SATANA
. È un vocabolo d' origine ebraica, passato attraverso la Bibbia (oltre che in altre lingue semitiche, siriaco, ecc.) anche nelle lingue europee.
Il sostantivo ebraico, sāṭān, è una normale derivazione della radice s ṭ n, che ha il significato di "osteggiare", "aggredire" anche solo moralmente, e quindi pure di "accusare" in giudizio e di "calunniare"; perciò il sostantivo ebbe da principio il significato generico di "avversario" in guerra (I Sam. [Re], XXIX, 4) e in giudizio (Salmo, CIX ebr. [CVIII], 6), di "oppositore" che sbarri la strada (Num., XXII, 22, 32), di "cattivo consigliere" in genere (II Sam. [Re], XIX, 22). Quest'ultimo significato è probabilmente conservato ancora in Matteo, XVI, 23; Marco, VIII, 33.
In seguito il sostantivo diventò nome proprio, preceduto sempre (salvo I Cronache, XXI, 1) dall'articolo ebraico, l'Avversario, l'Accusatore per eccellenza, e designò un essere sovrumano che "accusa" implacabilmente gli uomini presso Dio (Zaccaria, III,1-2; cfr. Giobbe, I, 6 segg.; II, 1 segg.), li "consiglia" spingendoli al peccato (I Cron., XXI, 1), è insomma il loro principale "avversario".
Nel Nuovo Testamento questo Avversario per eccellenza è identificato col diavolo (v.; cfr. I Pietro, V, 8: "il vostro Avversario il diavolo") e col "Dragone" e "Serpente antico" che è stato espulso dal cielo sulla terra (Luca, X, 18; Apocalisse, XII, 9; XX, 2) che ha tentato Gesù Cristo (Matteo, IV, 1, 10) e tenta tuttora gli uomini (Atti, V, 3; I Cor., VII, 5; II Cor., XI, 14; XII, 7) producendo in essi anche mali fisici (Luca, XIII, 16). Satana inoltre ha un suo proprio regno (Matteo, XII, 26; Marco, III, 23 segg.), che è in aperta guerra col regno di Cristo (Luca, XXII, 31; I Tessal., II, 18; II Tessal., II, 9; Apocalisse, II, 9, 13; III, 9) e diffonde dottrine astute e fallaci (Apoc., II, 24); divennero sua preda Giuda il traditore di Cristo (Luca, XXII, 3; Giovanni, XIII, z7) e altri seguaci di Cristo (I Timoteo, V, 15). Alla fine Satana sarà calpestato dai fedeli di Cristo (Romani, XVI, 20); quando saranno passati mille anni egli sarà provvisoriamente liberato dal suo carcere, sedurrà molte nazioni comprese Gog e Magog, e darà l'ultima battaglia contro la città di Dio, ma sarà sconfitto e resterà debellato per i secoli dei secoli (Apoc., XX, 7-10).
La tradizione cristiana ripete in sostanza i dati evangelici. Così per la Lettera di Barnaba, XVIII, Satana e i suoi angeli sono a capo del tempo presente che è tempo d'iniquità, mentre Dio è il Signore dei secoli; analoghe idee in S. Ignazio, Trall., VIII, 1; Efes., XIII, 1; Rom., V, 3. Un racconto della caduta degli angeli prevaricatori, dipendente in gran parte dagli apocrifi libri di Enoch e dei Giubilei, è in Giustino, Apologia, II, 5 (cfr. I, 5,25 segg., 56 segg.; Dial. c. Trifone, 69,124); sviluppato è in proposito anche l'insegnamento di Ireneo (Adv. Haer., I, 10, 3; III, 23, 3; V, 21, 2-3; 24, 3-4, ecc.), di Tertulliano e d'altri. Per il pensiero degli scolastici la più importante è l'esposizione di S. Tommaso, in IV Senten., II, dist. 111-v11, Summa theol., I, q. 63-64. Dell'argomento si occupano anche i teologi moderni nel trattato de Deo creante.
Letteratura. - Nei tre nomi che ricorrono in Dante (Inf., VII, 1; XXXI, 143; XXXIV, 127) si annunciano tutte le trinità dell'"imperador del doloroso regno": trinità etniche, storiche, bestiali, umane, in compiuta antitesi alle tre persone divine. La concezione dantesca è pertanto fondamentale perché congiunta alla peripezia massima della "commedia" umana, onnipresente di intimità per le infinite forme dei pericoli, moralmente ed intellettualmente seria nell'approfondita natura dell'errore, del peccato e della morte. In essa si saldano il terrore e la speranza perché la tomba in cui è caduto il "primo superbo" è una prima vittoria che si rinnovò e perpetuamente si rinnova. L'equilibrio di pensiero e di coscienza con che Dante ha artisticamente raffigurato il "verme" vinto e prigioniero della terra riuscì universalmente arduo per innumeri resistenze sentimentali e dottrinarie, istintive e riflesse.
Lo scrupolo di cadere in un dualismo di tipo manicheo opponendolo al Padre, sia pure come il "forte armato" dei Sinottici o il "principe di questo secolo" del vangelo di Giovanni (XII, 31; XIV, 30; XVI, 11) fece considerare la paura di S. come debolezza di fede, sicché ne risero o, almeno, ne sorrisero, talvolta, i santi; e lo scherzo, che doveva allettare spiriti diversissimi, ebbe trasparenti inizî di ascesi, un'ilarità mistica e guerriera. Le sue incarnazioni in Pilato, Nerone, Maometto, le sue discendenze carnali in Merlino o in Ezzelino da Romano mescolarono avversioni serie di serietà politica - come nell'Ecerinis di Albertino Mussato - alla serietà totale e assoluta con un'incursione del fantastico e del civile nel religioso. Oppure sottigliezze di disquisizione giuridica, teologica, dissipazioni pietistiche, sviluppi gnomici, come nel Quadriregio di Federico Frezzi, lasciarono assumere all'orrendo pipistrello tricipite fattezze ambigue. O, anche, S. attirava gli spiriti cupidi d'un'alleanza qualsiasi per accrescere la propria scienza e, con la scienza, la propria potenza favorendo così - già in alcuni medici trecenteschi - le pratiche demoniache della "libido sciendi". Dopo le prime leggende faustiane, apparve "Mefostofele", poi Mefistofele, cioè - con un grecismo ingenuo - il "nemico della luce". Esso doveva assurgere a simbolo della negazione, conoscere totali disfatte ed essere riabilitato dialetticamente dal Goethe che lo intendeva come antagonista e collaboratore necessario all'indomito desiderio umano.
D'altra parte, l'associazione delle due idee contraddittorie di potenza e di sconfitta si disgrega in tempre morali meno robuste, in intelletti meno gagliardi. Il Satana dantesco immane e coerente è traviato da coscienze inferiori all'intuito eroico della lotta morale, da spiriti superstiziosi più che credenti, svagati da credulità indisciplinate ed episodiche. Sull'"imperador" "della ghiaccia" prevale il buffonesco di Alichino, di Farfarello, di Calcabrina, delle "male branche" rissose; nomi di scherno pullulano in tutte le letterature europee, sicché Dante parrebbe avere insegnato solo la caricatura del diavolo e delle sue genti. Le quali, nell'invenzione faceta, non fanno più nessuna paura ai "festaioli" del teatro sacro, né in Italia, dal Quattro al Seicento, al Boiardo, al Pulci, al Lippi. E, anche se la Riforma tratteggia Satana con tradizioni ortodosse, la vena del Rabelais e del suo Papefiguière si avverte in quanti, dal Machiavelli allo Straparola, piacevolmente asseriscono d'aver visto "il diavolo daddovero... con men corna e manco nero".
Sono queste le variazioni e le decadenze del S. autentico.
Altra cosa è la reazione estetica. Al capovolgimento dantesco - egli è ora sì brutto, come fu bello (Inf., XXXIV, 34) - condotto con proporzione aritmetica, il Milton nel Paradiso perduto preferisce una sopravvivenza tragica dell'antica bellezza, qualche bagliore della "maestà caduta"; e la sua preferenza è accolta dallo Chateaubriand (Le Génie du christianisme, IV, 9), dal Lamennais, dal Lamartine, e, alla fin fine, a controgenio, dal De Sanctis.
Entro l'inversione estetica si prepara l'inversione polemica che potenzia tutte le rivolte dell'inversione ignara e accetta, come sfida, l'epiteto giovanneo di Satana "principe di questo mondo" padrone della natura, ispiratore delle voglie umane. Adombrata nel Settecento, ma ripresa da J. Michelet in La Sorcière (1862), essa si fissò nell'Inno a Satana che Giosue Carducci compose nell'ottobre 1863 e pubblicò nel 1865 come risposta alla tenace sopravvivenza toscana della laude; si ampliò, più che vent'anni dopo, nel Lucifero (1887) di Mario Rapisardi con intemperanza di polemiche d'ogni genere. L'inversione polemica si affretta a concludere esaltando il vinto di ieri come vittorioso di oggi e di domani, mentre con arte più lenta, avveduta, comprensiva, si prospettano, per influssi goethiani, nel Boito poeta e musicista (1865-1868), i termini logici dell'antitesi estetica, cioè l'essenza di Satana nello spirito che nega.
Né vincitore né vinto, ma titanicamente e "satanicamente" ribelle, piuttosto per rappresaglia che per inversione sentimentale lo esaltò il Byron dietro al suo Caino e, fuor d'ogni proposito di controversia politico-religiosa, lo invocò il Baudelaire (1857), "principe dell'esilio", vinto e indomo, fulgido di bellezza e di scienza, simbolo d'infelicità disperata, voluttà della creatura maledetta che assapora il proprio destino in accordo letterale e blasfemo, con formule quasi tomiste.
Questa serie, disposta in ordine ideologico e non sempre cronologíco, di filiazioni o di evoluzioni, non raccoglie però tutti gli esemplari di S. nelle letterature europee. Non vi si potrebbero senza artificio ricondurre né la traccia incompiuta dell'inno ad Arimane (1833) del Leopardi, né un abbozzo di V. Hugo, La fin de Satan. Quando, poi, da Satana-concetto si trascorre, manifestamente, a Satana-pretesto, la figura del sovrano demoniaco si rifrange in una miriade di motivi allegorici, dottrinali, romantici, decadenti, satirici, idillici, o di trastulli o di spaventi, ora con scioltezza e ora con impegno, ma senza più rapporto con i testi della Scrittura, della Patristica o della Commedia. Invece dell'alterazione di un tipo, pullulano tipi impensati per l'originalità dello scrittore o per il concorso, specie in Germania, di elementi locali, di leggende popolari, con libertà inventiva, con audacia di paradossi, con anelito di evadere dal reale. Nel Cinquecento inglese C. Marlowe, nel Seicento spagnolo il Guevera, nel Settecento francese Le diable boiteux (1707) del Lesage, Le diable amoureux (1772) del Cazotte, nel Settecento di Germania un abbozzo del Lessing, i diavoli della Messiade (1751-1775) del Klopstock. Il secolo romantico frequentò il diavolo e ne fu frequentato come una casa bersagliata dagli spiriti: S. penetrò nella lirica di A. De Vigny con l'innocenza di Eloa (1824), nel romanzo del Consuelo della Sand, nella novellistica con i Contes drolatiques del Balzac, nella canzonetta col Béranger, nel naturalismo flaubertiano con La tentation de saint Antoine (1845-1874), lucida e ragionante allucinazione aflittiva. Il diavolo muore in una fantasia di Maxime Du Camp (1822-1894); è vinto dall'angelo del pentimento nel Satana e le grazie (1855), disserta in Mastragabito dell'Armando (1868) di G. Prati e in G. Montanelli; scrive le sue "Memorie" con la penna di F. Soulié (1800-1847). Hanno successo le sue incarnazioni storiche, su parole dello Scribe, con Fra Diavolo (1830) e Roberto il diavolo (1835); Venere e S. s'identificano per consumare la dannazione del cavaliere Tannhäuser, rievocata (1845) dal Wagner. Abbiamo lasciato il romanticismo mediterraneo; e di S. echeggia tutto il romanticismo tedesco del Körner, dello Hauff (1802-1827), di Teodoro Amadeus Hoffmann, dello Chamisso, del frizzo heiniano; echeggiano il romanticismo nordamericano del Longfellow, quello russo del Lermontov.
Pare che S. debba riapparire nel dopoguerra novecentesco: G. Bernanos vede nuove anime tormentate Sotto il sole di Satana (1924) e Rendl nuovi dominî di Satana sulla terra (1934). Ma, anche se la sua storia letteraria fosse conclusa, S. resta uno dei vocaboli più insistenti e più complessi dell'inquietudine umana.
Iconografia. - L'antica arte cristiana rappresentò Satana ispirandosi al racconto di Genesi, III, segg.; si trova quindi sotto forma di serpente, raffigurato nelle pitture delle catacombe, più spesso sui sarcofagi, attorcigliato all'albero del bene e del male. Altri animali similmente che ritornano nel linguaggio scritturale o liturgico quali figure del nemico infernale (Apoc., IX, 19 segg. XIII, 3 segg.) servirono a rappresentarlo: l'aspide, il basilisco, il leone e il dragone (Salmo 90, 13), come già nel musaico del sec. V nella cappella del Palazzo arcivescovile di Ravenna. L'antichità cristiana peraltro non usò né conobbe ancora le figure mostruose inventate dipoi dalla fervida fantasia medievale, ibride mescolanze di umano e di belluino, che assai frequentemente dovettero esprimere il maligno. Due momenti diedero soprattutto occasione a rappresentare il diavolo: la tentazione in genere, e il castigo del peccato, cioè l'inferno.
Nella Tentazione di Cristo e nella Discesa al Limbo l'arte bizantina, seguita dall'Occidente fino al sec. XIII, rappresentarono il diavolo, di color livido o nero, con tratti non sempre mostruosi. L'arte occidentale, dal sec. XI al XIII, andò elaborando una terribile iconografia delle potenze infernali, traducendo in pittura sulle pergamene e sugl'intonachi, quindi in pietra sui capitelli e sui timpani delle chiese monastiche, massime nei paesi d'oltremonte, Provenza, Linguadoca, specialmente in Borgogna, ora il Giudizio finale, ora strane leggende, sogni e visioni fantastiche, che hanno i loro paralleli, anzi le fonti, nella letteratura di quel tempo. E come in Dante anche i diavoli acquistano aspetto personale, dall'orrendo al burlesco, così nell'arte italiana del Trecento che nei "Giudizî finali" ripeté figure enormi e mostruose di Satana, si ritrovano quegli accenti grotteschi in aspetti orribili ed in espressioni paurose, maligne, beffarde (affreschi di Giotto, di Andrea da Firenze, ecc.), che poi dall'arte del Rinascimento, specie dal Signorelli e da Michelangelo, ottennero la massima potenza. Luca Signorelli con due cornetti alle tempia d'un ceffo rincagnato, dal ghigno sprezzante, con due alacce bene unghiate, dipinge anzi scolpisce in un gruppo magistrale Satana, che porta con sé a perdizione la grande meretrice di Babilonia (Apoc., XVII, i segg.), simbolo di tutto il sozzume morale del mondo apostata da Dio. A somiglianti partiti ricorse Michelangelo nelle particolari scene dei dannati del suo Giudizio. Era dunque riservato al genio del Rinascimento di ritrovare anche per questo disperato argomento gli accenti più adatti ad accordare efficacia e decoro.
Bibl.: Oltre a quella addotta alle voci angelo; demone e spiriti, cfr., per la parte storico-teologica: D. Petau, De angelis, III, cc. 1-7 (in Dogmata theol., IV, Parigi 1866, pp. 57-121); I. M. Platina, De angelis et daemonibus, Bologna 1740; A. Lecanu, Histoire de Satan, sa chute, son culte, ses manifestations, ses œuvres, Parigi 1861; G. De Libero, Satana. L'essere, l'azione, il dominio, Torino 1934 (trattazione apologetica cattolica). - Per S. nella letteratura, v.: J.-M. Cayla, Le diable, Parigi 1864; A. Graf, Il diavolo, Milano 1889; A. Rava, La filosofia del diavolo, in Rassegna moderna, I, 2; M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Milano-Roma 1930; C. Grillet, Le diable dans la litt. française du XIXe siècle, Lione 1933. - Per l'iconografia di S. v.: F. X. Kraus, Gesch. der christ. Kunst, I e II, Friburgo in B. 1896 e 1897; É Mâle, L'art religieux du XIIe siècle en France, Parigi 1922; id., L'art rel. de la fin du Moyen-âge en France, ivi 1922; K. Künstle, Ikonographie der christl. Kunst, Friburgo in B. 1928; Grillot de Givry, Le musée des sorciers, mages, ecc., Parigi 1926; F. Neugass, Tenfel, Tiere u. Dämonen an mittelalterlichen Chorgestühlen, in Kunst und Künstler, XXV, 1927, p. 415 segg.; Schubring, Illustrationen zu Dantes Göttlicher Komödie, Vienna 1930.