scienza delle finanze
L’attività finanziaria dello Stato tra storia e politica
Da un punto di vista di ricostruzione storica, la scienza delle finanze è sicuramente la branca più antica dell’analisi economica. Gli aspetti fiscali della res publica, oltre a trovare spazio in scritti fin dall’antichità, vengono ampiamente trattati dagli scolastici nel 16° sec. e dai mercantilisti nel 17°. Alla fine del 1600 si affermò in Europa il cameralismo (da Kammer, ovvero gli organi amministrativi decisionali), insieme di principi e dottrine economico-giuridici utilizzati come guida per le scelte dei sovrani. Nella seconda metà del 1700 si sviluppò il pensiero dei fisiocratici (➔ fisiocrazia), che nell’ambito delle decisioni economiche pubbliche affermava la rilevanza della cosiddetta impôt unique.
La crescente importanza attribuita allo studio dell’economia del settore pubblico nel corso dei diversi periodi storici è strettamente connessa allo sviluppo delle moderne nazioni europee, ossia alla nascita di strutture statali in cui le spese e le entrate della ‘corona’ vennero a separarsi dal patrimonio privato delle case regnanti. Antecedentemente alla prima trattazione sistematica della finanza pubblica (➔) offerta da A. Smith (Libro V di The wealth of nations, 1776), in Inghilterra di grande rilievo erano stati gli scritti di W. Petty (A treatise of taxes and contributions, 1662). Dopo Smith, lasciarono elaborazioni fondamentali in tema di finanza pubblica, gli inglesi D. Ricardo (On the principles of political economy and taxation, 1817), J.S. Mill (Principles of political economy, 1848), F.Y. Edgeworth (The pure theory of taxation, 1897) e A.C. Pigou (The economics of welfare, 1928; A study of public finance, 1928). ● Ad arricchire di contenuti e sistematicità lo studio della scienza delle finanze contribuirono poi la scuola austriaca (➔ austriaca, scuola), tedesca e svedese, in particolare, con E. Sax (Grundlegung der theoretischen Staatswirtschaft, 1887), A. Wagner (Finanzwissenschaft, 1871) e K. Wicksell (Finanztheoretische Untersuchungen, 1896).
Un apporto unico e speciale alla struttura e ai contenuti della scienza delle finanze fu inoltre fornito, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, dalla scuola italiana. Un ruolo di spicco sia in Italia sia in ambito internazionale rivestirono, infatti, le opere di A. De Viti De Marco (Il carattere teorico dell’economia finanziaria, 1888), U. Mazzola (I dati scientifici della finanza pubblica, 1890), V. Pareto (Corso di economia politica, 1897-1898) ed E. Barone (Di alcuni teoremi fondamentali per la teoria matematica delle imposte, 1899).
Nel corso del 20° sec., la scienza delle finanze ha conosciuto un ulteriore sviluppo e ricevuto nuovo slancio, anche in virtù dell’ampliarsi della gamma di modalità di intervento dello Stato e, più in generale del settore pubblico nell’economia, che li ha spinti a superare la tradizionale attività di prelievo e spesa. Proprio in termini di nuova impostazione metodologica, fondamentali, tra gli altri, furono gli approfondimenti di R.A. Musgrave (A multiple theory of budget determination, 1957; The theory of public finance. A study of public economy, 1959) e, successivamente, di J.E. Stiglitz (Economics of the public sector, 1986).
La disciplina, in primo luogo, studia l’attività finanziaria dello Stato e degli altri enti pubblici, che si manifesta attraverso le entrate e le spese di bilancio (C. Cosciani, Scienza delle finanze, 1977). Nel corso del 20° sec., tuttavia, a fronte di una imponente crescita del settore pubblico nell’economia, accanto ai problemi della tassazione, questa branca si è soffermata, più in generale, sulle ragioni della necessità dell’intervento pubblico nell’economia, e delle modalità e occasioni nelle quali esso dovrebbe essere attuato. Musgrave (➔), in particolare, con il suo ‘modello delle tre funzioni’, ha disegnato un completo quadro metodologico di riferimento della scienza delle finanze, attraverso l’individuazione degli scopi (ovvero, ambiti di studio) principali del settore pubblico: la fornitura di beni pubblici (funzione allocativa), l’equità nella distribuzione dei redditi (funzione distributiva) e lo sviluppo economico a breve e lungo periodo (funzione di stabilizzazione).
Gli studi che si occupano della funzione allocativa approfondiscono, principalmente, il problema della produzione dei beni e servizi pubblici, osservando i molteplici lati sia della spesa sia delle entrate. Sul versante delle entrate, in particolare, emerge uno dei principi cardine dell’imposizione, ovvero, il principio del beneficio (Wicksell, De Viti De Marco); l’imposta versata dai contribuenti per finanziare beni e servizi pubblici deve basarsi sul beneficio che ricavano da essi. Nell’ambito della funzione allocativa, in virtù della nuova teoria economica sui fallimenti del mercato, rientrano anche gli studi collegati alle teorie della regolazione e della concorrenza, volte a guidare le nuove forme di azione pubblica nell’economia. Sempre nell’ambito della funzione allocativa, un interessante filone di ricerca alternativo è costituito dalla teoria delle scelte pubbliche (public choice) sviluppata da J. Buchanan (➔).
Nella funzione distributiva rientrano, invece, tutti i molteplici filoni di ricerca che esaminano gli effetti sulla distribuzione dei redditi e della ricchezza degli interventi pubblici attuati sulla base di principi che affondano le loro radici nella giustizia distributiva (equità), piuttosto che sulle regole dell’efficienza. I criteri di giustizia distributiva, sottostanti alla redistribuzione dei redditi, si basano (fin da J.S. Mill) su un altro pilastro fondamentale dei sistemi di tassazione, ovvero, sul principio della capacità contributiva (ability to pay); alle spese comuni ogni cittadino contribuisce in ragione della propria disponibilità a pagare. L’obiettivo di una distribuzione equa può essere ottenuto attraverso la fissazione di un’imposta che comporti per i diversi contribuenti il medesimo sacrificio.
Per quanto riguarda la funzione di stabilizzazione, infine, essa concerne gli effetti e i riflessi delle manovre pubbliche sull’andamento dell’economia nel suo insieme, in un ambito di analisi di stampo prettamente macroeconomico.