre all'impressione che tali nuove indicazioni siano state inserite senza corrispondere realmente a un nomós. I cosiddetti Pehu, per esempio, fino alla XXV dinastia erano considerati come gruppo a sé stante e soltanto a partire da quest'epoca essi furono messi talora in connessione con un nomós non più esistente. Il problema risulta più chiaramente quando si ricostruisce il modo in cui i 'quattro figli di Horo' sono stati messi in relazione con i nomoí dell'Alto Egitto che vanno dall'XI al XIV. In enumerazioni sotto forma di tabelle (i 'cubiti votivi' prima ricordati), un elenco di nomoí egizi (a partire da quello di Elefantina) è scritto parallelamente a un elenco di divinità, che include le nove divinità principali, seguite da Horo e i suoi figli (Amset, Hapi, Duamutef e Qebehsenuef), Thot e altri. Queste divinità non hanno alcuna relazione con il nomós scritto di fronte. In quindicesima posizione nella tabella, cioè all'inizio della seconda metà del cubito, si trova nell'elenco dei nomoí egizi quello di Ermopoli, mentre nell'elenco delle divinità ‒ messo in questo posto per caso o intenzionalmente ‒ si trova il dio degli scribi, Thot. Siccome Ermopoli è la metropoli dell'Alto Egitto consacrata a Thot, si apre a questo punto la possibilità d'intendere i riquadri di queste righe uno sotto l'altro come colonne. Questa possibilità è stata ipoteticamente trasferita anche ai riquadri precedenti, cosicché si è prodotto un collegamento tra i nomoí dell'Alto Egitto numerati da XI a XIV e i figli di Horo citati dalla riga XI alla XIV dell'elenco delle divinità. Inoltre, bisogna anche tenere presente che alcune indicazioni, che in realtà mancavano, sono state integrate in raggruppamenti sotto forma di liste, per formare così un quadro completo.
A partire dalla XXV dinastia, oltre a un aumento delle figure presenti nelle processioni dei nomoí, si ha anche un ampliamento del loro testo di accompagnamento, che diventa sempre più legato al culto. A partire, al più tardi, dall'epoca di Tolomeo VIII, nei testi delle processioni dei nomoí si trovano indicazioni su sacrifici specifici del nomós alla divinità del tempio e riferimenti a manuali di topografia cultuale. Accanto alle processioni dei singoli nomoí, nelle decorazioni degli zoccoli parietali dei templi si possono vedere anche corrispondenti elenchi di altri toponimi, per esempio l'elenco di località del Fayyum, oppure l'enumerazione di popoli stranieri. In epoca greco-romana, oltre alle processioni dei nomoí, si trovano anche processioni delle loro divinità, talvolta indipendenti, talvolta collegati ad essi. Nella cappella orientale sul tetto del tempio di Hathor a Dendera, si trova una processione dei gran sacerdoti dei nomoí egizi.
Nei templi del Nuovo Regno e dell'epoca greco-romana si possono trovare raffigurazioni in cui "il re presenta offerte alle divinità dei nomoí dell'Egitto": in altre parole, le divinità dei nomoí ricevono qualche cosa da lui. Queste raffigurazioni sono molto più rare delle processioni dei nomoí, nelle quali i distretti o i loro rappresentanti offrivano qualche cosa al dio cui era dedicato il tempio. Nelle raffigurazioni del Nuovo Regno il luogo ove si trova il tempio è classificato come il più importante all'interno della normale elencazione dei nomoí egizi. Le divinità degli altri nomoí egizi circondano il dio del tempio, formando per così dire la sua corte. Nelle scene dei templi di epoca greco-romana, nonostante il rilievo dato alla divinità locale cui il tempio è dedicato, la raffigurazione sembra riferirsi più al culto delle divinità egizie nel loro complesso.
Negli inni ritroviamo il principio di ordinamento geografico basato sull'elenco dei toponimi dal sud verso il nord. Nella Litania di Amon proveniente da Luxor (Daressy 1910, p. 62 e segg.) questo principio di ordinamento non è stato mantenuto nella sua interezza, anche se è indubitabile che alcune sezioni siano state improntate a esso. Nella Litania di Tebe la Vittoriosa sono filtrati solo quei toponimi che hanno una relazione cultuale con Uaset, la dea seduta, personificazione di Tebe. Negli inni a Osiride i luoghi tifonici (legati a Seth) sono esclusi dall'enumerazione delle forme di Osiride in tutti i nomoí egizi. Litanie del tipo "il dio x nei diversi luoghi d'Egitto" possono essere espresse anche con immagini. Infine, il sopracitato principio di ordinamento geografico si trova anche nella letteratura funeraria, nel libro Che il mio nome fiorisca (Lieblein 1895). Attraverso i riferimenti ‒ ancorché selettivi ‒ alle liste dei toponimi si vuole dare un'idea di completezza, come se invece di enumerare singolarmente i luoghi si potesse dire 'in tutto l'Egitto'.
Nei manuali di topografia cultuale è riassunto il patrimonio fondamentale delle conoscenze che riguardano i nomoí egizi e la materia sacra dei singoli luoghi. La sistematicità di queste compilazioni fa sorgere il sospetto che, a causa dello schema unitario con cui sono state concepite, siano fornite indicazioni su singoli nomoí e su luoghi di scarso o addirittura nessun interesse per la realtà locale. Queste raccolte, d'altra parte, avevano come obiettivo la realtà cultuale. Sono citati i seguenti nomi di luoghi, cose e persone: il nomós, il capoluogo del nomós, la divinità, il tempio, il sacerdote, la cantante della divinità, la barca del culto, il canale, l'albero sacro, i luoghi sacri, la data della festa del culto, le interdizioni (cioè la menzione di cose o azioni proibite nell'ambito del nomós), la divinità-serpente, la zona U e la zona Pehu. A questo elenco può fare anche seguito una parte del corpo di Osiride.
Le informazioni relative alla materia sacra possono essere raccolte in tabelle, come nel papiro geografico di Tanis, o possono essere elencate una di seguito all'altra, come accade nel papiro Brooklyn 47.218.84 a proposito dei luoghi del Delta del Nilo. Le formule dei manuali cultuali topografici sono riportate in brevi sezioni nel cosiddetto 'grande testo geografico di Edfu'. Per esempio, invece di indicare semplicemente la designazione della sacerdotessa di un nomós, si trova scritto: "la cantante N. suona il sistro al suo [del dio] cospetto". Le raccolte di queste formule hanno evidentemente influenzato anche i testi delle processioni dei nomoí dei templi di epoca greco-romana, dove i nomoí enumerati sono in una sorta di relazione di tributo nei confronti della divinità del tempio in cui si trovano. Le indicazioni relative alla materia sacra sono perciò da vedersi sempre in rapporto con la divinità principale del tempio.
Sebbene i testi delle processioni dei nomoí e le elencazioni dei manuali cultuali topografici siano indicati nell'egittologia come testi 'geografici', è difficile giungere sulla loro base a vere indicazioni geografiche. Tuttavia, nei testi delle processioni dei nomoí, oltre al lato meramente religioso, si possono trovare anche altre informazioni: per esempio, non si può non vedere un riferimento ai ricchi giacimenti di natron a est di el-Kab, se questo materiale è scelto come tributo specifico offerto dal III nomós dell'Alto Egitto alla divinità del tempio. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la relazione tra il dono specifico del nomós e la sua collocazione geografica non sono così evidenti. La consapevolezza che l'Egitto è un tipo di Stato costituito di molte parti influenza anche le concezioni religiose. Dall'equivalenza Egitto = Osiride si ricava che anche questa divinità rappresenta un tutto articolato, la cui integrità si dissolve e si ristabilisce nel periodico alternarsi di caos e ordine. È questa l'idea sottesa alle cosiddette 'reliquie di Osiride', che corrispondevano ai 42 nomoí egizi, 22 dell'Alto Egitto e 20 del Basso Egitto. Troviamo concezioni analoghe, per esempio, nell'assimilazione dell'Egitto all'occhio di Horo.
Nelle 'case della vita' dei templi egizi era coltivato anche il sapere geografico e la topografia cultuale. Nel Libro del Fayyum, di epoca greco-romana, dopo le "descrizioni delle giurisdizioni", nella 'casa della vita' di Ra-sehui c'è un "settore della conoscenza del cielo, della Terra, del mondo sotterraneo" (Beinlich 1991, p. 126). Probabilmente qui non sono raccolte soltanto le conoscenze che riguardano dati geografici in qualche modo rilevanti per la religione, anche se bisogna ammettere che tali conoscenze erano sempre subordinate al sapere religioso. Per esempio, sebbene gli Egizi all'epoca di Thutmosi III (1496-1442) si fossero spinti fino alla quarta cateratta del Nilo, fino all'epoca più tarda continuò a restare viva la convinzione che le sorgenti del Nilo si trovassero alla prima cateratta.
Gli Egizi non ritenevano necessario convertire le loro conoscenze in forma di carte geografiche, anche se alcune di queste sono giunte fino a noi. La cosiddetta 'carta delle miniere d'oro' (papiro di Torino cat. 1879+1899+1969) del tardo Nuovo Regno (intorno al 1200) è forse l'esemplare che più si avvicina alla moderna concezione della cartografia. Questa carta mostra la strada che porta a una regione di miniere d'oro attraverso un paesaggio montuoso; alcuni particolari ‒ capanne dei lavoratori dell'oro, la stele di Sesostri I, la cappella di Amon, tra le altre cose ‒ sono riportati come disegni sulla cartina, accompagnati da un'iscrizione in ieratico. Anche alcune raffigurazioni di guerra potrebbero essere considerate carte geografiche, visto che prendono in considerazione la situazione topografica. Per esempio, nella raffigurazione della battaglia di Qadesh di Ramesse II, la città di Qadesh è rappresentata su un'isola dell'Oronte, oppure nella rappresentazione delle battaglie di Seti I sono presenti le fortezze nel settore palestinese e il canale di confine tra Asia e Egitto. Un altro tipo di carta geografica è nuovamente ispirato da esigenze religiose e si può riconoscere come tale solo dopo uno studio approfondito dei testi che gli si riferiscono: nel Libro del Fayyum è rappresentato il collegamento tra la valle del Nilo e il Fayyum, comprendente anche il lago del Fayyum. In un manuale di topografia cultuale è presente una raffigurazione dell'Egitto che, secondo le postille, deve essere riconosciuta come una carta geografica. Fonti greche riferiscono di carte geografiche egizie. Sappiamo comunque che il principio delle carte geografiche non doveva essere estraneo agli Egizi, visto che ci sono pervenute numerose raffigurazione dell'aldilà in forma di carte, sia pure improntate a concezioni religiose, egittocentriche come le rappresentazioni del Cosmo.
Per l'uso pratico, in Egitto si faceva ricorso agli itinerari; per esempio, le spedizioni commerciali e le guerre non sarebbero nemmeno immaginabili senza questi mezzi. Nel papiro Anastasi I (XVIII, 7 seg.), lo scriba Hori considera che l'ignoranza del suo avversario Amenemope riguardo alle strade della Siria e della Palestina sia un motivo sufficiente per poterlo insultare.
Nell'Antico Egitto, per i singoli settori geografici, come i nomoí e le città, vi erano monografie locali più ampie, nelle quali le condizioni geografiche e cultuali erano messe in relazione fra loro, basandosi sull'analogia tra microcosmo e macrocosmo. Nel Libro del Fayyum si descrive metaforicamente una situazione geografica in cui il Bahr Yussuf, il braccio laterale del Nilo, devia dalla valle del Nilo e si riversa nella depressione del Fayyum. In termini mitologici tutto ciò si trasforma in Osiride (ossia il Nilo) che si allontana dalla valle del Nilo verso ovest rispetto al dio Sole Ra e trova protezione nel lago del Fayyum. Per quanto concerne il dio Sole ne deriva che il lago del Fayyum deve essere paragonato a sua madre e considerato come il suo dominio notturno, il luogo dove s'immerge la sera a occidente, dove nuota nel corso della notte come un coccodrillo e da cui sorge al mattino a oriente. Il fatto che questo lago non abbia alcun emissario visibile e che, nonostante ciò, l'acqua di inondazione scompaia, ha fatto concludere agli Egizi che vi fosse un collegamento diretto con il Nun, l'oceano primordiale. Questa è la base su cui poggia la notizia tramandataci da Erodoto, secondo la quale il lago del Fayyum, il lago Moeris, avrebbe avuto un collegamento sotterraneo con la Sirte libica (Erodoto, Historiae, II, 150). La stessa osservazione ‒ lo scomparire delle acque dell'inondazione del Nilo ‒ condusse all'idea che l'acqua del Fayyum alla fine del ciclo ritornasse di nuovo al Nilo, andando a nutrirne le sorgenti, che secondo gli Egizi dovevano trovarsi alla prima cateratta. Nel papiro Jumilhac (Vandier 1962) le condizioni geografiche dei nomoí XVII e XVIII dell'Alto Egitto sono messe in relazione con il mito locale specifico della mummificazione di Osiride.
Per quanto riguarda l'estero, è probabile che esistessero dei manuali simili a quelli dei nomoí egizi. Alcune di queste raccolte, come gli elenchi dei popoli stranieri, sono giunte fino a noi nei testi di esecrazione oppure nelle raffigurazioni di processioni simili a quelle dei nomoí. Negli elenchi di popoli stranieri, i toponimi, in parte ordinati secondo un criterio geografico, sono normalmente registrati uno dietro l'altro: con ciò i luoghi sono rappresentati come prigionieri. Nei testi di esecrazione, fra le cose da neutralizzare magicamente, oltre agli eventi negativi e agli Egizi defunti, troviamo anche coloro che appartengono ai popoli stranieri, singolarmente o in gruppo. Nei templi, nelle rappresentazioni sotto forma di processione dei popoli stranieri, le personificazioni di questi paesi sono raffigurate mentre sono intente a portare un tributo, nello stesso senso della processione dei nomoí.
di Friedhelm Hoffmann
I testi in scrittura demotica non rivelano differenze significative rispetto alla geografia precedente. La principale forma di trattazione di questa scienza resta quella dell'onomastikón, ossia l'elenco. L'unico onomastikón demotico esteso è il papiro tolemaico Cairo CG 31168+31169 (il frammento 31168 si lega a sinistra al 31169) ritrovato in una tomba di Saqqara. In questo manuale l'onomastikón geografico è seguito da un elenco di divinità, a sua volta seguito dal re e dai titoli sacerdotali. Della parte dedicata alla geografia (Zauzich 1987) è rimasta soltanto la fine. Sono in primo luogo menzionate le località del Delta in un ordine che dovrebbe corrispondere grosso modo a un semicerchio procedendo da ovest verso est; per ciascun nomós sono nominati solo quattro luoghi adatti a indicarne l'estensione. Tuttavia, poiché molte località del Delta non sono ancora state identificate, non è del tutto chiaro il criterio in base al quale sono state ordinate. Dopo i centri del Delta sono elencate le fortezze di frontiera (una per ciascun punto cardinale), i paesi limitrofi ‒ Siria, Etiopia e Arabia (l'assenza della Libia è sicuramente da imputare a un errore) ‒ quindi, presumibilmente, le aree egizie di confine, le oasi del deserto libico e infine il sud, il nord, l'est e l'ovest.
Per gli Egizi l'elencazione dei toponimi procedeva di regola da sud verso nord. Anche per l'identificazione degli immobili, nei documenti giuridici le proprietà finitime erano enumerate secondo l'ordine sud-nord-est-ovest. Nel caso delle località del Delta, com'è ovvio, un'elencazione che seguisse un ordine sud-nord non avrebbe avuto senso; tuttavia non è chiaro perché essa inizi da ovest invece che da est, anche se questo corrisponde parzialmente all'enumerazione delle province del Basso Egitto.
La parte iniziale mancante dell'onomastikón geografico del Cairo elencava verosimilmente le località dell'Alto Egitto, ossia l'Egitto meridionale. L'óstrakon Ashm. D.O. 956, che riporta l'inizio di un onomastikón geografico, comincia la lista con la località più meridionale, Elefantina, e menziona, come di regola, in media quattro toponimi per nomós. I limiti dell'estensione complessiva dell'Egitto sono tradizionalmente definiti da Elefantina, a sud, e Sambehdet (smʒ-bḥt), a nord.
Sembra che soltanto parte delle regioni e dei luoghi situati al di fuori dell'Egitto trovasse spazio nelle liste lessicali demotiche, sebbene nel III sec. a.C. il regno tolemaico fosse il più importante del Mediterraneo Orientale.
Toponimi stranieri ricorrono nei testi dei generi più diversi. Roma (hrmʒ), per esempio, compare per la prima volta nel 158 a.C. in un testo demotico e, più in generale, in un testo egizio (óstrakon Hor 3, in Ray 1976, p. 20 e segg.), mentre l'India (hntw) è menzionata in un racconto di epoca romana (Hoffmann 1995). Di tanto in tanto gli elenchi di divinità ("Divinità x, signore del luogo y") sono redatti secondo un criterio geografico.
La credenza, diffusa in tutto l'Egitto, che i defunti prendessero parte alle festività religiose spiega la presenza di elenchi geografici anche nella letteratura funeraria. Questi testi adottano i medesimi principî degli onomastiká sui quali si basano, poiché in definitiva nella geografia dell'Aldilà si tratta di rendere realistici dei luoghi mitici: l'Egitto è visto come "un luogo ultraterreno in questo mondo terreno. […] Si prepara, dunque, l'immagine dell'Egitto che sarà caratteristica dei testi tardoantichi, in cui sarà definito come hierotátē chṓra (il luogo più sacro) e templum mundi (tempio del mondo)" (Assmann, in Herbin 1994, p. VII).
A volte in testi letterari di altro genere si può notare l'uso di un criterio geografico per vari scopi (per es., nella Profezia dell'Agnello 2.14-18, in Zauzich 1983). In altro campo, la distanza da percorrere e il tempo necessario comparivano nel calcolo dei costi dei viaggi. Infine, sono giunti fino a noi frammenti di una pianta catastale greco-demotica di Gebelein, che risalgono all'epoca tolemaica (papiro Cairo CG 31163, in Spiegelberg 1908, p. 262 e segg. e tav. CV) e nei quali si utilizzano colori diversi per la caratterizzazione di acqua, deserto e frontiere.
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Ray 1976: Hor of Sebennytos, The archive of Hor, translated from the Greek and Egyptian by John D. Ray, London, Egypt exploration society, 1976.
Schlott-Schwab 1981: Schlott-Schwab, Adelheid, Die Ausmasse Ägyptens nach altägyptischen Texten, Wiesbaden, O. Harrassowitz, 1981.
Simons 1937: Simons, Jan Jozef, Handbook for the study of Egyptian topographical lists relating to Western Asia, Leiden, E.J. Brill, 1937.
Spiegelberg 1908: Spiegelberg, Wilhelm, Die demotischen Denkmäler, Leipzig, W. Drugulin, 1904-1932, 3 v.; v. II: Die demotischen Papyrus, 1908.
Vandier 1962: Vandier, Jacques, Le papyrus Jumilhac, Paris, Centre National de la Recherche Scientifique, 1962.
Zauzich 1983: Zauzich, Karl-Theodor, Das Lamm des Bokchoris, in: Festschrift zum 100-jährigen Bestehen der Papyrussammlung der Österreichischen Nationalbibliothek. Papyrus Erzherzog Rainer (P. Rainer Cent.), Wien, Hollinek, 1983, 2 v., pp. 165-174, plate 2.
‒ 1984: Zauzich, Karl-Theodor, Elephantine bis Sambehdet, "Enchoria", 12, 1984, pp. 193-194.
‒ 1987: Zauzich, Karl-Theodor, Das topographische Onomastikon im P. Kairo 31169, "Göttinger Miszellen", 99, 1987, pp. 83-91.