TOMMASO d'Aquino, santo
TOMMASO d’Aquino, santo. – Nacque a Roccasecca tra il 1224 e il 1225 (la data è incerta dal momento che le testimonianze, all’atto della morte, oscillano nel determinarne l’età tra i quarantanove e i cinquant’anni), quinto figlio di Landolfo dei conti di Aquino e di Teodora Galluccio, contessa di Teano.
Come ultimo nato di una famiglia assai numerosa, e destinato quindi a una vita e carriera ecclesiastica, intorno ai cinque anni Tommaso fu ‘oblato’ all’abbazia di Montecassino.
La ricca e famosa abbazia stava recuperando in quegli anni un ruolo, anche economico, grazie al trattato di pace del 23 luglio 1230 tra il papa Gregorio IX e l’imperatore Federico II. Il trattato poneva fine a un periodo di aperta belligeranza che aveva coinvolto il monastero e ne aveva fortemente diminuito non solo il prestigio, ma anche le risorse economiche. Nel giro di pochi anni, tuttavia, la situazione di Montecassino peggiorò e i genitori, nel 1239, lo fecero trasferire a Napoli perché frequentasse l’università che Federico II aveva istituito da poco con l’intento di farne il contraltare di Bologna.
A Napoli Tommaso frequentò le lezioni di Pietro d’Irlanda e di Martino di Dacia alla facoltà delle arti, grazie alle quali iniziò a leggere le opere logiche e naturali di Aristotele e soprattutto, contro il parere dei familiari, scoprì il fascino del giovane Ordine dei predicatori del quale entrò a far parte nel 1244. Quando, come novizio, si mise in viaggio per Parigi con i confratelli per proseguire gli studi, la madre incaricò uno dei figli di riprenderlo e riportarlo a casa nella speranza di indurlo ad abbandonare il suo proposito e di recedere dalla sua decisione. Ma, vista la sua tenace resistenza, alla fine gli fu concesso di tornare a Napoli e da lì raggiungere i suoi confratelli, tra i quali era presente il maestro dell’Ordine, Giovanni Teutonico, prima a Roma e quindi a Parigi per partecipare al capitolo generale del 1246.
Studente di teologia nel convento domenicano di St-Jacques e di filosofia nella facoltà delle arti dal 1245 al 1248, verso la fine di quell’anno seguì il suo maestro, Alberto Magno, a Colonia, frequentandone le lezioni come assistente nello Studium da lui fondato. Al termine del triennio, alla richiesta di un valido giovane da avviare alla cattedra magistrale dell’Ordine a Parigi postagli da Giovanni Teutonico, Alberto fece il nome di Tommaso come il candidato più promettente, malgrado fosse più giovane di due anni rispetto a quanto determinato dagli statuti. Con l’aiuto del cardinale Ugo di San Caro la proposta fu accolta e Tommaso tornò a Parigi nel 1252, come baccelliere biblico con l’incarico di ‘leggere’ il testo sacro (1252-54) e poi, come baccelliere formato, di commentare il Liber sententiarum di Pietro Lombardo sotto la guida del maestro Elia di Bergerac (1254-56), per proseguire nella carriera accademica sino al conseguimento del titolo di maestro in teologia, diploma che ottenne nel 1256. A questo periodo della sua vita si fanno risalire testi fondamentali come il De ente et essentia e lo Scriptum super libros sententiarum. Per il successivo triennio Tommaso insegnò regolarmente come magister regens, partecipò attivamente alla polemica suscitata da Guglielmo di Saint-Amour e dai maestri secolari contro i docenti appartenenti agli Ordini mendicanti, componendo il Contra impugnantes Dei cultum et religionem, e iniziò a scrivere alcune delle sue opere più importanti (le Quaestiones disputatae de veritate, la prima parte della Summa contra Gentiles, una parte delle Quaestiones quodlibetales, oltre ai commenti al De Trinitate e al De hebdomadibus di Boezio e al De divinis nominibus di Dionigi Areopagita).
Tornato in Italia, dopo questo triennio di insegnamento, dal 1259 al 1268 ricoprì il ruolo di predicatore generale presso la Curia pontificia e svolse una proficua attività per promuovere gli studi, sia nel suo Ordine sia a favore della costituzione dello Studium Urbis, alla luce dei nuovi testi e delle nuove traduzioni dal greco e dall’arabo, senza per questo tralasciare la stesura di suoi scritti, la cui caratteristica consiste principalmente nel rispetto dell’opera e dell’autore, ma, altresì, senza venir meno alla sua personale interpretazione del metodo teologico e ai rapporti, a suo avviso indispensabili, tra teologia e filosofia. Infatti, pose fine alla Summa contra Gentiles e dette inizio alla Summa theologiae, compilò le Quaestiones disputatae de potentia Dei, commenti alle più importanti opere di Aristotele (Metaphysica, Physica, De coelo, Ethica Nicomachaea), grazie anche alle traduzioni del confratello Guglielmo di Moerbecke, e alla Bibbia, oltre a vari opuscoli.
Alla fine del 1268 tornò a Parigi su mandato del pontefice Clemente IV, perché intervenisse sia sulla nuova polemica scoppiata tra i maestri secolari, guidati da Nicola di Lisieux e Gerardo di Abbeville, e i regolari, sia per porre un argine alla crescente fortuna del commento di Averroè ad Aristotele presso i maestri della facoltà delle arti, visto come un pericolo per la fede dai maestri della facoltà di teologia, in prevalenza neoagostiniani. In questi anni (1269-72) Tommaso svolse un’attività, pratica e teorica, che ha del prodigioso: stese la maggior parte dei suoi commenti ad Aristotele, le raccolte di questioni (De spiritualibus creaturis, De anima, De malo, De virtutibus), la seconda parte della Summa theologiae, gli opuscoli De unitate intellectus contra Averroistas, De aeternitate mundi, Contra impugnantes Dei cultum et religionem e Contra doctrinam retrahentium a religione.
Al rientro in Italia, dopo aver tenuto un Consiglio provinciale a Firenze, alla fine del 1272 fu inviato a Napoli per riorganizzare e dirigere lo Studium generale dell’Ordine e scrisse, oltre a commenti biblici, la terza parte (incompiuta) della Summa theologiae, i commenti al Liber de causis e al De generatione et corruptione, per poi deporre la penna, nel dicembre del 1273, e non scrivere più. Malgrado l’incerto stato di salute, obbedì all’ordine del papa, Gregorio X, di mettersi in viaggio per raggiungere Lione dove doveva svolgersi il Concilio indetto per il 1274, ma essendosi aggravate le sue condizioni di salute, si fermò al castello di Maenza, ospite della nipote Francesca, e di lì si fece portare all’abbazia cistercense di Fossanova, dove morì il 7 marzo 1274.
I filosofi e la facoltà delle arti di Parigi, alla notizia della morte dell’Aquinate, indirizzarono all’Ordine dei predicatori e ai partecipanti al Concilio di Lione questa lettera, più esplicita di ogni commento sui rapporti che legavano Tommaso al mondo intellettuale a lui contemporaneo: «siamo appena capaci di esprimere quel che abbiamo saputo: l’affetto infatti ci trattiene, ma il dolore e un’angoscia bruciante ci spingono ad annunciare che – come abbiamo appreso da voci diffuse e da fonti sicure – il venerabile dottore frate Tommaso d’Aquino è morto. [...] Dal momento che non abbiamo potuto riaverlo tra noi da vivo, vi chiediamo umilmente, come ultimo dono, le sue spoglie. [...] Se infatti la Chiesa giustamente onora le ossa e le reliquie dei santi, a noi sembra a buon diritto onesto e santo che il corpo di un dottore così grande sia tenuto in perpetuo onore qui, affinché con le sue opere si mantenga eterna la sua fama presso di noi» (Chartularium Universitatis Parisiensis, a cura di H. Denifle - A. Chatelain, I, 1889, pp. 504 s.). Il corpo di Tommaso fu conservato, quindi, per un certo periodo, nell’abbazia di Fossanova per poi essere traslato nella chiesa domenicana dei giacobini a Tolosa nel 1369. Come d’uso in quel tempo, al momento della traslazione dei resti del corpo furono operate delle avulsioni per ricavarne reliquie, tra cui: la mano destra per la chiesa di S. Domenico a Salerno, il cranio per la basilica concattedrale di Priverno e la costola del cuore per la basilica concattedrale di Aquino.
Il cardine della riflessione di Tommaso è la relazione tra fede e ragione. Sebbene la verità della fede cristiana superi le capacità della ragione, tuttavia i principi naturali della ragione non possono essere in contrasto con codesta verità. Infatti, i principi così innati nella ragione si dimostrano verissimi: al punto che è impossibile pensare che siano falsi. E neppure è lecito ritenere che possa essere falso quanto si ritiene per fede, essendo confermato da Dio in maniera così evidente. Perciò essendo contrario al vero solo il falso, com’è evidente dalle loro rispettive definizioni, è impossibile che una verità di fede possa essere contraria a quei principi che la ragione conosce per natura. Inoltre, le idee che l’insegnante suscita nell’anima del discepolo contengono la dottrina del maestro, se costui non ricorre alla finzione; «il che sarebbe delittuoso attribuire a Dio». Ora, la conoscenza dei principi a noi noti per natura ci è stata infusa da Dio, essendo egli l’autore della nostra natura. Quindi anche la sapienza divina possiede questi principi. Perciò quanto è contrario a tali principi è contrario alla sapienza divina; e quindi non può derivare da Dio. Le cose dunque che si tengono per fede, derivando dalla rivelazione divina, non possono essere mai in contraddizione con le nozioni avute dalla conoscenza naturale (Summa contra Gentiles, I, 7).
Tommaso rivendica alla teologia il carattere di scienza, perché i ragionamenti del teologo discendono dalla rivelazione, dalla stessa parola di Dio: non sempre immediatamente evidenti per l’intelletto umano, lo sono nella mente di Dio da cui tutto deriva. Dio, infatti, per Tommaso è: sommo amore e sommo bene; immutabile, semplice e indivisibile; sempre uguale a se stesso, cui nulla manca e nulla cambia; eterno, vive da sempre e per sempre; infinito in atto, non ha limite o confine di tempo e di spazio; onnisciente; unico; onnipotente, non può fare il male; per sé, non riceve vita e proprietà da alcuno; trascendente, la sua differenza da tutti gli altri enti deriva dalla sua perfezione, e tutti gli altri enti creati (angeli e uomini) gli somigliano ma non sono come lui, che è l’Essere semplice e indivisibile. In altre parole, Ipsum esse subsistens, creatore di tutta la realtà, e compito della scienza teologica è quello di illustrare gli aspetti di Dio che possono essere compresi dalla ragione umana che, creata da Dio, a lui si rivolge per riceverne la luce. La filosofia, come componente essenziale della ragione dell’essere umano, gode per altro di una propria autonomia garantita dalla struttura della mente di cui Dio l’ha fornito, capace quindi di giungere alla verità per un atto della volontà divina, e la teologia è una scienza subalternata a essa, che ha per oggetto quanto può comprenderne all’interno di un discorso intrinsecamente unitario dal momento che considera tutto in rapporto a Dio. La teologia per un verso, quindi, e la filosofia per un altro, l’una fondata sulla parola stessa di Dio e sul suo essere assoluto, l’altra sull’esercizio della ragione di cui Dio ha fornito ogni uomo, conducono allo stesso fine, e cioè a una conoscenza di Dio e dell’umanità grazie alla possibilità di comprendere alcune verità della rivelazione dimostrabili con procedure razionali. Per Tommaso l’essere non è, o non è soltanto, l’essere/esistere comune o il fondamento concreto di ogni ente, ma piuttosto l’esse ut actus, cioè l’atto che perfeziona tutto ciò che a esso è collegato. Dio è l’atto puro in assoluto, che consente a ogni cosa, a ogni atto di realizzarsi, e allorché è ricevuto da un qualsiasi ente o cosa dà luogo a un atto misto e a un ente conchiuso.
Quanto alla dimostrazione dell’esistenza di Dio Tommaso non ritiene valida la prova ontologica di Anselmo d’Aosta, fondata sul concetto stesso di Dio («id quo maius cogitari nequit», Proslogion, 2), e ritiene coerentemente che a essa l’uomo possa e debba pervenire attraverso una dimostrazione a posteriori (le ‘cinque vie’ della Summa theologiae), dal divenire che è proprio dell’intero universo sensibile sino a Dio: «ex motu et mutatione rerum» (tutto ciò che è soggetto a o è capace di movimento ha necessità di un moto primo diverso da sé), «ex ordine causarum efficientium» (ogni essere finito, cioè partecipato da altro, dipende da una causa e alla base non può non esserci una causa prima efficiente e non causata da altro), «ex rerum contingentia» (l’esistenza di esseri generabili e corruttibili pone l’esigenza di un essere assolutamente necessario, tale da giustificare l’esistenza e il venir meno dei singoli), «ex variis gradibus perfectionis» (soltanto un grado eccelso di perfezione può giustificare e consentire, come causa, l’esistenza di gradi intermedi e infimi), e infine «ex rerum gubernatione» (i modi di essere di enti non dotati di intelligenza tendono a un percorso e a un fine che presuppone, e richiede, un’intelligenza superiore che li governi; Summa theologiae, I, q. 2, a. 3). Ciò grazie alla sua convinzione che la realtà è intelligibile e che, se Dio non fosse, il processo della realtà si configurerebbe come infinito; d’altro canto, tolto il principio, vien meno la stessa ragion d’essere degli enti sensibili e la realtà non sarebbe più intelligibile. Per Tommaso Dio è Ipsum esse subsistens, e con questo la definizione biblica (Dio = Qui sum) dell’Esodo si unisce al vertice della speculazione filosofica, in cui l’onnicomprensività dell’essere fa un tutt’uno con la modalità più radicale dell’autodeterminazione, e cioè la sussistenza del soggetto. Ad essa, infatti si riconducono gli attributi propri di Dio.
Quanto alla concezione dell’uomo, Tommaso fa sua la concezione ‘ilemorfica’ di Aristotele: l’uomo è un sinolo di materia (il corpo) e forma (l’anima). Ma se questa è la definizione propria e basilare di Aristotele, a essa Tommaso introduce una modifica fondamentale: se è vero che l’anima è la forma sostanziale del corpo, è altresì vero che l’anima umana è spirituale e sussistente, cioè autonoma rispetto al corpo. E ciò è dimostrato dal fatto che l’anima, a differenza degli strumenti corporei, conosce l’universale e ha coscienza di sé; oltre a ciò, e soprattutto, quando il corpo muore per il venir meno di alcuni o tutti i suoi componenti e si corrompe, l’anima, non essendo ‘mista’ mantiene il suo status.
Un altro elemento fondamentale dell’antropologia dell’Aquinate è costituito dalla singolarità dell’intelletto umano (agente e possibile) che non è unico per tutti gli uomini, come aveva sostenuto Averroè in passato e come riteneva il contemporaneo Sigieri di Brabante: infatti ogni uomo è consapevole di essere il soggetto proprio e individuale di molteplici conoscenze. Pertanto si deve ammettere la presenza in lui di una facoltà intellettiva, dotata di una duplice funzione: quella di separare (astrarre) le rappresentazioni sensibili dalle singole determinazioni spazio-temporali (intelletto agente) e di riceverne la rappresentazione astratta, in modo da conoscerla nella sua carica di universalità concettuale (intelletto possibile). Attraverso i concetti si costruisce il mondo della conoscenza: pur essendo prodotto dall’intelletto, il concetto universale ha un suo fondamento nella realtà extramentale, dove esiste allo stato potenziale; la natura intrinseca delle cose infatti è indifferente al modo di essere particolare o universale. L’individualità è conferita agli enti dalle determinazioni quantitative della materia, mentre l’universalità è il risultato del processo astrattivo dell’intelletto.
Il geocentrismo aristotelico funge da supporto alla concezione dell’universo propria di Tommaso: il movimento delle sfere celesti, dotate di una materia eterea (quintessenza), è regolato da sostanze spirituali; i corpi sublunari sono distribuiti secondo il luogo che compete alla loro natura, che a sua volta è determinata dalla prevalenza di alcuni fra gli elementi costitutivi: i corpi pesanti, in cui prevalgono terra e acqua, stanno in basso; i corpi in cui prevalgono gli elementi leggeri, aria e fuoco, stanno in alto. La struttura gerarchizzata dell’universo fisico trova corrispondenza in quella, altrettanto gerarchizzata, dell’universo spirituale, al cui vertice è posto Dio, essere dalla perfezione somma e ineguagliabile, mentre al grado più basso delle sostanze spirituali si trova l’anima dell’uomo. Ed è nell’uomo che Tommaso trova il punto di incontro tra il naturalismo aristotelico e lo spiritualismo cristiano: «il supremo nel genere dei corpi, ossia il corpo umano dalla complessione equilibrata, viene a toccare l’infimo nel genere delle sostanze intellettive» (Summa contra Gentiles, II, 68).
Anche l’etica, a sua volta, si richiama a una struttura gerarchizzata delle finalità: ogni ente ha un fine specifico da conseguire, e questo fine coincide con l’idea divina in base alla quale, in quanto creatura, è stata modellata. Sul concetto di fine specifico per ogni essere creato si fonda quello della legge, che va intesa come la via propria alla realizzazione del fine. E questa è appunto la legge naturale, definita da Tommaso come «partecipazione della legge eterna nella creatura razionale» (Summa theologiae, Ia IIae, q. 91, a. 2), che consente di raggiungere la felicità, alla quale l’uomo è naturalmente portato; la legge divina, d’altro canto, rende invece possibile l’accesso a una beatitudine soprannaturale, che eccede le possibilità proprie dell’uomo, anche se non ne mortifica le aspirazioni: «la grazia non toglie la natura, ma la perfeziona» (Summa theologiae, I, q. 1, a. 8 ad 2). Il Dio che giudica, per Tommaso, è un Dio di misericordia, compassionevole e incline al perdono.
Analizzando le forme di governo sancite dalla tradizione classica, monarchia, aristocrazia e democrazia, Tommaso sostiene che nessuna di esse può essere giudicata a priori illecita; diventano illecite quando degenerano in tirannide (vale a dire nella sopraffazione dell’uomo sull’uomo e nella mancanza/venir meno di un rapporto di identità e di giustizia). E questo pericolo non lo corrono solamente la monarchia o l’aristocrazia, ma anche ogni forma di governo ‘democratico’, che non rispetti l’equanimità verso il proprio popolo. All’interrogativo circa l’origine del potere legislativo Tommaso risponde che esso deriva ai governanti da Dio, ma non immediatamente, bensì attraverso il consenso popolare. Per quanto l’argomento politico non possa essere considerato primario nella sua produzione, vale la pena di sottolineare l’impegno con cui egli si dedicò al commento delle opere maggiori di Aristotele. Il rinvio dall’Etica alla Metafisica e da questa alla Politica, cui la prima rimanda alla fine del X libro, chiude il cerchio delle reciproche rispondenze fra queste opere e salda compiutamente il discorso dell’Aquinate relativo alla filosofia pratica e speculativa in un tutto organico e coerente. A guidare il suo pensiero è da una parte una concezione teleologica dell’attività più specificamente umana, quella razionale, e dall’altra la libertà della volontà nella scelta dei mezzi più idonei a conseguire il fine propostosi, un fine che non viene imposto dall’esterno ma ha origine nel suo stesso essere. «Un desiderio naturale è impossibile che sia vano, “poiché la natura nulla compie inutilmente” [De coelo et mundo, II, 11]. [...] Dio, il quale è l’istitutore della natura, non toglie alle cose quanto è proprio della loro natura» (Summa contra Gentiles, II, 55), ed esso consiste nella felicità in quanto realizzazione completa della sua essenza: «la legge è una certa regola e misura delle azioni, secondo la quale ciascuno è indotto ad agire o non agire: si dice infatti che lex deriva da ligando, poiché obbliga all’azione. La regola e misura degli atti umani è la ragione, primo loro principio: [...] infatti è proprio della ragione ordinare le azioni in vista di un fine da conseguire, come dice il Filosofo. In qualsivoglia genere ciò che costituisce il principio è la misura e la regola di quel genere: così come l’unità nel genere del numero, e il primo moto in quello del movimento» (Summa theologiae, Ia IIae, q. 90, a. 1 resp.).
Tommaso distingue quattro diversi tipi di legge, guardando al contesto in cui la normativa si applica e a chi ne ha il carico: la legge eterna, la legge naturale, la legge umana e la legge divina. La prima, con cui è da intendere l’ordinamento razionale che Dio ha dato all’intero universo all’atto della creazione; la seconda, che è come l’impronta dei principi fondamentali che hanno ispirato la creazione; la terza, tiene conto delle specificità degli aggregati umani e cerca di adattare i principi generali e immutabili alla contingenza e mutabilità delle condizioni storiche, oltre al rapporto della morale privata con la vita associata, come a suo tempo aveva scritto Isidoro di Siviglia («la legge deve essere “possibile, secondo natura e secondo la consuetudine della patria”», Summa theologiae, Ia IIae, q. 96, a. 2 resp.); la quarta, legge d’amore e di giustizia, è consegnata alla pratica indicata dal Vangelo e dalla vita di Cristo.
Dalla sua lettura dei testi ‘politici’ di Aristotele, Tommaso, in uno scritto che è rimasto frammentario come il De regno ad regem Cypri, imposta un trattato che, nella prima parte rende possibile una ricostruzione delle sue concezioni politiche. In essa, infatti, tenta una nuova via teorica per una considerazione della politica e della costituzione politica degli uomini. Per la prima volta nel XIII secolo la Politica aristotelica è qui applicata direttamente e consapevolmente al mondo medievale coevo: «pensando a un omaggio che fosse degno dell’altezza reale e confacente al mio stato di religioso e al mio ufficio, ho deciso che il miglior dono da offrire a un re consiste nello scrivere un libro sul regno, arricchito da una scrupolosa ricerca per quanto è concesso al mio ingegno, sulla sua origine e sui compiti del sovrano, tenendo presente l’autorità della sacra Scrittura, l’insegnamento dei filosofi e gli esempi dei più celebri uomini di stato, confidando – per iniziare, proseguire, concludere – nell’aiuto di colui che è il re dei re e il signore dei signori e grazie al quale i re regnano, Dio, grande signore e grande re su tutti gli dei» (De regno..., Proemium).
La letteratura tradizionale degli specula principum avrebbe consigliato un approccio diverso: un’esaltazione delle virtù cristiane necessarie al regnante e un richiamo all’umiltà dello scrivente. Qui, invece, si parla di un dono degno, di per sé, dell’autorità regale (laica) e della capacità intellettuale di un religioso, maestro in arti e in teologia, che tra l’altro tra i suoi doveri ha anche quello di insegnare. E intende insegnare, utilizzando non solo la rivelazione (il testo sacro), ma anche la ragione (i filosofi) e – ed è forse la maggiore novità – la storia, una storia reale e concreta, fatta di uomini e non di santi. Tommaso, quindi, sposta il fuoco del suo obiettivo che non è quello di comporre un manuale di comportamento etico per il principe, né una mera presa d’atto delle componenti sociali dello Stato, né un elenco di situazioni di fatto. Il suo intento è quello di comprendere, e spiegare scientificamente, come si forma la società politica e, sulla base di questo fondamento, dedurre quali siano i doveri della funzione regale, non tanto come imperativi morali, quanto come logiche conseguenze dell’ordinamento politico di cui si trova a capo. Viene in tal modo respinta la dottrina teocratica, per la quale l’autorità civile deriverebbe da Dio attraverso il romano pontefice, e si afferma la distinzione (nuova per il contesto medievale) di ambiti e sovranità tra potere civile e potere religioso.
Tommaso fu uno dei pensatori più influenti dei secoli XIII e XIV, ma le sue opere come pure la sua dottrina conobbero, a partire dal Quattrocento, un progressivo oscuramento a causa del mutamento economico e sociale che aprì la via al pieno sviluppo della civiltà rinascimentale e barocca. Solo in tempi più recenti, a partire dalla fine del XIX secolo, la filosofia e la teologia medievale hanno conosciuto una forte ripresa, e si sono imposte come un episodio ancor oggi, anzi forse più che mai, fondamentale per lo studio e la comprensione del mondo in cui viviamo. Tommaso indica nella fede ciò che supera la ragione e la filosofia e, laddove queste due devono cedere, inizia lo spazio della teologia. Fede e ragione sono entrambe doni di Dio e non possono contraddirsi: la filosofia è ancilla theologiae e regina scientiarum, prima fra tutti i saperi delle scienze, mentre il primato del sapere teologico non consiste nel metodo, ma nei contenuti divini che affronta.
Tommaso d’Aquino fu canonizzato il 29 giugno 1323 da Giovanni XXII, e l’11 aprile 1567, con la bolla Mirabilis Deus, papa Pio V lo dichiarò dottore della Chiesa. Nel sesto centenario della canonizzazione, Pio XI gli dedicò l’enciclica Studiorum Ducem. La Chiesa cattolica lo celebra il 28 gennaio e, in forma straordinaria, il 7 marzo, mentre la Chiesa luterana lo ricorda l’8 marzo.
Opere. Divi Thomae Aquinatis... Opera omnia gratiis privilegiisque Pii V, I-XVIII, Romae 1570; Sancti Thomae Aquinatis... Opera Omnia ad fidem optimarum editionum accurate recognita, I-XXV, Parmae 1852-1873. L’edizione critica è curata dalla Commissio Leonina, istituita da papa Leone XIII nel 1880: Doctoris Angelici divi Thomae Aquinatis... Opera omnia..., a cura di S.E. Fretté - P. Maré, I-XXXIV, Paris 1871-1872 (rist. New York 1948-1950); Sancti Thomae de Aquino Opera omnia iussu Leonis XIII P. M. edita, I-L, Roma-Paris 1882- (piano dell’opera: http://www.commissio-leonina. org/2014/01/liste-complete-des-volumes/; digitalizzazione parziale: http://www.corpusthomisticum.org/repedleo.html, 18 luglio 2019). Scriptum super libros sententiarum, I-II, a cura di R.P. Mandonnet, Parisiis 1929, III-IV, a cura di M. F. Moos, Parisiis 1933-1947 (per il Prologus v. A. Oliva, Les débuts de l’enseignement de Thomas d’Aquin et sa conception de la Sacra Doctrina..., Paris 2006); In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio, a cura di M.-R. Cathala - R.M. Spiazzi, Taurini-Romae 1950 (rist. Taurini 1977); In librum Beati Dionysii De divinis nominibus expositio, a cura di C. Pera - P. Caramello - C. Mazzantini, Torino 1950; Catena aurea in quattuor evangelia, I-II, a cura di A. Guarienti, Torino-Roma 1953; Summa Theologiae, Alba-Roma 1962 (ed. emendata, Cinisello Balsamo 1999); Quaestiones disputatae de potentia, a cura di P.M. Pession, in Quaestiones disputatae, II, Torino-Roma 1965, pp. 7-276; S. Thomae Aquinatis opera omnia ut sunt in Indice Thomistico, a cura di R. Busa, I-VII, Stuttgart-Bad Cannstatt 1980; Super librum de causis expositio, a cura di H.D. Saffrey, Paris 2002. Traduzioni italiane: alle Edizioni Studio Domenicano di Bologna si debbono le traduzioni in italiano, accompagnate dal testo latino a fronte, dal 1992 (piano dell’opera: https://www.edizionistudiodomenicano.it/tommaso.php, 18 luglio 2019); Commentario al «De anima», I-II, a cura di A. Caparello, Roma 1975; Somma contro i Gentili, a cura di T.S. Centi, Torino 1975; L’uomo e l’universo. Opuscoli filosofici, a cura di A. Tognolo, Milano 1982; Commento al «Libro delle cause», a cura di C. D’Ancona Costa, Milano 1986; Opuscoli filosofici. L’ente e l’essenza, L’unità dell’intelletto, Le sostanze separate, a cura di A. Lobato, Roma 1989; Commento al Vangelo di San Giovanni, a cura di T.S. Centi, I-III, Roma 1990-1992; La potenza di Dio, a cura di A. Campodonico, I-III, Firenze 1991-1995; Commento alla Lettera ai Romani, a cura di L. de Santis - M.M. Rossi - P. Siniscalco, I-II, Roma 1994; L’ente e l’essenza, a cura di P. Porro, Milano 1995; Forza e debolezza del pensiero. Commento al De Trinitate di Boezio, a cura di G. Mazzotta, Soveria Mannelli 1996; I vizi capitali, a cura di U. Galeazzi, Milano 1996; Trattato sull’unità dell’intelletto contro gli averroisti, a cura di B. Nardi - P. Mazzantini - G. Stabile, Spoleto 1998; Unità dell’intelletto contro gli averroisti, a cura di A. Ghisalberti, Milano 2000; Compendio di teologia e altri scritti, a cura di A. Selva - T.S. Centi, Torino 2001; Il male, a cura di F. Fiorentino, Milano 2001; Il male e la libertà, a cura di U. Galeazzi - R. Savino, Milano 2002; Le passioni dell’anima, a cura di S. Vecchio, Firenze 2002; L’esistenza di Dio, a cura di G. Zuanazzi, Brescia 2003; Prologhi ai commenti aristotelici, a cura di F. Cheneval - R. Imbach - M. Costigliolo, Genova 2003; Sulla verità, a cura di F. Fiorentino, Milano 2005; L’Arca della memoria. La sentenza sulla memoria e la reminiscenza di Aristotele, a cura di G. Binotti - D. Roncari, Napoli 2007; Commenti a Boezio, a cura di P. Porro, Milano 2007; La felicità, a cura di U. Galeazzi, Milano 2010.
Fonti e Bibl.: Chartularium Universitatis Parisiensis, a cura di H. Denifle - A. Chatelain, I, Bruxelles 1889, pp. 504 s., Thomae Aquinatis vitae fontes praecipuae, a cura di P.A. Ferrua, Alba 1968 (in partic. G. di Tocco, Hystoria beati Thomae de Aquino, pp. 25-123; Processus canonizationis Thomae de Aquino, pp. 197-350).
J.-P. Torrell, Initiation à Saint Thomas d’Aquin. Sa personne et son oeuvre, Paris 2002 (trad. it. Amico della verità. Vita e opere di T. d’A., Bologna 2006); Ph.-M. Margelidon - Y. Floucat, Dictionnaire de philosophie et de théologie thomistes, Paris 2011, passim; A. Vendemmiati, San Tommaso e la legge naturale, Città del Vaticano 2011; G.C. Garfagnini, T. d’A., in Il contributo italiano alla storia del pensiero, Filosofia, Roma 2012, pp. 24-34 (con bibl.); P. Porro, T. d’A. Un profilo storico-filosofico, Roma 2012 (in partic. La vita e le opere, Lessici, dizionari e strumenti di lavoro, pp. 489-491; Studi, Alcune presentazioni di insieme del pensiero tommasiano, Contributi su temi e aspetti specifici, pp. 491-515); F.C. Bauerschmidt, Thomas Aquinas. Faith, reason and following Christ, Oxford 2013; D. Turner, Thomas Aquinas. A portrait, New Haven-London 2013; D. Decosimo, Ethics as a work of charity. Thomas Aquinas and pagan virtue, Stanford 2014; A. Petagine, Matière, corps, esprit. La notion du sujet dans la philosophie de Thomas d’Aquin, Fribourg-Paris 2014; G. Ventimiglia, T. d’A., Brescia 2014; D.-M. Cabaret, L’étonnante manifestation des personnes divines. Les appropriations trinitaires chez Saint Thomas d’Aquin. Histoire de la doctrine et synthèse théologique, Les-Plans-sur-Bex 2015; Th.J. White, The incarnate lord. A thomistic study in christology, Washington 2015; C. Ladd Barnes, Christ’s two wills in scholastic thought. The christology of Aquinas and its historical context, Toronto 2016; Ch.J. Shields - R. Pasnau, The philosophy of Aquinas, Oxford 2016; R.B. Smith, Reading the sermons of Thomas Aquinas. A beginner’s guide, Steubenville 2016; H. Bohineust, Obéissance du Christ, obéissance du Chrétien. Christologie et morale chez saint Thomas d’Aquin, Paris 2017; F. Daguet, Du politique chez Thomas d’Aquin, Paris 2017; A. Fitzpatrick, Thomas Aquinas on bodily identity, Oxford 2017; D. Legge, The trinitarian christology of St. Thomas Aquinas, Oxford 2017. Bibliografia continuamente aggiornata è inoltre reperibile s.v. Thomas de Aquino, in Medioevo latino. Bollettino bibliografico della cultura europea da Boezio ad Erasmo (secoli VI-XV), I- (1980-).