TUTINO, Saverio
TUTINO, Saverio. – Nacque a Milano il 7 luglio 1923 da Mario e da Fanny Castiglioni; ebbe due sorelle, Gabriella e Luisa, e un fratello, Alessandro.
Il padre, nato a Roma nel 1885 e cresciuto a Rieti, nei primi anni del Novecento a Firenze era stato compagno di università di Giovanni Papini e Ardengo Soffici, estimatore di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile, ben inserito nei vivaci circoli culturali della città; dopo il matrimonio intraprese alcune iniziative commerciali e imprenditoriali, con alterna fortuna, dedicando larga parte del proprio tempo all’attività intellettuale, alla lettura, alla scrittura, alle traduzioni. Fanny Castiglioni, milanese, aveva quattordici anni meno di lui, era di carattere esuberante e famiglia benestante; il suo nonno materno, Giovan Battista Alessi, era stato garibaldino e presidente della Società umanitaria di Milano; il padre Oreste aveva ereditato la tenuta agricola di famiglia, a Tregnago, in provincia di Verona, dove Fanny soleva condurre la villeggiatura estiva insieme ai fratelli Manlio, Bruno, Ettore, Ferruccio.
Nei primi anni Trenta Mario e Fanny, con i figli al seguito, si trasferirono per tre anni a Parigi; qui Saverio frequentò le scuole e acquisì familiarità con la lingua e la cultura francesi. Al ritorno in Italia visse a Milano, dapprima ospite dei nonni materni, in via Cosimo del Fante, poi con i genitori e i fratelli, in via Melloni; frequentò il ginnasio e il liceo Berchet, dove ebbe come insegnante di tedesco Lavinia Mazzucchelli; fu compagno di scuola di Oreste Del Buono, nipote di un imprenditore minerario e deputato radicale, e strinse amicizia con Roberto Rocca, figlio del manager siderurgico e dirigente dell’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) Agostino, e con Lorenzo Milani Comparetti, discendente di una famiglia di possidenti e intellettuali con ascendenze ebraiche e forte impronta laica. Dopo la maturità, nel 1941, si iscrisse a giurisprudenza; pubblicò il suo primo racconto – Camera matrimoniale – nel settimanale dei Gruppi universitari fascisti (GUF), Libro e Moschetto.
Oltre a Milano fu Tregnago un luogo importante per la formazione di Tutino. Qui egli passava i mesi estivi, in compagnia degli zii e a contatto con l’ambiente paesano, in particolare con la famiglia di mezzadri che stava nella tenuta dei nonni: il vecchio Cencio, la moglie Teresina, il figlio Silvio, coetaneo e compagno di giochi di Saverio. Frequentandoli, il giovane Tutino misurò la distanza che separava la realtà dei contadini dalla propria. Dal 1940, per tre stagioni, seguì lo zio Nino alla scoperta delle montagne: Ettore Castiglioni era un intellettuale antifascista, provetto alpinista, dandy assetato di libertà. La sua figura fu decisiva per orientare il nipote adolescente. Richiamato alle armi nel 1942, dopo l’8 settembre 1943 Ettore avrebbe partecipato alla Resistenza in montagna, aiutando fuggiaschi militari e civili a espatriare in Svizzera, trovando infine la morte durante un’azione, nel marzo del 1944.
Anche per Saverio la guerra fu uno spartiacque. La caduta del fascismo lo colse mentre era nel campo di addestramento ad Albavilla, vicino al lago di Como, e l’8 settembre mentre si trovava a Tregnago. Da qui tornò a Milano e si nascose nella villa di famiglia dell’amico Lionello Macciardi, sopra Varese; pochi giorni dopo passò il confine con la Svizzera. A fine settembre era a Lugano, ospite dell’hotel Helios, luogo di rifugio di diversi antifascisti. Qui conobbe Giulio Seniga, già operaio dell’Alfa Romeo e militante comunista, che lo iscrisse al Partito comunista italiano (PCI). Nell’estate del 1944 ripassò il confine con l’Italia, accompagnato dalla staffetta partigiana Aurora Vuillerminaz (‘Lola’), per partecipare alla Resistenza e giunse a Cogne, dove si era formata una repubblica partigiana. Si aggregò a un distaccamento garibaldino con il nome di battaglia di ‘Nerio’; conobbe Gianfranco Sarfatti (‘Gaddo’), Ugo Pecchioli (‘Ugo’), Giulio Einaudi (‘Riccardo’). Prese la direzione del Patriota della Val d’Aosta, organo ufficiale del Comando zona che aveva il precedente nel Garibaldino. Nell’autunno Tutino andò verso la Valdossola, fermandosi però sulla Serra di Ivrea; entrò a far parte della 76ª brigata Garibaldi. Sfuggì fortunosamente alla strage di Lace di Donato, la notte tra il 29 e il 30 gennaio 1945, e partecipò alla successiva battaglia di Sala Biellese, il 1° febbraio 1945. Divenne commissario politico della 76ª brigata Garibaldi e il 2 maggio partecipò alla liberazione di Ivrea.
Dopo la guerra Tutino fu per alcuni mesi redattore del Politecnico di Elio Vittorini. Nell’ottobre del 1945 cominciò a lavorare per l’Unità, sede di Milano, facendo qui il suo apprendistato al mestiere di giornalista: seguì prima gli esteri e poi la cronaca, inviato in provincia per documentare le lotte sociali del dopoguerra. Nel 1949 si trasferì a Roma, presso la redazione centrale. Per l’Unità cominciò a viaggiare all’estero: nell’estate del 1950 fu in Cina in veste di giornalista aggregato a una delegazione della Federazione giovanile comunista; nel 1958 si trasferì in Francia, a Parigi, come corrispondente negli anni della guerra d’Algeria; nel 1962 fu inviato in Spagna per documentare gli scioperi antifranchisti. Contemporaneamente fece diverse esperienze nella stampa periodica vicina al Partito comunista: Vie Nuove, Nuova Generazione, Il Contemporaneo, Pattuglia.
Nel 1954 Tutino si sposò con Orsetta Elter, conosciuta ancora bambina ai tempi della Resistenza; Orsetta era figlia di Franz, dirigente dell’azienda siderurgica e mineraria Cogne, e sorella di Giorgio, ucciso nel settembre del 1944 mentre partecipava a un’azione partigiana. Tre anni dopo nacque la figlia Barbara. A Roma abitavano in un appartamento sopra quello della famiglia di Vasco Pratolini, con la quale condividevano parte del tempo libero. Per affinità politica, invece, Tutino si legò soprattutto a esponenti della Sinistra sindacale come Vittorio Foa e Bruno Trentin e della Sinistra comunista come Alfredo Reichlin e Luigi Pintor; in Francia ad André Gorz e Claude Lanzman. Nel 1964, su proposta di Raniero Panzieri, scrisse un resoconto dello sciopero dei minatori francesi dell’anno precedente per la collana di attualità e intervento dei Libri bianchi dell’editore Einaudi (Gollismo e lotta operaia, Torino 1964).
Nell’ottobre del 1962 fu inviato a Cuba dall’Unità per seguire la ‘crisi dei missili’: a tre anni dalla rivoluzione castrista Cuba era diventata un epicentro della guerra fredda. La ‘via caraibica al socialismo’, che miscelava nazionalismo, populismo e comunismo, era fonte di fascinazione per l’opinione pubblica internazionale ed era osservata con interesse soprattutto dai gruppi che cominciavano a criticare l’abbandono della prospettiva rivoluzionaria da parte del PCI togliattiano. Oltre che per l’Unità a Cuba Tutino lavorava per il partito, tenendo i dirigenti italiani informati dell’evolversi della situazione politica locale e allo stesso tempo cercando di spiegare ai cubani la linea del PCI. Tutino assunse progressivamente il punto di vista cubano: si accompagnò a una donna di discendenza ispanico-africana, Dulce Sanchez, con cui nel 1969 avrebbe avuto una figlia, Elisabetta; sul piano politico rivendicò nei confronti dei dirigenti del PCI l’autonomia, ma anche la pertinenza dell’esperienza castrista nell’alveo del marxismo internazionale, difendendo in particolare la proposta di Ernesto Che Guevara di estendere in altri Paesi dell’America Latina la rivoluzione attraverso l’uso combinato di guerriglia e lotte di massa.
Nel 1968 fu fatto rientrare in Italia e si licenziò da l’Unità. Tornò a Cuba poco dopo, lavorando per l’agenzia stampa del Partito comunista cubano e cominciando a scrivere delle corrispondenze per Le Monde. Attraverso l’attività giornalistica e i numerosi libri di cui fu autore o di cui favorì la traduzione Tutino ricoprì fino alla fine degli anni Settanta un ruolo importante di mediatore culturale tra l’Italia (e la Francia) e l’America Latina: raccontò l’evoluzione della rivoluzione cubana, la morte di Guevara, le lotte contadine in diversi Paesi, il colpo di Stato in Cile. E poi altre vicende di emancipazione che stavano avvenendo in Sudamerica e in quello che all’epoca si chiamava Terzo Mondo, documentate attraverso resoconti di viaggio compiuti insieme alla fotografa Paola Agosti, cui si era unito sentimentalmente e professionalmente.
Tutino divenne così un personaggio circondato da un’aura romantica di rivoluzionario permanente, per questo tenuto sotto controllo dai servizi segreti e preso a modello ispiratore dai movimenti e gruppi organizzati che negli anni Settanta in Italia progettavano di fare la rivoluzione, come Potere operaio, Lotta continua e Brigate rosse. In questi anni collaborò professionalmente con Giangiacomo Feltrinelli, con il settimanale Panorama, con il mensile Linus (diretto dall’amico di gioventù Del Buono) e nel 1975-76 partecipò alla nascita del quotidiano la Repubblica, di cui divenne una firma di richiamo, quale esperto di politica internazionale, inviato in Spagna e poi ancora in America Latina.
Con gli anni Ottanta diede una svolta alla propria vita. Subì una pesante operazione al cuore che lo indusse a maggiore sedentarietà; avviò nel contempo un percorso di psicoanalisi che ne stimolò un ripensamento profondo. Nel 1984 incontrò Gloria Argelés, scultrice argentina emigrata e residente a Roma, cui si legò successivamente in matrimonio. Tutto intorno, la società italiana uscita dagli anni Settanta viveva la fine repentina della stagione dei movimenti collettivi e della militanza politica, anche se le formazioni che praticavano la lotta armata continuavano a produrre uno stillicidio di omicidi, seguiti da arresti, dissociazioni, pentimenti. Anche attraverso queste esperienze e sconfitte si affermò in Italia una nuova sensibilità che riconosceva valore alla dimensione individuale, alle relazioni di prossimità, alle culture locali. Tutino cominciò a frequentare con continuità i paesi dell’alta valle del Tevere: la provincia italiana, il cuore antico del Paese che aveva resistito agli strappi della modernizzazione e delle migrazioni e alla crisi della società rurale. Dopo essere stato per vent’anni un inquieto e inesausto esploratore del mondo, si trasformò in un viaggiatore dell’interno: dell’Italia minore, e della propria interiorità.
Sin da bambino Tutino aveva tenuto diari e molto presto aveva coltivato la narrativa autobiografica. La scrittura di sé era una componente non secondaria della stessa cultura familiare dei Tutino-Castiglioni, diaristi, memorialisti, epistolografi per più generazioni. Nei primi anni Ottanta, predisposizione personale e momento storico favorirono il riconoscimento del valore sociale della pratica autobiografica: Tutino maturò l’idea di istituire un premio per diari scritti da persone comuni; nel 1984 trovò corrispondenza nell’amministrazione comunale di Pieve Santo Stefano, un comune dell’alta Valtiberina, in provincia di Arezzo, interessato a valorizzare culturalmente il paese che era stato privato di gran parte del proprio patrimonio architettonico durante la seconda guerra mondiale. Nel 1985 fu varata la prima edizione del premio Pieve che suscitò un interesse dalle dimensioni impreviste: ne parlarono la stampa e la televisione e la notorietà funse da ulteriore volano per le edizioni successive, che da allora si sono sempre svolte con regolarità a cadenza annuale. Dal premio è nato l’Archivio, che ormai ha vita propria ed è aperto durante tutto l’anno: costituisce il più ampio giacimento italiano di testi autobiografici; è insieme un luogo di affezione per molte persone che hanno deciso di depositarvi le proprie scritture intime e un centro di ricerca frequentato da studiosi italiani e internazionali.
Il successo del premio e dell’Archivio di Pieve Santo Stefano è dovuto in buona parte alla personalità del loro fondatore, alla sua capacità di suscitare entusiasmo, di mettere a frutto i suoi contatti nel sistema dei media, di stabilire relazioni di fiducia sia con l’amministrazione locale sia con gli autori dei diari. Ma esso esprime anche un bisogno diffuso di narrazione di sé che esplose tra gli anni Ottanta e Novanta e che Tutino seppe riconoscere ed elaborare anche in altre forme. Prese parte al dibattito culturale e a convegni di studio che hanno portato al riconoscimento delle scritture popolari come documenti storici e anche come pratiche per la ‘cura di sé’. Nel 1988, insieme all’amico e pedagogista Duccio Demetrio, fondò ad Anghiari la Libera università dell’autobiografia; dal 1998 diresse la rivista Primapersona. Percorsi autobiografici.
A sua volta Tutino scrisse e pubblicò nel 1995 la propria autobiografia, dal titolo L’occhio del barracuda. Autobiografia di un comunista. Anch’essa non fu un frutto solitario, ma un esemplare dell’ampia messe di ‘memorie’ che il 1989 provocò tra i comunisti italiani, sollecitati a fare un bilancio delle loro vite di fronte al venir meno dell’idea che le aveva ispirate.
Morì a Roma il 28 novembre 2011.
Opere. Maggiormente utilizzate in questo profilo: L’occhio del barracuda. Autobiografia di un comunista, Milano 1995; Diario ’64-68, Milano 2014; Diari 1944-1946, Aosta 2016. Altre opere di narrativa memorialistica: La ragazza scalza. Racconti della Resistenza, Torino 1975; Cicloneros. Un racconto cubano, Firenze 1994; Il mare visto dall’isola. Racconti, testimonianze e cronache di una resistenza, Roma 1998; Il rumore del sole, Cesena 2004; Scritti scelti, 2006. Tra i libri di inchiesta giornalistica: L’ottobre cubano. Lineamenti di una storia della rivoluzione castrista, Torino 1968; Il Che in Bolivia. L’altro diario, le testimonianze dei superstiti, Milano 1970; Gli anni di Cuba, Milano 1973; Dal Cile. Come si realizza una controrivoluzione, Milano 1973; Imperialismo e lotta di classe in America Latina, Modena 1973; Viaggio in Somalia, Milano 1975; Da Kennedy a Moro. La vera storia degli ultimi vent’anni, Pordenone 1979; Guevara al tempo di Guevara. 1957-1976, Roma 2009.
Fonti e Bibl.: Sul periodo partigiano: Aosta, Archivio dell’Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea in Val d’Aosta, fondo Tutino Saverio; sul periodo cubano: Roma, Fondazione Istituto Gramsci, fondo Archivio PCI. Serie estero (1962-1968). L’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano conserva tre raccolte di scritti editi di Tutino (Articoli, Prefazioni e introduzioni, Contributi) e due suoi diari inediti (Viaggio in Cina. 1950 e Maternalismo storico. 1964-1969), oltre a diari della madre Fanny, del padre Mario, del fratello Alessandro, della figlia Barbara. Il diario dello zio Ettore Castiglioni è stato pubblicato con il titolo Il giorno delle Mésules. I diari di un alpinista antifascista, Torino 1993. L’epistolario del padre con Alessandro Parronchi è edito come «Arte nata dall’arte». Carteggio 1956-1966, Roma 2009. A Saverio Tutino è dedicata una stanza del Piccolo museo del diario a Pieve Santo Stefano; qui è conservata anche la rassegna stampa relativa alla storia del premio Pieve. Una raccolta di testimonianze su Tutino è in Primapersona, 2012, n. 25, monografico. Tutto il n. 12 di Primapersona (giugno 2004) è dedicato ai primi vent’anni di storia dell’Archivio diaristico nazionale. Informazioni sono inoltre state raccolte o verificate presso alcune familiari o collaboratrici (Barbara Tutino, Paola Agosti, Natalia Cangi).