SAN MARTINO al Cimino
Amena località dell'alto Lazio in provincia di Viterbo, 561 m. s. m., posta presso le pendici di NO. del vulcano Cimino, a 7 km. da Viterbo e altrettanti dal Lago di Vico, che si raggiunge passando per il poggio di Croce S. Martino (m. 642), posto sull'orlo dell'antico cratere. Il borgo, cinto da mura ben conservate, lunghe 1500 m., ha aspetto vetusto. Il comune, che aveva 1861 abitanti nel 1901, è stato aggregato a Viterbo. San Martino contava nel 1931, 1667 ab.
Monumenti. - Monumento di primaria importanza è la chiesa abbaziale posta sul culmine dell'abitato, perché costituì un caposaldo stilistico da cui deriva l'arte del secolo XIII della regione viterbese. L' abbazia benedettina, passata ai cisterciensi circa il 1150 per donazione di Eugenio III, fu ricostruita dai monaci di Pontigny a cominciare dal 1207, sicché la chiesa rispecchia uno dei modelli più in uso tra le filiali di Cîteaux. Vi si adottò il sistema doppio che permise di dividere la grande navata in campate quadre e le navatelle in un numero doppio di piccole campate, alternando così piloni a sezione quadra e colonne isolate. Il transetto di tre campate con cappelle comunicanti fra di loro precede il coro che gira in semiottagono sporgente. La copertura a vòlte d'ogiva doveva avere nell'intercrocio una torre lanterna. Nel prospetto la grande finestra sestiacuta a trafori compone, insieme ai due campanili, una linea di grande effetto.
I pochi resti dell'abbazia sono abbandonati o utilizzati in vario modo.
Storia. - Le prime notizie di S. Martino al Cimino si hanno dal Regestum farfense. Nell'833 un tale Benedetto, figlio di Ansperto, donò a Siccardo abate di Farfa la chiesa di S. Martino al Monte, che divenne così dipendenza del grande monastero farfense. Abbandonato il monastero dagli abati farfensi, quando l'abbazia imperiale, dopo il concordato di Worms, decadde, nel 1150 venne in possesso dei monaci cisterciensi di S. Sulpizio di Savoia che eressero l'attuale chiesa e il monastero di cui rimangono ancora gli avanzi. La nuova abbazia passò quindi in commenda al cardinale di Reute e poi al capitolo Vaticano, finché Innocenzo X la donò come principato a sua cognata, Olimpia Maidalchini, che vicino alla chiesa eresse il fastoso palazzo Pamphili. E come feudo dei Pamphili rimase il castrum di S. Martino, sorto intorno al monastero e racchiuso da una cinta di mura ancora in piedi, finché fu incorporato nello stato della Chiesa e poi nel regno d'Italia.
Bibl.: C. Enlart, Origines françaises de l'arch. gothique en Italie, Parigi 1894; P. Egidi, L'abbazia di San Martino al Cimino presso Viterbo, in Rass. stor. benedettina, I (1906) e II (1907).