schiavitu
schiavitù s. f. – Fenomeno sommerso e mai del tutto estirpato, la s. nel 21° secolo colpisce ancora molti milioni di individui nelle fasce sociali più emarginate e vulnerabili dei paesi poveri dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Le vittime della s. moderna sono prevalentemente donne e bambini, ma non mancano gli uomini: secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, agenzia specializzata delle Nazioni Unite, gli schiavi del terzo millennio sono oltre 20 milioni di esseri umani, di cui 5,5 minori. Vietata da tutti gli stati, la s. nel mondo contemporaneo presenta caratteristiche più subdole e inafferrabili che in passato, mascherandosi in diverse tipologie di sfruttamento: lavoro forzato, forme arcaiche di servitù della gleba, s. per debiti, sfruttamento sessuale. Lesiva della dignità e libertà personale, la s. si distingue da altre forme di abuso e di violazione anche brutale dei diritti umani per l’implicazione di una forma di possesso di una persona da parte di un’altra: privati della libertà di movimento, costretti a dolorose limitazioni fisiche, comprati e venduti come oggetti, gli schiavi sono ancora oggi merce ‘usa e getta’ facilmente sostituibile. Tra le tipologie di s. il lavoro forzato è quello più diffuso e include la servitù domestica imposta alle donne, tutte le forme di lavoro coatto, prevalentemente nell’edilizia, nell’agricoltura e nel settore manifatturiero, e la piaga del lavoro minorile, che vede bambini privati del loro diritto all’educazione e a una crescita sana, costretti a lavorare in condizioni durissime per sfruttare la loro destrezza, la loro fisicità e la loro impossibilità a ribellarsi. Si deve definire lavoro coatto anche quello imposto con la violenza a milioni di individui (uomini, donne e minori) rapiti da organizzazioni terroriste (v. anche ). Forme arcaiche di servitù della gleba nell’agricoltura e nell’allevamento sono in uso in Ciad, nel Mali, in Mauritania: tradizioni consolidate di sfruttamento di minoranze religiose o etniche e di gruppi sociali emarginati fanno da sponda a questo fenomeno che non accenna a diminuire perché fortemente radicato nell’ignoranza, nella povertà e nelle consuetudini locali. Anche la s. per debiti attecchisce in società rurali e costringe al lavoro gratuito e senza tutela coloro che non sono in grado di restituire i prestiti ricevuti, spesso tramandando di generazione in generazione una condizione irreversibile di servitù. Infine, lo sfruttamento a fini sessuali di donne e bambini appare un settore in continua espansione: infatti, intorno a pornografia e prostituzione si è creata una fiorente industria del sesso gestita dalle mafie internazionali. Il primo decennio del 21° secolo ha fatto registrare interventi umanitari e legislativi importanti per contrastare tutte le forme di schiavitù. L’Unione Europea, in sinergia con l’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite, ha lanciato una campagna per l’eradicazione della tratta degli esseri umani (2012-16) che prevede la costituzione di unità nazionali di contrasto specializzate e di squadre investigative antitratta transfrontaliere. Secondo le stime della Commissione europea le organizzazioni criminali internazionali guadagnano ogni anno circa 25 milioni di euro dalla tratta e il loro giro di traffici vede coinvolte anche le economie sviluppate (Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone e paesi dell’UE), dove i lavoratori forzati sono circa 1,5 milioni, il 7% del totale mondiale. In Italia la l. 228 dell’11 agosto 2003 (Misure contro la tratta di persone) ha esteso radicalmente il concetto di riduzione in s. includendovi i reati di induzione e sfruttamento della prostituzione e dell’accattonaggio e in generale tutte le situazioni di totale soggezione del lavoratore al datore di lavoro, per riuscire così a contrastare con maggiore efficacia qualsiasi forma di servitù cui una persona venga costretta. La nuova legge ha alzato le pene previste in precedenza dal codice e ha stabilito che chiunque commetta i reati di tratta di persone, acquisto o alienazione di schiavi, venga punito con la reclusione da otto a venti anni.