scambio
Teorie economiche e finanziarie
dello scambio
Gli scambi possono riguardare la cessione e l’acquisizione di beni sia strumentali sia di consumo, di servizi privati per l’uso di un fattore di produzione (terra, capitale, lavoro, capacità organizzativa), o resi dallo Stato, la sottoscrizione di titoli di debito pubblico, lo sconto di cambiali ecc. Attraverso lo scambio si realizza la circolazione dei beni e delle prestazioni, all’interno e tra i Paesi, collegando produzione e distribuzione.
Con il termine catallassi (dal greco antico ‘scambiare’), F. Von Hayek (➔) ha definito la situazione ordinata di un’economia di mercato, determinata dall’interazione spontanea degli individui; cattallattica (➔) è chiamata la scienza che studia la vita economica di una società basata sul puro scambio di beni e servizi.
Il concetto di scambio nel pensiero economico. Già per gli economisti classici (➔ classica, economia) lo scambio, e quindi il prezzo, rappresentavano il centro dell’indagine scientifica. A. Smith (➔) identificò nell’economia di scambio, in regime di concorrenza, il motore del fenomeno della divisione del lavoro e dell’allocazione efficiente delle risorse.
Secondo uno dei principi base dell’economia, lo scambio volontario aumenta l’utilità (➔) di tutte le parti coinvolte e permette così il raggiungimento dell’ottimo paretiano (➔ Pareto, ottimo di). I teorici del marginalismo (➔), introducendo il concetto di utilità marginale, hanno proseguito l’analisi dei presupposti dello scambio (divario per ogni scambista tra le utilità marginali comparate del bene che si vuole cedere e quelle del prodotto che si acquista, conoscenza di tale differenza e possibilità di compiere lo scambio) e del meccanismo attraverso il quale – crescendo per ciascuno l’utilità marginale del bene ceduto, al diminuire delle quantità restanti, e abbassandosi parallelamente l’utilità marginale di quello ottenuto in cambio, man mano che ne aumenta la quantità posseduta – l’iniziale divario si riduce via via e l’utilità dello scambio, e quindi la sua motivazione, cessano totalmente quando si livellano per ogni scambista le utilità marginali dei due beni.
Nell’incontro tra domanda e offerta di tutti gli operatori presenti in un dato momento sul mercato, viene a stabilirsi un rapporto di scambio, il cosiddetto prezzo di mercato, al cui livello tendono a uguagliarsi le quantità domandate e quelle offerte. In equilibrio, ogni consumatore effettua scambi finché il saggio marginale di sostituzione tra ogni coppia di beni è pari al rapporto tra i loro prezzi, e quindi anche uguale per tutti gli agenti; tale condizione assicura l’efficienza dell’allocazione di equilibrio, come afferma il primo teorema del benessere (➔ benessere, teoremi dell’economia del).
La scatola di Edgeworth (➔ Edgeworth, scatola di) offre un’applicazione grafica di questo risultato in un’economia di puro scambio, senza dunque nuova produzione, in presenza di due agenti e due beni. Date le dotazioni iniziali dei due consumatori, esiste un valore dei prezzi relativi per il quale la domanda netta di un bene da parte del primo è pari all’offerta netta da parte del secondo (e viceversa), cosicché lo scambio assicura il raggiungimento di un’allocazione efficiente di equilibrio; al variare delle dotazioni iniziali (ovvero in seguito a trasferimenti di ricchezza), si raggiunge in equilibrio ogni possibile allocazione ottimale, come dimostrato dal secondo teorema del benessere.
Teoria degli scambi internazionali. L’analisi degli scambi internazionali più antica è quella curata dagli scrittori mercantilisti, che ne posero in evidenza gli aspetti monetari e politico-economici. Successivamente, D. Hume (➔) e A. Smith (➔) sottolinearono la convenienza della divisione internazionale del lavoro. Occorre arrivare a R. Torrens (➔) e in particolare a D. Ricardo (➔) per trovare esposizioni compiute della teoria dello scambio internazionale, le cui ipotesi fondamentali sono: libera e perfetta trasferibilità interna e internazionale dei prodotti; libera e perfetta trasferibilità interna dei fattori produttivi mobili; imperfetta o inesistente trasferibilità internazionale dei fattori produttivi mobili. In tale situazione, secondo Ricardo, la legge che regola la determinazione del valore relativo, ossia il rapporto di scambio, delle merci all’interno di un Paese non serve per la determinazione del valore relativo delle merci scambiate fra due Paesi. Nello scambio internazionale non è la differenza nei costi ‘assoluti’ di produzione che determina l’interscambio, ma una diversità nei costi ‘comparati’, ossia il rapporto fra i costi assoluti in termini di lavoro (unico fattore esplicitamente considerato da Ricardo) delle merci prodotte in ciascun Paese. ● J. Stuart Mill (➔), F.Y. Edgeworth (➔), A. Marshall (➔) e altri studiosi integrarono la teoria ricardiana considerando gli elementi che influenzano la determinazione della ragione di scambio (➔ scambio, ragione di) e quindi approfondendo l’analisi della ripartizione, fra i Paesi scambisti, dei benefici derivanti dallo scambio internazionale. In seguito, negli anni 1930, G. Haberler (➔) e B. Ohlin (➔) si distaccarono da questa impostazione, esaminando le scelte di produzione in termini di costo-opportunità, in presenza di una molteplicità di fattori, non solo il lavoro, la cui disponibilità è limitata. Secondo l’approccio innovativo di Heckscher-Ohlin, ogni Paese tende a specializzarsi nelle produzioni di quelle merci che richiedono prevalentemente l’impiego di fattori in esso abbondanti (e quindi aventi prezzi relativamente meno alti) e importa le altre. Ciò determina un più alto impiego degli elementi maggiormente presenti e la contrazione dell’uso di quelli relativamente scarsi, con una tendenza al livellamento dei prezzi, non solo dei prodotti ma anche dei fattori produttivi.
Gli studi empirici sul commercio internazionale (➔) hanno fatto emergere nuovi fenomeni che hanno messo in discussione la portata euristica di tale modello, tra cui: la prevalenza degli scambi commerciali tra Paesi simili nella loro struttura economica; l’importanza degli scambi infrasettoriali (di beni appartenenti al medesimo settore industriale) rispetto a quelli intersettoriali (di merci afferenti a comparti diversi); la persistenza di molteplici forme di protezionismo (➔), finalizzate ad acquisire competitività in aree strategiche. La necessità di formulazioni teoriche compatibili con l’interpretazione di questi ‘fatti stilizzati’ ha stimolato, dalla seconda metà degli anni 1980, la formazione di una nuova teoria degli scambi internazionali (➔ E. Helpman; P.R. Krugman). Tali indirizzi, benché apparentemente eterogenei sotto il profilo formale, presentano varie affinità, tra cui: l’introduzione dell’ipotesi di tecnologie di produzione a rendimenti crescenti; l’analisi nel contesto di forme di mercato diverse dalla concorrenza perfetta; l’esplicita considerazione dell’esistenza di prodotti differenziati.
Gli scambi e la fiscalità. L’imposizione sugli scambi riveste nei sistemi economici importanza fondamentale, non soltanto dal punto di vista della rilevanza del gettito, ma anche come strumento di realizzazione di obiettivi della politica economica, quali la crescita del reddito, la stabilità dei prezzi o l’equilibrio della bilancia dei pagamenti. Tale fiscalità può attuarsi in 3 forme diverse, che possono poi subire in concreto varie modificazioni: imposta plurifase cumulativa sul valore pieno (detta anche ‘a cascata’), in ragione del valore di ogni singolo atto di scambio nel corso del processo produttivo di una merce o servizio, dall’acquisto della materia prima alla vendita finale al consumatore; imposta plurifase sul valore aggiunto, commisurata a quello realizzato in ciascuna fase del processo produttivo; imposta monofase o a poche fasi, sul valore pieno, in relazione al prezzo di un singolo atto di scambio in una determinata fase del processo produttivo. ● L’imposta plurifase cumulativa sul valore pieno viene prelevata in tutte le fasi del processo di produzione e si applica ogni volta, in percentuale, sull’intero prezzo dei beni e servizi oggetto di scambio (generalmente comprensivo dell’imposta applicata nei passaggi precedenti). La base imponibile è costituita quindi dal fatturato, e l’imposta tende a cumularsi nelle fasi successive. L’aliquota complessiva di imposta che grava su un dato prodotto viene a dipendere dal numero di scambi che caratterizzano il suo processo di produzione e distribuzione. L’imposta plurifase sul valore aggiunto è invece applicata lungo tutto l’iter produttivo, però va a pesare soltanto sul valore aggiunto in ciascuna fase. Come l’imposta ‘a cascata’, è calcolata in percentuale del prezzo dei beni ma, grazie alla detrazione dell’imposta pagata sugli acquisti di input, di fatto grava soltanto sul valore aggiunto. Consente quindi di tassare tutti i beni finali di consumo, esentando nel contempo quelli intermedi (infatti, chi acquista beni, per impiegarli nella produzione di altri, riceve il rimborso dell’imposta pagata e soltanto gli utilizzatori finali la pagano effettivamente). Essa non dà luogo a discriminazioni e consente di calcolare facilmente l’onere tributario su un prodotto finito. L’imposta monofase sul valore pieno è prelevata in percentuale del prezzo dei beni e servizi oggetto di scambio solo in uno dei momenti del processo di produzione e distribuzione delle merci. Le sue caratteristiche dipendono dalla scelta del passaggio da colpire, che può essere la vendita da parte del produttore, quelle al dettagliante (normalmente da parte del grossista, ma a volte anche direttamente dal produttore) o al consumatore finale.