SATELLITE ARTIFICIALE (App. III, 11, p. 670)
Dinamica orbitale.
Generalità e richiami. - La dinamica orbitale di un s. a. s'inquadra nel problema dei due corpi ristretto; in esso la massa m del s. a. è considerata così piccola in confronto a quella della Terra, che il moto di quest'ultima non ne viene influenzato, e può quindi considerarsi noto, e inerziale. Si indichi allora con r(t) la posizione del s. a. rispetto a una terna solidale alla Terra non rotante, con centro nel suo centro C, fig.1. L'equazione del moto del s. a. è:
dove t è il tempo, F la forza esterna applicata al s. a. e il punto indica la derivazione ordinaria rispetto a t. La [1] va completata con i valori iniziali di r e di r???.
Una forma alternativa della [1] si ottiene considerando il vettore a sei componenti s = [r; r???] e l'altro Φ (pure a sei componenti) che ha le prime tre componenti pari a quelle di r??? e le altre tre pari a quelle di F/m. Con tali notazioni la [1] si scrive:
da completare mediante il valore iniziale di s.
La [1] fornisce tre equazioni scalari del secondo ordine quando venga proiettata sugli assi del sistema inerziale di riferimento. Per es., se il sistema è quello polare geocentrico, fig. 1, si hanno le:
Invece le [2] si scriverebbero:
Considerazioni analoghe possono ovviamente svolgersi per un sistema cartesiano trirettangolo. Naturalmente, per le coordinate del s. a. rispetto a un osservatore solidale con la Terra rotante, è necessario aggiungere il moto rotatorio della Terra intorno al suo asse.
Il caso kepleriano (App. III, 11, p. 670) si ha quando la forza F è puramente centrale, e ha intensità −mν/r2, per cui la [1] si scrive:
dove ν è la costante gravitazionale terrestre, pari a 3,986•105 km3 sec-2. Questa è la forza d'attrazione esercitata da un corpo a simmetria radiale, composto cioè da strati concentrici omogenei, anche se non uniformi (caso newtoniano) sull'unità di massa del corpo attratto. Si ha immediatamente che l'orbita è una conica (detta appunto kepleriana): inoltre dalle [3] si ha l'integrale delle forze vive:
dove V è la velocità. Com'è noto, il segno della costante E definisce il tipo di conica: se E ⋚ 0, si ha rispettivamente un'ellisse, una parabola, un'iperbole. In questa sede consideriamo solo il caso ellittico, cioè E 〈 0. Com'è noto, la Terra (o, per meglio dire, il suo centro di massa) occupa uno dei fuochi dell'ellisse.
L'ellisse kepleriana E è individuata da sei parametri, cinematicamente equivalenti alle sei condizioni iniziali che vanno associate alla [3]. Tali parametri (App. III, 11, p. 672), vengono richiamati in fig. 2.
Il piano orbitale Π è inclinato di un angolo i rispetto al piano equatoriale terrestre Πt; la retta d'intersezione CN (linea dei nodi), presa positiva verso il nodo ascendente N, forma un angolo Ω, con una direzione di riferimento (per es., l'equinozio vernale medio Γ). L'inclinazione i e la longitudine del nodo ascendente Ω definiscono Π. Naturalmente, nel caso di orbite equatoriali l'angolo Ω è indeterminato ma inessenziale.
Integrando la [3] si ottiene l'equazione di E nel piano orbitale:
in cui (fig. 3) e è l'eccentricità (e 〈 1), ψ l'anomalia vera, p il semilatus rectum. Evidentemente ψ va contato a partire dal perigeo P, in cui r ha il valore minimo rP = p/(i + e), mentre all'apogeo A si ha il valore massimo rA = p/(i − e); (spesso, al posto di rP e rA s'impiegano le altezze di P e di A sul geoide, considerato come una sfera di raggio R = 6378 km). Infine, il semiasse maggiore vale a = p/(i − e2). I due parametri p, e (o rP, rA) definiscono la forma dell'ellisse; per determinarne anche la posizione è necessario precisare la distanza angolare ω di P rispetto, per es., alla linea nodale CN (argomento del perigeo). Evidentemente, nel caso di orbite equatoriali (i = 0) è sufficiente fornire ω + Ω, anziché i due angoli s ep a ratamente.
Finalmente il sesto parametro è di carattere temporale e fissa la posizione del s. a. su E a un istante assegnato; o, viceversa, e assai più di frequente, il valore M di ψ per t = 0 (fig. 3). La relazione fondamentale di carattere temporale si ha considerando l'anomalia eccentrica γ definita dalla celebre equazione
dove t* è l'istante di passaggio al perigeo, n è il moto medio
Il periodo orbitale, come insegna la [3] vale:
Per valutare la variazione di velocità lungo l'orbita, è necessario conoscere la costante E della [4]. Per questo si può anzitutto impiegare la legge delle aree, deducibile ancora dalla [3]:
Tenuto conto che nei punti apsidali P e A si ha ψ = V/r, le [4] e [6] permettono di ricavare le velocità
Si ha pure:
Perturbazioni orbitali. - Lo schema kepleriano viene notevolmente modificato dalla presenza di forze perturbatrici. Si tratta di forze diverse dalle semplici newtoniane (escluse quelle di propulsione e di controllo), e i cui effetti vanno studiati, di solito, descrivendo ciascuna di esse mediante un adeguato modello matematico, introducendo tali modelli nella [1] e procedendo all'integrazione numerica del sistema di equazioni differenziali così ottenuto, sempre con le relative condizioni iniziali. È questa la tecnica seguita in sede di costruzione delle effemeridi del s. a., di grande importanza per la previsione orbitale, agli effetti del tracking e della telemetria (v. oltre).
Spesso si segue anche il metodo dei parametri, o di Lagrange, ben noto da tempo agli studiosi di meccanica celeste, ma rielaborato negli ultimi anni per gli scopi della dinamica orbitale, anche per tener conto di perturbazioni (come, per es., la resistenza aerodinamica) generalmente ignorate dalla meccanica celeste classica. In tale ottica si considera ogni elemento di orbita come appartenente a una ellisse kepleriana, che varia a ogni istante, e i cui parametri sono determinati dalla posizione e dalla velocità istantanea del s. artificiale. Si indichi con P il vettore dei sei parametri suddetti: ovviamente P, che è costante nel caso kepleriano, sarà funzione di t nel caso perturbato. La conoscenza di P(t) è quindi equivalente alla risoluzione del problema (salvo che, per gli scopi pratici, è poi necessario dedurre da P il valore delle coordinate per costruire le effemeridi: operazione peraltro da effettuarsi in forma finita e non differenziale). Dal punto di vista analitico, si cominci con lo scrivere le equazioni che forniscono le coordinate r e la velocità r??? lungo la conica kepleriana generica, in funzione di P e di t. Se P è variabile, si avrà allora, per il vettore s che compare nella [2], s = s(P, t). D'altronde, il vettore Φ può pensarsi decomposto nel termine newtoniano ΦN e in quello di disturbo ΦD. Sostituendo nella [2] si ha quindi:
dove ∂s/∂P è la matrice jacobiana di s rispetto a P. D'altronde la ∂s/∂t è quella corrispondente a ritenere, istante per istante, P = cost, quindi essa compensa ΦN. Posto allora L(P) = (∂s/∂P)-1, la [9] si scrive
Rispetto al metodo delle coordinate, quello dei parametri ha il vantaggio di operare con quantità assai più lentamente variabili: basta pensare che nel caso kepleriano, la [10] assume l'aspetto semplicissimo P??? = 0.
Le forze perturbatrici sono assai piccole in confronto alla componente newtoniana. Tuttavia esse hanno grande importanza in quanto, come si è visto, sono le uniche responsabili delle variazioni dei parametri, e, quindi, del tipo di orbita. Pertanto la ricerca dei metodi intesi a studiarne gli effetti è stata, ed è tuttora, assai intensa. In sede preliminare, in luogo della integrazione diretta della [1] o della [10] si preferisce ricorrere a formule semplici che dànno valori approssimati degli effetti in parola e hanno, anche, notevole valore concettuale.
Il potenziale del campo gravitazionale terrestre (CGT) si scrive:
ossia, come combinazione delle soluzioni fondamentali dell'equazione di Laplace a cui obbedisce. Nella [11] il termine 1 entro la parentesi quadra è quello newtoniano, gli altri sono le armoniche superiori del CGT; oltre ai simboli noti (fig.1), vi figurano le funzioni associate di Legendre Pk(j), i coefficienti Jk (armoniche zonali) e Ckj, Skj (che, tra l'altro, sono stati determinati sperimentalmente proprio dalle anomalie delle orbite dei s. a. fino a J7, e a C44, S44, ovviamente con incertezza crescente con j e con k). Infine le somme iniziano da 2 perché si assume come origine il baricentro della Terra.
Dalla [11] si ottengono le componenti della forza gravitazionale,
Il termine relativo a J2 è quello corrispondente allo schiacciamento (oblateness) terrestre (esattamente, del CGT). Si ha, con grande precisione, J2 = 1,087•10-3. Il termine in parola produce variazioni nei parametri Ω, ω, M, che è conveniente scrivere sotto la forma di variazione media in un periodo:
Per es., con i = 0 e con una orbita circolare a quota di 500 km, si avrebbe dΩ/dψ = − 1,402•10-3, corrispondente a circa −0,5050 per orbita; poiché, data la quota del s., il suo periodo orbitale è di 1,576 ore si ha un movimento retrogrado del nodo N di circa 7,69°/giorno; assai importante, come si vede. Per aJ lo spostamento, stavolta in avanti, sarebbe il doppio: e la somma algebrica dei due corrisponderebbe a un avanzamento complessivo del perigeo di 7,69° al giorno. L'effetto di J2 diminuisce fortemente con la quota; per il s. sincrono, la cui orbita ha altezza di 35.863 km, gli effetti sarebbero 38 volte minori. Si noti anche che dω/dψ è negativo per i compreso tra i* = arcsen(2/√5) ≃ 64,5° e 180° − i* (naturalmente, per i > 90° l'orbita è retrograda). Analogo effetto si ha su dM/dψ per i* = cos-1(i/√3).
Il termine con J3 corrisponde alla nonsimmetria del CGT rispetto al piano equatoriale terrestre (pear shape effect). Esso produce variazioni periodiche in e, quasi del tutto trascurabili.
I corpi celesti extraterrestri (la Luna, il Sole, i pianeti) provocano forze gravitazionali che non produrrebbero perturbazioni se il s. a. fosse solidale alla Terra, o comunque soggetto alle stesse forze che ne determinano il moto. Questo effetto dipende quindi non dalla forza d'attrazione dei corpi in parola (LSA, Luni/Solar Attraction) ma dal suo gradiente spaziale. Questa circostanza, collegata con l'altra per cui, come indicano le [12], l'effetto CGT diminuisce con la quota, fa sì che l'LSA risulti trascurabile per i s. a orbita bassa, mentre si rivela prevalente per quelli alti, come il s. a. sincrono. Si ha una regressione del piano orbitale del s. a. rispetto al piano orbitale del corpo perturbante, la cui variazione temporale vale:
dove i simboli hanno il significato consueto, e l'indice D si riferisce al corpo perturbante; per ciascuno di essi si hanno espressioni del tipo [13] peraltro non sommabili algebricamente, perché svolgentisi intorno ad assi diversi.
Per quanto riguarda la resistenza aerodinamica (DRG, airdrag), occorre rilevare anzitutto che il modello della densità atmosferica a quote superiori ai 200 km è estremamente incerto e casuale. Una serie di fattori pressoché sconosciuti influisce su essa, dando luogo a variazioni della densità ρ che hanno carattere giornaliero, mensile, semestrale, annuale, casuale. Un fondamentale contributo alla conoscenza del fenomeno hanno fornito gli esperimenti del s. a. italiano San Marco. È certo, comunque, che non esiste una quota ben definita a cui si può dire che l'effetto cessi. La resistenza aerodinamica è espressa dalla
in cui A è una superficie di riferimento del s. a., e il coefficiente di resistenza CD dipende fortemente anche dal suo assetto; il suo studio è dominio di una scienza che ha assunto contorni propri: la dinamica dei fluidi ionizzati e rarefatti.
L'effetto principale è la riduzione del semiasse maggiore, conseguenza delle riduzione di energia totale [8], "mangiata" dalla DRG. Si ha pure una circolarizzazione crescente, in quanto l'abbassamento della quota del perigeo è assai meno sensibile di quella dell'apogeo, come si rileva dalla [7].
Analiticamente si ha, dalla [8], Ė = mνȧ/2a2. Se si immagina allora, secondo una variante semplificata del metodo dei parametri, che ogni elemento di orbita sia un elemento di cerchio di raggio a, poiché la potenza assorbita dalle DRG è 1/2 CD ρAV3, introducendo la [7] scritta per l'orbita circolare, si ha:
in cui ρ??? e ò sono la densità media e la quota media lungo l'orbita; e, come si vede, il parametro fondamentale da cui dipende il fenomeno è B = CD A/2m (area/massa). Formule analoghe alla [14] sono comunemente impiegate. Per ciascuna di esse nasce il problema di valutare correttamente le medie ρ??? e ò.
La contrazione del semiasse maggiore si accompagna a una crescente circolarizzazione, finché si giunge al rientro del satellite. La DRG è una tipica perturbazione "secolare", ossia tale che i suoi effetti si sommano nel tempo; quindi essa, anche se estremamente piccola, è responsabile del tempo di vita finito del s. a. (orbital lifetime). Peraltro anche le altre perturbazioni possono concorrervi indirettamente: così il CGT può spostare il perigeo in zone di maggiore densità (che, come abbiamo detto, non è uniformemente distribuita), e accelerare così il rientro. L'incertezza su ρ??? (quella su ò è poco rilevante) e sull'assetto rendono assai dubbia, in generale, una stima di lifetime, che può risultare errata di uno o due ordini di grandezza. Ben diversa è invece la situazione quando, a lancio avvenuto, basandosi sul tracking orbitale, è possibile misurare il "decadimento" (decay) orbitale; le previsioni diventano allora assai più sicure.
Un'altra causa di perturbazione orbitale è rappresentata dalla cosiddetta "pressione di radiazione". Quando un fotone solare incontra il s. a. ed è riflesso o assorbito, si verifica una variazione di quantità di moto del s. stesso estremamente piccola (la pressione corrispondente è 9,2•10-6 N/m2 a livello terrestre) ma, a lungo andare, significativa. La radiazione può investire il s. a. in direzione della velocità o in direzione opposta (a seconda della posizione dell'orbita rispetto al Sole) e, quindi, comunicargli o sottrargli energia cinetica. Comunque, per grandi valori di B, che domina anche questo fenomeno, si sono rilevati innalzamenti o abbassamenti del perigeo anche di centinaia di chilometri.
Per quanto riguarda gli effetti relativistici va ricordato che in confronto ai risultati della meccanica classica, quella relativistica prevede una rotazione continua degli assi orbitali: l'avanzamento del perigeo, in secondi di arco, è, per orbita, ΔP = 1,73•10-12/[a(i −e2)], con a in km, ed è così spaventosamente piccolo che non può essere utilizzato nemmeno per verificare le teorie relativistiche. L'effetto cresce con l'eccentricità, sebbene per e vicino a 1 la formula data non sia valida (si avrebbe il risultato assurdo lim ΔP = ∞).
Manovre orbitali. - Per vari motivi può essere necessario modificare l'orbita di un s. a. in uno o più dei suoi parametri. Il mezzo di solito utilizzato è un sistema di propulsione che fornisce una spinta S(t); questa ha in generale carattere impulsivo, e provoca una variazione di velocità Δv = S(t)•Δt/m. La scelta giudiziosa del numero e degl'istanti di applicazione degl'impulsi può ridurre notevolmente il consumo energetico che rappresenta di solito un notevole aggravio: si dà così luogo a un programma ottimo di spinta.
Dal punto di vista analitico il problema può essere impostato sulla base della [101 quando s'identifichino le componenti non nulle di ΦD con quelle dì S, e si tenga conto della
dove c è il consumo specifico. Sia ora E1 l'orbita iniziale, di parametri P1; E11 l'orbita da acquisire, di parametri P11, ed ET l'orbita di trasferimento. Bisogna allora scegliere il programma S(t), il tempo iniziale t1 e il tempo finale t11 in modo che: a) lungo ET valgano le [10] e [15]; b) al tempo t1 e t11, posizione e velocità su ET corrispondano ai parametri P1 e P11 rispettivamente; c) risulti minimo il consumo, ossia risulti m(t11) = max. Si tratta di un classico problema di Mayer, per di più a variabili di controllo limitate, recentemente trattato da L. S. Pontryagin. Comunque è sempre necessario verificare che le complicazioni indotte dal sisterna di controllo della spinta non costituiscano un aggravio, anziché un miglioramento. Per questo la tecnica a impulsi è pressoché l'unica praticamente usata.
Anche in questo caso è peraltro evidente come, prefissando alcuni dei parametri degl'impulsi (come, per es., il loro numero e l'istante di applicazione), la scelta è sempre più ridotta mentre aumentano la semplicità di funzionamento, l'affidabilità e la leggerezza del sistema.
Con un impulso, applicato in una posizione prefissata e giacente nel piano di E1 (che dipende quindi da due parametri, le componenti dell'impulso), si possono modificare due soli parametri della conica: gli altri due del piano orbitale restano fissati. In questo caso, la ET può considerarsi "concentrata" nell'impulso. Volendo invece modificarli tutti e quattro occorrono almeno due impulsi. Così, per es., se si vuole passare a una nuova eccentricità e11 e a un nuovo semiasse a11, avendosi dalle equazioni kepleriane
si determinano i valori dell'intensità v11 e dell'angolo β11 della nuova velocità v11 (fig. 4). Poiché la velocità iJI è nota, l'impulso da applicare è Δv = v11 − v1. Non si può invece fissare la posizione del nuovo perigeo, P11; infatti, avendosi, sempre da relazioni valide sulla conica kepleriana, ν/rv²11 = cos2β11 − sen β11 cos β11/tan θ11 è chiaro che risulta fissata la θ11 del punto di iniezione S, e quindi P11.
Un esempio tipico si ha nella manovra d'inserzione in orbita di un s. a. per telecomunicazioni, che dev'essere sincrono, e ha quindi una quota di 35.863 km. Il s. a. viene dapprima lanciato su un'orbita di parcheggio (hp ≈ 200 km) e la circolarizzazione avviene all'apogeo (r = a11): la prima della [16] fornisce rv²11/ν =1, e la seconda, facendovi e11 = 0, dà β11 = 0. La manovra è descritta in fig. 5. La variazione di perigeo è, in questo caso, inessenziale.
Per variare il piano orbitale è necessario un impulso normale al piano dell'orbita stessa. Se la velocità del s. a. è v e resta invariata dopo l'impulso (fig. 7), il valore di quest'ultimo è Δv = 2v sen (Δi/2). Anche qui vale l'osservazione che la nuova orbita resta completamente determinata, e che solo altri impulsi potrebbero modificarla. L'espressione precedente mostra comunque che si ha interesse a modificare il piano dove v è minimo, cioè all'apogeo; in tal caso, però, bisogna che il nodo coincida con l'apogeo stesso: altrimenti, ancora una volta, l'argomento del perigeo non è controllato, e un'ulteriore manovra è necessaria per ricondurlo nella posizione voluta.
Si consideri, per es., l'ellisse che ha perigeo 200 km, apogeo sincrono. Al perigeo si ha vP = 10,24 km/sec; all'apogeo vA = 1,59 km/sec: per ogni grado di elevazione l'impulso necessario all'apogeo è di 28 m/sec contro i 180 m/sec del perigeo. Nel lancio effettuato da Cape Kennedy è necessaria una rotazione di 28°5′ (latitudine del punto di lancio) che, grazie alla coincidenza del nodo, può essere fatta simultaneamente all'acquisizione dell'orbita circolare; v1 = 1,59 km/sec; v11 = 3,07 km/sec e dalla composizione delle velocità si ottiene Δv = 1,84 km/sec.
Effettuando invece i due impulsi separatamente, la manovra di cambiamento del piano dà Δv1 = 0,78 km/sec, mentre la circolarizzazione richiede Δv2 = 1,48 km/sec. Quindi Δv0 = Δv1 + Δv2 = 2,26 km/sec, che supera del 23% l'impulso singolo.
Con l'espressione rendezvous orbitale viene indicata la manovra che consiste nel portare un s. a. all'aggancio (docking) con un altro satellite. Condizione necessaria per il successo è che, al momento del docking, i valori della posizione e della velocità dei due veicoli siano uguali: se solo la prima condizione è verificata, si ha il caso dell'intercettore. La manovra va fatta in modo tale che il consumo energetico associato sia il minimo possibile; per questo il rendezvous si effettua di solito lanciando l'inseguitore su un'orbita di parcheggio quasi complanare a quelle del bersaglio, e determinando un'orbita di trasferimento pressoché piana.
Per il bersaglio, fig. 6, la [3] si scrive (trascurando le perturbazioni)
Per l'inseguitore si ha:
in quanto è necessario considerare la presenza della forza di manovra FM. Introducendo il vettore distanza r = r2 − r1, ritenendo la distanza stessa piccola del 1° ordine rispetto alle dimensioni orbitali e proiettando sugli assi del piano dell'orbita del bersaglio indicati in fig. 6, si ottengono le equazioni di Hord:
dove ω0 è il moto medio del bersaglio, e ax, ay, az sono le componenti dell'accelerazione di manovra sui tre assi. Come si vede, gli effetti gravitazionali tendono a "chiudere" la separazione in x e y.
Nel caso generale si ha:
Poiché il vettore r1(t) è noto, il problema si formula, in generale, nel modo seguente: determinare la legge FM(t), le condizioni iniziali r0, r???0 e la durata complessiva T della manovra in modo che si abbia r(T) = r???(T) = 0 e ∫T0 ∥ FM ∥ dt = min. La prima condizione è quella di aggancio, la seconda è quella di minimo dispendio energetico. Si tratta quindi, ancora, di un classico problema di ottimo, e ancora a variabili di controllo limitate.
Poiché i due piani orbitali non sempre coincidono, se si vogliono usare tecniche impulsive è conveniente una manovra che converta il piano orbitale e fornisca il corrispondente incremento di velocità nel piano. Un esempio tipico è rappresentato in fig. 7, dove, effettuando la manovra nel punto I d'intersezione delle due orbite, fig. 6, si varia il piano dell'orbita di un angolo tale che la coincidenza avvenga nel secondo punto d'intersezione, dove un secondo impulso riporta la velocità al valore appropriato perché, da quel momento in poi, le due orbite coincidano.
Naturalmente, in pratica, le operazioni di "chiusura finale" richiedono l'uso di apparecchiature di rilevamento assai precise e complicate (con controllo da parte di calcolatori elettronici) che tengono conto anche degl'inevitabili errori di misura.
Controllo d'assetto. - Il s. a., per gli scopi a cui è destinato, deve, nella grande maggioranza dei casi, mantenere un orientamento fisso o, comunque, programmato, rispetto a un sistema assegnato. Tale sistema inerziale è in generale solidale alla Terra non rotante, o, più di frequente, è quello intrinseco, solidale con il s., costituito dalla verticale locale, dal meridiano locale e dalla direzione normale a entrambi. Tale terna non è in realtà inerziale, perché si sposta col s., ma la velocità angolare del moto relativo è assolutamente trascurabile, in generale, rispetto alla velocità del s. a. intorno al suo baricentro. L'assetto del s. a. rispetto a una terna comunque scelta è definito dagli angoli di Eulero per i quali adottiamo la convenzione di fig. 8, dove (XYZ) è la terna inerziale, mentre (xyz) è quella degli assi-corpo, supposta (benché ciò non sarebbe affatto necessario) coincidente con la terna principale centrale del satellite. La velocità angolare R del s. a. ha componenti (rx, ry, rz) rispetto alla terna-corpo che sono legati agli angoli di Eulero dalla relazione
Può essere talvolta necessario considerare il caso di piccoli spostamenti angolari rispetto alla terna inerziale; in questo caso si definiscono le rotazioni αx (rollio), αy (beccheggio), αz (imbardata), fig. 9, legate agli angoli di Eulero e alle componenti di R. In questo caso, evidentemente, l'ordine degli assi (x y z) è inessenziale, a differenza del caso di rotazioni finite.
La considerazione degli angoli di Eulero e delle velocità angolari è della massima importanza in giromeccanica. Com'è noto, se Jx, Jy, Jz, sono i tre momenti principali del corpo a cui sono applicate coppie Cx, Cy, Cz, si ha:
e analoghe sugli altri assi. Le [17] e [18], unitamente alla conoscenza della dipendenza delle coppie dai parametri del moto, consentono la risoluzione completa del problema giromeccanico.
Elementi costitutivi. - La fig. 10 indica, in forma del tutto generale, lo schema di un sistema di controllo di assetto.
Il s. a. è soggetto a coppie di disturbo e alle coppie di controllo; il risultato è l'assetto del s. a., che viene rilevato dai sensori di assetto e confrontato coi valori desiderati. Da questo confronto nascono le coppie di controllo che sono prodotte dagli attuatori: se tali coppie sono generate da appositi dispositivi incorporati nel s. a. si ha il controllo attivo (getti di gas, ruote di reazione, ecc.); se invece esse derivano da fattori esterni, si ha il controllo passivo (stabilizzazione a spin, gradiente di gravità, ecc.). In ogni caso è necessario esaminare le caratteristiche di stabilità e di risposta del sistema.
Sensori di assetto. - L'informazione che essi forniscono è costituita dal valore di due angoli rispetto a una direzione prefissata (per es., la verticale locale). Quindi un solo sensore non è in generale sufficiente per una determinazione dell'assetto. In alcuni casi, peraltro, è possibile eliminare questo inconveniente, poiché è lo stesso sistema di controllo che fa da rivelatore per il terzo angolo, a causa dell'accoppiamento dinamico (tecnica di gyrocompassing).
Sensori terrestri. - Sono basati quasi esclusivamente sulla misurazione delle radiazioni infrarosse, poiché debbono funzionare anche quando la Terra non è illuminata dal Sole. Un tipo di sistema "perlustra" (scanning) il disco terrestre sottostante mediante un raggio per ciascuno dei due semidischi (fig. 11). Vi è poi un sistema ottico costituito, per ciascun asse, da uno specchio oscillante, un telescopio e due rivelatori (che sono il vero e proprio elemento sensibile); l'intensità i in uscita subisce una brusca variazione nei punti dell'orizzonte, indicati con A, B, C, D, in cui si lascia o si entra nel campo visivo della Terra. L'assetto è determinato dal confronto tra il tempo di passaggio del raggio da un punto dell'orizzonte a una linea centrale di riferimento, o viceversa, e questo per ciascuno dei due raggi.
I quattro tempi dovrebbero essere uguali in condizioni nominali. Dal confronto delle loro differenze e rapporti è possibile ricavare gli spostamenti del centro del campo visivo, e quindi gli angoli di assetto.
In un altro sistema (radiation balance), l'elemento rivelatore è una termocoppia. Il rivelatore ha il campo visivo tangente al disco terrestre in condizioni nominali (fig. 12). La deviazione della verticale provoca l'invasione parziale del campo terrestre; un sistema di asservimento collegato a uno specchio (libero su due assi) riporta il campo visivo in condizioni nominali. L'assetto richiesto è funzione univoca dei due angoli di rotazione e da essi si determina.
Sensori solari. - Nel tipo analogico una fotocella al silicio fornisce una corrente proporzionale all'intensità d'illuminazione, cioè a cos α (fig. 13). Il confronto opportuno di due (o più) coppie di uscita permette la determinazione dell'assetto.
Nel tipo digitale, si ha una fessura che illumina a sua volta una serie di fessure a codice binario; dietro ogni fessura vi è una fotocella al silicio che dà un segnale (0; 1) a seconda che sia o no colpita dalla luce. La combinazione delle informazioni ottenute dà il valore numerico (binario) dell'angolo di assetto.
Sensori stellari (star trackers). - Osservano il moto apparente di alcune stelle, come Canopus (scarsamente usato per s. sincroni, perché troppo basso sull'equatore), e la stella polare. A causa della debole intensità d'illuminazione, sono assai complessi e ingombranti.
Sensori giroscopici. - Sono basati sullo stesso principio del giroscopio. Per alcuni tipi di controllo (come quello a ruote d'inerzia) lo stesso sistema fa da sensore.
Sistemi di controllo attivi. - Possono essere realizzati mediante getti o applicando il principio di trasferimento di quantità di moto. In linea di principio, il modo più semplice per fornire coppie di controllo è produrre una spinta eccentrica per mezzo di un getto di gas; ovviamente il tipo più completo deve comprendere tre sistemi, ciascuno relativo a un asse.
I generatori di spinta d'impiego pratico possono essere di tipo chimico (e in tal caso l'aggravio di combustibile necessario può rivestire carattere critico), o di tipo elettrico; in questo secondo caso si accelerano cariche positive (ioni) o una combinazione neutra di particelle cariche (plasma) attraverso un campo elettrico, o magnetico, rispettivamente. Con questo sistema la velocità di effusso non è legata all'energia disponibile nel propellente, come nel caso chimico (v. spazio, esplorazione dello, in questa Appendice).
I sistemi in esame sono del tipo on-off. La caratteristica operativa di fig. 14A è troppo onerosa, perché corrisponderebbe a motore ausiliario perennemente in funzione; invece è preferibile il sistema schematizzato in fig. 14B.
Consideriamo un s. mobile solo intorno a un asse, trascurando gli accoppiamenti giroscopici con gli altri due, e sia α l'angolo di rotazione. Se si vuole mantenere l'assetto α = 0, e si genera un qualunque squilibrio, il segnale di errore vale u = − α − Kα???, dove K è il guadagno dell'amplificatore di segnale. Allora, l'attuatore opera quando ∣ u ∣ ≥ δ1, se la spinta (di valore costante τ = τc) dev'essere attivata, e cessa al "ritorno", per ∣ u ∣ = δ2. Si ha δ1 > δ2 (fig. 14b). Nel piano (α, r), con α??? = r, le zone in cui la spinta è attiva sono delimitate da rette aventi −K come coefficiente angolare (fig. 15)..
Supponendo di partire dal punto P0(α0, r0) nella zona morta della caratteristica, si ha il tratto P0P1 in cui τ = 0, e quindi r = r0; α = α0 + tr0; α quindi cresce fino al punto P1 in cui il controllo comincia ad agire. La traiettoria, seguita da P1 in poi, è una parabola del tipo (r2 − r²0)/2 = (τ0/J)(α − α1) dove α1 è relativo a P1, ed è quindi tale che α1 + Kr0 = δ1. La parabola termina in P2, dove il segnale di errore è uguale al valore minimo δ1; si segue poi la retta orizzontale P2P3, poi la parabola P3P4, ecc. Il risultato è in generale la tendenza asintotica a una curva chiusa, che rappresenta una soluzione periodica isolata (ciclo limite) e che viene raggiunta indipendentemente dalle condizioni iniziali. In altre parole, col sistema di controllo descritto, non si giunge ad annullare completamente l'ampiezza di r e α, ma si ha un regime oscillatorio o persistente che si smorza assai lentamente. È necessario calcolare ampiezza e frequenza del ciclo limite con metodi che non è qui il caso di discutere. Limitandoci ai risultati, va ricordato che l'ampiezza è pari a
e il periodo vale
È assai importante anche la considerazione del duty cycle, ossia della percentuale di periodo in cui la spinta è attiva, poiché esiste un tempo minimo, tm, al disotto del quale il funzionamento non è affidabile. Si trova che il duty cycle ha espressione
e valori accettabili sono dell'ordine di 2 ÷ 3 • 10-4.
Sistemi di controllo di questo tipo sono stati impiegati nel LEM (Lunar Excursion Modulus), dove era previsto di non effettuare la manovra per ampiezze superiori a 2°.
Nei sistemi a trasferimento di quantità di moto il momento di quantità di moto provocato dalla coppia di disturbo viene ridistribuito ai vari sottosistemi per mezzo di opportune coppie di controllo generate da motori elettrici.
Allo scopo d'illustrare il problema, consideriamo il caso semplicissimo di un s. a. che possa muoversi solo intorno a un asse fisso, con angolo α. La "ruota di reazione" R è il rotore di un motore elettrico, che ha velocità angolare Ω rispetto al veicolo a cui lo statore è solidale. Indicando con τD la coppia di disturbo, con τC la coppia di controllo, e posto α??? = r, si ha per il veicolo l'equazione
Per la ruota:
La coppia τC, per un motore a corrente continua, vale:
dove Va, Ra, sono tensione e resistenza di armatura, if è la corrente di eccitazione, K la costante elettromagnetica del motore. Combinando le tre precedenti equazioni, si ha:
equazione del primo ordine che ha un transitorio smorzato, e una soluzione di regime:
Il prodotto JRΩ0 è il momento di quantità di moto "sottratto" al veicolo, che tende quindi ad arrestarsi. È necessario disporre di opportuni organi di "desaturazione" per impedire che divenga intollerabilmente elevato.
Sistemi passivi. - La stabilizzazione a "spin" si ottiene imprimendo al s. a. una rotazione Ω intorno a uno degli assi principali d'inerzia, di solito prima che abbia lasciato l'ultimo stadio del suo vettore. È un sistema oggi sempre meno usato, perché il s. a. ne risulta fortemente condizionato nel suo progetto e nella sua applicazione, anche se si riesce a ottenere una stabilità intrinseca.
Supponendo che l'asse di rotazione sia, per es., l'asse x, si ha la soluzione rx = Ω; ry = rz = 0. Per esaminare la stabilità, linearizziamo intorno a tale soluzione la [18] indicando con un apice le variazioni, piccole del 1° ordine. Otteniamo così:
da cui
Quindi, per la stabilità, dovendo essere positivo il coefficiente di rz, l'asse di rotazione dev'essere o quello di massimo o quello di minimo momento d'inerzia. Poiché, peraltro, l'energia cinetica T = Q2/2J (con Q momento della quantità di moto, certamente costante) subisce inevitabili dissipazioni, se ne deduce che l'unico asse stabile è quello per cui T è minimo, ossia l'asse di massimo J intorno a cui i s. sono effettivamente fatti ruotare.
Le coppie di disturbo possono far causare un moto di precessione, perciò sono necessarie correzioni periodiche da fare, per es., mediante piccoli getti; a causa della durata finita dì tali interventi, e per il fatto che il s. ruota, la manovra avviene durante un angolo ΔΦ; perciò l'efficacia dell'impulso è ridotta (fig. 16) nel rapporto sen (ΔΦ/2)/(ΔΦ/2).
È evidente che la stabilizzazione a spin pregiudica l'impiego di sensori e apparecchi orientati secondo una direzione fissa; per questo è stato di recente sviluppato il sistema dual-spinner, in cui un grosso rotore è accoppiato a una piattaforma che punta, per es., verso la Terra (Intelsat IV).
La stabilizzazione a gradiente di gravità sfrutta il fatto che la forza di gravitazione varia con la quota; di conseguenza si manifesta una coppia gravitazionale, che esiste anche a terra, dove, peraltro è "schiacciata" dalle altre in gioco.
Si consideri il s. a. di fig. 17, e si indichi con P il centro di un suo elemento di massa dμ; la gravità in P vale
e quindi la coppia gravitazionale è fornita da CG = ∫ g ⋀ GP dμ. Ponendo OG = R0; GP = ρ, e trascurando i termini dell'ordine di (ρ/Ra)2 in confronto a 1, si trova che la coppia gravitazionale, per es., intorno all'asse x, vale (3ν/R50)(Jz − Jy) RyRz, essendo Rx, Ry, Rz, le tre componenti di OG secondo i tre assi principali d'inerzia del satellite. Per es. (fig. 18), per un s. a. a forma di asta, di momento d'inerzia J intorno a y, si ha una coppia normale al piano del disegno di valore (3ν/R³0) J sen α cos α. Se α è prossimo a zero, tale coppia vale = (3ν/R³0) α e ha carattere stabilizzante: se invece α è prossimo a π/2, l'effetto è instabilizzante.
Altri problemi dei satelliti artificiali. - Comunicazioni. - Qualunque tipo di s. a. deve trasmettere a terra informazioni, la cui natura varia ovviamente con la missione da compiere, ma in cui possono rilevarsi caratteristiche comuni. Le informazioni raccolte vengono anzitutto discretizzate, cioè lette a intervalli regolari: la quantità d'informazione H è collegata alla larghezza di banda B del canale di comunicazione della relazione H =.B ln (1 + S/N) dove S/N è il rapporto segnale/disturbo. Caratteristiche fondamentali del sistema scelto debbono essere: a) la possibilità di decodificare il segnale, ossia d'indirizzarlo al sottosistema specifico; b) la ridondanza del segnale che nasce dalle difficili condizioni in cui la trasmissione si svolge; tale caratteristica si estrinseca in alcuni controlli come "il complemento" (a ogni cifra binaria, 0,1, il sistema di controllo aggiunge 1,0; se il risultato non è una sequenza di 1, la trasmissione non è valida) e il "controllo di parità" (a ogni "parola" trasmessa è affisso il segnale 1 se vi è un numero dispari di 1 nella parola stessa, il segnale o in caso contrario: un parity bit non corretto indica la perdita di un numero dispari di bit, e l'evento più probabile è la perdita di un singolo bit). La grandissima quantità di dati, unita all'accennata ridondanza, può rendere critico il problema della telemetria orbitale. Per questo si usano i concetti di "selezione" e di "compressione" di dati. Secondo il primo concetto, se i dati trasmessi tendono a una certa uniformità, la velocità di trasmissione può essere ridotta (o aumentata, in caso contrario). La "compressione" indica invece l'eliminazione di dati superflui; così, per es., dovendo trasmettere in sequenza 50 dati di 8 bit, con tutte parole uguali, basta trasmettere la cifra 50 seguita dalla lettura costante, naturalmente con un codice appropriato. Questo problema è tanto più sentito in s. che, per vari motivi (per es., quelli di risorse terrestri), debbono registrare, con registratori veri e propri, dati su certe zone per poi ritrasmetterle alle stazioni di telemetria.
I sistemi di telemetria si differenziano a seconda del metodo di modulazione e sono indicati mediante sigle generalmente doppie: la prima parte si riferisce alla portante, la seconda alle eventuali sottoportanti (per es., AM/AM). La loro scelta è caratterizzata dall'efficienza e complessità, che variano in senso inverso; assai importante è pure il consumo di energia che può assumere carattere proibitivo per alcuni di essi (v. tabella).
La tendenza attuale è verso i sistemi digitali, pressoché esenti da rumore.
Generazione di energia. - In generale, la potenza totale richiesta dagl'impianti di bordo è assai limitata. L'energia è necessaria per il funzionamento degli apparecchi scientifici, dei sistemi di controllo e di rilevamento dei dati, ecc. Il Sole è la sorgente di energia più attraente e più facilmente disponibile; i tentativi fatti per l'installazione, per es., di radioisotopi sono da considerarsi falliti. Le batterie secondarie, ossia caricate per mezzo di energia solare sullo stesso s. a. hanno a tutt'oggi una discreta applicazione, e hanno funzione di serbatoio a causa della variabilità dell'illuminazione del Sole. Invece le batterie primarie vengono impiegate solo nei s. a. a vita corta.
Di tutti i sistemi capaci di assorbire energia, solo le celle solari hanno raggiunto lo stadio operativo. La disposizione tipica delle celle solari può essere del tipo aderente o a paletta. Tenuto presente che, in base alla legge di Lambert, la quantità di energia ricevuta varia come il coseno dell'angolo d'inclinazione, e che le celle non illuminate sono circuiti aperti, nel tipo aderente è necessario che le celle siano disposte a gruppi complanari, il che spiega la forma poliedrica. Nel tipo a paletta, oggi più diffuso, la tecnologia ha raggiunto uno stadio assai avanzato. Si è in grado di produrre pannelli solari sottilissimi, con spessori fino a 0,06 mm, e pesi dell'ordine di i kg/m2. Per questo nascono gravi problemi strutturali che impongono la costruzione indicata schematicamente in fig. 19; il telaio AA1 BB1 tende in AB il sottilissimo pannello solare, ì cui bordi CC1 DD1 debbono essere liberi, allo scopo di evitare pericolose tensionì termoelastiche. La loro grande flessibilità può portare diíficoltà nel controllo del s. artificiale. I sistemi a energia solare non funzionano, evidentemente, in condizioni di eclissi. Il tempo d'insolazione dipende dal tipo di orbita; così, per es., i s. equatoriali hanno un tempo percentuale che cresce con l'altezza dell'orbita stessa.
Problemi termici. - L'energia incidente del Sole e la generazione di energia a bordo rendono il s. a. sede di complessi fenomeni di scambio di calore che vanno accuratamente controllati per impedire che le strumentazioni, gli elementi di controllo, gli apparecchi di rilevamento subiscano temperature troppo alte o troppo basse, che ne comprometterebbero il funzionamento. Lo scambio tra le varie parti del s. avviene per conduzione e/o per irraggiamento. È naturalmente necessario tener conto della variazione delle condizioni d'illuminazione per formulare un modello matematico del problema.
I sistemi di controllo adoperati agiscono sul rapporto assorbività / emissività superficiale, da cui dipendono le temperature raggiunte. Questo si ottiene coprendo le superfici esterne di opportune vernici protettive, o di altre sostanze come vetro sottile, quarzo, zaffiro artificiale.
Finestre di lancio. - Con questo termine s'indica l'intervallo di tempo, nell'arco di un giorno solare, in cui è possibile il lancio di un s. a. assegnato. Le cause che concorrono a delimitarle sono le più svariate; esse sono in relazione all'orbita da raggiungere e alla missione da compiere. Anche i problemi d'indole termica possono condurre a finestre di lancio limitate. Così, per es., un s. stabilizzato a spin (che mantiene inalterata la direzione del suo asse) forma col Sole un angolo pressoché invariabile nel tempo, che dipende dall'ora d'iniezione in orbita, a causa della rotazione terrestre. Poiché la temperatura varia con l'angolo in parola, si riconosce la necessità di limitare le ore del lancio.
Strutture. - Non esiste, ovviamente, un tipo strutturale unico, a causa della grande varietà di tipi. In generale peraltro si hanno esigenze di leggerezza e rigidezza strutturale. Tra le strutture impiegate si hanno quelle del tipo sandwich, soprattutto nelle parti interne del s. a., e i materiali compositi, formati da una matrice plastica in cui sono immersi filamenti di vetro, boro, carbonio, che sono dotati di elevata resistenza strutturale (fino a valori prossimi all'acciaio). Per questi materiali è assai importante la verifica delle condizioni di "degassaggio", ossia della perdita di gas contenuto nella struttura per effetto delle condizioni di vuoto orbitale; tale effetto può infatti modificare i parametri strutturali e termici.
Tracking dei satelliti artificiali. - La parola inglese tracking significa "inseguimento", e con tale denominazione s'indica l'insieme delle tecniche che permettono di ricavare informazioni sulla navigazione del s. a. con mezzi prevalentemente di terra.
Il tracking serve in modo particolare alla determinazione dell'orbita del s. a., e, in questo contesto, esso può essere definito come l'operazione inversa della ricerca delle effemeridi.
In linea puramente teorica, sei informazioni indipendenti sarebbero sufficienti per determinare l'orbita, che, come si è visto precedentemente, dipende appunto da sei parametri. In pratica, per tener conto degl'inevitabili errori di misura (analoghi, in parte, a quelli visti per la telemetria), le informazioni sono in numero assai maggiore, e vengono elaborate in grossi calcolatori elettronici con tecniche del tipo di quella dei minimi quadrati. Molto importante è la ricerca delle variazioni dei parametri orbitali, e della loro proiezione nel futuro. Tali determinazioni vengono fatte in modo da coprire l'arco di circa una settimana, e hanno lo scopo di permettere un più sicuro e migliore uso dei dati trasmessi (per es., informandone tempestivamente le stazioni di telemetria).
Le informazioni di tracking sono angolari o di distanza.
a) Tracking interferometrico. Con questo metodo si hanno a terra due antenne O1O2 a distanza L (fig. 20); se l'inclinazione del s. è α, si ha O2P = L cos α: se inoltre la lunghezza d'onda del fronte è λ, lo sfasamento tra i due segnali è Φ = 2πO2P/λ; quindi, misurando Φ, si ha α = cos-1 (λΦ/2πL). Misurando α su due direzioni ortogonali, si ha la posizione del satellite. Questo sistema è stato largamente impiegato in passato per orbite basse; è completamente inattivo per s. che non trasmettono.
b) Tracking a effetto Doppler. Sia ρ la distanza del s. a. dall'osservatore O, fig. 21. In base all'effetto Doppler si ha una variazione di frequenza Δf = f0 ρ???/c dove f0 è la frequenza di trasmissione, c è la velocità della luce. Se VS è la velocità del s. a. si ha ρ??? = VS sen α, e quindi Δf = (f0VS/c) sen α; con semplici operazioni si ha (Δf???)max = f0VS2/cρ0, e quindi, osservando il massimo valore della derivata dello spostamento di frequenza, si ha ρ, e, naturalmente, anche ρ??? (range/range rate). Se invece non si effettua l'accennata ricerca del massimo, si ha il solo range rate.
c) Tracking ottico. È un metodo di estrema precisione, peraltro valido solo per s. illuminati dal Sole, e solo in tempo chiaro all'alba o al tramonto, perché è necessario esaminarne il moto contro lo sfondo delle stelle fisse. Le macchine fotografiche sono di eccezionale sofisticazione (Baker-Nunn cameras).
d) Tracking con illuminazione artificiale. Si ottiene illuminando un s. a. con un raggio radar o laser e innescando un trasponditore di bordo; si possono aggiungere dati di range/range rate alle misure angolari.
Campi d'impiego dei satelliti. - Satelliti per telecomunicazioni. - I vantaggi che possono ottenersi utilizzando un s. a. come collegamento tra due stazioni a visibilità indiretta sono ben noti e non verranno qui ripetuti. Basti accennare al fatto che il s. a. per telecomunicazioni è pressoché l'unica soluzione quando si abbia un sistema a larga banda, in quanto: a) la riflessione ionosferica non offre le caratteristiche dì stabilità necessaria; b) i sistemi a microonde necessitano di ripetitori intermedi, la cui impossibilità di realizzazione è evidente, per es., per collegamenti transoceanici.
Dal punto di vista tecnologico s'impiegano oggi frequenze dell'ordine di 11 ÷ 14 GHz. In queste condizioni risulta evidente la necessità di un'elevata precisione di puntamento che per le antenne è di circa 0,05°. Questo impone grande attenzione nel progetto del sistema di controllo d'assetto, ed è certamente uno dei più grossi problemi dei s. di questa classe.
I s. per telecomunicazioni sono posti su orbita sincrona (35.863 km di quota). Prendiamo in esame la tecnica dell'Intelsat IV del peso di 1500 kg. Il s. montato sull'Atlas-Centauro viene posto in un'orbita di parcheggio di 185 per 644 km; viene poi acceso l'ultimo stadio del Centauro, che porta il s. all'apogeo di 35.863 km. L'orbita sincrona finale si ottiene mediante l'impulso del motore di apogeo (5670 kg per 34 secondi). Il processo fine di posizionamento sulla verticale del prefissato punto della Terra viene ottenuto con un controllo a getti, e può durare fino a due mesi; inoltre una regolazione di assetto può essere necessaria per allineare le celle solari (aderenti al corpo del satellite). Citiamo alcuni tra i più importanti s. per telecomunicazioni finora lanciati: a) quelli della serie Intelsat; l'ultimo, l'Intelsat IV A, è basato sulla configurazione dual spinner che appare una soluzione adeguata essendo necessaria un'elevata stabilità di assetto solo per una parte del satellite. Caratteristica fondamentale della serie Intelsat è la grande capacità (fino a 11.000 canali simultanei telefonici e 12 canali televisivi a colori) realizzata mediante la tecnica dello spot light, raggio di piccola apertura (4,5°) a estrema concentrazione di energia, spostabile a piacere mediante un sistema di controllo assai sofisticato; b) Il s. Symphonie, nato da un programma di cooperazione tra Francia e Rep. Fed. di Germania, lanciato nel dicembre 1974, ha la posizione geostazionaria sull'Atlantico (11,9°W di longitudine), e ha due raggi che coprono due zone di 13,8° ciascuna: la prima copre Europa, Africa orientale e settentrionale, la seconda, parte del continente americano. Si ha una capacità di traffico di 600 canali simultanei. Il peso del s. è di 240 kg.
Satelliti per risorse terrestri. - La base concettuale di tali s. a. è nel fatto che tutti gli oggetti, viventi o no, trasmettono o riflettono radiazione visibile o invisibile, e così hanno la loro "firma". L'energia proveniente dal Sole e trattata dai singoli oggetti, è convertita dagli l'osservatori" in segnali elettronici ripartiti in 4 bande prefissate (Erts I); le bande 1 e 2 sono nel campo visibile di 0,5 ÷ 0,6 e 0,6 ÷ 0,7 μm, mentre le 3 e 4 sono nell'invisibile infrarosso (0,7 ÷ 0,8 e 0,8 ÷ 1,1 μm). Questi segnali riflessi, trasformati in digitali, vengono trasmessi e rielaborati in fotografie a colori in "bianco e nero" e in "immagini a colore falso", proiettando i dati delle bande 3 e 4 mediante l'uso di filtri speciali. Il risultato sarà, per es., che il verde della banda 1 appare blu in banda 3; il rosso in banda 2 appare verde in banda 3, ecc. È dal confronto di questi risultati che si può ottenere la "firma" della sostanza osservata. Per es., l'acqua pura è nera in banda 3, mentre quella inquinata appare blu. La vegetazione appare rossa con brillanza dipendente, per es., dalla larghezza delle foglie, ciò che permette d'individuare il tipo di coltivazione; è possibile anche determinare lo "stato di salute" della distesa, e la sua evoluzione nel tempo mediante l'uso di foto ripetute.
I risultati ottenuti sono estremamente incoraggianti; vaste distese di rocce acquifere, finora sconosciute, sono state individuate in varie località degli SUA; nel Ghana l'osservazione della degradazione delle culture, collegata a invasioni di locuste, ha permesso una tempestiva corsa ai ripari; in Iran e Gran Bretagna, è stato possibile correggere alcuni dati geografici.
Il s. tipico di questa classe è l'Erts 1, l'orbita è 901 per 920 km, su 99° d'inclinazione. L'Erts, con le sue 14 orbite al giorno, può osservare ogni zona del globo, eccetto piccole zone polari. L'orbita è sincrona col Sole, e ogni 18 giorni l'Erts vede ciascun punto sempre alla stessa ora; è così possibile il confronto temporale cui si è già accennato.
Il s., del peso di 900 kg, è equipaggiato da due larghi pannelli solari e porta un radiometro multispettrale (per l'analisi di cui si è fatto cenno), una telecamera con tre tubi vidicon, un registratore video che immagazzina i dati rilevati e li trasmette a terra al passaggio sulle stazioni di telemetria. L'Erts A, lanciato nel 1973, ebbe un deterioramento del registratore dopo pochi mesi, per cui alcuni fotogrammi non furono eccellenti. Tuttavia, all'inizio del 1975, erano state prese più di 100.000 immagini.
Il Landsat 2 (Erts B) è stato lanciato nel 1975 con uno sfasamento orbitale di 180° rispetto all'Erts A; per cui il rilevamento di ciascuna zona avviene con frequenza doppia, cioè ogni 9 giorni.
Veicoli orbitali con equipaggio umano. - La futura attività spaziale sarà in parte dedicata al volo orbitale umano. Lo space shuttle (navetta spaziale) è attualmente in avanzato sviluppo: esso si compone del s. vero e proprio (orbiter), di un serbatoio esterno per il propellente necessario alla messa in orbita, e di due razzi a propellente solido. Il veicolo (salvo il serbatoio) è recuperabile e riusabile. Lo space shuttle avrà caratteristiche di atterraggio assai simili a quelle di un normale apparecchio di linea.
La capacità di carico pagante sull'orbiter è prevista per un totale di 30 t, compresi fino a dieci persone tra passeggeri ed equipaggio: la lunghezza delle sezioni di carico è di 18 m, mentre il veicolo ha una lunghezza complessiva di 50 m e l'apertura alare è di 24 m. Il peso previsto sarà di 2000 t al decollo, e di 25 t all'atterraggio.
Il sistema propulsivo è costituito da due razzi a propellente solido da 1200 t di spinta ciascuno; tre razzi a solido, ciascuno di 210 t, sono invece impiegati per le manovre di orbitazione, deorbitazione, rientro, atterraggio. La missione tipica ha la durata di 7 giorni, ma è previsto, in successive edizioni, un aumento fino a 30 giorni. Almeno 15 giorni d'intervallo sono necessari tra una missione e l'altra.
Gli scopi dello space shuttle (la cui orbita circolare è di 185 km) sono quelli di permettere un'esplorazione diretta e continua dello spazio circumterrestre. In particolare, è previsto il lancio di s. dalla cabina, e il successivo recupero di essi per mezzo delle note tecniche di rendezvous; in tal modo, oltre all'acquisizione di un gran numero di nuovi dati, i s. saranno riusabili. Grandi speranze sono anche riposte nelle applicazioni tecnologiche (così appare possibile lo sviluppo di tecniche speciali di saldatura, formazione di cristalli di grande lunghezza, lavorazioni di estrema precisione), fisiologiche e mediche, farmaceutiche, ecc., oltre che, naturalmente, nelle osservazioni scientifiche dirette.
Satelliti meteorologici. - L'uso di s. a. in meteorologia è basato sulla possibilità di effettuare riprese fotografiche della superficie terrestre e del movimento di masse di nubi rispetto a essa; da tale movimento, mediante l'uso di appositi modelli matematici, è possibile ottenere informazioni sull'evoluzione delle condizioni del tempo e, in definitiva, sulla sua previsione.
I s. meteorologici possono percorrere orbite sincrone con il movimento della Terra, o eliosincrone, tali cioè da permettere al s. a. di passare al di sopra di ciascun punto della Terra a un'ora locale fissa, in modo da osservare la zona sotto la medesima illuminazione solare, oppure orbite con periodi tali che la medesima zona venga sorvolata dal s. a. a intervalli fissi di 6, 12 o più ore. Si ottengono così sia osservazioni globali sull'intero emisfero illuminato dal Sole (particolarmente utili, per es., per gli oceani o per le calotte polari) sia osservazioni locali atte a essere correlate con le informazioni giornaliere fornite dalla rete di stazioni meteorologiche terrestri.
Il s. a. meteorologico è anche impiegato per rilievi scientifici diversi, quali la misurazione del bilancio energetico terrestre, cioè dell'energia irradiata dal Sole e assorbita dal sistema Terra-atmosfera e di quella irradiata da questo verso lo spazio. Oltre che osservazioni diurne, generalmente effettuate mediante camere televisive, il s. a. è in grado di distinguere anche di notte le coperture nuvolose per mezzo di dispositivi sensibili alle radiazioni infrarosse.
Appartengono a questa categoria i s. a. statunitensi della serie TIROS (Television Infra Red Observation Satellite) e Nimbus. Il primo s. della serie TIROS fu lanciato il 10 aprile 1960 su un'orbita di 692 per 140 km. Costituiti da prismi a 18 lati, con un'altezza di circa 65 cm e diametro di circa 125 cm, i s. TIROS dispongono di due telecamere grandangolari all'infrarosso per le misure del bilancio termico dell'atmosfera. Le fotografie vengono teletrasmesse dal s. a. a una serie di stazioni a terra (TIROS Operational Satellite), dove i dati vengono elaborati, interpretati e comunicati agli utenti (quali aerei e navi in navigazione). Simili, ma di più avanzata concezione, sono i s. a. della serie ESSA (Environmental Science Services Administration), le cui telecamere possono ricoprire un'estensione di 3200 km, con una risoluzione di 3,2 km al centro della fotografia. Per es., la grande apertura fra i ghiacci del Mare di Botnia, nella Scandinavia settentrionale, dovuta a venti orientali, è stata messa in evidenza la prima volta con le immagini fornite da questi satelliti. Dal 1970, essendo stata l'ESSA assorbita dalla NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), i s. a. di questa vengono identificati con la sigla NOAA.
Il s. a. NOAA 1 è stato lanciato l'11 dicembre 1970 su un'orbita di 1429 per 1472 km; il NOAA 4, il 15 novembre 1974. I s. NOAA rappresentano la seconda generazione di s. a. meteorologici, in grado di rilevare la copertura nuvolosa dell'intero globo sia di giorno sia di notte. La loro strumentazione consiste in due telecamere con registrazione su nastro, due camere a trasmissione diretta, un radiometro per la misurazione del bilancio energetico terrestre e un rilevatore dei brillamenti solari. Per la loro avanzata tecnologia i s. a. della serie NOAA prendono anche il nome di ITOS (Improved Tiros Operation Satellite) e i loro dati vengono ricevuti da 500 stazioni dislocate in 50 paesi. Oltre i quattro s. a. NOAA, sono stati lanciati dieci s. a. della serie TIROS, nove s. a. della serie ESSA e il s.a. ITOS 1.
I satelliti Nimbus, concepiti inizialmente come s. a. per previsioni meteorologiche, si sono successivamente arricchiti di sofisticate strumentazioni per osservazioni della Terra, tanto che da essi vanno derivati i s. a. della serie LANDSAT, specifici per la teleosservazione delle risorse terrestri. Il s. a. Nimbus 1 fu lanciato il 28 agosto 1964 su un'orbita polare di 932 per 422 km orientata perpendicolarmente all'eclittica in modo da contenere sempre la congiungente Sole-Terra: il s. a. passa così due volte al giorno su ogni punto della Terra, alle ore locali corrispondenti praticamente al mezzogiorno e alla mezzanotte. Il peso del Nimbus 1 era di 376 kg, ma già per il Nimbus 5 (lanciato nel dicembre 1972) era più che raddoppiato (768 kg) a causa del numero di sensori e di esperimenti imbarcati. I s. a. di questa serie non sono stati infatti impiegati solo per rilievi meteorologici e per la localizzazione degli uragani tropicali, ma grazie a un radiometro infrarosso ad alta risoluzione spettrale è stato possibile misurare la temperatura di laghi e di correnti oceaniche, identificare l'inquinamento termico delle acque, determinare la temperatura del terreno con un'accuratezza dell'ordine del grado.
Nell'ambito del programma meteorologico internazionale GARP (Global Atmospheric Research Programme) della World Weather Watch Organization, l'Agenzia Spaziale Europea ESA (European Space Agency), che è succeduta a ELDO e ESRO unificandone i programmi relativi, provvederà al lancio del satellite METEOSAT. Questo è un s. geostazionario, con diametro di 2,10 m, altezza di 1,45 m e peso di 300 kg. La sua funzione principale è quella di trasmettere immagini della Terra e della copertura nuvolare di giorno e di notte. Un radiometro verrà utilizzato per determinare la velocità dei venti e la temperatura superficiale del mare.
Satelliti scientifici. - I s. a. per. ricerche scientifiche sono i più numerosi, hanno forme e dimensioni le più varie a seconda degli esperimenti e della strumentazione imbarcati, percorrono le orbite più differenti in funzione della missione cui sono destinati.
Il compito iniziale di questi s. a. è stato essenzialmente quello d'indagare i diversi aspetti dello spazio circostante la Terra (studio delle radiazioni extraterrestri, della ionosfera, del campo magnetico, delle meteoriti, ecc.), allo scopo di consentire il volo umano nello spazio in condizioni di assoluta sicurezza. Col progredire della tecnologia spaziale, in particolare della strumentazione, l'area d'interesse di questi s. a. è andata sempre più accrescendosi, fino a comprendere le più sofisticate ricerche di sconosciuti corpi celesti non consentite dagli osservatori terrestri a causa della presenza dell'atmosfera.
Una delle principali serie di s. scientifici è quella dei s. a. Explorer lanciati dagli SUA, che per varietà di esperimenti e di ricerche effettuate può essere paragonata a quella dei s. a. sovietici Cosmos. Com'è noto, i dati rilevati dall'Explorer, assieme a quelli del successivo Explorer 3, portarono alla scoperta delle fasce di radiazioni che avvolgono il nostro pianeta, denominate fasce di Van Allen. I successivi s. a. Explorer sono stati impiegati per rilevare la propagazione delle radioonde nella ionosfera, il campo magnetico terrestre, la temperatura e la densità dell'alta atmosfera. Diversi s. a. Explorer sono impiegati per studiare il vento solare, i brillamenti solari, i campi magnetici extraterrestri, le sorgenti di raggi gamma e di raggi X nello spazio interplanetario: questi s. a. vengono, più specificamente, inquadrati fra i s. astronomici della serie IMP (Interplanetary Monitoring Platform). Alcuni Explorer (42, 48, 53) sono stati lanciati con il razzo Scout dalla piattaforma equatoriale italiana san Marco.
Un'altra importante serie di s. scientifici è quella americana che comprende i s. a. OGO (Orbiting Geophysical Observatory) lanciati su un'orbita circolare, EGO (Eccentric orbiting Geophysical Observatory) con orbita eccentrica e POGO (Polar Orbiting Geophysical Observatory) con orbita polare. In questo modo viene raccolto il maggior numero di dati possibili relativi a composizione dell'atmosfera, temperatura e densità della ionosfera, campo geomagnetico, radiazioni cosmiche, vento solare, radiazioni ultr aviolette.
I s. astronomici propriamente detti consentono di portare fuori dell'atmosfera terrestre strumenti per la spettroscopia stellare nel campo dei raggi X e gamma e per l'osservazione dei corpi del sistema solare a distanza ravvicinata. A questa categoria di s. a. appartiene la serie dei s. OAO (Orbiting Astronomical Observatory); per es., l'OAO-6, lanciato il 21 agosto 1972 su un'orbita 748 per 740 km, del peso di 2220 kg, ha portato il più pesante carico utile scientifico lanciato dagli SUA, costituito da un telescopio nell'ultravioletto capace di distinguere un oggetto di poche decine di cm a più di 600 km di distanza.
Una menzione particolare si deve ai s. scientifici lanciati dalla disciolta organizzazione spaziale europea ESRO (European Space Research Organization), la cui attività, come si è detto, è proseguita dall'ESA. Si ricordano i s. geofisici delle serie ESRO e Heos e i s. scientifici per astronomia stellare nei raggi X, gamma e ultravioletti, TDi e COSB.
L'Italia, oltre alla partecipazione ai programmi europei dell'ESA, è impegnata nel programma San Marco, consistente nel lancio di s. per la misura della densità dell'alta atmosfera dalla piattaforma equatoriale al largo delle coste del Kenya, mediante razzi vettori tipo Scout.
Un cenno a parte va, infine, fatto per i s. a. specificamente destinati allo studio del Sole. Fra questi, i s. a. della serie OSO (Orbiting Solar Observatory), i più recenti dei quali hanno dimensioni 2,29 per 2,87 m e peso 885 kg.
Il 10 dicembre 1974 è poi stato lanciato il primo s. della serie Helios, realizzato nella Rep. Fed. di Germania, destinato a compiere tre orbite solari, ciascuna di 192 giorni. L'Helios ha altezza di 4,20 m, diametro minimo centrale di 1,75 m, diametro massimo di 2,77 m e peso totale di 370 kg e gíunge a una distanza minima dal Sole di 45 milioni di km.
Satelliti per navigazione. - I s. a. per aiuto alla navigazione marittima e aerea sono utilizzati per la determinazione del "punto" del mezzo mobile con le stesse metodologie impiegate per le osservazioni astronomiche di corpi celesti. Il s. a. si comporta infatti come un astro e l'evoluzione della sua posizione lungo l'orbita può essere determinata sia mediante apposite effemeridi, sia in base a segnali radio d'identificazione emessi periodicamente dal s. a.; questo sistema consente la radiolocalizzazione del s. a. in qualsiasi momento e indipendentemente dalle condizioni del tempo. I radiotrasmettitori VHF e UHF installati su questi s. a. permettono di ricoprire l'intera superficie terrestre con emissioni immuni da disturbi e con frequenza altamente stabile. Quando il s. a. si avvicina alla stazione ricevente, la frequenza del segnale ricevuto è però più alta di quella del segnale trasmesso a causa dell'effetto Doppler; viceversa accade quando il s. si allontana: la misura di queste variazioni di frequenza permette una localizzazione assai precisa del ricevitore rispetto alla posizione del satellite.
Fanno parte di questa categoria i s. a. delle serie Transit (primo lancio utile 13 aprile 1960) e Marisat, nonché il s. a. MAROTS (Maritime Orbital Test Satellite) che verrà lanciato dall'ESA in orbita geostazionaria al di sopra dell'Oceano Atlantico per le telecomunicazioni navali civili e per il controllo della navigazione marittima. Sempre l'ESA ha in programma il lancio dell'Aerosat, s. geostazionario espressamente destinato al controllo del traffico civile. Vedi tav. f. t.
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Per altri problemi dei satelliti: W. R. Corliss, Scientific satellites, NASA SP 133, Washington 1967; G. Ravelli, Telemisure e prove di volo, Scuola d'ingegneria aerospaziale dell'università di Roma, 1976.
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