SᾹRNᾹTH
Località situata pochi km a Ν di Benares (V. VᾹRᾹṆASῙ), in India, dove il Buddha fece la sua prima predicazione, mettendo così in moto la Ruota della Legge. S. divenne pertanto uno dei quattro luoghi sacri del buddhismo insieme con Lumbinῑ (luogo della nascita del Buddha, v. nepal), Bodh Gayā (il luogo dell'Illuminazione) e Kuśinagara (v.), dove il Buddha morì. Nei testi buddhisti S. è nota come Mṛgadāva («Parco dei Cervi», a ricordo del sacrificio di un Bodhisattva nato come cervo) o Rṣipatana («Città degli asceti»); il nome attuale sembra essere una contrazione di Sāranganātha («Signore dei Cervi»). Alcune iscrizioni medievali tramandano il nome di Dharmacakra- [Saddharmacakra-] pravartanavihāra, ovvero «Monastero della messa in moto della [vera] Ruota della Legge».
Le ricerche antiquarie presero l'avvio a S. alla fine del Settecento, quando, nel corso della completa spoliazione del Dharmarājka-stūpa, venne alla luce un reliquiario contenente frammenti di ossa, foglie d'oro e altri oggetti preziosi. Nell'Ottocento S. fu visitata numerose volte da A. Cunningham, padre fondatore dell'archeologia indiana; M. Kittoe mise in luce numerosi stūpa. Scavi regolari furono condotti nei due primi decenni del nostro secolo; è in particolare a J. Marshall che si deve la costruzione dell'equazione arte di Sārnāth = arte gupta, che per molti decenni, e talora ancor oggi, è stata assiomatica nell'arte indiana. Un'attenta valutazione dei dati, specialmente della produzione scultorea, porta invece a cambiare questo paradigma.
Il monumento più antico di S. è la colonna in pietra polita, oggi in frammenti, fatta erigere dall'imperatore maurya Aśoka (III sec. a.C.). Alta in origine 15,3 m, era sormontata da un capitello - ora divenuto l'emblema della Repubblica Indiana - formato da un elemento lotiforme a cui si sovrappone un abaco circolare dove compaiono, rappresentati in uno stile «naturalistico», che nell'arte indiana è proprio solo della produzione più antica, un elefante, un toro, un cavallo e un leone: intervallati da cakra o ruote, essi sono forse simboli astrali. Sull'abaco si trovano quattro leoni addorsati (il leone, che guarda nelle quattro direzioni dello spazio, è o simbolo del Buddha o del sovrano), e su di essi - ma se ne conservano pochi frammenti - un grande cakra. L'editto fatto incidere sulla colonna da Aśoka, anziché ricordare - come ci si aspetterebbe - la Prima Predicazione, riguarda questioni interne all'ordine monastico, evidentemente ritenute della massima importanza: sanziona infatti l'allontanamento dei monaci fomentatori di scismi, attirando sul problema la vigilanza dei fedeli laici. Sappiamo che a S. risiedevano i rappresentanti di scuole diverse (un'iscrizione più tarda sulla stessa colonna ricorda i Sammatῑya, destinati a imporsi su tutte le altre scuole nel VI-VII sec.), un fatto che dovette dar luogo a tensioni e che ebbe anche riflessi nell'iconografia (infra).
Di epoca maurya era anche il Dharmarājka-stūpa, più volte ricostruito. La struttura fatta erigere da Aśoka, costruita con grandi mattoni di 42 X 32 X 9 cm, aveva un diametro di 13,5 m; venne ampliata in epoca kuṣāṇa (I-II sec. d.C.) e nel V-VI secolo. Si è supposto che la balaustra monolitica in pietra polita (alt. 1,45 m; lati di 2,5 m), rinvenuta da F. O. Oertel agli inizî del secolo, costituisse l’harmikādi questo stūpa regio, ma potrebbe essere stata destinata in origine anche a protezione di qualche simbolo sacro (p.es. un albero). Se è vera la prima ipotesi, essa venne comunque smontata nel V-VI sec., quando vi furono incise due epigrafi che ricordano la potente scuola dei Sarvāstivādin. Di epoca maurya è forse anche la cappella absidata accanto alla colonna di Aśoka, lunga 25 m e larga 11,5 m, sulle cui rovine fu poi costruito un monastero: l'attribuzione del monumento al III sec. a.C. appare tuttavia azzardata.
Solitamente assegnati alla produzione śuṅga (dal nome di una dinastia ortodossa che dominò l'India del Nord nel II sec. a.C.), ma in realtà riferibili al periodo della supremazia śaka (I sec. a.C.; gli Śaka appoggiarono il buddhismo), sono gli elementi di balaustra scolpiti con simboli di buon auspicio, stūpa, colonne del dharma, ecc., con i simboli cioè che, a volte di difficile lettura, troviamo in tutta l'arte buddhista del I sec. a.C. - I sec. d.C. Come già in altri luoghi sacri (p.es. Sāñcῑ), ciascun elemento architettonico è frutto di una donazione da parte di monaci o laici. Non sappiamo che cosa la balaustra racchiudesse, ma le sue componenti sono state rinvenute tra la colonna di Ašoka e quello che fu probabilmente il principale luogo di culto di S., eretto sulla mūlagandhakuṭῑ(la dimora dove risiedette il Buddha), identificato nella massiccia struttura situata a c.a 10 m a E della colonna, più volte ricostruita. Esso era di certo prossimo al luogo in cui il Buddha usava passeggiare (chaṅkama): qui, nel terzo anno di Kaniṣka (81 d.C.?) il monaco Bala pose una grande, famosa immagine dell'Illuminato scolpita a Mathurā e portata a S. a segno dello straordinario interesse e protezione di cui le comunità buddhiste godevano dal centro dell'impero kuṣāṇa. Il Buddha vi è rappresentato come un essere divino disceso dai cieli (è dunque detto bodhisattva), da cui reca in terra i suoi miracolosi doni.
Le strutture identificabili come kuṣāṇa sono scarse, a causa dei continui rifacimenti. Il monastero II, a N dei monumenti già ricordati, risale però probabilmente al I sec. d.C.; sul fusto della colonna di Aśoka si trova poi un'iscrizione del quattordicesimo anno di Aśvaghoṣa, feudatario kuṣāṇa di Kauśāmbῑ e Benares.
Nel periodo che va dal 300 al 450 d.C. circa, coincidente con il potere gupta, S. perse ogni protezione dinastica. La produzione monumentale e scultorea fu molto scarsa, e comunque affidata alle sole forze delle comunità buddhiste che a S., come in altre località gangetiche, seppero comunque resistere all'offensiva brahmanica, di cui i Gupta furono gli interpreti politici . È una forzatura attribuire all'imperatore gupta Kumāragupta I (414-455 d.C.) un'iscrizione sul piedistallo di un'immagine del Buddha donata da un Kumāragupta che non si attribuisce alcun titolo. Il punto di svolta avvenne con la crisi del potere gupta alla metà del V secolo. I sovrani della dinastia, seriamente minacciati e indeboliti, cercarono l'appoggio delle comunità buddhiste rimaste forti . È in questo quadro che vanno valutate le iscrizioni di Kumāragupta II del 473 e di Budhagupta del 476 d.C. Risale probabilmente alla seconda metà del V sec. l'edificio che ricorda la mūlagandhakuṭῑ. Quadrato (lato di c.a 18 m), con una scalinata a E e cappelle rettangolari sugli altri lati, è costruito con mattoni e conci di reimpiego e intonacato; stando alla testimonianza di Xuanzang (prima metà del VII sec.), era alto 61 m e aveva al suo interno un'immagine del Tathāgata rappresentato nel gesto di mettere in moto la Ruota della Legge.
Anche la produzione scultorea di S. che ne definisce il tipico stile ha inizio intorno al 450-460, cioè dopo la crisi gupta. Le prime immagini del Buddha sono d'ambiente sarvāstivāda, mostrando, oltre a caratteristiche che rimandano alla produzione kuṣāṇa di Mathurā, una cintura attorno ai fianchi. Ricordiamo anche una stele con Maitreya dai lunghissimi capelli sciolti sulle spalle, dal delicato, trasparente panneggio. Benché si ritenga di solito che le correnti del buddhismo Mahāyāna fossero deboli a S., sono poi da ricordare, in questo stesso decennio, un'immagine di Avalokiteśvara e, soprattutto, quella con Tārā, una delle prime espressioni iconografiche di questo Bodhisattva femminile, che godrà in epoca medievale di immensa diffusione. Si segnalano anche le lastre scolpite con episodî della vita del Buddha, ridotti, in rapporto al numero di quelli rappresentati nell'arte buddhista più antica, a soli otto ritenuti paradigmatici (di solito, Nascita, Illuminazione, Prima predicazione, Parinirvāna, seguiti dal Miracolo di Śrāvastῑ, dalla Discesa dal cielo dei Tuṣita, dall'Addomesticamento dell'elefante Nālāgiri e dall'Offerta del miele da parte di una scimmia).
Le stele famose degli anni 465-485, tra cui è compresa la più celebre immagine del Buddha di questa «scuola» (egli è assiso nella posizione della Prima predicazione su un trono decorato con leogrifi e yāli, con un grande nimbo adorno di delicati, raffinatissimi girali e con due deva in volo; sulla base, devoti rendono omaggio alla Ruota della Legge, vista di profilo; v. Buddha), furono invece scolpite sotto il controllo di un'altra scuola. A questo periodo risalgono probabilmente anche numerosi monasteri (i nn. III e IV a Ν dell'area sacra, e il n. VI, in seguito rimaneggiato).
Attività monumentale e produzione iconografica furono vivaci al tempo di Harṣavardhana, un. sovrano di simpatie buddhiste che regnò sull'India del Nord nella prima metà del VII sec., l'epoca del viaggio di Xuanzang. A questo periodo va fatto risalire, in particolare, il celebre Dhāmek stūpa, a lungo attribuito, sulla base di un'affermazione di J. Marshall non sostenuta da motivazioni convincenti, all'epoca gupta. A. Cunningham aveva d'altronde rinvenuto, al suo interno, una lastra iscritta col «credo» buddhista in caratteri del VI-VII secolo. Si tratta di uno stūpa, col nome originario di dharmacakra, alto oggi 33,5 m, formato da un tamburo in pietra alto 11,2 m che sorge direttamente dal piano di campagna. Sul tamburo rimane oggi un tratto cilindrico in mattoni, privo di paramento. Otto grandi aggetti ad arco acuto, al centro dei quali si aprono altrettante nicchie, alleggeriscono la mole del tamburo, che conserva ancora, in parte, l'originaria decorazione a fasce di rosette, girali, disegni geometrici, ecc., che richiamano analoghe decorazioni su templi altomedievali. La vita del santuario continuò anche dopo questa fase, fino al XII secolo.
Gli scavi di S. portarono alla luce migliaia di sculture. Nell'Ottocento esse furono per lo più inviate a Calcutta, dove entrarono a far parte delle collezioni dell'Indian Museum. Nel 1910 venne completata, a S., la costruzione del museo locale, dove fu sistemata buona parte dei materiali rinvenuti nell'area sacra.
Bibl.: F. O. Oertel, Excavations at Sārnāth, in ASIAR 1904-05, pp. 59-104; J. H. Marshall, S. Konow, Sārnāth, in ASIAR 1906-07, pp. 68-101; J. Marshall, Excavations at Sārnāth, in ASIAR 1907-08, pp. 43-80; D. R. Sahni, Catalogue of the Museum of Archaeology at Sārnāth, Calcutta 1914; H. Hargreaves, Excavations at Sārnāth, in ASIAR 1914-15, pp. 97-131; D. R. Sahni, Guide to the Buddhist Ruins at Sārnāth, Calcutta 1933; B. Majumdar, A Guide to Sārnāth, Delhi 1937; IAR, 1963-64, pp. 92, 107; D. Mitra, Buddhist Monuments, Calcutta 1971, pp. 66-69; V. S. Agrawala, Sārnāth (ASI), Nuova Delhi 1980; J. G. Williams, The Art of Gupta India. Empire and Province, Princeton 1982, in part. pp. 75-82.
(G Verardi)