PRUNATO, Santo
PRUNATO (Prunati), Santo (Sante). – Figlio di Antonio, oste, e di Giulia Dalpile (Rognini, in La pittura a Verona..., 1978), le fonti ne indicano Verona come luogo di nascita, oscillando per la data tra il 1652 (Zannandreis, 1831-1834, 1891) e il 1656 (Dal Pozzo, 1718). Tuttavia, il mancato reperimento dell’atto di battesimo nelle anagrafi cittadine e il trasferimento del padre in riva all’Adige solo nel 1665 dal paese di Pastrengo sembrano indicare quest’ultima località come il luogo che più probabilmente gli diede i natali (Rognini, in La pittura a Verona..., 1978).
A Verona abitò inizialmente nelle contrade di S. Michele alla Porta e S. Matteo, per poi affittare una casa di proprietà dei monaci agostiniani presso la chiesa di S. Salvatore Vecchio (Marchini, 1976-1977, p. 76). Dalla prima moglie, Aquilina, ebbe cinque figli: Antonio (1683-1684), Michelangelo (1690-1756), Chiarastella (nata nel 1693), Gianfrancesco (1696 ca.-1701) e Giuseppe (nato nel 1698); Elisabetta nacque invece nel 1700 dalla seconda consorte, Angelica (Rognini, in La pittura a Verona..., 1978). Un albero genealogico tratto da una causa giudiziaria che lo vide protagonista sembra tuttavia indicare che Prunato ebbe anche altri due figli, Antonio e Francesco, rispettivamente orefice e mercante (Marchini, 1976-1977, p. 75).
Il suo percorso artistico è ampiamente descritto dai primi biografi, a partire da Bartolomeo Dal Pozzo (1718), che lo conobbe personalmente e che collezionò numerose opere, passando poi per l’allievo Giambettino Cignaroli (1749; Biadego, 1890) e per Diego Zannandreis (1831-1834), mentre l’unico intervento monografico relativamente recente è il saggio con catalogo ragionato di Gian Paolo Marchini (1976-1977), bisognoso tuttavia di una profonda revisione. Nominato nel 1667 in un elenco di pittori dell’«Accademia del Disegno di Verona» (pp. 80 s.), si sarebbe formato presso i pittori Andrea Voltolini e Biagio Falcieri (Dal Pozzo, 1718), protagonisti sulla scena cittadina. Esordì a Vicenza dipingendo a olio il coro della chiesa di S. Giacomo e lasciando una pala per la chiesa di S. Felice.
Su queste opere beriche, databili sul finire dell’ottavo decennio, la critica si è divisa tra coloro che rifiutano l’attribuzione a Prunato (Pesenti, in La pittura a Verona..., 1978) e chi invece vede la mano dell’artista in cinque tele sul soffitto di S. Giacomo, posizione quest’ultima che sembrerebbe confermata da documenti d’archivio (Binotto, 1980; Marinelli, 2000). In seguito Prunato arricchì il proprio bagaglio di conoscenze frequentando la bottega veneziana di Johann Carl Loth (Dal Pozzo, 1718) e quella bolognese di Carlo Cignani (manoscritto di Marcello Oretti citato in Pesenti, in La pittura a Verona..., 1978). Se influssi lagunari sono stati ravvisati nell’Istituzione dell’eucarestia ora al Museo di Castelvecchio a Verona, eseguita negli anni Ottanta (Pesenti, in La pittura a Verona..., 1978), più congeniale all’artista sembrò essere uno stile accademizzante emiliano che caratterizzò la gran parte delle sue opere e che probabilmente favorì il suo successo in una Verona classicista e anche altrove (Pallucchini, 1981).
A partire dal 1694-95 Prunato si recò infatti varie volte in Piemonte in seguito all’invito a Torino da parte del marchese di Pianezza per decorare il suo palazzo (Dal Pozzo, 1718). Nella città sabauda eseguì poi, ai primi del Settecento, perduti affreschi nelle chiese della Consolata e di S. Tommaso, operando al contempo nelle vicine città di Carmagnola e Racconigi.
A Verona lavorò sia per numerosi committenti privati, tra i quali il conte Gomberto Giusti – per cui nel 1728 avrebbe stimato i dipinti di sua proprietà (Rognini, in La pittura a Verona..., 1978) – o il capitano della città Pietro Duodo, sia a imprese collettive al fianco di artisti come Simone Brentana, Louis Dorigny e Alessandro Marchesini; dei primi anni dell’ultimo decennio del Seicento è la tela (in verità modesta) con Agar e l’angelo nella chiesa di S. Nicolò, a cui seguirono due illustrazioni destinate al volume La madre addolorata (1697) del vescovo Marc’Antonio Rimenae una lunetta con la Presentazione al Tempio per la cappella dei Notai (1699-1700).
In realtà, più che per la sua attività pittorica – che non presenta picchi qualitativi e si limita a un’attenta rielaborazione dei modelli senza cadere nell’eclettismo –, Prunato sembra avere avuto un peso nella storia dell’arte veronese per il suo ruolo di insegnante, svolto soprattutto come direttore della privata Accademia, ospitando la «scuola del nudo» presso il suo stesso domicilio dal 1716 al 1718 (Marchini, 1976-1977). Oltre a Cignaroli, anche un artista come Felice Torelli dovette imparare da Prunato i primi rudimenti pittorici prima di trasferirsi a Bologna.
Il classicismo di Prunato emerge anche negli interventi ad affresco, come la decorazione di alcune sale di villa Allegri (ora Arvedi) a Grezzana, nel Veronese, sul finire del secolo (da ultimo Pasian, 2009), per cui sono stati chiamati in causa influssi carpioneschi (Pallucchini, 1981), mentre un aneddoto tramandato da Cignaroli narra di forestieri che avrebbero scambiato la pala eseguita per Francesco Bonduri verso il 1713 in S. Stefano per un’opera di Carlo Maratti (Zannandreis, 1831-1834, 1891). Proprio in quegli anni Prunato sembrò trarre influenze dai modi di Antonio Balestra, che a Roma era stato allievo del pittore marchigiano: un esempio di questo avvicinamento è l’Adorazione dei Magi di Gandino, nel Bergamasco, in pendant con una tela dello stesso Balestra (Marchini, 1976-1977, p. 106; Pallucchini, 1981).
Secondo Cignaroli (in Biadego, 1890), gli ultimi anni dell’attività evidenziarono un declino delle capacità artistiche del pittore, giudizio difficilmente verificabile per la perdita di diversi quadri citati dall’allievo come esempi della decadenza e per il possibile intervento del figlio Michelangelo, che seguì le orme paterne (Marchini, 1976-1977, pp. 100 s.).
Prunato morì a Verona il 28 novembre 1728 e venne sepolto in S. Giovanni in Fonte (Zannandreis, 1831-1834, 1891; Trecca, 1911).
L’importanza del pittore fu probabilmente sopravvalutata dagli stessi contemporanei, che lo videro come il ‘rifondatore’ della pittura veronese, in rottura con l’ormai stanca maniera del vituperato Biagio Falcieri; è lo stesso Cignaroli (in Biadego, 1890) a offrire uno spaccato delle idee artistiche del maestro tramandando le sue raccomandazioni, su tutte l’insistenza sulla necessità di un recupero dei principali artisti cinquecenteschi locali (a lui ben noti anche per via dell’attività di restauratore), da coniugare ai classicisti emiliani come Guido Reni e Carlo Cignani.
Sono tuttora irrintracciabili numerose opere menzionate dai biografi e si lamenta in particolare la perdita pressoché completa dei lavori eseguiti per i collezionisti veronesi e per la committenza piemontese. Per tale ragione Prunato è oggi noto soprattutto per le opere sacre devote e sentimentali che, unite a un conservatorismo formale – come nella tela in S. Domenico a Verona (d’Arcais, 1982) con la Predica di s. Domenico alle donne eretiche –, ebbero buon successo tra la committenza guadagnandosi dalla critica la definizione di pitture «senza tempo» (Marinelli, in La pittura a Verona..., 1978, p. 40).
Fonti e Bibl.: B. Dal Pozzo, Le vite de’ pittori, degli scultori et architetti veronesi, Verona 1718, pp. 180-182; [G.B. Cignaroli], Serie de’ pittori veronesi, in P. Zagata, Cronica della città di Verona, ampliata da G. Biancolini, II, Verona 1749, pp. 218 s.; S. Dalla Rosa, Scuola veronese di pittura (1806), a cura di G. Marini - G. Peretti - I. Turri, Verona 2011; D. Zannandreis, Le vite dei pittori, scultori e architetti veronesi (1831-1834), a cura di G. Biadego, Verona 1891, pp. 296-299.
G. Biadego, Di Giambettino Cignaroli pittore veronese: notizie e documenti, Venezia 1890, pp. 31-34; G. Trecca, Note per la biografia dei pittori veronesi, in Atti e memorie dell’Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona, 1911, n. 86, p. 124; G.P. Marchini, Santo Prunati. Contributo alla storia della pittura veronese del tardo Seicento, in Studi storici veronesi Luigi Simeoni, 1976-1977, nn. 26-27, pp. 74-219 (con bibliografia ulteriore); La pittura a Verona tra Sei e Settecento (catal., Verona), a cura di L. Magagnato, Vicenza 1978 (in partic. S. Marinelli, Lo stile ‘eroico’ e l’Arcadia, pp. 39-42; F.R. Pesenti, S. P., pp. 133-139, figg. 38-42; L. Rognini, pp. 282 s.); M. Binotto, I dipinti della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo di Vicenza, in Saggi e memorie di storia dell’arte, XII, 1980, pp. 79-109; R. Pallucchini, La pittura veneta del Seicento, I, Milano 1981, pp. 354 s.; F. d’Arcais, La decorazione della chiesa di San Domenico a Verona, in Arte veneta, 1982, n. 36, pp. 167-176; E. Rama, P., S., in La pittura in Italia. Il Seicento, a cura di M. Gregori - E. Schleier, II, Milano 1989, p. 854; S. Marinelli, I Veronesi ad Arco, dal Rinascimento al Settecento, in La chiesa di Santa Maria Assunta ad Arco (catal., Riva del Garda-Arco), a cura di M. Botteri, Trento 1992, pp. 83-87; D. Tosato, La prima attività di Giambettino Cignaroli, in Verona illustrata, XII (1999), pp. 19-25; S. Marinelli, Verona, in La pittura nel Veneto. Il Seicento, a cura di M. Lucco, I, Milano 2000, pp. 383, 386, 396 s.; I restauri del Tadini, a cura di G.A. Scalzi, Lovere 2000, pp. 196 s.; E. Rama, P. S., in La pittura nel veneto. Il Seicento, a cura di M. Lucco, II, Milano 2001, pp. 864 s.; A. Pasian, Grezzana. Villa Allegri, in Gli affreschi nelle ville venete. Il Seicento, a cura di G. Pavanello - V. Mancini, Venezia 2009, pp. 188-208; S. Marinelli, Verona 1700-1739, in La pittura nel Veneto. Il Settecento di Terraferma, a cura di G. Pavanello, Milano 2011, p. 191.