Vedi SARCOFAGO dell'anno: 1966 - 1973 - 1997
SARCOFAGO (sarcophàgus; da σαρκοϕάγος, riferito a una pietra calcarea che si riteneva consumasse rapidamente i cadaveri)
1. Egitto; 2. Mesopotamia; 3. Creta, Egeo; 4. Siria, Fenicia, Palestina, Cartagine; 5. Grecia; 6. Etruria; 7. Roma; 8. Sarcofagi di tipo orientale; 9. Sarcofagi cristiani: a) Roma, Milano, Gallia; b) Ravenna, Costantinopoli, Asia Minore.
Il termine S. si estende a tutti i manufatti approntati per ricevere la salma di un defunto e custodirne i resti. Il S. può essere di legno, di terracotta di pietra o di marmo, di metallo. Il S. si distingue dall'urna (v.) perché questa è destinata a ricevere le ceneri e le ossa combuste di un corpo deposto col rito della incinerazione, mentre il S. è legato al rito dell'inumazione. Tale inumazione può essere anche secondaria, quando nel S. si raccolgono, in un secondo tempo, le ossa solamente e non il corpo intero sùbito dopo la morte. In questo caso il S. è generalmente di dimensioni minori e il termine più appropriato sarebbe quello di "arca"; ma praticamente tale distinzione non viene effettuata rigorosamente nella terminologia archeologica.
La più antica forma di S. è stata certamente quella di un tronco di albero aperto nel senso della lunghezza e svuotato internamente; S. di questo tipo si trovano in diverse civiltà nel loro stadio primitivo o arcaico.
1. Egitto. - Nell'Egitto predinastico unica protezione del cadavere entro la fossa è un involucro di stoffa, di pelle o di stuoia. Con l'inizio dell'epoca storica, si hanno le prime forme di sarcofago ligneo, in semplice forma di cassa, tali che il corpo possa esservi contenuto nella posizione rattrappita propria del tempo più antico. Assai presto l'Egitto ha prodotto due tipi di S., quello a cassone che si configura come imitazione di un edificio e quello di tipo antropoide. Ambedue i tipi hanno influenzato le più giovani culture mediterranee. Alla base c'è la credenza egizia sull'Oltretomba, secondo la quale la vita futura è collegata alla conservazione del cadavere.
Il tipo a cassone è il più antico. Gli esempî più belli appartengono all'epoca dalla III fino alla V dinastia. La cassa è movimentata con lesene tra le quali possono trovarsi false porte. La lastra di copertura, che a volte è profilata a forma di gola rovescia con al di sotto un cordone liscio, presenta di regola la vòlta appiattita in alto ed è delimitata sui lati brevi da sguanci sagomati a forma di travi. Gli esemplari di pietra recano anche iscrizioni. In questa forma si perpetua la costruzione sepolcrale di epoca primitiva fatta di mattoni, con la facciata movimentata da molteplici lesene.
Lo Scharff ha dimostrato che le costruzioni funerarie dalle quali deriva il tipo, provengono dal Basso Egitto e imitano un'architettura palaziale che ha i suoi modelli in Mesopotamia. Anelli intermedî rappresentano invece le "tombe a sarcofago" della III e IV dinastia: tutta la costruzione assume in questi casi la forma del sarcofago. La curvatura del coperchio va dunque intesa come una imitazione del tetto di argilla pesta. Nella forma dei più antichi S. a cassone è rimarchevole il rigore della concezione cubica, sottolineata dalla piattezza e dal carattere rettangolare della decorazione. Durante la IV e V dinastia compaiono anche S. semplici di pietra squadrata a forma di blocco. In quelli di granito, l'aspetto del materiale, roccia fusa, si assomma a quello della forma inarticolata in un effetto di grande monumentalità.
Il tipo a cassone, utilizzato sia per S. esterni sia per s. interni si può seguire, attraverso esempî del Medio Regno e del Nuovo Regno, fino ad epoca tarda. Col tempo il legno diviene il materiale più usato; la decorazione è prevalentemente dipinta. Il bordo del cassone o del coperchio può essere profilato a forma di gola. Accanto alla forma testudinata esiste anche quella con tetto a leggio, a uno spiovente, similmente ai piccoli edifici di culto. Gli sguanci laterali si trasformano, negli esempî tardi, in pilastri angolari, tronchi alla altezza del colmo della curvatura. La forma dell'edificio che fu alla base della formazione di questo tipo è riecheggiata sia nei bordi che incorniciano il cassone, sia nella sua struttura verticale. Il S. squadrato a forma di blocco dell'Antico Regno si evolve verso i monumentali S. di granito di Tutankhamon e di Ḥaremhab (XVIII dinastia). In questi esemplari è la parte superiore del cassone che termina a gola rovescia con un cordone liscio al di sotto. Le superfici esterne sono decorate da geroglifici e da figure a rilievo di dee, che, per l'ordine con cui sono disposte, rispondono alla esigenza di dare il massimo risalto agli angoli e alla struttura verticale. Nei S. dell'Antico e del Medio Regno alle decorazioni pittoriche vengono aggiunte iscrizioni con il nome del defunto e preghiere. Al di sopra di una delle false porte del lato lungo sono raffigurati due occhi: corrispondono alla testa del cadavere, che era adagiato nell'interno sul suo fianco sinistro. Le pareti interne sono dipinte con testi funebri e con immagini di cibi e di oggetti che dovevano rallegrare il defunto. Di fronte al suo volto può trovarsi una porta dipinta e sopra due occhi. Lo stesso tipo fondamentale è rappresentato pure negli scrigni di legno all'interno dei quali poteva essere collocato il S. di pietra. Gli scrigni si differenziano da quest'ultimo per due porte a battenti applicate su uno dei lati brevi. Nella tomba di Tutankhamon il S. di granito era rinchiuso a sua volta in 4 scrigni del genere.
Il tipo antropoide o a forma di mummia (Herod., ii, 86, τύπος ανϑρωποιεδής), si è evoluto dall'involucro che circondava il cadavere mummificato all'interno del sarcofago. I preliminari di questa evoluzione sono rappresentati dalle maschere dorate, di lino, di lino e stucco e in seguito anche di gesso, che venivano poste sul volto dei defunti sin dall'epoca delle piramidi. Questi involucri di cartapesta furono estesi, a partire dalla VI dinastia, anche a parti del busto. Il S. antropoide del Medio Regno che rappresenta il gradino finale di questo processo evolutivo, è dapprima di legno. Rappresentano invece una fase intermedia i S. di cartapesta rinforzata con legno. A partire dal Nuovo Regno il tipo compare anche in pietra e come S. esterno. Si conoscono varianti dalla configurazione plastica più ricca o più modesta. Negli esemplari del Nuovo Regno e dell'età saitica il coperchio modella in altorilievo l'intera figura del defunto. In un esemplare ligneo di epoca tolemaica dei Musei di Berlino il rilievo è quasi a tutto tondo. Negli altri casi sono resi più o meno plasticamente solo braccia mani e piedi, oltre alla testa. Questo vale ad esempio per le tre casse di Tutankhamon collocate una dentro l'altra nel S. di granito, il quale a sua volta era chiuso entro i 4 scrigni di legno. Di esse le due più esterne erano di legno, quella interna, il vero involucro della mummia, era d'oro. Almeno i piedi sono di solito indicati in forma sommaria. All'interno queste casse di legno sono riccamente dipinte a figure e geroglifici. I S. semplici di granito dell'età tarda mantengono solo la forma terminale arrotondata della testa, rinunciando invece alla indicazione dei piedi e a volte anche del viso.
Bibl.: V. Schmidt, Albun til Ordning of Sarkofager, Mumiekister, Copenaghen 1919; A Handbook to the Eg. Mummies and Coffins exhibited in the British Museum, Londra 1938; G. Daressy, Cercueils anthropoides des Prêtres de Montou (Cat. gén. du Mus. du Caire), Il Cairo 1909; P. Lacau, Sarcophages antérieurs au Nouvel Empire (Cat. gén. Mus. du Caire), Il Cairo 1903-6; A. Moret, Sarcophages de l'époque Bubastite à l'époque saïte (Cat. gén. Musée du Caire), Il Cairo 1912-13; G. Maspéro, Sarcophages de l'époque persane et ptolémaïques (Cat. gén. Musée du Caire), Il Cairo 1908-14.
2. Mesopotamia. - Nella Mesopotamia le prime sepolture entro S. risalgono alla civiltà delle prime dinastie sumeriche, verso la metà del III millennio. È rara nel gruppo più antico delle tombe monumentali dei re di Ur. Qui i morti erano in genere seppelliti in posizione rannicchiata sul pavimento coperto di stuoie. La salma della regina Shubad, divenuta famosa per il suo ricco corredo funebre, era distesa su una bara di legno. Nelle tombe di privati della medesima epoca compaiono però, accanto all'uso di avvolgere le salme semplicemente in stuoie intrecciate, varie forme di sarcofago. Un'armatura di legno con tetto a bassi spioventi può venir munita di pareti di stuoie o altro materiale intrecciato. La cassa può essere anche interamente di legno e poggiare su piedi. Le parti di legno sono generalmente connesse senza uso di metallo; il coperchio può essere piatto o avere una incavallatura con basso frontone. Esemplari fittili indicano una imitazione da modelli di legno. Nella maggior parte dei casi però i S. fittili sono a pianta ovale, con pareti verticali o del tipo a vasca. Il primo ha coperchio piatto o con basso frontone fatto in legno o in materiale intrecciato. Il secondo viene spesso rovesciato sopra il cadavere che giace sul fianco, in posizione rannicchiata e rimane in uso quando, sia quello a pareti verticali che quello ligneo nelle sue molteplici varianti, cadono in disuso. Sono questi i prototipi delle làrnakes fittili proto-minoiche. Il S. fittile senza ornato continua in Mesopotamia fino all'epoca sassanide; la sua forma subisce delle trasformazioni, particolarmente evidenti a Babilonia e ad Assur. Si sono trovati s. litici di grandiosa monumentalità, nelle tombe reali scoperte al di sotto del palazzo antico di Assur. Uno senza nome è di calcare. Quelli dei re Assurnasirpal II (883-859) e Shamshi-Adad V (823-810) che apparivano completamente distrutti e che si sono potuti ricomporre, sono di dolerite (basalto). Il più imponente è quello più antico (lunghezza m 3,95, larghezza 1,84, altezza 1,82). È totalmente liscio ad eccezione di due righe di iscrizione identiche sui tre lati visibili e sul fondo. Sul coperchio sono poste tre paia di maniglie e sui due lati brevi del coperchio e del cassone delle impugnature per appoggiare e assicurare il coperchio, che mostra un foro di 5 cm di diametro. I s. erano collocati in tombe semplici dalla vòlta a botte.
3. Creta, Egeo. - A Creta il s. venne in uso durante il periodo antico-minoico. Dapprima è una vasca fittile con i lati brevi arrotondati e coperchio piatto (làrnax). I maggiori dei pezzi conservatisi interi non raggiungono m 1,20 di lunghezza: il defunto era infatti sistemato con le gambe rannicchiate. Si può dire che manca ogni decorazione all'infuori di un rozzo profilo dell'orlo. Le pareti possono mostrare aggetti a bugna. Sulle pareti e sul coperchio sono applicati dei manici per il passaggio delle funi. Nella grotta sepolcrale di Pyrgos sulla costa N di Creta a 14 km a E di Candia furono scoperte 20 di tali làrnakes. La ceramica di corredo appartiene al 1° e al 2° periodo del Minoico Antico (v. minoico-micenea, arte) ma essendo alcune di queste làrnakes situate al di sopra di sepolture più antiche non possono essere comprese fra il materiale più antico del ritrovamento. Anche i pezzi analoghi trovati nella parte orientale di Creta non possono essere datati a prima del secondo periodo del Minoico Antico. Essi vanno considerati come forme evolutive dell'antica forma di sepoltura egea, con influenze dell'Asia Minore.
Nella Grecia continentale, per il periodo neolitico, sono noti due casi di inumazione dei cadaveri in posizione rattrappita entro caverne naturali. Ad essi si ricollega la grotta sepolcrale di Pyrgos, mentre i sepolcreti delle Cicladi della prima Età del Bronzo e le thòloi della Messarà debbono essere considerate delle cavità artificiali. Anche una derivazione delle làrnakes fittili del Minoico Antico I da manufatti preistorici egizî appare improbabile, perché in quel tempo in Egitto predominava l'uso di altre forme di sarcofagi. Al contrario, invece, nell'Asia Anteriore la inumazione in posizione rannicchiata entro casse fittili è sicura già per il III millennio e si è mantenuta in uso fino al II millennio. Gli esemplari cretesi più recenti, che continuano fino all'inizio del Medio-Minoico III, sono stati trovati nella Creta orientale non lontano da Cnosso e nella Messarà. Si differenziano dai tipi più antichi per una maggiore altezza del cassone e per piccoli perfezionamenti di carattere tecnico: molti di essi erano di legno.
Mentre nelle tombe cretesi del Medio-Minoico III fino al Tardo-Minoico II non sono stati trovati, fino ad oggi almeno, dei s., questi compaiono in gran numero nelle tombe a camera dell'ultimo periodo tardo-minoico (dal XIV al XII sec.). Ad eccezione del pezzo maggiore e più famoso, il sarcofago di pietra calcarea di Haghìa Triada (v.), che va ascritto ancora alla fine del Tardo-Minoico II, essi sono fittili. Non mancano però tracce di s. lignei. L'influenza di modelli egizî si riconosce dalla forma ad arca. I piedi, le incorniciature e il coperchio con basso frontone o bassa vòlta sono comuni anche alle arche egizie del Nuovo Regno. La trave maestra che è spesso accennata pare provenire dall'architettura domestica egea. Anche queste làrnakes non sono più lunghe di m 1,20 e confermano l'uso di seppellire i morti in posizione rannicchiata. Le decorazioni di regola sono dipinte, ma possono anche essere stampigliate: il tipo di ornato corrisponde a quello della ceramica contemporanea. I motivi figurati (ad esempio: grifone, toro, bipenne, corni rituali, pesce, uccello, stella) sono di norma riferiti al culto degli dèi, probabilmente perché si credeva che i defunti continuassero la loro vita nel mondo degli dèi e sotto la loro protezione. Venivano usate nelle sepolture oltre alle làrnakes anche vasche a pianta ovale, identiche per forma e decorazione pittorica alle abitazioni dove servivano ad uso profano per il bagno.
Il S. di Haghìa Triada (trovato nel 1903, calcare, lunghezza m 1,385) ora nel museo di Iraklion, è dipinto sui quattro lati (v. tavv. a colori vol. iii, p. 1092; iv, p. 62). Anche gli stipiti e le cornici orizzontali che riquadrano le scene figurate sono riccamente decorate. Le rappresentazioni formano due cicli, divisi fra loro nel mezzo di uno dei lati lunghi e su uno dei quattro angoli. Continuano tutto intorno agli altri tre angoli e sono disposte in senso centripeto. Il ciclo maggiore rappresenta una epifania divina, ottenuta con sacrifici cruenti e incruenti. Il ciclo minore rappresenta l'immagine del defunto invocata con offerte di doni.
Sono state trovate làrnakes fittili a forma di arca o di vasca anche nelle tombe a camera di epoca tardo-minoica sul continente e nell'isola di Rodi. Nella maggior parte dei casi si sono conservati solo dei frammenti. A causa della loro rarità si pensa ad una influenza cretese, ma potrebbe essere vero anche l'inverso.
In una tomba a camera di Dendra in Argolide è stata accertata la presenza di un s. sul quale il defunto stava disteso. Con ciò ha riacquistato verosimiglianza l'ipotesi circa l'esistenza, sempre affermata e sempre nuovamente messa in dubbio, di s. lignei nelle tombe a fossa dei recinti funerarî di Micene. Anche i ritrovamenti effettuati nel nuovo recinto circolare purtroppo non sono sufficienti per una chiarificazione definitiva in proposito. Dato che in tal caso si avrebbe una differenza con le più antiche forme di sepoltura in uso sul continente, si deve probabilmente pensare ad una derivazione da modelli egizî come anche per le maschere d'oro delle tombe a fossa (v. micene). Si deve anche contare sulla possibilità che esistano anelli intermedi cretesi. Essi ci mancano, perché le tombe dei dinasti cretesi del periodo aureo scoperte fino ad oggi erano quasi tutte saccheggiate. La cassa lignea trovata in una tomba sub-micenea nel cimitero del Ceramico di Atene appartiene ancora a questa tradizione.
4. Siria, Fenicia, Palestina, Cartagine. - Nei s. del territorio siriaco, Fenicia e Palestina comprese, trovano un punto di incontro le forme importate dall'Egitto e quelle della Mesopotamia. In una delle tombe reali di Biblo, databile all'inizio del II millennio, è stato trovato un s. a cassone di tipo egizio. S. monolitici ancora più semplici provengono da tombe usate durante l'epoca del Nuovo Regno; le impugnature laterali sono simili a quelle dei s. assiri di molti secoli più recenti. Alla fine del II millennio e all'inizio del I esistono in Palestina imitazioni in argilla delle casse egizie a forma di mummia. I re di Sidone si procuravano dall'Egitto, intorno al 500, s. di pietra di questo tipo. Quello di Eshmunazar II, ora al Louvre, quello di suo padre Tabnit e di una regina sconosciuta, oggi a Istanbul, furono trovati in un ipogeo accanto a s. greci con rilievi. I due s. di tipo antropoide di forma uguale, di quel medesimo ritrovamento, furono lavorati da maestri greci dello stile severo nel secondo venticinquennio del V sec. a. C. Ad essi se ne ricollegano altri trovati, oltre che in Fenicia, in Egitto e a Cipro, anche a Cartagine e nel territorio occidentale dominato dai Fenici, in Sicilia, a Malta e in Spagna. Il sarcofago d'oro nel quale Alessandro Magno fu traslato da Babilonia in Egitto presentava ancora forma antropoide (Diod., xviii, 26).
Il grande s. di calcare del re Ahiram di Biblo (fine del II millennio a. C.) rappresenta per il tipo e per la decorazione figurata e ornamentale un punto di incontro di motivi dell'Asia Minore ed egizî. Per noi rappresenta il s. più antico decorato con scene narrative dopo quello di Haghìa Triada. Il motivo è ripreso all'inizio del V sec. a. C. da due s. di Cipro di calcare, decorati con rilievi. Si riconosce dallo stile e dalla forma di arca con coperchio dal basso frontone e acroteri che dovevano esistere modelli greci arcaici intermedi. Essi sono rappresentati, a nostro avviso, dai s. di Clazomene (v.). Il s. semplice monolitico con quattro massicci piedi ritrovato in una tomba a camera presso Tamassos a Cipro, appartiene ancora al VI sec. a. C.
I ritrovamenti effettuati in una delle necropoli di Cartagine testimoniano della importanza alla quale assurse nuovamente, alla fine del IV sec. a. C., il s. monumentale nei territori marginali alla cultura greca, al tempo in cui piccole e grandi corti principesche cominciano a sostituirsi alla pòlis quali portatrici di cultura. Su quattro s. monumentali il coperchio assume la figura del defunto, rappresentato in alto rilievo. Il tipo greco del s. con coperchio a tetto con due spioventi a debole inclinazione rimane accennato, nel caso della lastra a fondo piano con figura a rilievo, qualche volta con due piccoli frontoni sovrapposti ai lati brevi. Le figure non sono rappresentate recumbenti, bensì sono trattate a guisa di statue distese sul dorso. Lo stile tradisce nell'artista una educazione greca. Ne risulta una forma ibrida che si riscontra pure sulle contemporanee urne cinerarie. È evidente l'intenzione di collegare l'idea del s. antropoide con quella del cassone di tipo greco. Tutto ciò è particolarmente evidente nel cosiddetto "s. della sacerdotessa", caratterizzato da vivaci tracce di pittura. Un esempio isolato e precedente di analoga differenziazione fra figura e cassone lo si è trovato anche nell'arte egizia di età etiopica. È probabile che questo tipo abbia esercitato una influenza sul tipo cartaginese. Un esemplare lavorato da una manifattura punica fu esportato in Etruria (il cosiddetto "s. del sacerdote") a Tarquinia.
5. Grecia. - G. Rodenwaldt ha notato giustamente che la forma classica del monumento funerario greco non è data dal s., ma dalla stele (v.). Il s. per la sua configurazione monumentale presuppone o una cripta nella quale possa essere collocato, ovvero una costruzione funeraria isolata. Al contrario in Grecia predominava dalla fine dell'età micenea in poi la inumazione: dalla poesia omerica era sanzionata assai bene. Questo tipo di sepoltura d'altronde corrispondeva nel modo migliore, per la sua semplicità, alla struttura sociologica della pòlis. Ma era inevitabile che fin dall'epoca arcaica le tombe principesche dell'Oriente con i loro s. stimolassero all'imitazione. Pertanto il Rodenwaldt ha posto giustamente in relazione i primi s. monumentali della Sicilia e della Grecia con le zone di influenza delle corti tiranniche. In un s. di Samo del secondo venticinquennio del VI sec. a. C. si osserva una sovrapposizione di motivi architettonici alla forma dell'arca, raggiunta con l'inserimento di pilastri ionici fra l'incorniciatura del cassone e con acroteri sui frontoni. Ad esso si avvicina dal punto di vista tipologico un esemplare più semplice proveniente da Cuma e conservato a Ginevra. È chiara l'imitazione della casa del morto.
Tombe greche arcaiche con s. sono state trovate finora solo ad Egina. I s. monolitici che compaiono a partire dal VII sec. a. C. hanno dapprima forma semplice. Il coperchio è piatto o mostra un basso frontone. Essi rappresentano un tipo che si può definire senza età e che da ora in poi ricompare continuamente nell'ambito delle culture mediterranee. Li precedono piccole cassette di pietra che compaiono già durante il Periodo Geometrico e nel VII sec. nei sepolcri a cremazione. Più tardi furono utilizzate spesso anche per conservare ossa e conformate a guisa di sarcofago. Nel Ceramico si sono trovate casse di legno appartenenti ancora a tombe del Protogeometrico. Anche qui è frequente il s. monolitico semplice, spesso con coperchio dal basso frontone, di calcare o di marmo, che veniva direttamente calato nella terra.
I s. di terracotta di Gela del tardo periodo arcaico e degli inizi dell'età classica riprendono nella decorazione che si estende anche alla parte interna, motivi architettonici della Grecia orientale.
Il più ricco dei tre tipi di s. fittili clazomenici (v. clazomene) è rigorosamente sagomato ad arca e se ne conoscono solo pochi esemplari. I motivi architettonici sono messi poco in evidenza, la pittura invece è assai ricca e può essere estesa anche alla parte interna (sui frontoni sono dipinte le capriate). Sulle cornici predominano motivi ornamentali mentre le facce sono decorate con scene: i pezzi più notevoli di questo tipo si trovano uno al British Museum e l'altro a Smirne. Invece la maggioranza dei s. clazomeni ha pianta trapezoidale e solo l'orlo superiore del cassone risulta dipinto. La decorazione principale è costituita da figure bianche o nere con i contorni dipinti e non graffiti. Lo stile è nel complesso quello tardo arcaico. Il rimanente della decorazione è costituito da animali e motivi ornamentali di una forma che si è consolidata già nel VII sec. a. C. sulla ceramica della Grecia orientale. Se ne trova conferma in confronti stilistici fra i particolari delle pitture con i vasi attici a figure rosse. La produzione ha inizio non molto oltre l'ultimo venticinquennio del VI sec. a. C. Si tratta di una tendenza conservatrice, e questi s. furono effettivamente ancora utilizzati, come dimostra la ceramica rinvenuta insieme, nel secondo venticinquennio del V sec. a. C. La maggior parte degli esemplari che conosciamo (più di un centinaio) sono originari dalle necropoli di Clazomene, che non sono state però ancora esplorate a fondo. Furono anche esportati in località vicine e a Rodi. Ai due gruppi citati se ne aggiunge un terzo che si distingue dal secondo soprattutto a causa della sua pianta rettangolare: a questo ultimo gruppo appartengono gli esemplari più antichi. I più ricchi saranno databili intorno alla fine del secolo. È invece tutt'ora poco chiaro per quale motivo si è data tanta importanza alla struttura e alla decorazione del bordo. È poco probabile che questo dipendesse dalle esigenze della pròthesis.
La forma classica del s. della Grecia continentale è più semplice e rara. Essa è rappresentata da un esemplare di marmo pentelico databile attorno all'anno 400, trovato ad Egina. Un gruppo di s. che compare alla fine del IV e all'inizio del III sec. nei territori marginali alla cultura greca rappresenta una edizione leggermente più ricca di questa medesima forma. La disposizione delle incorniciature e dei piani, tratta dalle costruzioni lignee, viene modificata e la decorazione plastica o pittorica diviene più vivace. Un confronto con le arche del periodo arcaico e classico mostra come le cornici si siano sviluppate a spese delle facce.
Dello stesso tipo sono anche i s. di legno dell'Egitto e della Russia meridionale, ornati con pitture, intarsi o rilievi di stucco o di legno. Già fin dal V sec. a C. si fabbricavano nell'isola di Milo s. di legno con applicazioni in rilievo di terracotta e di lì venivano esportati. Si conosce un considerevole numero di queste decorazioni fittili; circa la forma dei s. invece possiamo fare solo delle supposizioni. Ancora dalla necropoli ellenistica di Taranto si hanno simili decorazioni in terracotta dorata da applicare sul legno.
I s. a rilievi di epoca classica provengono dalla Fenicia, da Cipro e dalla Licia. Furono lavorati da artisti greci per dinasti non greci. I quattro della necropoli reale di Sidone furono trovati nel 1887 (e ora ad Istanbul): il più antico è il s. detto del Satrapo. Il cassone, di tipo greco a forma di arca, è arricchito da sculture a somiglianza dei pezzi più antichi ciprioti e fenici (lati lunghi: caccia a cavallo, il monarca sul trono e il suo cocchio; lati brevi: il monarca sul letto conviviale, guardie del corpo). L'uso di questa tematica aulica in senso sepolcrale non è greco, e si ricollega agli esemplari più antichi citati. Lo stile delle figure e dell'ornato è del tipo greco-orientale databile tra il 430-420, la conformazione interna invece deriva dal tipo antropoide e indica che il s. fu commissionato da un principe fenicio. Il s. licio prende nome dall'altissimo tetto testudinato con frontoni acuti, ad imitazione delle costruzioni funerarie della Licia che ci sono note anche da altri s. trovati in Licia (lati lunghi: caccia al leone sul carro, caccia al cinghiale a cavallo; lato breve: centauri, frontone, sfingi antitetiche e grifi) fu scolpito intorno al 410 da un artista greco orientale influenzato dalla scultura attica. I rilievi del s. detto delle Piangenti furono scolpiti da un greco orientale di scuola attica, nel 350 circa, se non addirittura nelle parti essenziali da un ateniese. Il cassone è conformato a guisa di heròon periptero (v. monumento funerario): la base è ornata da un fregio con scene di caccia, sugli attici figura una processione al sepolcro. I pilastri angolari provengono dall'architettura greca orientale, le colonne ioniche interposte sono collegate da brevi transenne, alle quali, in ogni intercolumnio, si appoggia una figura femminile in atteggiamento piangente. Già il s. fenicio di Ahiram presentava il motivo delle lamentatrici; per il tipo architettonico invece un prototipo greco lo abbiamo nel s. citato di Samo del VI sec. a. C. Nella Russia meridionale furono trovati esemplari analoghi di legno, risalenti al IV sec. a. C. Un esemplare di pietra viene da Palestrina (Roma, Museo Barracco). Mancano gli anelli intermedî. Tuttavia l'heròon, concepito probabilmente a somiglianza della casa del defunto e appoggiato su uno zoccolo, ci è noto in Oriente dalla tomba di Ciro a Pasargade. Si tratta di una forma tipica dell'Asia Minore, documentata già per il VI sec. nelle tombe della Licia, espressa anche, in forma monumentale e nel modo della tarda età classica, nel Monumento delle Nereidi di Xanthos (v.) e nel Mausoleo (v.) di Alicarnasso. Il s. delle Piangenti e i s. di legno con esso imparentati sono forme evolutive, relativamente indipendenti l'una dall'altra, di questo schema costruttivo, trasformato in sarcofago; un esemplare arcaico di Samo preludeva già a questa evoluzione.
Il s. detto di Alessandro è il più splendido dei s. greci in forma di arca decorati con rilievi. Su uno dei lati lunghi e su uno dei lati brevi è rappresentata una battaglia contro i Persiani. Alessandro, con il capo coperto dalla pelle di leone quale novello Eracle, vi partecipa a cavallo. Gli altri due lati mostrano greci e barbari a caccia. Il pezzo è unico nel suo genere anche per i notevoli resti di pittura. Viene considerato come il s. di Abdalonimos, creato nel 332 da Alessandro satrapo della Fenicia. Fra questo s. e le sculture del Mausoleo, eseguite intorno al 350, va collocato il s. delle Amazzoni di Vienna, che da Cipro arrivò in possesso dei Fugger, grandi mercanti rinascimentali. Il coperchio manca; la parte architettonica del cassone si riduce ai pilastri angolari e alle profilature. È questa la forma divenuta classica durante il periodo imperiale per le manifatture orientali. La forma è greco-orientale, per le tipiche profilature ingrossate che collegano pilastri e pareti, distinguendosi in modo netto dalle ante doriche.
A prescindere dall'Etruria poco si sa dei s. di età ellenistica. I s. figurati in quel periodo non esistono più affatto nell'ambito greco. Il pezzo più notevole è il s. a klìne del Mausoleo di Belevi presso Efeso, considerato il sepolcro di Antioco II di Siria (morto nel 246 a. C.). Sul coperchio giace la figura distesa del principe defunto. Si tratta di una esaltazione del motivo del banchetto funebre, comparso già prima della metà del V sec. a. C. nella plastica sepolcrale della Grecia orientale. È collegato con la sepoltura su klìnai, da tempo in uso in Siria e nei territori marginali dell'Asia Minore che, ripresa dalla corte macèdone, ebbe influenza sui regni dei Diadochi e sulle regioni ad esse culturalmente vicine.
I rimanenti s. ellenistici a noi noti sono semplici nella forma. Ciò vale anche per quelli di Paro e di Rheneia (Delo), che hanno quasi la pretesa di erigersi a mausoleo monumentale. Quelli di Paro si innalzano su zoccoli altissimi ed erano sormontati dal busto con il ritratto. Quelli di Cirene (v.) anche più imponenti, si ricollegano ai precedenti. A questo gruppo sembra che appartenesse anche quello gigantesco, largo 4 m, incompiuto, di Nicea, probabilmente lavorato per un re della Bitinia. Il s. di L. Cornelio Scipione Barbato console nel 298 a. C. che, a giudicare dalle circostanze del ritrovamento e dallo stile, dovrebbe essere stato confezionato molto dopo la morte del defunto, alla fine del II sec. a. C., riproduce la forma di un altare e deriva da modelli ellenistici e non etruschi, che hanno riscontro anche in Sicilia. Ad Agrigento fu trovato un s. anch'esso ornato di metope e originario al più tardi dall'inizio del III sec. a. C.
6. Etruria. - Ai s. greci e ciprioti del tardo periodo arcaico, cioè della fine del VI o inizio del V sec. a. C., decorati con scene, corrispondono quelli etruschi di calcare, lavorati a Chiusi e Perugia e che hanno un parallelo in urne cinerarie del medesimo tipo. Anche essi hanno forma di arca; i piedi sono del tipo di quelli ciprioti. Le decorazioni a rilievo o dipinte sono disposte sulle facce come su uno degli esemplari ciprioti e sui grandi s. di Clazomene, e si riferiscono di solito spesso al culto dei morti. Due s. fittili della medesima epoca, di Cerveteri, hanno forma di klìnai sulle quali sono distese in grandezza naturale le coppie dei coniugi defunti. L'uso di collocare nella camera sepolcrale una klìne per il defunto compare in Etruria al più tardi già nel VII sec. a. C. A quell'epoca questa usanza era sconosciuta in Grecia. Proviene dall'Oriente, dove recentemente è stata accertata a Gordion nelle tombe a tumulo dei re dell'VIII e VII sec. a. C. Una klìne di pietra del genere, del VI sec., ornata di rilievi, esiste a Cortona. Probabilmente un collegamento di tale usanza con l'idea del s. ha portato a sostituire i defunti veramente adagiati sulla klìne con la loro immagine scolpita. Il nuovo tipo sembra essere una creazione degli Etruschi del tardo periodo arcaico, che va visto nel quadro della generale fioritura della plastica fittile monumentale nell'Etruria meridionale di quell'epoca, con influenze, attraverso l'officina di Vulci, anche sulla Roma dell'età regia. Questi s. fittili non sono lontani per perfezione tecnica, dalle statue di terracotta di Veio (v. etrusca, arte).
Il generale ritorno all'uso del seppellimento entro s., caratteristico della seconda metà del IV sec. a. C., non ha portato in nessun luogo ad una produzione così numerosa ed estesa nel tempo come in Etruria. La nobiltà si era mantenuta fedele sin dal VII sec. a. C. alla forma della tomba a camera. Il materiale prevalentemente usato era il cosiddetto nenfro, tufo vulcanico grigio. Le botteghe più importanti hanno sede a Vulci, Tarquinia, Tuscania e Chiusi. Anche qui non manca il tipo prediletto nell'Oriente greco, semplice, con coperchio a forma di tetto, con le facce del cassone talora incassate. L'esemplare più bello viene da Bomarzo, ed è conservato al British Museum. La sua decorazione a rilievo figurato e ornamentale presenta ancora abbondanti tracce di pittura.
Una caratteristica etrusca sono le figure sui coperchi. Le più antiche dal punto di vista tipologico sono quelle distese sul dorso. Hanno relazione con la produzione cartaginese, come mostra la cassa marmorea di Tarquinia di importazione cartaginese. Ma mentre ivi la figura era trattata a guisa di statua distesa sul dorso, gli scultori etruschi ce la mostrano adagiata. Lo spunto è venuto da Cartagine dove ne esistevano i presupposti tematici nell'ambito della tradizione del s. antropoide. Già nel IV sec. a. C. le figure possono essere adagiate su un fianco, come si era usi collocare i morti nella camera funeraria, e all'inizio del III sec. a. C. il motivo diventa più sciolto e morbido. La positura su un lato con il busto semieretto diventa infine la forma predominante. Probabilmente non sono state estranee a questa evoluzione influenze dovute ad opere orientali contemporanee, di cui un esempio è conservato nel citato Mausoleo di Belevi presso Efeso. Anche i tardi s. fittili di Chiusi e Tuscania sono di questo tipo. Su due esemplari di pietra provenienti da Vulci e conservati a Boston, i coniugi giacciono uno accanto all'altro abbracciati. Malgrado ciò il s. etrusco a forma di klìne è raro. Il coperchio più spesso mantiene per i lati brevi la forma terminale a frontone. Solo al lato della testa vengono posti dei cuscini. Circa la pretesa influenza di questi s. sulla scultura sepolcrale medievale, il problema ha bisogno di ulteriori indagini. Nel modo in cui è reso il cassone è evidente sin dall'inizio l'indifferenza verso la parte architettonica del modello greco. A volte mancano del tutto le cornici o i sostegni angolari a forma di pilastro o di colonna. Grande importanza assume invece il motivo decorativo (grifi contrapposti, animali marini, combattimenti di fiere, coppe, pilastrini). I temi usuali sono i combattimenti soprattutto con le Amazzoni, scene dell'Oltretomba, l'al di là. Come nei s. greci di pietra e di legno le parti scolpite erano anche dipinte. Al museo di Firenze esiste un s. di alabastro decorato soltanto da pitture (amazzonomachie) proveniente da Tarquinia. Il s. di Torre S. Severo conservato a Orvieto (v.) è decorato con scene rappresentanti la veglia funebre per Patroclo, Ulisse e Circe, Ulisse agli Inferi, e costituisce, con il fondo sovraccarico di figure, un esempio caratteristico della indissolubilità che si riscontra nei rilievi italici fra la parte scolpita e la parte architettonica, costituendo in questo senso anche un precedente per i S. di età imperiale. Sottoposto a discussione, ma senza dubbio importante per la storia della ritrattistica dell'Italia centrale è il contributo che viene dalle immagini dei defunti posti sopra i coperchi (v. ritratto). Il periodo aureo di questa produzione si colloca nel tardo IV sec. e nel III sec. a. C. I ritrovamenti di Ferentino e Velletri mostrano che questi s. furono usati fino all'inizio dell'età augustea.
7. Roma. - Mentre conosciamo pochissimi s. con rilievi del I sec. d. C., il loro numero diventa enorme a partire dal II sec. d. C. Sono quasi sempre di marmo; solo di rado presentano tracce della pittura originale. Il maggior numero di essi è stato trovato a Roma; ma anche a prescindere dall'Urbe è sempre in Italia che se ne trova il numero maggiore. Seguono, fra le province, la Grecia, l'Asia Minore, la Siria, la Gallia, la Spagna e l'Africa. Si tratta di un materiale che presenta un inesauribile valore documentario tanto sulla vita privata che su quella pubblica, sull'economia come sulla storia della religione, della letteratura e dell'arte; e non solo arte antica, ma anche moderna, data la grande influenza dei s. romani sugli artisti del Medioevo e dell'evo moderno. Da ciò nacque il progetto di O. Jahn (1869) di raccogliere questo immenso materiale in un corpus dei s. e renderlo accessibile alla ricerca. Poiché il singolo s. in genere è parte di una serie suscettibile di molteplici varianti, ciò che resta deve essere raccolto nel modo più sistematico possibile. Anche i frammenti, a volte, forniscono informazioni preziose. I pezzi perduti vanno integrati con vecchi disegni o incisioni, che a volte riproducono gli esemplari in uno stadio di conservazione più completo che non gli stessi esemplari giunti fino a noi, sfigurati da danni o da restauri.
Per incarico dell'Istituto Archeologico Germanico l'allievo di O. Jalm, F. Matz († 1874) assunse la direzione dell'impresa e C. Robert († 1922) e G. Rodenwaldt († 1945) gli succedettero; sei volumi sono stati pubblicati. Alla fine della seconda guerra mondiale la maggior parte del materiale radunato per la prosecuzione andò distrutto a Berlino. La raccolta è completa solo per i s. dionisiaci. Per la parte rimanente il lavoro è stato ricominciato da capo negli ultimi anni. A ciò si aggiunge che occorre anche raccogliere e catalogare il materiale nuovo, reperito dopo la pubblicazione dei volumi già usciti. Fino al volume V, 1 le illustrazioni sono costituite essenzialmente da disegni dovuti alla mano di E. Eichler. Sono chiari e fedeli, ma non corrispondono più alle esigenze moderne perché non permettono di giudicare i caratteri stilistici. Debbono essere perciò integrati da buone fotografie. Il principio secondo il quale il materiale è stato raggruppato è tematico. I - vita dell'uomo (in particolare: battaglie, cacce, sponsali); II - cicli mitologici; III - (1-3) miti singoli; IV - ciclo bacchico; V - 1) vita marina, 2) muse; VI - Eroti e Stagioni; VII - s. decorativi. Nel quadro di questa opera verranno anche elaborate a parte alcune parti specifiche, come quella relativa ai s. etruschi, già uscita nel 1952; seguiranno quelle relative ai s. artici, dell'Asia Minore, dell'alta Italia, ravennati. Il Wilpert iniziò a raccogliere in maniera analoga i s. cristiani tardo-antichi (I sarcofagi cristiani antichi, 2 voll. di testo, 2 di tavv., con supplementi 1929-36). F. W. Deichmann e G. Bovini stanno apprestando un repertorio sul medesimo argomento.
Mentre l'indagine in passato s'interessava ai rilievi dei s. soprattutto come fonti per la conoscenza di opere perdute appartenenti alle fasi precedenti dell'arte antica e nei s. stessi sopravvalutava il lato decorativo, oggi si tende soprattutto a interpretare il simbolismo sepolcrale del tempo, che trova la sua espressione nei s. e a considerarli come materiali documentari per la storia dell'arte e per la storia economica e sociale dell'Impero Romano. Sotto il profilo del simbolismo funerario in generale la ricerca è progredita in modo particolare per opera di F. Cumont e di A. D. Nock; ma per la storia del s. antico manca tuttora una trattazione riassuntiva da questo punto di vista. Il tentativo di Altmann (1902) appare superato sia per il materiale che per la problematica. I risultati di G. Rodenwaldt, fondamentali per l'orientamento dell'attuale ricerca, sono contenuti in numerosi studî singoli.
Il s. che pervenne ai Musei di Berlino dal Palazzo Caffarelli, databile all'inizio del I sec. d. C. rappresenta un esempio isolato. È a forma di cassone con sottile incorniciatura. I lati lunghi sono ornati di ghirlande pendenti da bucrani con in mezzo boccali e patere sacrificali. Sui lati brevi è raffigurato un candelabro fra pianticelle di alloro. Lo stile indica l'epoca di Claudio. I suoi modelli vanno cercati in Asia Minore dove il primo s. a ghirlande è datato al I sec. d. C. (anche ad Alessandria esistono numerosi s. a ghirlande). A Roma, agli inizî dell'Impero, la forma predominante di sepoltura è la cremazione. Le are sepolcrali con un incavo nella parte superiore per custodire le ceneri, sono pure decorate a ghirlande come il s. Caffarelli.
Conosciamo inoltre un piccolo gruppo di coperchi di S. con figure distese, che scompaiono però nel medesimo periodo nel quale tornano in uso i s. con rilievi. Di per sé stessa poi la comparsa dei s. con rilievi e la progressiva sostituzione dell'uso dell'incinerazione con quello della inumazione nella tarda età traianea e nell'età adrianea, rappresenta un fenomeno oltremodo singolare, sia dal punto di vista della storia dell'arte che da quello della storia della religione. Già A. D. Nock (1932) ha invocato a spiegazione alcuni passi letterarî (Petron., iii, 2; Tac., Ann., xvi, 6). Riallacciandosi a quelle ricerche, il Rodenwaldt formulò nei seguenti termini lo stato attuale delle nostre cognizioni in proposito: "Si tratta di un aspetto di quella corrente culturale che giunge a Roma dalla rifiorente grecità dell'Asia Minore e che viene volontariamente assimilato". La storia di questo tipo di s. è caratterizzata dal fatto che la produzione fiorisce contemporaneamente sia nelle manifatture urbane di Roma che in quelle di Atene e dell'Asia Minore e che, perciò, determina lungo un arco di quasi 200 anni uno scambio continuo e ricco di tensioni tra le correnti provenienti dalla capitale e quelle orientali.
Su questi s. si possono pertanto seguire con grande evidenza gli sviluppi delle forme imperiali e la nascita di quelle tardo-antiche. Il più antico degli esempi dell'Urbe, databile con una certa sicurezza con mezzi esteriori, risulta essere quello a ghirlande del Camposanto di Pisa nel quale era stato sepolto G. Bellico Natale Tebanio console nell'anno 87 d. C. È un pezzo tardo-traianeo. Il motivo a ghirlande lo avvicina da una parte alle are sepolcrali romane e dall'altra ai s. dell'Asia Minore dai quali venne influenzato anche il s. Caffarelli, dal quale quello di Pisa si distingue per il lato posteriore liscio. Questa rimane in seguito la caratteristica comune a tutti i s. dell'Urbe, mentre quelli di fabbrica greca od orientale sono decorati su tutti e quattro i lati. L'origine della differenza sta nella diversa collocazione del s. nella tomba: lungo le pareti di una camera o al centro di un heròon. Soltanto quelli a vasca possono essere decorati anche sulla parte posteriore anche negli esemplari romani.
Fra le ghirlande del s. di Pisa sono rappresentate piccole scene mitologiche di intonazione narrativa. Questo tono è estraneo ai s. ellenistici. D'altro canto però il racconto per immagini figurate era tipico delle officine etrusche. Esso torna come motivo centrale sul gruppo di s. romani che si riallacciano in modo diretto al tipo a ghirlande.
Mancano però elementi per ipotizzare rapporti di derivazione diretta fra i due gruppi. La predilezione per la decorazione figurata con rilievi di tipo narrativo, caratteristica delle manifatture dell'Urbe, può pertanto essere considerata un elemento italico in senso lato. Anche la contemporanea fioritura di S. a fregio in Atene e nell'Asia Minore, di evidente derivazione dai s. classici scolpiti, va considerata come una espressione caratteristica del rinascimento adrianeo. Alle ghirlande viene a quel tempo aggiunto anche il motivo sepolcrale del thìasos marino, e quello del gruppo di maschere, che alludono alle rappresentazioni allora in voga del mimus vitae.
I primi esemplari che, sulla base delle caratteristiche stilistiche, vanno assegnati al II sec. d. C., sono s. attici che rappresentano il thìasos bacchico, o bambini giocosi alla festa delle Antesterie. I loro modelli vanno ricercati nella toreutica ellenistica, mentre per lo stile appartengono alla corrente neoattica. La datazione è stata accertata sulla base di un confronto fra le figure dei bimbi e quelle del fregio di età traianea nel Foro di Cesare.
Due esemplari di tipo mitologico ci mostrano la nuova forma che è andata assumendo il s. figurato in pieno sviluppo. Essi furono trovati (insieme ad un S. a ghirlande della forma già descritta e lavorato nella stessa bottega da cui proviene anche quello di Pisa), in una tomba costruita in età traianea: entrambi erano conservati al Laterano. La costruzione sepolcrale, dai bolli dei mattoni, è databile al 132-134 d. C. Le scene scolpite, Orestiade e Niòbidi (C. Robert, Ant. Sark. Rel., Berlino 1890-97 [in seguito citato A.S.R.], 2, 155, 3, 315) traggono l'iconografia da pitture ellenistiche. Nel rilievo è caratteristico il fitto intreccio delle figure che copre quasi totalmente il fondo. È una caratteristica questa che si riscontra in opere etrusche e nei rilievi romani di carattere storico dell'età di Traiano.
Particolarmente notevole è anche la indifferenza verso l'elemento tettonico, strutturale. Solo il lato principale e i due brevi adiacenti sono scolpiti, e sul cassone manca ogni organicità architettonica. Sul davanti del coperchio maschere fungono da acroterî. Il frontone manca, al suo posto compare un tetto ad uno spiovente, concepito ad imitazione della klìne in uso nel banchetto funebre. Come coronamento anteriore del coperchio, declinante all'indietro, c'è un bordo che corre fra le maschere degli angoli e che è decorato con un fregio a figure, o reca una iscrizione. E questo il nuovo tipo di s. che predomina nella produzione dell'Urbe. Le sue proporzioni subiscono notevoli modifiche. La decorazione del coperchio va riducendosi ad un bordo con maschere agli angoli, dietro al quale, all'altezza della sua base, è attaccata la lastra piana del coperchio.
Un altro gruppo caratteristico della produzione dell'Urbe, è quello delle lenòi (tinozze) ovali che appare sin dalla metà del II secolo. Questi s. databili al più tardi dalla seconda metà del secolo, spesso sono decorati solo da numerose scannellature (s. strigilati) a forma di S e da due teste di leone. La scelta della forma della tinozza per la fermentazione dell'uva appare in armonia con le credenze dionisiache.
Sui s. adrianei con thìasos bacchico e su quelli di tipo neoattico si nota una graduale trasformazione delle figure ed uno stile più ellenistico.
I s. del primo periodo degli Antonini sono caratterizzati da forme massicce e dure che esaltano in senso barocco il classicismo precedente, senza abbandonarlo, evolvendo la composizione a guisa di fitto fregio, allungando il cassone, il cui coperchio mantiene peraltro tracce della forma greca a frontone. La base per la datazione è offerta dal s. di Alcesti del Vaticano, proveniente da Ostia, che per la iscrizione incisa, appartiene al decennio 161-170 d. C. (A.S.R., 3, 26).
Dopo quest'epoca inizia un mutamento di stile che il Rodenwaldt poté chiarire mediante un esame comparato con i rilievi di carattere storico della stessa epoca, sui quali si avverte un processo analogo. La durezza del rilievo si dissolve a favore di effetti ottici, illusionistici, e contemporaneamente si tende ad una nuova disposizione delle masse. Viene accentuata la espressività soprattutto nelle teste e nei movimenti. Lo sviluppo in altezza del cassone permette una nuova disposizione delle figure, maggiormente pittorica, ripresa dalla scultura trionfale, con una libera riutilizzazione dello spazio figurativo greco. Compare una sovrapposizione delle figure e si tende ad una strutturazione centralizzata. Questa trasformazione avviene durante l'ultimo decennio dell'impero di Marco Aurelio, e sotto Commodo (v. romana, arte). Così il s. Taverna delle nozze coincide, dal punto di vista tipologico, con quello di Mantova, della prima epoca antoniniana; si differenzia però da questo in senso stilistico, allo stesso modo che i rilievi della Colonna Antonina differiscono dai tre rilievi di M. Aurelio sulla scalinata interna del Palazzo dei Conservatori. Seguono s. di battaglie, ad esempio a Pisa, a Villa Borghese, a Villa Doria, e al Museo delle Terme (da Portonaccio)..: Essi durano probabilmente fino all'epoca di Caracalla. Appartengono a questo ambito, fra. i s. con decorazioni mitologiche, quello sul lato verso il giardino di Villa Medici (A.S.R., 2, 11), fra quelli con animali marini un esemplare del Vaticano (A.S.R., 5, 1, 116), fra quelli bacchici una gigantesca lenòs del medesimo museo, così come una lastra di s. del Belvedere con il trionfo indiano di Bacco.
La scarsità dei monumenti pubblici del periodo immediatamente seguente costringe a basare la classificazione cronologica dei s. sui ritratti.
Il Rodenwaldt iniziò un lavoro del genere per il gruppo, che compare dopo la morte di Caracalla, sotto il regno di Alessandro Severo (222-235), con la caccia al leone. La collocazione, tra questi, del s. Mattei I ad una data di poco posteriore al 220 rappresenta una base cronologica preziosa. Il Rodenwaldt suppose che alla reazione di tipo classicistico che seguì alla evoluzione stilistica poc'anzi descritta, reazione visibile su questo esemplare, dovesse seguire nel decennio seguente un ritorno alla concezione formale romana e che questo movimento alterno, in avanti e indietro, si fosse ripetuto ancora alcune volte e che il risultato definitivo fosse stato la comparsa della forma tardo-antica (v. romana, arte).
Nel frattempo è apparso chiaro, invece, che le due correnti stilistiche esistono contemporaneamente nelle diverse officine di quel periodo. Per poter seguire questo fenomeno, si dovrà indagare anzitutto sulle varie officine artistiche, e chiarire le relazioni fra loro. È un lavoro ancora agli inizî. Per poterlo portare a termine è necessario anzitutto poter prendere visione della intera produzione con l'aiuto di riproduzioni fotografiche, compito che tra l'altro si propone il menzionato corpus dei sarcofagi. Qui di seguito sono citati alcuni raggruppamenti già definiti.
L'officina di tarda epoca antoniniana, dalla quale provengono la lastra di s. raffigurante l'iniziazione mistica e l'Arianna dormente, che si trova a Roma, sul lato verso il giardino di Villa Medici, e il s. Casali a Copenaghen continua la sua maniera anche dopo il mutamento stilistico. Dai continuatori di questa scuola provengono la lenòs dioniasiaca di Mosca e il s. di Arianna a Baltimora. Il carattere dissolto e fiammeggiante della superficie e l'accresciuta tendenza ad una composizione centralizzata, lasciano trasparire, malgrado la evidente fedeltà a modelli greci nei motivi e nella grandezza delle figure, l'influenza del mutamento stilistico. Fra i s. mitologici invece corrisponde stilisticamente il s. di Ippolito di Pisa (A.S.R., 3, 164) che proviene da altra manifattura.
Il consolidamento della forma di tipo classicheggiante dell'epoca di Caracalla appare espresso in tre modi diversi su tre diversi esemplari, il s. nuziale di S. Lorenzo fuori le Mura, il s. bacchico del Museo delle Terme, dalla via Casilina, con la medesima scena del s. Casali di Copenaghen, e la lastra di s. di Woburn Abbey con il trionfo indiano di Dioniso. Nel primo esemplare le influenze romane sono manifeste nella tematica, nel secondo nella disposizione grafica e nella rigidità plastica dei corpi, nel terzo nella sovrapposizione delle figure. Che però si perpetuasse pure una maniera a piccole figure e con la superficie scintillante, lo si vede ad esempio nel s. di Adone del Laterano (A.S.R., 3, 21) dell'epoca di Alessandro Severo e nei s. di Ippolito che lo precedono (ad esempio A.S.R., 3, 167). Si conoscono tre manifatture degli anni 20 del III sec., che lavoravano prevalentemente a figure grandi e con influenze greche, senza essere del tutto estranee a influenze dell'altra maniera. Una di esse è rappresentata dal s. della caccia al leone Mattei I, la seconda dal s. bacchico Badminton (a New York) con le Stagioni, e la terza dal s. raffigurante lo stesso tema, conservato a Gerusalemme. Si raggiunge così la fase pienamente barocca nella produzione dei s., che prosegue negli anni 30 e 40 per lasciare il posto, verso la metà del secolo, ad un classicismo di tipo però particolarmente disintegrato. Questo è detto comunemente gallienico, ma si annuncia già prima dell'ascesa al trono di questo imperatore (260-268). Le forme nuovamente riprendono solidità, e la scelta dei modelli classici per motivi e temi è evidentemente cosciente, ma contemporaneamente le forme tendono a perdere corposità e volume, con una intensità che supera quanto in questa direzione era stato fin qui prestito dall'arte imperiale, preannunciando così il trapasso verso il tardo-antico.
Il risultato più ragguardevole che avevano raggiunto i maestri dello stile totalmente barocco nel periodo precedente era stato la creazione di una nuova forma di rilievo monumentale a grandi figure, nella quale sono avvertibili, fuse insieme, la tradizione greca e quella romana.
Romana è la tendenza alla disposizione centralizzata e alla formazione di nicchie; greche sono le figure grandi e il senso dello spazio. Esempî sono i grandi s. di Endimione, Marte, Rhea Silvia e delle Amazzoni degli anni 30 e 40 (A.S.R., 3, 77, 79, 80, 188, 190; 2, 90, 92, 94, 95). Gli esemplari più importanti degli anni 30 si distinguono da quelli del decennio precedente soprattutto per la tendenza barocca di aprire e dissolvere le forme dei corpi, come si vede sul s. delle Nereidi, su quello di Balbino delle Catacombe di Pretestato, su quello delle nozze del Museo delle Terme, che viene dalla via Appia, su quello bacchico con clipeo, sul s. della Collezione Borghese con la caccia al leone al Louvre e su quello Pallavicini con lo stesso soggetto.
Tra il 240 e il 260, in concomitanza a nuove tendenze verso una espressione più tranquilla, si assiste di nuovo ad un regresso della rappresentazione corporea e spaziale, che sempre maggiormente predomina su tutto. I corpi perdono ogni aspetto di corposità e di significato funzionale. Le loro immagini paiono premere in avanti. Le caratteristiche intrinseche dei motivi antichi vengono completamente trascurate a favore di una espressione intensa, interiorizzata, piuttosto simbolica. Quest'ultimo, definitivo passaggio verso la forma figurativa tardo-antica si compie per gradi, e in modo diverso nelle diverse manifatture artigiane.
L'officina che confezionò il S. Badminton ha un seguito nel s. di Kassel che presenta lo stesso tipo di composizione; ma le figure sono appiattite e prive di proprio volume. Questa maniera si conclude provvisoriamente nel classicismo di Garneno, effettivamente pseudomorfo, poiché gli manca infatti il senso per lo spazio e per il volume. Come esempî si citano: il s. "dei fratelli" a Napoli, il s. con la caccia al leone di Reims, la lènos con scene di nozze ed il s. con filosofi del Museo Torlonia, il s. dell'Annona al Museo Nazionale Romano e il grande frammento del Laterano con il filosofo docente, già erroneamente identificato come Plotino.
La datazione del più grande e splendido dei s. romani, quello Ludovisi, con battaglia, oscilla ancora nel tempo di una generazione. L'Alföldi, il Delbrück e lo Schönebeck lo collocano nell'età di Gallieno, il Rodenwaldt, anche egli convinto all'inizio di questa tesi, lo riportò in seguito indietro verso il 235, ma dichiarandosi poi nel suo ultimo lavoro incline ad un compromesso, "circa il 260". La von Heintze ha recentemente proposto che potesse essere stato commissionato per le esequie del giovane imperatore Ostiliano (v.), che porterebbe al 251. In ogni caso appartiene a questa fase di transizione. Nel periodo che va dalla morte di Gallieno alla Tetrarchia sembra dominare incontrastata la tendenza a distruggere le antiche forme. Il periodo perciò è stato detto quello dell'anarchia formale. Nel quadro storico complessivo, il nuovo indirizzo dello stile e la complessità dei contrasti non devono essere trascurati. Questo particolarmente si può studiare sui s. mitologici, per la derivazione dei motivi da opere più antiche. Ad esempio i s. di Fetonte (A.S.R., 3, 338, 340), i s. di Ippolito (ibid., 162, 163), i s. di Meleagro (ibid., 239), i s. di Endimione (ibid., 92). Un capolavoro del principio della prima fase conosciamo nei frammenti di una grande lènos, da Acilia, nel Museo Nazionale Romano, con filosofi. Nella produzione generale dell'epoca alle menzionate qualità stilistiche si aggiungono tre fattori che influenzano la concezione formale e che vengono dall'esterno. In senso stretto è anzitutto storicamente accertata la estinzione delle officine di s. orientali, e la venuta a Roma degli artigiani resisi disponibili, con un rafforzamento conseguente della tradizione. Le influenze dell'arte popolare romana, che si manifestano contemporaneamente sull'arte plastica monumentale, hanno invece una origine eminentemente sociologica con effetto acceleratore sulle forze dissolvitrici (v. romana, arte). Un impulso importante nella concretizzazione di una nuova forma venne anche dalla elaborazione di una tematica religiosa e spirituale cristiana, che andava formandosi nell'età di Costantino (v. Nuovo testamento).
I primi s. cristiani sono quelli cosiddetti del Paradiso. Essi si riallacciano direttamente a quelli pagani con filosofi (La Gayolle, Wilpert, tav. 1, 2; Laterano dalla via Salaria, Wilpert, tav. 1, 1; S. Maria Antiqua, Wilpert, tav. 1I, 2). La loro datazione per il decennio 260-270 pare oggi certa (v. filosofi). Immediatamente dopo iniziano i racconti biblici a somiglianza dei tipi che venivano definendosi nella pittura delle catacombe (v. più avanti, 9).
Come vada formandosi la composizione bizonale lo si può seguire soprattutto sui s. di Giona e su un certo numero di frammenti policromi del Museo Nazionale Romano. Essa raggiunge la propria fase classica sui s. cristiani di età costantiniana. Anche la forma architettonica riprende nuovamente solidità per l'aggiunta dei medaglioni con ritratti (esemplare fondamentale il "sarcofago dogmatico" del Laterano). In tutti si nota il consolidamento formale dell'età di Costantino, evidente anche sui s. pagani contemporanei e su quelli cristiani monozonali o con il fronte suddiviso da colonnine. La forma plastica, con il suo carattere spiccatamente ottico, è anzitutto totalmente romana. Parte di questi esemplari viene dalle stesse botteghe che lavorarono i rilievi a carattere storico dell'Arco di Costantino.
La fase di trapasso è ormai superata. L'evoluzione è definitivamente giunta alla fase detta tardo-antica. Verso la metà dei sec. IV si nota un mutamento di stile in senso classicistico, di cui gli esempî più cospicui sono il s. "dei fratelli" del Laterano e il s. del prefetto dell'Urbe Giunio Basso (v.) dell'anno 358 nelle Grotte Vaticane (v. tavola a colori vol. v, p. 592). Il nuovo rinascimento, di cui è permeata la corte dell'età teodosiana, influenza anche l'arte dei sarcofagi.
La produzione di s. si estingue nella capitale già all'inizio del V sec. d. C. Filiali che erano fiorite già nel IV sec. in Gallia sopravvivono per altri duecento anni almeno. Ad esse soprattutto bisogna far risalire le influenze che le tradizioni antiche hanno esercitato sull'arte del primo Medioevo che andava formandosi.
8. S. di tipo orientale. - Non sono qui citati nel panorama dei s. romani i tipi che si configurano come copia di modelli orientali. I più importanti fra essi, ma non i soli, sono i s. a ghirlande, i s. a klìne e i s. a colonne.
Le più importanti manifatture che nel IIl e III sec. d. C. lavoravano questi tipi di s. erano in Atene e nell'Asia Minore, la vera patria dei s. di età imperiale. Il loro indirizzo formale (descritto già circa 8o anni addietro da F. Matz senior per il gruppo attico), è dato essenzialmente dal mantenimento della struttura architettonica e dalla conseguente impostazione sui quattro lati dell'ornato. Molti di questi s. furono esportati, non solo nella parte orientale dell'Impero, ma anche in Occidente e soprattutto a Roma, mentre i s. lavorati nell'Urbe solo di rado pervennero in Oriente.
L'esistenza o meno in Roma di officine che lavorassero nello stile orientale è tuttora insufficientemente documentata.
Manca uno studio veramente conclusivo sui s. attici, che appare indispensabile. Questi s. compaiono durante l'età adrianea. Quelli neoattici rimangono la fonte tipologica dei primi s. dionisiaci. Un gruppo più recente, con motivi prettamente ellenistici, inizia verso la fine del II sec., e si può seguire in due fasi per due generazioni almeno. Insieme ai s. bacchici compaiono s. attici con eroti e li accompagnano fino alla fine della produzione.
Fra i temi mitologici erano particolarmente apprezzati quelli del ciclo troiano. Contemporaneamente circa a quelle romane, all'inizio cioè del gruppo più recente, le officine attiche cominciano a lavorare a composizioni fitte di grandi figure. Sono di questo periodo il s. di Achille da Efeso di Woburn Abbey (A.S.R., 2, 47), i s. di Ippolito di Agrigento (A.S.R., 3, 153), di Leningrado (A.S.R., 3, 154) e di Tarragona. Appartengono allo stesso gruppo anche i s. bacchici Gardner-Farnese e il s. con eroti di Porto (Ostia Antica, museo). Seguono nel secondo venticinquennio del III sec. opere come il s. di Achille del Museo Capitolino (A.S.R., 2,25), il s. di Ippolito di Arles (A.S.R., 3, 16o), un s. bacchico di Salonicco e il s. degli eroti delle Catacombe di Pretestato. Gli esemplari più tardi di battaglie e di Amazzoni si distinguono da quelli romani contemporanei perché rimangono fedeli alla composizione disposta a guisa di fregio. Una particolare caratteristica per tutto il gruppo è data dalle sopracciglia che sono rese con incisioni. La forma comune del coperchio è quella del frontone con acroterî. A partire però dalla seconda metà del II sec. il coperchio può essere conformato anche a forma di klìne, con sopra distesa la figura del defunto. Si tratta di una ripresa di un motivo orientale-ellenistico che avviene contemporaneamente anche sui s. dell'Asia Minore e che viene fatto proprio alla fine del III sec. anche dalle manifatture di Roma. S. attici conformati a totale somiglianza di klìne compaiono nella prima metà del III sec. d. C. Il più ragguardevole esemplare di essi è quello posto nell'atrio di S. Lorenzo fuori le Mura a Roma, sul cui cassone sono raffigurati eroti vendemmianti.
Il gruppo dell'Asia Minore è più ricco di forme e più complesso. I suoi rappresentanti più splendidi e numerosi sono i s. a colonne. Il cassone è suddiviso architettonicamente da numerose colonnine, fra le quali sono disposte le figure a guisa di statue. Alla base di questa concezione c'è, come a suo tempo nel s. delle Piangenti, il desiderio di raffigurare il monumento funebre a guisa di heròon, idea ripresa anche su s. dell'Asia Minore di età imperiale di tipo semplicissimo, da collocare isolati. Il coperchio dei s. a colonne dell'Asia Minore può essere sagomato a forma di klìne, come quello dei s. attici, e sopportare figure distese. Nel passato si solevano distinguere due gruppi sulla base delle differenti ornamentazioni, uno detto "lidio", che si diceva fabbricato a Efeso, e l'altro che traeva il nome dal grande esemplare di Sidamara a Istanbul e le cui officine venivano cercate nelle città greche della Propontide.
Oggi, con maggior materiale a disposizione, si tende a considerarli di epoche differenti. Il secondo gruppo è più recente. Inizia appena al principio del III secolo. Gli esemplari più antichi, come ad esempio il S. di Melfi, appartengono all'epoca di Marco Aurelio. Si avvicina, invece, per la datazione al complesso più antico un piccolo gruppo originario di Afrodisiade. Il tipo a colonne fu accolto subito anche dalle officine romane, e rielaborato in molteplici modi.
Un grande s. bizonale dell'architettura a tabernacoli, trovato nel 1958 a Velletri, rappresenta un esemplare isolato di una officina romana urbana, del primo periodo della produzione di questo motivo. Sono raffigurate scene dell'Ade e il mito di Eracle (v.). Un altro esemplare, pure romano, con grandi arcate e riproducente una scena nuziale della prima metà del III sec., si trova davanti al portale del Battistero di S. Giovanni di Firenze. Il S. Mattei con le Muse al Museo Nazionale Romano e i frammenti affini delle Catacombe di Priscilla furono lavorati a Roma da artigiani dell'Asia Minore durante la seconda metà del III secolo. Essi chiudono tutta la serie.
Il rilievo di Berlino con la figura del Cristo, proveniente da Costantinopoli, non appartiene ad un s.; è una tarda rielaborazione del tipo.
Alcuni s. istoriati dell'Asia Minore, in massima parte appartenenti ancora al II sec., si riallacciano in modo così evidente al gruppo più antico di s. a colonne, che si ritiene che essi siano originari dalle medesime manifatture. Alcuni esemplari del gruppo vanno localizzati con ogni probabilità nell'Asia Minore meridionale. Esempî caratteristici sono il s. di Bellerofonte da Megiste ad Atene, quello di Ettore a Providence, quello di Torre Nova con Eracle iniziato nei misteri di Eleusi e quelli con eroti a Beirut e a Sidone. Sulla base delle caratteristiche della ornamentazione vengono attribuiti a queste officine anche alcuni s. a ghirlande. Ad essi si aggiungono i s. con decorazioni semplicissime, pure provenienti da questo ambito, nei quali la parte più importante è rappresentata dalla tabula ansata. Si può dire che nella produzione dell'Asia Minore, come in quella attica, l'elemento fondamentale resta dall'inizio alla fine la struttura architettonica, mentre in quella romana è il racconto che prevale, carico di significati simbolici.
I s. di dimensioni a volte eccezionali che furono lavorati a partire dal III sec. nell'Italia settentrionale e in Dalmazia, si riallacciano, per la forma generale e per i particolari, alla tradizione orientale. Le arcate al di sotto delle quali sono rappresentati i defunti a guisa di statue ai due estremi del lato principale, sono resti di una architettura a colonne. I coperchi sono sagomati a guisa di tetto con basso frontone. Sugli acroterî compaiono ritratti. All'origine sono evidenti le strette relazioni economiche con l'Oriente. Anche qui compaiono, prima nei temi e poi nello stile, elementi popolari sia nei rilievi principali del lato anteriore, sia sugli altri lati. Gli esempî più importanti sono ad Ancona, Bologna, Ferrara, Milano, Modena, Ravenna, Salona; uno è pervenuto da Roma a Copenaghen.
Un movimento rinascimentale del tipo orientale si riconosce sui s. di Ravenna (v.). Le condizioni esteriori che determinarono la fioritura ravennate vanno ricercate nel trasferimento avvenuto all'inizio del V sec. della capitale dell'Impero di Occidente in quella città. Portatrici di una tradizione formale orientale, più ancora probabilmente che le nuove relazioni con Bisanzio furono s. trasportati già prima dall'Asia Minore. Queste manifatture cessano la loro produzione solo nell'VIII secolo.
Sono influenzati dai s. orientali a colonne più antichi o contemporanei anche i notevoli s. con il motivo della cinta muraria (Stadtmauersarkophage) che fra la fine del IV e il V sec. furono lavorati da artigiani italici a Milano. Un esemplare fondamentale del gruppo è pervenuto, tramite la Collezione Borghese, da S. Pietro in Roma al Louvre. Altri esempî si conoscono ad Ancona e a Milano.
I tipi orientali giunsero anche in Gallia, sia direttamente che tramite l'Italia settentrionale. Qui essi si incontrarono con quelli importati da Roma. I s. lavorati in questa regione, all'inizio soprattutto a Massalia (Marsiglia), e nella vicina Germania si arricchiscono col tempo di motivi locali derivanti da una scambievole relazione con la scultura funeraria indigena perfezionatasi sulle stele e in monumenti pilastriformi (v. monumento funerario).
Il gruppo ultimo dei s. gallici detto aquitano, arriva fino al VI-VII secolo. Le officine più importanti erano a Tolosa, Bordeaux, Narbonne, e Martres-Tolosane. Sono scolpiti a intagli. Esistono esemplari con ornamentazioni figurate o semplicemente decorative. Si avverte l'eco dei motivi a tabernacolo e a strigilature. Nei tralci si riconosce l'influenza orientale. Il gruppo rappresenta un ponte con l'arte merovingia.
Una classe a sé costituiscono i s. di piombo (v. piombo) decorati con stampigliature ornamentali che iniziano nel II sec. d. C ed arrivano fino ad epoca cristiana. Furono lavorati soprattutto in Siria, ma ne esistono anche nelle province occidentali.
Per il resto, la Siria e l'Egitto, dove la forma predominante è il s. a ghirlande, hanno aggiunto poco alla produzione di s. di età imperiale.
Occupano invece un posto a sé alcuni s. di porfido lavorati in Egitto per i mausolei imperiali. Di quelli conservatisi, i più antichi sono quelli dell'imperatrice Elena († 338) e quello di Costanza († 354), una delle figlie di Costantino, ai Musei Vaticani. La relativa ricchezza dell'ornato figurato è probabilmente da ricondurre all'uso romano, pur presentando questi una decorazione su tutte e quattro i lati. Invece i s. in porfido lavorati per Costantinopoli sono di una semplicità imponente. In questo si riallacciano alla tradizione classica, della cui sopravvivenza non mancano le testimonianze nell'Asia Minore e per l'età ellenistica, e per gli inizî dell'Impero.
Anche il s. principesco di marmo trovato a Costantinopoli (Sariguzel), della fine del VI sec., rappresenta la tipologia orientale. Le forme dei rilievi hanno un aspetto sorprendentemente classico. Sui lati lunghi il vecchio motivo della Vittoria con clipeo ha subito solo poche variazioni. Ora due angeli, sollevanti il monogramma di Cristo incoronato da fronde, decorano i lati lunghi; sui lati brevi un paio di apostoli e nel centro una croce.
Dato che anche i s. greci relativamente più antichi ci appaiono come una evoluzione di motivi originarî dall'Egitto e dall'Asia Minore, la storia dell'arte dei s. antichi è una evidente dimostrazione della lunga continuità nell'ambito culturale mediterraneo della tradizione formale nell'antichità
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(F. Matz)
9. Sarcofagi cristiani. -
a) Roma, Milano e la Gallia. - Gli inizî della decorazione plastica dei s. cristiani vanno ravvisati nelle botteghe artigiane romane del III sec. e in quelle galliche che da esse dipendono (soprattutto Arles). All'inizio queste sculture presentano una stretta affinità stilistica e tematica con i rilievi dei s. pagani. Rappresentanti dello sviluppo iniziale sono i s. strigilati e quelli a fregio con il tema del filosofo e della sua dottrina di salvezza. Sotto questo profilo il problema può considerarsi risolto (v. filosofi). Ma per quanto concerne la datazione dei più antichi s. dei filosofi, le opinioni degli studiosi sono ancora controverse. Mentre il Rodenwaldt e sulla sua scia il Gerke, proposero su buone basi una datazione all'età di Gallieno, in seguito, particolarmente da parte del Bovini, si tentò di porre in discussione la datazione alta data dagli studiosi precedenti (fine II-inizio III sec.) mediante l'analisi dei ritratti.
Le differenze, per altro trascurabili, fra le interpretazioni più serie che siano state proposte, acquistano importanza soltanto quando si tratta di considerare il significato cristiano o meno dell'Orante e del pastore, le figure che più frequentemente si accompagnano al filosofo-maestro. L'origine pagana di queste due figure è ormai da tempo indiscussa. Mentre da un lato (con il Gerke) si è quasi obbligati a intenderle in senso cristiano quali simboli della preghiera e della salvezza, dall'altro (a stare al Klauser), si ravvisano in esse nuovamente le personificazioni delle due principali virtù degli stoici (predicate dal filosofo), la Filantropia e la Pietà; sicché la questione rimarrebbe insoluta. Di conseguenza il s. della via Salaria in Roma (Laterano n. 181) e il s. di La Gayole (a Brignoles) che il Gerke cita come i più antichi cristiani, fanno parte, secondo il Klauser, ancora dei s. con pagani filosofi. Il tema appare indubbiamente cristianizzato sul s. di S. Maria Antiqua (260-80 circa) dove la scena del battesimo e quella del salvataggio di Giona sono raffigurate quali testimonianze bibliche della verità della dottrina predicata. Nel successivo sviluppo si rinunzia innanzitutto al filosofo e si spostano gli Oranti o il Buon Pastore al centro, oppure ai margini di scene bibliche di salvezza (s. di Giona a Berlino e Copenaghen; S. di Velletri) o di scene più generiche bucolico-paradisiache (s. del Pastore, Roma, Villa Doria Pamphili e Villa Medici: Gerke, Die christl. Sarkoph., p. 59) che ancora una volta il Klauser considera con ogni probabilità pagane. Nel corso di questo processo muta il significato dell'Orante (v.). Esso non personifica più esclusivamente un concetto (sia esso la Preghiera o la Virtù), ma l'anima del defunto. La tendenza alla individualizzazione porta con sé la possibilità che al posto dell'Orante al centro della composizione possa venir collocato anche un clipeo con ritratto, sulla cui provenienza dai s. con apoteosi del III sec. non può esserci dubbio.
Alla fine dell'età tetrarchica compare per la prima volta nei rilievi, assieme ad alcune scene scelte dal Nuovo Testamento, la figura dello stesso Cristo Taumaturgo (frammenti policromi al Museo Nazionale, Roma), dapprima con la barba, come un filosofo cinico, poi come figura giovanile (v. cristo; Nuovo testamento). L'assieparsi delle scene dei miracoli, stereotipate e ridotte a pochi elementi essenziali (Lazzaro, la moltiplicazione dei pani, Cana, la guarigione del paralitico, del cieco, della emorroissa), richiede una nuova articolazione della fronte del s. che ha per risultato il s. a fregio biblico-cristologico. Il suo periodo di massima fioritura coincide con il regno di Costantino il Grande. Esempî classici di questo tipo sono: il s. n. 161 del Museo Laterano (con al centro orante scortata da due apostoli), il s. n. 191 del Museo Laterano (con al centro la benedizione dei pani e dei pesci); il cosiddetto s. di Giairo ad Arles, un s. a fregio nella cattedrale di Gerona. La fase tarda è rappresentata dal s. dei Fratelli (Museo Laterano). Alcuni esemplari, come per il s. n. 104 del Museo Laterano, provengono da una bottega artigiana, che sicuramente è la stessa che ha lavorato anche all'Arco di Costantino. Caratteri della corrente artistica popolare si trovano anche nel cosiddetto s. di Lot, ancora in situ nelle catacombe di S. Sebastiano (A. Ferrua, Riv. Arch. Crist., xxvii, 1951, p. 21 ss.) che conserva notevoli tracce della policromia (v. tavola a colori).
Senza peraltro sostituire completamente il s. a fregio, attorno al 340 è frequente il s. a colonne (in luogo di colonne compaiono spesso anche pilastri o alberi) evidentemente tornato in auge per il rinnovato influsso orientale, che con con la struttura a cinque (in seguito anche a sette) nicchie, fa della discontinuità delle scene un principio formale fondamentale. In questo periodo, assieme alla struttura, muta anche la tematica: benche esistano tuttora s. a colonne con scene dei miracoli del Cristo, il tema principale è la descrizione della Passione intesa come vittoria sulla morte. All'inizio, questo tipo di s. rappresenta il concetto della vittoria per lo più come un oggetto simbolico posto nella nicchia centrale: la Crux Invicta, l'insegna vittoriosa, modellata a imitazione del labaro di Costantino. In conformità al concetto di base, che è quello della vittoria, è evitato qualsiasi tipo di rappresentazione dei patimenti della Passione. In un solo caso su un esemplare del gruppo più antico (s. n. 174 al Museo Laterano), accanto alle rappresentazioni canoniche del Cristo condotto prigioniero e di Pilato che si lava le mani, compaiono le scene dell'incoronazione di spine e di Simone il Cireneo che porta la croce, che stanno a sintetizzare l'intera Passione. Del resto alle due scene di Cristo citate per prime fanno spesso riscontro quelle con Pietro condotto prigioniero e la decapitazione di Paolo (s. di Giunio Basso nelle Grotte di S. Pietro, s. nella cripta di S. Massimino). Talora le scene con il Cristo possono essere sostituite dai simboli dell'Antico Testamento che vi corrispondono (Giobbe o Abele, s. n. 164 al Museo Laterano). La storia dello sviluppo dei s. con scene della Passione, comprese le numerose varianti, è illustrata in modo eccellente dal Gerke (v. bibl.). Il Gerke dimostra non soltanto che in quanto al tema essi sono profondamente radicati nella tradizione artigiana della città di Roma, ma che sono anche connessi, sotto il profilo strutturale, a quel gruppo di s. occidentali a colonne del III sec., chiaramente illustrati dal Rodenwaldt (Röm. Mitt., 1923-24), i quali, rispetto ai loro modelli anatolici, svilupparono caratteristiche proprie, a prescindere dai temi romano-occidentali: nelle nicchie (a conchiglia che si chiude verso l'alto); capitelli compositi; isolamento del lato frontale; lato posteriore grezzo. Diversa è l'opinione di M. Lawrence, che tenta di dimostrare la priorità dei s. di Arles con scene della Passione rispetto a quelli romani; contemporaneamente essa attribuisce la nuova comparsa del tipo dei s. a colonne a influenze anatoliche particolarmente forti nella Gallia, dovute ad esemplari importati e a maestranze, che si spostavano da un sito all'altro. M. Lawrence (Columnar Sarcophagi) si basa, a questo proposito, soprattutto sugli studî di C. R. Morey (Sardis). In questo suo processo deduttivo essa include anche il gruppo teodosiano dei s. a porte di città tipici dell'Italia settentrionale e della Gallia, che in parte hanno effettivamente tutte e quattro le facce scolpite, un fattore tipicamente orientale (s. di Milano a porte di città), ma che in ogni caso non smentiscono la loro dipendenza dalla tradizione romano-occidentale per quel che concerne l'iconografia e i singoli elementi, come per esempio il coperchio piatto con un listello lungo un solo lato. I s. cristiani a colonne, romano-orientali, dei quali ci danno senza dubbio un quadro più esatto i s. ravennati, oltre al frammento di Berlino proveniente da Psamathia (Oström. Plast., tav. 50, p. 166 ss.; Kollwitz), erano certamente diversi. Ne tratteremo in seguito.
Nelle botteghe artigiane occidentali, fra cui le più importanti, in seguito allo spostamento della residenza imperiale in questa città, sono quelle di Milano, lo sviluppo conduce, intorno al 380, al superamento del tema della Passione. Le scene rappresentative di maiestas, quali erano state create dalla pittura monumentale per le absidi, sono adottate dalla scultura dei s. (Gerke, in Riv. Arch. Crist., 1935, p. 118 ss.). I primi accenni si hanno già nei s. della Passione quando la Crux Invicta centrale viene sostituita con il Cristo in trono, o il Cristo con la croce della vittoria (XP-Victor) o il XP che consegna le leggi dal monte del Paradiso (s. di S. Sebastiano, attorno al 370). Costituisce però un'innovazione l'estendere le diverse forme di maiestas a singole scene di omaggio a sé stanti, che ricoprono l'intero fronte del s.: a Roma e nell'Italia settentrionale soprattutto scene del monte del Paradiso con figure stanti, nella Gallia, invece, rappresentazioni del concilio celeste con figure sedute. Le raffigurazioni degli Apostoli acclamanti che procedono in file o seduti in adunanza, sono ora in stretta relazione con il motivo centrale. La solita struttura a colonne costituiva certamente un ostacolo per questo nuovo schema compositivo e perciò venne usata per lo più soltanto come un'architettura di sfondo (s. a porte di città a Milano e ad Ancona; cosiddetti s. della Basilica Caelestis ad Arles, Museo Lapidario, e a Parigi, Louvre). Quando anche la Crux Invicta passa dalla tematica della Passione alla sfera delle raffigurazioni di omaggio celeste e giunge ad essere rappresentata con completa eliminazione della struttura a colonne che era d'ostacolo a tale rappresentazione, viene a terminare, attorno al 410, la decorazione figurata dei s. antichi nelle botteghe romane e in quelle legate a Roma (Arles, Milano), che avevano fornito tutto l'emisfero occidentale d'allora, ossia anche la Spagna e l'Africa settentrionale. Le ultime manifestazioni se ne hanno a Marsiglia, fino a circa la metà del V secolo.
Sulla loro scia le botteghe della Gallia sud-occidentale, nei pressi di Tolosa, che si limitano alla produzione di rilievi ornamentali, acquistano solamente un'importanza locale. Invece a Ravenna, capitale in epoca tarda (dal 404 in poi sotto Onorio), l'eredità romana-occidentale viene trasformata da forti impulsi provenienti dall'Impero romano d'Oriente. Ha così inizio una nuova caratteristica fioritura della scultura figurativa sui s., che perdura sino alla fine del VI secolo.
b) Ravenna. Costantinopoli. Asia Minore. - Si discute tuttora quale S. segni l'inizio dello sviluppo ravennate (v. anche ravenna). Sia che esso si identifichi con quello del Museo Nazionale in cui compare Cristo sul monte del Paradiso mentre consegna le leggi a Pietro (così il Bovini), o con il s. Pignatta in cui sono raffigurati i principali Apostoli che rendono omaggio a Cristo in trono con ai piedi il leone e il basilisco (così il Kollwitz, Sarkoph. Ravennas, p. 7), ovvero sia il S. a colonne della navata laterale sinistra di S. Francesco con la scena di Cristo in trono che consegna le leggi a Paolo: ognuno di questi s. si differenzia radicalmente da tutti i tipi finora usuali nell'Occidente, non soltanto da quelli delle capitali, ma anche dagli esemplari provinciali, privi di sculture, dell'Italia settentrionale, dell'Istria e della Dalmazia, le cui caratteristiche ricompaiono appena in una fase successiva nella scultura dei s. ravennati (per esempio con tre tabernacoli nel cosiddetto s. di Onorio nel Mausoleo di Galla Placidia: Lawrence, Sarc. Ravenna, fig. 61). Si tratta di s. dalla rigida struttura tettonica, con uno zoccolo più o meno elaborato. La maggior parte di essi presenta sui quattro lati il campo figurativo delimitato da pilastri angolari e dall'architrave e più tardi incorniciati anche da listelli; l'altro tipo classico ravennate ha tre lati articolati da nicchie le cui arcate sorrette da colonne sono a forma di conchiglie che si chiudono verso il basso secondo una caratteristica specificamente orientale. I coperchi, talora a vòlta o a forma di tetto spiovente con acroteri angolari, accentuano il carattere tipicamente locale dei s. ravennati. Sulle facce posteriori sono sempre rappresentati soltanto oggetti simbolici e motivi allegorici, un tipo di decorazione che del resto è esteso anche alle facce laterali e alla fronte in un gruppo più numeroso di s. ravennati affermatosi abbastanza presto (per esempio sul s. di Teodoro in S. Apollinare in Classe: Lawrence, op. cit., fig. 6 e 10). Le sculture figurative della fronte e delle facce laterali constano non già di quelle scene assiepate di figure ben note dai s. di Roma e della Gallia, bensì di composizioni che si dispongono con maggior ampiezza di respiro sullo sfondo libero e le cui figure, eseguite in parte con estrema finezza, danno piuttosto l'impressione di statue. Ci sono soltanto poche varianti: mancano i tradizionali temi biblici come pure qualsiasi scena che ricordi la Passione. Si tratta quasi esclusivamente di raffigurazioni della maiestas la cui affinità di contenuto con quelle fronti dei s. romano-gallici dell'età di Teodosio-Onorio è annullata dalla preminenza data alla figura di Paolo nei confronti di quella di Pietro.
Al fine di istituire dei confronti (dal momento che l'Occidente non offre alcun parallelo) bisogna rivolgersi a Costantinopoli, la cui influenza politico-culturale su Ravenna fu straordinariamente intensa nel corso del V e VI secolo. Purtroppo di Costantinopoli e delle sue vicinanze immediate si sono conservati, oltre ai s. di porfido e verde antico, disadorni o con decorazioni puramente ornamentali, provenienti dai mausolei imperiali (Ebersolt, Mission archéol., p. 15 s.), soltanto pochi frammenti di s. cristiani con rilievi figurati. L'unico esemplare intatto (privo del coperchio) è il cosiddetto s. del Principe proveniente da Sarigüzel al Museo Archeologico di Istanbul (Mansel, Ein Prinzensarkophag; Kollwitz, Oström. Plast., p. 132, tav. 45-46), della fine del IV sec., che sulle facce lunghe ha come motivo principale due vittorie alate che reggono una corona d'alloro con al centro il monogramma di Cristo. Appena in questi ultimi tempi lo scarso patrimonio archeologico (cfr. Kollwitz, Oström. Plast., tavv. 48-51 e 56) s'è arricchito di alcuni importanti rinvenimenti. Si tratta di due lastre tombali della fine del V-inizio del VI sec., fatte a imitazione dei S. a colonne con cinque nicchie e tetto con acroterî, provenienti dalla necropoli di Taskasap e pubblicati da N. Firatli (Gah. Archéol, p. 73 ss.); e inoltre, della fronte di un S. di Topkapi Saray (Museo Archeologico Istanbul) che, al pari di quella rinvenuta a Beyazid (museo di S. Sofia, Inv. 304), riproduce l'iconografia del s. del Principe, ma è qualitativamente scadente (anche questi due pezzi sono stati pubblicati da N. Firatli, Annual Arch. Mus., Istanbul, p. 37 ss.).
Entrambe le lastre tombali testimoniano per la prima volta nell'Impero romano d'Oriente il tipo di s. a colonne con cinque nicchie e con il Cristo in trono o stante in mezzo a singole figure acclamanti, un motivo che svolge un ruolo importante anche nel gruppo ravennate (il già citato s. in S. Francesco e il s. di Barbatianus nella cattedrale: M. Lawrence, op. cit., figg. 26; 39). Veramente i due esemplari di Costantinopoli, di semplice pietra calcarea, non solo sono posteriori a quelli ravennati, ma sorgono nell'ambito dell'artigianato popolare, dandoci soltanto una pallida idea dei loro modelli sicuramente esistiti e creati nell'ambito delle botteghe di corte. Ciò vale anche per la maggior parte dei frammenti rinvenuti, che sono stati catalogati dal Kollwitz e, integralmente, dal Firatli.
I tipi e i temi di s. cristiani con decorazione figurata che si possono elencare per Costantinopoli sono di conseguenza i seguenti:
1° tipo: campo decorato a fregio, limitato probabilmente ai lati da pilastri angolari e in alto dall'architrave. Temi: il Cristo stante, attorniato dagli Apostoli che gli rendono omaggio, predica o consegna la Legge. Il tema ricorre in una composizione a sette figure, come si può dedurre da un frammento dell'età di Teodosio proveniente da Bakirköy, Istanbul, Museo Archeologico, Inv. 2462, che il Kollwitz (p. 153 ss., tav. 48) presume faccia parte di una lastra lunga 12 m, con Cristo in trono in mezzo ai dodici Apostoli in atto di consegnare le leggi. In un frammento di lastra proveniente da Yedikule, Istanbul, Museo Archeologico, Inv. 2111 (Kollwitz, p. 161 s., tav. 49,1) è chiaramente testimoniata una composizione simile, a tredici figure. La scena a tre figure con il Cristo in trono è documentata in un frammento di lastra proveniente da Nicea del museo di Brussa (Kollwitz, p. 171, tav. 51,1) e dalla pietra tombale della basilica di Studios nel Museo Archeologico di Istanbul (Kollwitz, p. 174, tav. 56,1).
2° tipo: scolpiti sui quattro lati, con il campo da decorare racchiuso da cornici aggettanti. Tema principale: due vittorie alate reggono una corona d'alloro con il monogramma di Cristo. Probabilmente il coperchio era a forma di tetto spiovente con acroterî agli angoli. Il tipo è documentato dal s. del Principe di Sarigüzel, fine del IV sec., e dalle due fronti di s. rinvenuti nel 1955 e 1958 (Firatli, art. cit., p. 118 s.).
3° tipo: s. a colonne con struttura a edicola, sul tipo dei cosiddetti s. di Sidamara. Tema: Cristo stante attorniato da singole figure di Apostoli anch'essi in piedi. Il tipo è documentato dal frammento di lastra di Sulu Manastir-Psamathia nella sezione bizantina paleocristiana dei Musei Statali di Berlino, Inv. 2430 (Kollwitz, p. 166 ss., tav. 50). È generalmente accettata la datazione del pezzo all'età di Teodosio.
4° tipo: s. a tre arcate (arcate a forma di frontoncino). Tema: Cristo stante tra i dodici Apostoli, composizione a più piani digradanti. Il tipo è documentato da un frammento di una lastra tombale (seconda metà del V sec.), con acroterî provenienti dalla basilica di Studios ora nel museo di Istanbul (Kollwitz, pp. 144; 163, tav. 65, 2).
5° tipo: s. a cinque arcate con un'unica figura sotto ogni arcata. Tema: Cristo stante o in trono tra quattro Apostoli, oppure tra due Apostoli e due figure femminili. Il tipo è esemplificato da due lastre tombali con acroterî provenienti da Taskasap, recentemente rinvenute, ora nel Museo Archeologico di Istanbul, Inv. 5422 e 5423 (Firatli, Cah. Arch., p. 73 ss.)
Questa classificazione per tipi vale contemporaneamente anche per la zona N-O dell'Asia Minore che, come la Siria e del resto anche l'Egitto (Weigand, Byz. Zeit., xli, 1941, p. 410 s.), è quasi totalmente priva di s. cristiani a rilievo figurato: un fenomeno che soltanto parzialmente dipende dalla perdita dei monumenti, ma verosimilmente trova la sua spiegazione in forme di tumulazione diverse (tombe scavate nella roccia o tumuli di terra: cfr. F. Chapouthier, Syria, xxxi, 1954, p. 178 s.).
Questa classificazione non ci fornisce alcun dato sull'iniziale sviluppo della scultura dei s. cristiani nell'Impero romano d'Oriente. Le supposizioni non vanno molto più in là di quanto è stato constatato da M. Lawrence in rapporto allo sviluppo dei s. occidentali a colonne e dei s. a porte di città. Esistono in ogni caso alcuni frammenti di rilievi con scene bibliche di salvezza e di miracoli (Kollwitz, tav. 55; Firatli, Cah. Arch., figg. 14-16; Kitzinger, Dumb. Oaks Papers, 1960, p. 19 ss.) che si potrebbero forse interpretare come testimonianze dell'esistenza di temi del genere nei rilievi. dei s. romano-orientali del IV secolo.
La serie ha inizio nell'età di Teodosio e costituisce così un parallelo cronologicamente circa coevo del patrimonio monumentale ravennate. I confronti istituiti su questa base mettono in luce tante e tali affinità sia nella struttura dei s. come nell'iconografia e nello stile, da rendere da un canto indubbia l'attività di artigiani di Costantinopoli nelle botteghe di Ravenna, e da arricchire dall'altro, per mezzo delle testimonianze ravennati, il quadro che possiamo farci della scultura dei s. romano-orientali. Così, grazie ai suoi rappresentanti ravennati, il 1° tipo di Costantinopoli con colonne agli angoli e architrave e con scene di maiestas a tre o più figure (la consegna delle leggi a Paolo), si delinea chiaramente (s. con i dodici Apostoli in S. Apollinare in Classe, Lawrence, fig. 2; s. della Certosa in Ferrara, Lawrence, fig. 3; s. Onesti in S. Maria Fuori Porta, Lawrence, fig. 20) e si dimostra in certo senso di essere nella struttura l'erede della tradizione formale neoattica (cfr. per esempio il s. neoattico con bambini da Megiste, Museo Nazionale di Atene, riprodotto anche dalla Lawrence, fig. 46).
Abbiamo già accennato all'affinità formale e tematica tra il s. a colonne con cinque nicchie e figure isolate a Ravenna e quelli del 5° tipo a Costantinopoli. In questo caso gli esemplari ravennati di questo tipo dovranno essere considerati come anelli di congiunzione che ci aiutano a colmare la lacuna tra il rilievo di Psamathia (3° tipo) nato nell'ambito dell'importante bottega artigianale del Proconneso e il rilievo tardo di TaŞkasap (5° tipo).
Il rilievo di Psamathia è l'ultima ed unica testimonianza cristiana dei s. che il Morey (Sardis, v, i, p. 71) attribuisce con consenso generale alla bottega artigiana localizzata nel Proconneso, che produceva i cosiddetti s. di Sidamara. Il rilievo può documentare i primi s. a colonne cristiani di Costantinopoli, quelli del tipo privo della struttura ad arcate collegate fra loro, testimoniato da un esemplare tardo, ma pagano, del gruppo Sidamara di Tiro (frammento di S. al Museo Archeologico di Istanbul, Inv. n. 3228). Molto affine a questo s. di Tiro è comunque la struttura della parte inferiore dello splendido ambone di Salonicco, sicuramente prodotto nel Proconneso (Istanbul, Museo Archeologico, Inv. n. 1090), il quale potrebbe in un certo senso richiamare un gruppo di s. a colonne del Proconneso presumibilmente coevi a quelli ravennati. I rimanenti tipi dovevano senz'altro corrispondere allo schema semplificato usuale di Ravenna che si ritrova ancora negli ultimi esemplari di Costantinopoli.
Mentre a Ravenna, ovviamente, non esistevano s. con struttura a tre arcate a forma di frontoncino (tipo n. 4 a Costantinopoli), il 2° tipo di Costantinopoli con scena incassata e incorniciata su ciascuna faccia compare più volte nel s. privo di zoccolo, per lo più con un tetto a doppio spiovente e acroterî agli angoli (s. di Costanzo nella cappella di Galla Placidia, Lawrence, fig. 6o; s. di Mondolfo, S. Gervasio, Lawrence, fig. 59). Questo tipo non adottò i genî alati che originariamente facevano parte dell'iconografia degli archi trionfali. Essi sono sostituiti a Ravenna da raffigurazioni allegoriche della maiestas (Agnello di Dio o il monogramma di Cristo tra agnelli o pavoni), che probabilmente però risalgono anche essi a motivi dell'Oriente romano. Comunque, il materiale monumentale conservato è troppo esiguo per poter testimoniare un rapporto diretto tra i s. ravennati con decorazione allegorica e i modelli romano-orientali. E d'altro canto le affinità con i s. di Tolosa con decorazione ornamentale, sono soltanto vaghe. Perciò, per il momento ci si deve limitare - e ciò vale anche per il citato gruppo gallico sud-occidentale - alla supposizione di un influsso generale dall'ambito del Mediterraneo orientale sull'iconografia e sullo stile dei rilievi (in tal senso già M. Lawrence, p. 40; recentemente D. Fossard, La chronologie, p. 321 ss.).
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(Ch. Belting-Ihm)