GIOVANNA d'Arco (detta dai contemporanei la Pucelle, cioè "la Pulzella"), santa
Si accetta comunemente come data della sua nascita il 6 gennaio 1412. Nacque nel villaggio di Domremy, in una parte del Barrois, che secondo il concetto di mouvance feudale (distinto, in teoria, da quello di sovranità) dipendeva dalla corona di Francia. Figlia di contadini modesti, non imparò né a leggere né a scrivere; crebbe, coi fratelli e la sorella, alle fatiche dei campi ed alle cure della casa; ma oltremodo seria e ardente dev'essere stata la sua iniziazione religiosa - per opera soprattutto della madre, Isabella, detta la Romea, forse per aver fatto qualche gran pellegrinaggio - se all'età di 13 anni cominciò a credersi visitata da messaggeri celesti che la esortavano a un vivere pio. Si deve probabilmente al padre, Jacques d'Arc, uomo probo, stimato e attivo, uno dei notabili del villaggio (principale locatario nel 1419 del castello dell'Isola, ove si rifugiavano gli abitanti del luogo in caso di scorrerie; decano della comunità nel 1423; nel 1427 suo procuratore in un processo dinnanzi al capitano di Vaucouleurs), se la piccola contadina poté partecipare con precoce lucidità e con virile passione al tremendo conflitto politico-militare che allora sconvolgeva la Francia e sentire, con tutta l'anima, attraverso alle sofferenze della sua piccola patria - sentinella estrema del partito francese tra le provincie dell'est ostili - il dramma della patria maggiore. Alla singolare fanciulla, delle cui estasi le piccole compagne ridevano, avvezza ad oggettivare in visioni ed in "voci" i suoi sentimenti più fervidi e i moniti più gravi della coscienza, i suoi consiglieri celesti - S. Michele, S. Caterina, S. Margherita - si misero a raccontare, con sempre maggiore insistenza, "la pitié qui estoit en royaume de France" e a presentarle come un volere divino quello che doveva essere allora il sogno d'infiniti umili, segnatamente rurali, estenuati da tanti anni di guerra civile: la cacciata degl'Inglesi, la pacificazione della Francia sotto un re legittimo, il ritorno della giustizia. Al suo cuore di donna e di popolana essi parlavano soprattutto dei vinti: il duca d'Orléans e il delfino Carlo. L'ora era realmente tragica per la monarchia e per la nazione francese.
Giovanna si venne a poco a poco abituando all'idea di essere stata scelta da Dio per compiere il gran miracolo: la salvezza della Francia. C'era alla base di quell'eroica ambizione soprattutto la fede nel potere miracoloso d'Iddio, onde lo scrupolo assiduo di restar degna, con una vita impeccabile (tra l'altro col voto a Dio della propria verginità), della scelta divina. Ma c'era anche il geniale intuito che bastasse innalzare, al disopra delle viltà e degli egoismi, una bandiera ideale per risvegliare l'entusiasmo; c'era la chiara, robusta coscienza che la salvezza era nell'azione, "au bout de la lance"; c'era l'orgoglio, non scevro di una poetica femminilità, d'incarnare, quasi un vivente simbolo, la rinascita sognata: di essere la creatura inviata da Dio, alla testa di un esercito rigenerato, con in mano la spada della giustizia (poiché amò fortemente e volle splendidi, nonostante il suo ascetismo, i segni esteriori della sua missione). Si fissò nettamente, concretamente, gli scopi da raggiungere: come programma immediato la liberazione di Orléans e la riconsacrazione della monarchia mercé l'incoronazione di Reims; quindi l'attacco a fondo contro gli Anglo-borgognoni fino alla completa espulsione degl'inglesi e la liberazione del duca Carlo. Benché gli ostacoli e i pericoli fossero enormi - il suo sesso, la sua età, la sua condizione sociale, la sua incultura, la facilità di essere presa per una pazza o un'indemoniata -, benché ci fosse un abisso tra il suo programma di azione decisiva, fulminea e la politica pavida, segretamente filo-borgognona del governo, G. riuscì, con inaudita tenacia, a trionfare di tutte le difficoltà: Carlo VII le consentì (aprile 1429) di provare coi fatti la divinità della sua missione e di cavalcare, chiusa in una bianca armatura, col suo stendardo e la sua spada, alla testa dell'esercito che andava a soccorrere Orléans. Non le era affidato nessun comando; si blandiva con innocue apparenze alla sua illusione, per non perdere i benefici effetti che la sua presenza poteva avere sul morale delle truppe e degli assediati. Ma la liberazione di Orléans (8 maggio), la presa di Jargeau (12 giugno), la vittoria di Patay (18 giugno), la brillante cavalcata del "sacre" attraverso un paese devoto al nemico (27 giugno-16 luglio) convertirono agli occhi delle popolazioni e dell'Europa ammirata in un autentico capo l'umile "pastorella" messa alla prova dal Consiglio reale. Anche indipendentemente dal fascino di cui la muniva la sua fede d'ispirata, G. si era rivelata un'autentica conduttrice di uomini, capace di tutte le rudi virtù del soldato, di un eroismo trascinante. Sotto la sua bandiera accorrevano i volontarî. Intorno al suo nome cominciava a fiorire la leggenda. Cominciava, nel popolo, il suo culto. Sempre più sicura di sé, l'eroina anelata a nuovi, più decisivi ardimenti. Per il mondo ufficiale il fenomeno si fece imbarazzante. Estraneo di fatto alle forze profonde che avevano suscitato la vergine meravigliosa, legato a una routine politica che ignorava il sentimento nazionale francese quale G. lo impersonava, facile alle gelosie, ai risentimenti di casta, dilaniato dagl'intrighi, esso non poteva comprendere nelle sue ragioni storiche quella fulminea trasfigurazione; tanto meno riconoscerla con alcunché di ufficiale. Si continuò a vedere nella vincitrice di battaglie, che inviava ordini con burbanza regale ai potenti della terra, una contadinotta diciassettenne che si diceva in rapporto diretto coi santi. Dopo Reims, l'azione militare, cui G. vorrebbe imprimere uno slancio risolutivo, è continuamente contraddetta e annullata dall'azione politica: lasciata pressoché sola, G. si fa ferire invano sotto le mura di Parigi (8 settembre). Quegli di cui ella si era illusa di fare un re, cioè per parlare nel suo linguaggio "un orifiamma", licenziate le truppe, la porta con sé sulla Loira; ne logora il prestigio in azioni secondarie e malcerte; la occulta in una pesante inazione. Nella primavera del 1430, divenuta gravissima la minaccia borgognona contro Compiègne e le altre città del nord di partito francese, ella fugge con pochi uomini al loro soccorso, con la vana speranza di ritrovare un esercito e di ripetere per Compiègne il miracolo di Orléans. Ma l'autorità l'abbandona a sé stessa. Quando il mattino del 23 maggio ella si getta su Compiègne non ha in fondo con sé che una compagnia di 200 Italiani comandati da un certo Baretta. Il giorno stesso, alle sei di sera, rientrando da una ricognizione di là dall'Oise e "rimasta ultima come capo", cade nelle mani del nemico. Dopo lungo peregrinare di prigione in prigione (Margny, Beaulieu, Beaurevoir, Arras), dopo due infelici tentativi d'evasione, la prigioniera, bottino di guerra di Giovanni di Lussemburgo, fu da questo ceduta agl'Inglesi per 10.000 scudi d'oro (24 ottobre). Nessuna azione militare fu tentata per liberarla. Il gentil roi tanto amato restò inerte. Il cancelliere Regnault de Chartres, arcivescovo di Reims, uno dei personaggi più vicini al sovrano, non nascose pubblicamente il suo astio per l'infelice e spinse il disprezzo fino a sostituirla con un pastorello scemo "che sapeva dire le stesse cose". Ma quanta fosse la grandezza di G. d'A. lo mostrarono la gioia del nemico, la somma gigantesca adunata per comperarla, la solennità con cui fu fatta morire. Ché si volle innanzi tutto ucciderla moralmente, strapparle la sua aureola divina. Un'accolta eccezionale, formidabile di ecclesiastici insigni, tutti asserviti al re inglese, sotto l'egida dell'università di Parigi, devota all'Inghilterra essa pure, fu convocata per disonorarla (Rouen, 9 gennaio-30 maggio 1431). Si poté così arderla viva come "scomunicata ed eretica". G. assurge in quei cinque mesi d'inaudito martirio a una più che umana altezza morale. Sola, senza difensori, esposta al più inumano dei regimi (per più settimane restò anche rinchiusa in una gabbia di ferro con pesanti catene ai piedi, alle mani e al collo), conscia di avere dinnanzi non un tribunale ecclesiastico, ma un tribunale di guerra nemico, seppe tener fede all'idea per cui moriva. Non rinnegò le sue "voci", attestò con accenti sublimi il suo attaccamento incrollabile alla Francia, al suo principe. Si mantenne quanto le fu possibile il "capo" (la tenacia con cui rifiutò di lasciare "il vergognoso abito di soldato che la rendeva abbominevole a Dio e agli uomini", uno dei capi d'accusa su cui insisterono con più forsennata violenza i suoi giudici, va anche spiegata col fatto ch'era quello l'ultimo segno esteriore che le restasse della sua parte gloriosa). Riuscì anche allora a incarnare la purezza dell'ideale di fronte ai sofismi dell'interesse e della paura. (I numerosi recenti tentativi fatti in sede letteraria e scientifica, per giustificare l'ignobile processo di Rouen, sono, anche dal solo punto di vista tecnico, delle deplorevoli aberrazioni).
Diciannove anni dopo, quando Carlo VII ebbe rioccupata Rouen, l'iniquo processo del 1431 venne ripreso in esame e fu iniziato un ampio lavoro di revisione che condusse a una sentenza di annullamento e di riabilitazione (7 luglio 1456): la monarchia, ormai vittoriosa e temuta, cancellava così la taccia di eresia che, colpendo G. d'A., aveva colpito essa pure. A una riabilitazione più spontanea e più sostanziale portarono a poco a poco i progressi della scienza storica e il più libero affermarsi degl'ideali che G. aveva attestati col suo martirio. Il giusto riconoscimento della sua grandezza è un merito soprattutto moderno. Non dobbiamo però, naturalmente, fondarci, per segnare le tappe della sua gloria, sulle sole figurazioni, quasi tutte infelici, che ne ha date la letteratura: è giusto riconoscere che non mancano i segni, per ogni epoca, del fulgore rimasto inerente al suo nome. Nel 1894 un decreto di Leone XIII la dichiarava venerabile; il 18 aprile 1909, essendo papa Pio X, fu proclamata beata; il 16 maggio 1920, Benedetto XV la esaltava scrivendone il nome nell'albo dei santi. Nel 1920 il governo francese le consacrava per legge una delle feste annue repubblicane.
Bibl.: Fonte basilare per ogni studio su G. d'A. sono gli atti dei due processi, editi, insieme con le altre principali testimonianze allora note, da J. Quicherat, Procès de condamnation et de réhabilitation de J. d'A. dite la Pucelle, Parigi 1841-1849, voll. 5 (Soc. de l'Hist. de France). Quindici testimonianze dal Quicherat solo riassunte o segnalate vennero pubblicate da P. Lanéry d'Arc, Mémoires et consultations en faveur de J. d'A. par les juges du procès de réhabilitation, Parigi 1889. Tra i non molti documenti editi posteriormente meritano particolare menzione i passi relativi a G. d'A. della Cronaca Morosina (Chroniques d'Antonio Morosini, ed. da L. Dorez e G. Lefèvre-Pontalis, Parigi 1900-1902) e il Giornale di Eberhart Windecke, in G. Lefèvre-Pontalis, Les sources allemandes de l'histoire de J. d'A. etc., Parigi 1903. Si veda per le diverse testimonianze: A. Molinier, Les sources de l'histoire de France, I, iv, Parigi 1904, pp. 306-326. Del Procès de condamnation ha dato una nuova ed., corredata di una nuova trad. francese e di ottime note P. Champion (voll. XXII e XXIII della Bibliothèque du XVe siècle, Parigi 1920-1921); lo stesso attende a una nuova ed. del processo di riabilitazione, cui ha preluso col volume Notice des manuscrits du procès de réhabilitation de J. d'A., Parigi 1930 (Bibl. du XVe siècle, XXXVII).
La letteratura relativa a G. d'A. resta, quanto a copia, inferiore, se si tenga conto delle sole opere di rigore scientifico, alla bellezza e all'importanza del tema. Per la produzione meno recente si ha un'ottima guida bibliografica in Le livre d'or de J. d'A. di Lanéry d'Arc, Parigi 1894 (una nuova edizione, sotto il titolo Bibliographie de J. d'A., fu iniziata nel 1913-14 dalla rivista Jehanne la Pucelle) e soprattutto - data la rarità di quell'opera - nel ricco catalogo di U. Chevalier, Répert. des sources hist. du Moyen Âge, Bio-bibliographie, Parigi 1905, coll. 2513-2546. Complemento parziale e insufficiente A. E. Terry, J. d'A. in periodical literature 1894-1929, New York 1930. Ricordiamo tra le opere aventi un carattere generale: il vol. V della Hist. de France di J. Michelet, Parigi 1841 (vedasi su esso G. Rudler, Michelet historien de J. d'A., Parigi 1925-26); J. Quicherat, Aperçus nouveaux sur l'hist. de J. d'A., Parigi 1850; H. Martin, J. d'A., Parigi 1856; H. Wallon, J. d'A., 1ª ed., Parigi 1860; M. Sepet, J. d'A., 1ª ed., Tours 1869; J.-B. Ayroles, La vraie J. d'A., Parigi 1890-1898; Ph. Dunand, Hist. de J. d'A., Tolosa 1898-1899; C. Blennerhasset, Die Jungfrau von Orleans, Bielefeld 1906; A. France, Vie de J. d'A., 1ª ed., Parigi 1908; A. Lang, The maid of France, Londra 1909; G. Hanotaux, J. d'A., Parigi 1911; S. Touchet, La sainte de la Patrie, Parigi 1920 (di una riduzione con carattere spiccatamente agiografico è uscita pure l'edizione italiana: Santa G. d'A., Roma 1920). Tra i lavori speciali meritano di essere segnalati: S. Luce, J. d'A. à Domremy, Parigi 1886; E. Robillard de Beaurepaire, Notes sur les juges et les assesseurs du procès de condamnation de J. d'A., Rouen 1890; M.-J. Belon e F. Balme, Jean Bréhal, grand-inquisiteur de France, et la réhabil. de J. d'A., Parigi 1893; Boucher de Molandon e A. de Beaucorps, L'armée anglaise vaincue par J. d'A., Orléans 1892; A. Sarrazin, J. d'A. et la Normandie au XVe siècle, Rouen 1896; id., Pierre Cauchon juge de J. d'A., Parigi 1901; P. Champion, G. de Flavy capitaine de Compiègne, ecc., Parigi 1906; G. Goyau, Les étapes d'une gloire religieuse, Sainte J. d'A., Parigi 1920; E. von Jan, Das liter. Bild der J. d'A., Halle 1928. Cfr. le voci carlo vii; chapelain; chartier; france, anatole; schiller; shakespeare; shaw; voltaire.