SAVOIA, Ludovica
di, beata. – Nacque dal matrimonio fra il duca di Savoia Amedeo IX e la principessa Jolanda di Valois (figlia del re di Francia Carlo VII). Non concordi sono le notizie sulla data (oscillante fra il 26 luglio 1462, il 28 dicembre 1462 e il 28 dicembre 1463) e il luogo (Bourg-en-Bresse, Chambéry, Ginevra) della sua nascita.
L’infanzia e la giovinezza di Ludovica furono condizionate dalle turbolenze politico-militari che si abbatterono sul ducato quando, a seguito della morte di Amedeo IX (1472), Iolanda divenne reggente degli Stati sabaudi, cercando di districarsi fra le reciproche ostilità di francesi, borgognoni e svizzeri. La duchessa, legata alla Francia di cui il fratello – Luigi XI – era divenuto re nel 1461, aveva progettato di stabilire alleanze anche con la Borgogna attraverso il matrimonio di Ludovica con Ugo di Châlon-Arlay.
La disfatta del duca Carlo il Temerario (che nel 1476 aveva fatto rapire e tenere in prigionia per qualche mese Iolanda e le sue figlie Ludovica e Maria) riportò i destini delle principesse sabaude nelle mani di Luigi XI. All’indomani della morte di Iolanda (1478), Ludovica si trasferì infatti a Plessis-les-Tours, alla corte dello zio, il re di Francia. Questi si preoccupò di portare a termine le trattative per il matrimonio della nipote con Ugo di Châlon che intanto, dopo la sconfitta delle forze borgognone, era stato fatto prigioniero. Il giuramento di fedeltà dei principi di Châlon al re di Francia, divenuto il nuovo signore della Borgogna, aprì la strada alle nozze, celebrate a Digione il 24 agosto 1479.
Stabilitasi a Nozeroy (in Franca Contea), nella residenza del consorte, la principessa – che aveva ereditato dal padre un grande afflato religioso, oltre che una forte sensibilità nei confronti dei poveri e dei deboli – manifestò propensione alla vita devota e alle pratiche cultuali, mantenendo una condotta austera e appartata e rivolgendo notevole attenzione ai luoghi pii. Tra questi spiccava il convento delle clarisse di Orbe (nel Vaud) – eretto nel 1427 dalla moglie del principe Luigi di Châlon, e subito divenuto un punto di riferimento per le donne dell’aristocrazia borgognona, francese e savoiarda –, le cui dotazioni (in particolare la biblioteca) si erano arricchite nel tempo grazie a consistenti lasciti da parte delle casate di Châlon, Valois e Savoia. L’interesse della dinastia sabauda per le clarisse non era episodico. Su istanza di Colette da Corbie (la riformatrice dell’Ordine, istitutrice delle clarisse colettine), già Amedeo VIII aveva infatti fondato il convento di Vevey, mentre a suo tempo la duchessa Iolanda aveva patrocinato la nascita dei cenobi di Chambéry (1471) e di Ginevra (1474).
Dopo la morte di Ugo di Châlon (1490), a cui non aveva dato eredi, Ludovica lasciò che il patrimonio e i titoli del marito passassero al nipote Jean, principe d’Orange, e decise di ritirarsi dal mondo, scegliendo proprio il convento delle clarisse di Orbe, dove già si trovava la cognata Filippina. Presi gli ordini, sotto la direzione spirituale del suo confessore privato Jean Perrin (che, risiedendo nel convento colettino di Nozeroy, aveva conosciuto sin dal suo primo soggiorno in Franca Contea), la principessa condusse una rigorosa esistenza incentrata sull’ascetismo, sull’esercizio delle virtù profetiche e sulle esperienze mistiche, tanto che la sua figura assurse ben presto a esempio vivente di santità cristiana. Nei racconti sulle pratiche devozionali della principessa – che, in occasione di determinate festività del calendario liturgico, sarebbe giunta a recitare migliaia di preghiere al giorno – rilevante spazio viene riservato alla sua accesa pietà mariana.
La sensibilità spirituale di Ludovica avrebbe trovato espressione in alcuni scritti, andati perduti dopo la sua morte o giunti attraverso successive trascrizioni (queste ultime accettate con molte riserve). La principessa avrebbe infatti composto centocinquanta meditazioni sulla Passione di Cristo, conservate in un manoscritto inizialmente custodito nel convento di Orbe e poi portato a Evian, dove si sarebbe smarrito. Un’altra opera attribuita a Ludovica è l’opuscolo Les véritables signes pour connaître quand un monastère commence à perdre l’esprit de religion, ou quand il l’a déjà perdu, la cui trascrizione settecentesca lascia non pochi dubbi sulla sua autenticità. Sicuro è invece il suo interessamento per la canonizzazione di Colette. Fra il 1492 e il 1495 la principessa si attivò per portare a buon fine la causa cercando anche l’appoggio del re di Francia, ma i suoi sforzi risultarono vani (la riformatrice delle clarisse venne infatti innalzata agli onori degli altari solamente nel 1807).
Ludovica morì il 24 luglio 1503 in concetto di santità e fu sepolta nel cimitero del convento di Orbe.
Nel 1531, per timore delle violenze generate dalle guerre di religione e dall’invasione bernese del Vaud, le spoglie (che già il duca di Savoia Carlo II avrebbe voluto traslare insieme a quelle di Amedeo VIII e di Amedeo IX) furono trasferite nel convento francescano di Nozeroy. La tomba della principessa divenne meta di una diffusa devozione, testimoniata da frequenti pellegrinaggi e da numerosi ex voto. L’impeto rivoluzionario del 1792 non risparmiò quel luogo sacro: la chiesa conventuale venne infatti distrutta; tuttavia, il sepolcro della principessa non subì profanazione.
Il culto di Ludovica ebbe inizio già all’indomani del suo decesso. Una vita composta nel 1507 da una clarissa di Orbe (tradizionalmente identificata in Catherine de Saulx, dama d’onore di Ludovica che con lei era entrata in convento nel 1492) attribuiva alla principessa miracoli, guarigioni ed eventi prodigiosi (verificatisi prima e dopo la sua morte) che ne aumentarono la fama di santità. Inizialmente fu l’ambito dell’osservanza francescana a incentivare la devozione verso Ludovica, presentata come modello da proporre alle donne dell’alta aristocrazia intenzionate a seguire il cammino di perfezione intrapreso da Colette. Successivamente anche la corte sabauda ripose crescente interesse nella dimensione devozionale di questa principessa che avrebbe dovuto arricchire quel catalogo di santità dinastiche, inaugurato nella seconda metà del XVII secolo con le beatificazioni di Margherita di Monferrato e di Amedeo IX. Diverse testimonianze iconografiche sei-settecentesche (ad esempio, le tele commissionate da Cristina di Francia a Charles Dauphin, che ritraggono Ludovica con Francesco da Paola, oppure l’incisione di Domenico Maria Muratori, che la raffigura insieme al beato Amedeo e a s. Luigi) confermano l’inserimento della principessa nel santorale sabaudo. Nel XVIII secolo, oltre a essere esaltata come «fustigatrice dei costumi mondani» e «promotrice di una vita di corte più simile a quella di un monastero», Ludovica assurse anche a «vittima di quella propensione eretica delle popolazioni savoiarde che era sfociata nel calvinismo del secolo decimosesto», e a «presidio contro gli attacchi alla Chiesa di cui il secolo dei lumi si faceva portatore» (Cabibbo, 2015, pp. 45 s.). Dopo la Restaurazione, quando prese avvio un articolato programma di promozione del prestigio sabaudo attraverso il recupero della tradizione medievale e la celebrazione della santità dinastica, Ludovica divenne oggetto di rinnovate attenzioni da parte della corte. Negli anni Trenta del XIX secolo Carlo Alberto, che già aveva sollecitato alla congregazione dei Riti il riconoscimento del culto ab immemorabili di Umberto (1136-1188) e di Bonifacio (1207-1270), profuse notevoli energie non solo per giungere alla canonizzazione di Ludovica, ma anche per recuperarne le spoglie, custodite in territorio francese. Le trattative con il re di Francia Luigi Filippo d’Orleans e con papa Gregorio XVI furono condotte dai ministri di Carlo Alberto. Il conte Clemente Solaro della Margarita (un cattolico intransigente di orientamenti reazionari) si mostrò assai devoto nei confronti della principessa sabauda, e curò personalmente l’edizione della vita attribuita a Catherine de Saulx (un’altra edizione della medesima vita, curata dall’abate A.M. Jeanneret, venne pubblicata a Ginevra nel 1860). Questo e altri documenti, cercati e rintracciati dalle autorità piemontesi in numerosi archivi e biblioteche, andarono a formare un corposo dossier che doveva contribuire a dimostrare alla congregazione dei Riti e al pontefice l’antichità e la diffusione del culto di Ludovica.
Nel 1839 la Sede apostolica confermò il culto ab immemorabili della principessa sabauda, la proclamò beata e ne fissò i giorni festivi (l’11 agosto per gli Stati sardi, il 24 luglio nella diocesi di Losanna). Nel 1840 le sue spoglie furono solennemente trasferite a Torino. Qui esse vennero dapprima collocate nella cattedrale di S. Giovanni, per essere poi traslate due anni dopo nella cappella regia della S. Sindone.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Corte, Materie politiche per rapporto all’interno, Storia della Real Casa, cat. IV, m. 1, ff. 1-3; m. 1 d’addizione, f. 1; Torino, Biblioteca reale, Miscellanea Patria, ms. 134.2: Notizie della beata L. di S., 1400; ms. 144.8: Relazione della vita della venerabile L. di S. [...] morta in concetto di santità nel monastero di S. Clara d’Orba nella baronia di Vaud; G. Gallizia, Atti dei Santi che fiorirono nei Domini della Real Casa di Savoia, III, Torino 1757, pp. 346-361; Sacra Rituum Congregatione eminentissimo ac reverendissimo domino Card. Lambruschini relatore Taurinen. approbationis cultus ab immemorabili tempore praestiti B. Ludovicae a Sabaudia viduae et moniali Ordinis S. Francisci Reformationis S. Coletae instante Serenissimo Rege Sardiniae Carolo Alberto eiusque nomine Comite Friderico Broglia regio apud S. Sedem oratore, Romae 1839.
P. Durio, Vita della Beata Lodovica di Savoia, Roma 1840; Vie de la Bienheureuse Louise de Savoie écrite par une religieuse du monastère d’Orbe contemporaine de la sainte, Turin 1840; A.-M. Jeanneret, La vie de très haute et très puissante et très illustre dame Madame Loyse de Savoie escripte en 1507 par un religieuse (Catherine de Saulx), Genève 1860; F. Jeunet - J.H. Thorin, Vie de la Bienheureuse Louise de Savoie princesse de Châlons, religieuse clarisse, Paris s.d. [1875]; F. Cognasso, L. di S., in Enciclopedia cattolica, VII, Città del Vaticano 1951, col. 1639; M. Zermatten, Un lys de Savoie: le bienheureuse Loyse, s.l. 1960; G.D. Gordini, L. di S., in Bibliotheca Sanctorum, VIII, Roma 1967, p. 297; S. Cabibbo, La santità femminile dinastica, in Donne e Fede. Santità e vita religiosa in Italia, a cura di L. Scaraffia - G. Zarri, Roma-Bari 1994, pp. 399-403, 412 s.; Ead., «Dal nido savoiardo al trono d’Italia»: i santi di Casa Savoia, in Santi, culti, simboli nell’età della secolarizzazione (1815-1915), a cura di E. Fattorini, Torino 1997, pp. 331, 332, 335-339; Torino. I percorsi della religiosità, a cura di A. Griseri - R. Roccia, Torino 1998 (in partic. A. Griseri, Torino e i suoi santi: una identità per immagini, p. 19; R. Roccia, La città devota nel segno degli incisori e dei litografi, pp. 401-403); E. Pierregrosse, Foyers et diffusion de l’Observance dans les domaines de la Maison de Savoie (Piémont exclu) au XV-XVI siècles, in Identités franciscaines à l’âge des Réformes, diretto da F. Meyer - L. Viallet, Clermont Ferrand 2005, pp. 263 s.; P. Cozzo, La geografia celeste dei duchi di Savoia. Religione, devozione e sacralità in uno Stato di età moderna (secoli XVI-XVII), Bologna 2006, pp. 200, 213; S. Cabibbo, Sovrane sante, in Casa Savoia e Curia romana dal Cinquecento al Risorgimento, a cura di J.F. Chauvard - A. Merlotti - M.A. Visceglia, Rome 2015, pp. 37-40, 45 s., 48-52; L. Ripart, Les saints de la Maison de Savoie au XVe siècle, in L’image des saints dans les Alpes occidentales à la fin du Moyen Âge. Actes du Colloque international tenu au Musée d’art et d’histoire de Genève... 2013, diretto da S. Aballéa - F. Elsig, Roma 2015, pp. 137-154.