GIUSEPPE Cafasso, santo
Nacque a Castelnuovo d'Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco) il 15 genn. 1811, al tempo della dominazione francese, da Giovanni e da Orsola Beltramo, coltivatori. Compiuti gli studi secondari e frequentato il biennio di filosofia nel collegio civico di Chieri, nel 1830 entrò nel locale seminario filosofico-teologico, aperto nel 1829 dal camaldolese C. Chiaveroti, arcivescovo di Torino, in alternativa a quello della capitale e come salvaguardia dai fermenti sociali e politici che nel 1821 avevano sfiorato anche la cattedra di teologia dell'Università.
Ordinato sacerdote il 21 sett. 1833 a Torino, il 28 genn. 1834 G. entrò per il perfezionamento pastorale nel convitto ecclesiastico di S. Francesco in Torino e vi rimase per il resto della vita, con responsabilità sempre maggiori: dal 1837 fu ripetitore (ossia vice) del rettore L. Guala, che nel 1844, per ragioni di salute, gli affidò l'intero insegnamento; dal 1849 fino alla morte fu rettore del convitto e direttore della conferenza di morale.
Al convitto di S. Francesco, sotto la direzione del teologo L. Guala (che lo aveva fondato su ispirazione di P.B. Lanteri), era affidata una delle quattro conferenze (ossia un corso triennale) di teologia morale ricostituite per il clero cittadino nel 1814 dal sovrano sabaudo. Le aveva istituite l'autorità civile nel corso del XVIII secolo; gli arcivescovi vi intervenivano soltanto per promuovere e regolamentare la partecipazione del clero che vi disponeva anche di un convitto, appunto presso la chiesa di S. Francesco (riconosciuto da Carlo Felice il 25 ott. 1822 e approvato dall'arcivescovo Chiaveroti il 4 giugno 1823 con la nomina del rettore), nel quale conduceva vita comunitaria. Il contesto culturale-spirituale in cui operava il convitto di S. Francesco era quello delle "amicizie" (cristiana, sacerdotale e cattolica) e del loro apostolato laicale a sfondo legittimistico e impregnato di spiritualità ignaziana.
L'importanza storica di G. nella pastorale, anche oltre i confini di Torino e del Piemonte (si pensi a don Giovanni Bosco e ai suoi salesiani), va soprattutto attribuita al fatto che egli formò direttamente e indirettamente, sia dalla cattedra, sia nella pratica intensa del confessionale e del pulpito, generazioni di preti-pastori.
Ai giovani sacerdoti suoi allievi G. diceva che per riuscire un buon predicatore bisognava avere innanzi tutto retta intenzione, santità di vita e preghiera, accompagnate evidentemente da una solida preparazione dottrinale e tecnica. Il meglio di se stesso e della sua ricchezza spirituale e saggezza pastorale lo offriva al clero in cura d'anime negli esercizi spirituali, che predicava secondo il classico schema ignaziano diffuso con qualche adattamento in varie case di esercizi del Piemonte, in particolare presso il santuario di S. Ignazio a Lanzo Torinese. I novissimi e l'imitazione di Cristo erano i due centri d'interesse su cui ruotavano le meditazioni; ma era soprattutto nelle istruzioni che G. illustrava il suo modello di sacerdote, delineato, in conformità alle decisioni del concilio tridentino, nell'esercizio di un ministero che si basava soprattutto sulla predicazione e sul sacramento della confessione. C'era in lui una profonda convinzione della dignità del prete in quanto essenzialmente "uomo di Dio", per il quale contava innanzi tutto il servizio di Dio e il bene delle anime: di qui, forse, quella certa distanza dalla politica che al tempo del suo rettorato e proprio negli anni cruciali del Risorgimento caratterizzò il convitto. Pur insegnando ai giovani preti il lealismo verso lo Stato, G. non fu certo un patriota, ma neppure un intransigente alla maniera dell'arcivescovo L. Fransoni, cui pure fu sempre devoto. Ciononostante, il 6 giugno 1860 - quasi alla vigilia della morte - subì con sua grande sofferenza la perquisizione dell'alloggio a opera della polizia, che pensava di trovarvi documenti compromettenti sui rapporti con l'esiliato arcivescovo Fransoni; e invece proprio al magistero di G. va forse fatta risalire l'estraneità della stragrande maggioranza del clero piemontese all'intransigentismo dell'ultimo trentennio dell'Ottocento. Ma il prete cui egli pensava era ancora, nonostante le prime avvisaglie di cambiamento, un prete che operava in situazione di cristianità, non certo di secolarizzazione o di missione.
Nel primo decennio di sacerdozio G. si dedicò anche alla predicazione delle missioni popolari, che conobbero una forte diffusione proprio nella prima metà dell'Ottocento. Dominava anche qui il tema dei novissimi, presentati, secondo lo stile del tempo, con taglio e intento morale, ossia con lo scopo di allontanare dal peccato e di ottenere la conversione. Per farsi meglio capire, G. predicava in piemontese, come documenta tra l'altro il testo delle prediche redatto in italiano e ricco di piemontesismi.
Il massimo delle sue energie, sia nell'insegnamento, sia soprattutto nella pratica, era però assorbito dal sacramento della confessione cui dedicava ogni mattina almeno tre ore. A lui accorrevano preti, come don Giovanni Bosco, e laici d'ogni ceto sociale: nobili come Giulia di Colbert, marchesa di Barolo, e E. Ferrero della Marmora, C. Solaro della Margarita, A. Ferrero della Marmora, ma anche gente semplice. Tale zelo pastorale cercava di inculcare agli allievi nelle lezioni di teologia morale, che non erano un'arida palestra di casistica, ma una scuola di formazione di coscienze e di vite pastorali, in cui egli armonizzava le esigenze dei principî morali con la comprensione dei penitenti, evitando gli opposti scogli del rigorismo e del lassismo. Erano sottesi non solo due diversi approcci alla morale, ma anche differenti linee pastorali, che concernevano tra l'altro tutta la prassi sacramentaria. Almeno in linea di principio G. adottò la teologia alfonsiana e il suo probabilismo moderato, da applicarsi soltanto nel caso di legge positiva, ossia umana, perché il criterio orientativo preminente doveva essere, sulla scia del Trattato della coscienza (1840) di A. Rosmini Serbati, il bene spirituale della persona concreta, senza trascurare le esigenti istanze della legge naturale e rivelata.
L'insegnamento di G. restò soprattutto nelle annotazioni d'ispirazione alfonsiana al testo ufficiale di teologia morale di A. Alasia, di tendenza probabiliorista, approvato nel 1788 dal sinodo diocesano torinese e da lui piegato nella direzione di un moderato probabilismo e di una prassi sacramentaria e pastorale preoccupata del bene possibile dei fedeli. Questo orientamento pastorale, trasmesso a molti preti e non soltanto ai discepoli poi più prestigiosi come don Giovanni Bosco, e che ha influito in profondità nella pastorale torinese e piemontese, costituisce il suo grande merito storico. Per questo mancò il bersaglio V. Gioberti, quando nel Gesuita moderno accusò il convitto d'essere scuola di lassismo; ma sbagliarono anche i biografi di G. e gli studiosi del convitto presentandolo come seguace di un probabilismo spinto e maestro di G.B. Bertagna - che sarà direttore del convitto a fine Ottocento -, il quale con una casistica eccessiva sembrò tradire lo spirito del suo insegnamento.
Negli anni del ministero sacerdotale di G. la Torino della Restaurazione e del Risorgimento era una città in profonda trasformazione demografica e sociale, meta di un'intensa immigrazione dalle campagne causata dal bisogno di lavoro e dalla necessità di sopravvivenza, con conseguenti gravi problemi sociali, che colpivano soprattutto gli strati più poveri della popolazione e le persone più deboli, come i giovani, i malati, i carcerati e i condannati a morte. Pur non avvertendo probabilmente la portata del cambiamento, G. cercò di provvedervi nell'ottica prevalente della pastorale e della carità cristiana, impegnandosi in prima persona nel mondo dei carcerati e dei condannati a morte con un ministero che lo rese popolare come "il prete della forca": così lo avrebbe ricordato Torino con un monumento eretto nel 1960. Accompagnò al patibolo sessantotto condannati (tra i quali il generale G. Ramorino, giustiziato il 22 maggio 1849 perché ritenuto colpevole della disfatta di Novara) che egli affettuosamente chiamava i miei "santi impiccati", portandoli tutti al pentimento.
Al suo consiglio si devono due opere di notevole rilievo sociale, fondate per alleviare i problemi dell'immigrazione giovanile: gli oratori di don Giovanni Bosco, che germinarono proprio al convitto di S. Francesco, e l'Opera degli spazzacamini, diretta da don P. Ponte.
G. morì a Torino il 23 giugno 1860.
Tra i primi a testimoniare circa la santità di G. fu don Giovanni Bosco in due elogi funebri, poi pubblicati nelle Letture cattoliche, pronunciati a Valdocco e nella chiesa di S. Francesco d'Assisi. Sollecitato da molti, il canonico G. Allamano, nipote di G. e rettore del santuario e del convitto ecclesiastico della Consolata, s'interessò per avviare il processo di beatificazione, la cui introduzione fu firmata il 23 maggio 1906 dall'arcivescovo di Torino D. Riccardi, preceduta dalla pubblicazione della prima biografia a opera di don G. Colombero nel 1895; in tale occasione, precisamente il 19 maggio 1911, la salma venne trasferita dal cimitero nella cripta del santuario della Consolata. Successivamente Benedetto XV dichiarò l'eroicità delle virtù (27 febbr. 1921); riconosciuti i due miracoli richiesti, Pio XI il 3 maggio 1925 lo proclamò beato mentre la biografia del cardinale C. Salotti ne diffondeva la fama a livello nazionale; le spoglie del beato furono collocate in un'urna di bronzo, dono personale di Pio XI, e conservate nel santuario della Consolata, ove si trovano ancora oggi. Il 22 giugno 1947 Pio XII proclamò G. santo e il 9 apr. 1948 lo dichiarò patrono delle carceri italiane, per proporlo infine, nell'enciclica Menti Nostrae del 23 sett. 1950, come modello in particolare ai sacerdoti impegnati nelle confessioni e nella direzione spirituale.
In vita G. non pubblicò scritti; in occasione del processo di canonizzazione si cominciarono a dare alle stampe, a cura di G. Allamano, le Meditazioni per esercizi spirituali al clero, Torino 1892 e le Istruzioni per esercizi spirituali al clero, ibid. 1893. Al momento della beatificazione, i due volumi vennero ripubblicati dai missionari della Consolata, come III e IV volume delle progettate Opere complete del b. Giuseppe Cafasso; il II volume era nuovo e costituito dalle Sacre missioni al popolo, Torino 1925; del V, dedicato alla Teologia morale, a cura di P. Racca, il manoscritto inedito si trova nella Biblioteca dei Missionari della Consolata in Torino. Nel centenario della morte di G. sono stati ripubblicati i due volumi del 1892-93 con il titolo di Esercizi spirituali al clero, Alba 1960.
Fonti e Bibl.: Torino, Archivio del Santuario e convitto della Consolata: vi si conservano cinque faldoni di manoscritti di G. e undici di trascrizioni effettuate dopo la sua morte, più la copia dattiloscritta di una sua Raccolta di 290 casi di morale e una decina di volumi contenenti gli appunti delle sue lezioni di morale presi dagli allievi, ora in corso d'inventariazione; Ibid., Archivio arcivescovile: custodisce i 13 voll. del processo di canonizzazione; Roma, Biblioteca del Centro studi don Bosco dell'Ateneo salesiano: 1543 pagine autografe divise in fascicoli relativi a temi di teologia morale e casistica.
Sulla causa di canonizzazione sono stati pubblicati tra l'altro: Positio super introductione causae, Romae 1906; Summarium super dubio, Romae 1906; Positio super fama in genere, Romae 1909; Positio super virtutibus, Romae 1918; Nova positio super virtutibus, Romae 1919; Positio super miraculis, Romae 1935.
Nell'abbondante bibliografia su G. hanno validità scientifica soprattutto gli studi dell'ultimo ventennio, capaci di innovare una ricerca inizialmente orientata spesso in senso agiografico. Si ricordano qui: G. Bosco, Biografia del sac. G. C., esposta in due ragionamenti funebri, Torino 1860; Id., Rimembranza storico-funebre dei giovani dell'oratorio di S. Francesco di Sales verso il sacerdote C. G., loro insigne benefattore, Torino 1860; G. Colombero, Vita del servo di Dio d. G. C. con cenni storici sul convitto ecclesiastico di Torino, Torino 1895; E. Bracco, Il venerabile d. G. C., Torino 1911; A.M. Anzini, L'angelo delle prigioni. Vita del venerabile don G. C., San Benigno Canavese 1912; L. Nicolis di Robilant, Vita del venerabile G. C. confondatore del convitto ecclesiastico di Torino, Torino 1912; L. Zanzi, Lo spirito interiore del b. G. C. proposto ai sacerdoti e ai militanti nell'Azione cattolica, Bassano del Grappa 1919; Id., La politica del prete. Spirito del ven. G. C. gran maestro del clero moderno, Arezzo s.d.; S. A., Il venerabile G. Cafasso. Nuova vita compilata sui processi di beatificazione, Torino 1920; A.M. Anzini, Vita del b. G. C., Torino 1925; C. Salotti, La perla del clero italiano. Il b. G. C., Torino 1925; L. Carnino, Il b. G. Cafasso. Breve vita popolare, Torino 1933; A. Vaudagnotti, Brevi cenni sulla vita, virtù e miracoli del beato G. C., Torino 1936; M. Bargoni, Il beato G. C., Torino 1938; S. Testi, Il beato G. C., Alba 1938; A. Grazioli, La pratica dei confessori nello spirito del beato C., Asti 1944; J. Cottino, S. G. C., il piccolo prete torinese, Roma 1947; G. Favini, S. G. C. Triduo e panegirico, Torino 1947; I. Felici, Don C. santo, Pisa 1947; G. Usseglio, Il teologo Guala e il convitto ecclesiastico di S. Francesco di Torino, in Salesianum, X (1948), pp. 453-502; F. Accornero, La dottrina spirituale di s. G. C., Torino 1958; U. Adamoli, Il santo dei carcerati. Bozzetto drammaticoin un atto e due tempi, Teramo 1960; D. Battaglieri, S. G. C. consolatore degli ammalati, Chieri 1960; G. Bitelli, Il prete della forca, Torino 1960; G. Bosco, S. G. Cafasso. Memorie pubblicate nel 1860 da s. Giovanni Bosco, Torino 1960; A.M. Cavagna, S. G. C., modello del clero, patrono dell'Unione apostolica del clero, Roma 1960; A. Giaccaglia, S. G. C., Bari 1960; L. Nicolis di Robilant, S. G. C., cofondatore del convitto ecclesiastico di Torino, Torino 1960; U. Rocco, Il messaggio di s. G. C., in La Civiltà cattolica, CXI (1960), 2, pp. 113-123; S. G. C. dalla Consolata alle Missioni, numero unico di Missioni Consolata, 1960; S. G. C. maestro e modello del clero, quaderno speciale di Pietà sacerdotale, V (1960), 3-4; Morale e pastorale alla luce di san G. C., Padova 1961; C. Bona, Le "Amicizie". Società segrete e rinascita religiosa (1770-1830), Roma 1962, ad indicem; L. Mugnai, S. G. C. prete torinese, Siena 1972; P. Stella, Il prete piemontese dell'800 tra la Rivoluzione francese e la rivoluzione industriale. Atti del Convegno… 1972, Torino 1972; Arte, pietà e morte nella Confraternita della Misericordia di Torino, Torino 1978; G. Martin, Les ramoneurs de la Vallée de Rhèmes, Aosta 1981; I. Tubaldo, Il clero piemontese: sua estrazione sociale, sua formazione culturale e sua attività pastorale. Alcuni apporti alla sua individuazione, in Chiesa e società nella seconda metà del XIX secolo in Piemonte, a cura di F.N. Appendino, Casale Monferrato 1982, pp. 175-232; Id., Giuseppe Allamano. Il suo tempo. La sua vita. La sua opera, I-IV, Torino 1982-86, ad indices; A. Paviolo, Gli spazzacamini della valle dell'Orco, San Giorgio Canavese 1987, ad indicem; U. Levra, L'altro volto di Torino risorgimentale (1814-1848), Torino 1988, ad indicem; G. Nalbone, Carcere e società in Piemonte (1770-1857), Santena 1988; A. Giraudo, Clero, seminario e società. Aspetti della Restaurazione religiosa a Torino, Roma 1992; L. Casto, Gli esercizi spirituali al clero di s. G., in Adiutor gaudii vestri. Miscellanea in onore del card. G. Saldarini…, in Archivio teologico torinese, I (1995), pp. 482-500; M. Rossino, Il convitto ecclesiastico di S. Francesco d'Assisi. La sua fondazione, ibid., pp. 452-481; Id., Alle origini del convitto ecclesiastico della Consolata. Le conferenze di teologia morale, in Cultura cattolica ed esperienze pastorali a Torino, Quaderni del Centro studi C. Trabucco, n. 21, Racconigi 1995, pp. 7-33; G. Tuninetti, Il prete e i preti nell'Ottocento piemontese, in Riv. diocesana torinese, LXXIV (1997), pp. 565-573; L. Casto, S. G. modello di vita sacerdotale, ibid., pp. 861-867; P. Stella, Il clero e la sua cultura nell'Ottocento, in Storia dell'Italia religiosa. L'età contemporanea, a cura di G. De Rosa, Roma-Bari 1997, pp. 87-113; Storia di Torino, VI, La città nel Risorgimento (1798-1864), a cura di U. Levra, Torino 2000, ad indicem.
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