SANTORINO (gr. Θήρα, e anche Σαντορήνη; A. T., 82-83)
Gruppo di isole vulcaniche nell'Egeo; sono, a parte alcuni isolotti, le più meridionali delle Cicladi. Santorino (nome probabilmente derivato dall'italiano Santa Irene e dato all'isola dai Veneziani) propriamente detta, o Tera (Thḗra; come era chiamata nell'antichità e come è anche oggi chiamata dai Greci) è di gran lunga l'isola maggiore; ha forma semilunare, con il lato concavo rivolto ad ovest. Lunga circa 17 km. e larga al massimo 5, ha una superficie di 75 kmq. Costituisce porzione di un antico orlo craterico, del quale fa parte anche l'isola di Terasia (Thērasía, 10 kmq.) e lo scoglio di Aspronḗsi, ad ovest. Fra queste isole (che sorgono sopra una comune piattaforma subacquea) si apre una baia di forma ellittica, lunga circa 11 km. e larga 7, nella quale si raggiunge una profondità di 390 m.; tale baia si formò per una violenta esplosione vulcanica, seguita da sprofondamento, avvenuta nel II millennio avanti l'era volgare. Nel centro della baia emergono, sopra un rialzo sottomarino comune, degli isolotti detti Kaïménai, formati in varie eruzioni durante i tempi storici.
Tanto Tera quanto Terasia scendono verso la baia con elevate balze a picco, fantasticamente pittoresche per l'alternarsi di banchi di lave e di tufi di diverso colore; la costa presenta da questo lato varie falcature. Invece dal lato esterno si hanno coste assai uniformi, per lo più basse e sabbiose. In Tera il rilievo più elevato dell'isola (Sant'Elia metri 546), nella parte sud-orientale, è costituito da scisti e calcari semicristallini, simili a quelli di altre isole delle Cicladi; uno sprone di questo rilievo separa le due piccole pianure alluvionali che l'isola possiede. Il rimanente è di natura vulcanica; le lave (soprattutto andesiti ipersteniche) si trovano sulle balze rivolte alla baia, ma sono in gran parte ricoperte da tufi. Il recinto craterico è alto in Tera generalmente un po' più di 300 m. e verso l'esterno declina con pendio assai dolce, inciso da numerose vallette radiali. La stessa configurazione si ripete in Terasia (alt. m. 290).
Il clima di Santorino è tipicamente mediterranco, assolutamente secco nell'estate (temp. media annua 17°,2, temp. media del gennaio 10°,4, temp. media dell'agosto, mese più caldo, 24°,7, pioggia annua mm. 362). Le isole mancano del tutto di acqua e gli abitanti si servono di cisterne. Il suolo tufaceo è straordinariamente favorevole alla coltura della vite, che è quasi esclusiva. Il vino di Santorino, molto liquoroso, è rinomato. La sua esportazione, insieme con lo sfruttamento di cave di pozzolana (la cosiddetta terra di Santorino, usata largamente nel Mediterraneo per costruzioni subacquee) e con l'attività marinara, dà un certo benessere alla popolazione, che è fitta come in poche altre isole dell'Egeo (Tera 9884 abitanti, cioè 132 ab. per kmq.; Terasia 657 ab. , cioè 66 per kmq.). La popolazione si ripartisce fra numerosi piccoli centri, dei quali il più importante è Tera (Fērá, 680 ab.), nell'isola omonima, sull'orlo del recinto craterico, al disopra di una piccola baia che serve di scalo, e alla quale è unita mediante una strada carrozzabile.
L'attività vulcanica. - La violenta esplosione che produsse la grande baia ricoprì anche le isole di uno spesso mantello di tufo pomiceo biancastro, al disotto del quale si ritrovano resti di insediamenti di età micenea; secondo il Washington l'esplosione è da collocarsi tra gli anni 1800 e 1500 a. C. Nel mezzo della baia cominciò a emergere nel 97 a. C. un isolotto detto poi Palaià Kaïménē ("antica bruciata"), ingrandito per nuove eruzioni nel 46 d. C. e nel 726; oggi si eleva fino a 98 m. s. m. A nord-est di questo isolotto ne sorse un secondo, nel 1570-73, più piccolo e detto perciò Mikrà Kaïménē. Una violenta eruzione sottomarina, nel 1650, provocò la formazione di un banco subacqueo a nord-est di Tera e ricoprì il mare circostante di pomici galleggianti. Nuove eruzioni tra il 1707 e il 1711 diedero luogo alla formazione di una terza isola, poi divenuta più grande delle precedenti, e chiamata Néa Kaïménē. Tutte e tre le isolette furono formate da effusioni laviche; su Néa Kaïménē, alta oggi 103 m., si formò successivamente un cratere, ma poi l'attività vulcanica si ridusse a emanazioni solforose e sorgenti termali in una insenatura, detta Vulcano, sulla costa sud-orientale di Néa Kaïménē.
L'attività vulcanica si ridestò improvvisa nel 1866. Dopo alcuni terremoti, incominciarono emissioni di lava e presso l'insenatura suddetta emergeva il 4 febbraio un nuovo isolotto, cui fu dato il nome di Giorgio I (Georgios). L'effusione della lava procedeva silenziosamente e tranquillamente, ma rapida, tanto che il 7 febbraio l'isolotto era alto 20 m. e il 12 era riunito a Néa Kaïménē. Un altro scoglio sorse poi a sud-ovest (Afróessa), ma esso pure fu riunito alla vicina isola. Il 20 febbraio dal centro di Giorgio I cominciarono proiezioni di pietre e ceneri, che divennero sempre più violente e portarono alla formazione di un cratere, pur continuando l'emissione di potenti colate di lava. Comparvero poi altri scogli a ovest di Néa Kaïménē e il fondo della baia si innalzò in varî punti tra quest'isola e Palaià Kaïménē. L'attività del centro di Giorgio I seguitò negli anni successivi, per terminare solo dopo 57 mesi, nell'ottobre del 1870; non cessò ttittavia l'emissione di gas e vapori. L'isoletta Néa Kaïménē risultò quadruplicata di estensione in seguito a questo periodo eruttivo.
Una nuova eruzione, anche più violenta della precedente, si è avuta dall'agosto 1925 al maggio 1926. Un centro eruttivo si è formato nello stretto fra Néa Kaïménē e Mikrà Kaïménē, che si sono saldate in seguito a emissione di ingenti quantità di lava. A questo nuovo centro è stato dato il nome di Fouqué Kaïménē (in onore dello studioso francese che ha illustrato il vulcano di Santorino). Si è formato dapprima un domo lavico alto parecchie decine di metri, e, sopraggiunta poi l'attività esplosiva, il domo è stato circondato da un cono detritico.
Variazioni notevoli ha subito anche il fondo marino per l'accumularsi della lava. Nel 1928 la Fouqué Kaïménē ha avuto una minore eruzione eccentrica.
Storia. - Formata secondo la leggenda da una zolla di terra gettata in mare dalla nave Argo, e chiamata originariamente Kallístē ("la Bellissima"), o Strongýlē ("la Rotonda"), avrebbe avuto quali primi abitatori dei Carî, poi dei Fenici lasciativi da Cadmo, e infine, otto generazioni dopo di questi, sarebbe stata colonizzata da Lacedemoni e da Minî, sotto la guida dello spartano Teras figlio di Autesione. L'archeologia ci conferma l'esistenza sul luogo di una popolazione preistorica indigena, affine a quella del continente ellenico, ma con grandissima influenza culturale e commerciale della vicina civiltà minoica di Creta, fino dagli inizî del II millennio a. C. o anche prima.
Circa nel sec. XVII a. C. avvenne nell'isola, che allora aveva la forma di un grande cono tondeggiante di vulcano, la spaventosa catastrofe tellurica che ne ha determinato la conformazione attuale (v. sopra). Rimasta deserta dopo l'immane catastrofe, Tera fu ripopolata probabilmente dall'ondata delle invasioni doriche, verso la fine del II millennio a. C. Vi sono testimoniate le tre antiche tribù doriche, suddivise in epoca storica come a Creta in eterie; il governo era da principio monarchico; la popolazione era distribuita topograficamente in 7 χῶροι, specie dei demi attici; oltre alla capitale, chiamata egualmente Tera, sulle pendici orientali del monte S. Elia, conosciamo i nomi del porto di Oia (Οἴα), sulla costa orientale a nord della città, ed Eleusi, a sud sulle pendici del monte dell'Angelo Gabriele. Anche i culti principali sono di derivazione dorica, come Zeus, e accanto a lui i Cureti, a somiglianza di Creta, e Apollo Delfinio e Carneo (Karneios). Il paese era ricco specialmente per l'agricoltura, e in primo luogo per il suo rinomato vino; inoltre era praticata anticamente l'industria dei tessuti (Θηραϊκὰ ἱμάτια), e in epoca arcaica è testimoniata anche una fiorente industria vasaria, nelle necropoli attorno alla capitale che hanno ridato un'assai cospicua ceramica ornata in uno stile geometrico locale, a cominciare almeno dal secolo IX a. C.: nel medesimo tempo però erano ancora assai strette le relazioni specialmente con Creta, che importava numerose ceramiche e diversi altri manufatti, rinnovata influenza cretese che durò probabilmente attraverso gran parte del periodo orientalizzante, mentre solo durante il secolo VII venne a mano a mano a sostituirsi ad essa l'influenza della Ionia.
Assai importanti sono pure le iscrizioni di Tera, specialmente quelle rupestri, che costituiscono, insieme con quelle di Creta e di Melo, alcune delle più antiche testimonianze dell'introduzione dell'alfabeto fenicio in Grecia e delle prime sue trasformazioni e adattamenti secondo le necessità della lingua greca. Il dialetto di Tera era assai affine a quello cretese, meno la assai più pronunziata aspirazione.
L'avvenimento di gran lunga più importante nella storia di Tera fu la fondazione, nel 631 a. C., della colonia di Cirene sotto la guida di Aristotele figlio di Polimnasto della famiglia degli Eufamidi, più tardi chiamato Batto dal titolo reale libico, secondo la tradizione per ordine della Pizia e in seguito a una terribile siccità di 7 anni nell'isola per la mancata esecuzione dell'ordine, secondo altre versioni storiche per l'espulsione di una parte della cittadinanza in seguito a torbidi civili. Dopo la nuova ondata di coloni attirati da varie parti della Grecia nel 571 da Batto II, varî elementi estranei si sono naturalmente infiltrati anche nella tradizione della fondazione della grande città libica. Durante le guerre Persiane, di Tera non si sente parlare; nel sec. V a. C. un suo cittadino, Archedamo, "ispirato dalle Ninfe", scolpiva delle ben conosciute sculture rupestri e dei versi dedicatorî nella grotta di Vari sull'Imetto. Al principio della guerra del Peloponneso Tera era ancora sotto l'influenza di Sparta, ma già nel 430-29 a. C. pagava un tributo di 3 talenti, poi elevato a 5, alla Lega delio-attica. Poi di nuovo non si na nessuna notizia dell'isola, fino all'età tolemaica, quando, a cominciare dall'invio di un epistate nell'isola da parte di Patroclo, navarca di Tolomeo Filadelfo, verso il 260 a. C., cominciò l'occupazione strategica e la trasformazione di Tera in una base navale per il controllo di tutto l'arcipelago delle isole dell'Egeo, occupazione che durò fino alla morte di Tolomeo Filometore nella battaglia di Antiochia sull'Oronte contro Alessandro Bala nel 146 a. C. Durante questo periodo furono introdotti varî culti egiziani, e si stabilirono nell'isola anche diversi magistrati e sacerdoti, fra cui va nominato l'ammiraglio Artemidoro da Perge in Panfilia, che dopo la morte ebbe onori eroici e divini. Poco dopo la fine del dominio tolemaico dovette avvenire la conquista romana, e l'assegnazione dell'isola alla provincia di Asia. A quasi tutti gl'imperatori romani sono dedicati a Tera edifici e monumenti onorarî; una grande riedificazione della città avvenne soprattutto sotto Antonino Pio nel 149-150 d. C. per opera di un ricco cittadino originario di Efeso, T. Flavio Clistotene Claudiano. Sono nominati vescovi dell'isola a partire dal sec. IV d. C.
Dopo la IV crociata (1204 d. C.) l'isola fu data al veneziano Iacomo Barozzi di S. Moisè, ai cui discendenti rimase fino al 1336, quando passò a far parte del ducato di Nasso, fino alla conquista turca, meno il corto intervallo della signoria del veneziano Domenico Pisani (dal 1479 al 1487).
Topografia e monumenti. - Le rovine della città di Tera furono esplorate dal 1895 al 1903 a spese e sotto la direzione dell'archeologo ed epigrafista tedesco Fr. Hiller von Gaertringen; esse appartengono per la maggior parte all'età tolemaica e romana. La città era fondata sul dorso di uno sperone montagnoso, alto 369 m., diviso mediante una sella (di m. 264) dalla sommità del monte S. Elia, nei pressi di una delle poche ricche sorgenti d'acqua dell'isola, priva di veri fiumi e ruscelli; sopra questo sperone, opportunamente adattato mediante sostruzioni e terrazzamenti, la città si estendeva, attraversata tutta da una lunga via priricipale, tagliata da stradine perpendicolari e con scalette ascendenti e discendenti agli edifici pubblici e alle case private, per la lunghezza di 800 m. e la larghezza di 150.
Cominciando dall'estremo nord si incontrano dapprima i ruderi del santuario di Artemidoro di Perge, quindi il ginnasio della guarnigione tolemaica e vicino il cosiddetto palazzo del comandante di questa, e più a ovest le rovine di un piccolo santuario comunicante con una caverna naturale (più tardi trasformata nella cappella cristiana di Cristo) e una nicchia votiva di Demetra e Kore, con un trono pure tagliato nella roccia presso l'ingresso d'una grotta. A metà circa della strada principale si incontra l'agorà, aperta su tre terrazze attigue, lunga 111 m. e larga da 17 a 30 m.; nei pressi erano il tempio ellenistico di Dioniso, l'altare di Tolomeo Filometore, il Portico Reale con colonnati ed esedre, davanti a varî blocchi di case pure di età ellenistica, e il santuario degli dei egizî; sul lato nord, delle terme, e un teatro, con scena che venne rifatta in epoca romana.
Verso l'estremità meridionale della città si incontra prima il tempietto di Tolomeo III, quindi le rovine del santuario di Apollo Carneo, la cui fondazione risale circa al sec. VI a. C.; la lunga terrazza rocciosa del santuario, fiancheggiata da bei muri di sostegno che risalgono in parte pure al sec. VI a. C., era il centro dei più antichi culti dorici della città, e in essa si celebravano le varie feste in onore del dio, tra cui le gimnopedie, o danze di fanciulli ignudi: le iscrizioni votive agli dei e le iscrizioni amatorie a questi fanciulli, scolpite nella roccia, come abbiamo sopra accennato, sono i più antichi documenti epigrafici terei e greci in genere. Chiudeva la città verso sud il ginnasio degli efebi, cui era annessa una grotta di culto dedicata agli dei degli efebi, Ermete ed Ercole.
Oltre ai ruderi della città di Tera va menzionato soprattutto un tempietto rettangolare di marmo, di mirabile conservazione, presso la cappella di S. Nicola Marmarenio sopra all'insenatura più meridionale dell'isola; nell'interno, sulla mensola di una nicchietta incavata per contenere una statua, v'è la dedica dell'edificio alla ϑεὰ βασιλεία, cioè indubbiamente alla regina dell'oltretomba, Kore: la costruzione pare non possa essere anteriore al sec. I, o meglio al II d. C. Presso il promontorio settentrionale dell'isola, invece, chiamato Capo Colombo (Koloũmpos) v'è una necropoli rupestre, con tombe costituite per lo più di una camera interna e un'anticamera aperta all'esterno mediante porta e due finestrine laterali; la necropoli è attribuita da Fr. Hiller von Gaertringen al sec. VIII-VI a. C., ma un sopraluogo compiuto con la Scuola archeologica italiana di Atene nel 1922 ha convinto D. Levi trattarsi piuttosto di tarde tombe romane; in questo medesimo sopraluogo s'è constatata inoltre l'esistenza di un abitato assai antico, risalente ai primi tempi dell'occupazione dorica dopo la catastrofe dell'età minoica, nella vicina regione di Foinikiá. Infine soprattutto presso la punta meridionale di Terasia, ma anche a Tera stessa presso Capo Akrotḗrion e recentemente anche a sud di Fērá, sono apparse le tracce della civiltà preistorica dell'isola, seppellita dall'alto manto di lava e di pomice della grande eruzione più volte menzionata.
Bibl.: F. Fouqué, Santorin et ses éruptions, Parigi 1879; J. Schmidt, Studien über Vulkanen und Erdbeben, Lipsia 1881; Fr. Hiller von Gaertringen, Thera, voll. 4, Berlino 1899 segg. (con cap. geogr. di A. Philippson); F. W. Hasluck, in Ann. Brit. School, XVII (1910-11), p. 176 segg.; sulle ultime eruzioni del 1925-26, v. anche N. A. Critikčs, in Annales de l'Observatoire National d'Athènes, VIII-IX (1926); C. A. Ktenas, in Πρακτικὰ τῆς 'Ακαδ. 'Αϑηνῶν, II (1927), p. 259 segg.; id., in Bull. Volcanologique, 1926 e 1927 e in Comptes-Rendus Acad. Sc., CLXXXVI (1928). Per le antichità, v.: L. Ross, Reisen auf den griech. Inseln, I, Stoccarda e Tubinga 1840, p. 180 segg.; id., in Ann. Inst., XIII (1841), p. 13 segg.; Fr. Lenormant, in C.-R. Ac. d. Inscr., n. s., II (1866), p. 269 segg.; id., in Rev. Arch., n. s., XIV (1866), ii, p. 423 segg. (sugli scavi di Terasia); R. Weil, in Ath. Mitt., II (1877), p. 64 segg.; Fr. Hiller von Gaertringen, op. cit.; sulle iscrizioni, id., Inscr. Gr., XII, 3 e Suppl.; E. Pfuhl, in Ath. Mitt., XXVIII (1903), p. 1 segg. (sulla necropoli geometrica presso Tera); W. Dörpfeld, ibid., XXIX (1904), p. 57 segg. (sul teatro di Tera); I. Brann, De Theraeorum rebus sacris, diss., Halle 1932; Fr. Hiller von Gaertringen, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V A, col. 2260 segg.