SAN GIULIANO, Antonino Paterno Castello marchese di
SAN GIULIANO, Antonino Paternò Castello marchese di. – Nacque a Catania il 10 dicembre 1852 da Benedetto, quinto marchese di San Giuliano, e da Caterina Statella, figlia del principe Antonello Statella di Cassaro.
Figlio unico, ricevette la prima educazione culturale in famiglia. Ben presto maturò l’interesse per la storia e per la geografia nonché la passione per i viaggi riuscendo a padroneggiare le principali lingue europee. Nel 1875 si laureò in giurisprudenza e nello stesso anno contrasse matrimonio con Enrichetta Statella, dei conti di Castagneto, con la quale ebbe tre figli: Caterina, detta Carina, Benedetto Orazio e Maria.
La politica divenne il campo principale della sua attività. Ambizioso e studioso delle scienze sociali, il giovane marchese percorse i gradini del potere locale (consigliere comunale e poi assessore) per diventare a 27 anni sindaco di Catania. La sua giunta (1879-82) mise definitivamente fine al predominio clericale, avviando un ambizioso programma di opere pubbliche per ammodernare la città: il teatro comunale, la villa, il porto e la linea ferroviaria circumetnea. Bocciata quest’ultima opera dal Consiglio comunale, San Giuliano lasciò la carica e decise di candidarsi alla Camera dei deputati per la XV Legislatura. Fu eletto deputato nelle votazioni del 29 ottobre 1882, occupando un seggio che avrebbe conservato fino al 1904 (per sette legislature consecutive).
Depretisiano e ministeriale per la difesa degli interessi locali, San Giuliano si avvicinò alla ‘pentarchia’ quando il governo Depretis adottò alcuni provvedimenti considerati punitivi per il Mezzogiorno (le convenzioni ferroviarie e la perequazione fondiaria). Nello stesso tempo, approvò l’adesione italiana alla Triplice alleanza che avrebbe costituito, anni dopo, il terreno del suo impegno nella gestione del ministero degli Esteri. Con l’avvento di Francesco Crispi al potere si ebbe una svolta nell’attività governativa. San Giuliano fu attratto dall’azione riformatrice dello statista siciliano in politica interna e dal suo attivismo in politica estera. Con particolare riguardo alla politica economica, apprezzò l’intervento dello Stato nelle relazioni tra capitale e lavoro.
Caduto Crispi agli inizi del 1891, il primo governo Rudinì fornì a San Giuliano l’occasione di conoscere le condizioni dei possedimenti coloniali. Il patrizio catanese, infatti, fu nominato membro della commissione di inchiesta sull’Eritrea, creata dal governo nel marzo del 1891 per indagare sulle estorsioni commesse da funzionari italiani ai danni di alcuni ricchi indigeni. I compiti della commissione furono poi estesi agli aspetti territoriali, economici ed etnografici della colonia. La relazione, redatta da San Giuliano, fu presentata al governo e al Parlamento il 19 novembre 1891.
Con competenza e ricchezza analitica, descrisse le condizioni della colonia (il clima, il territorio e la vegetazione), le potenzialità agricole, il commercio e il regime della proprietà. Pur sostenendo la necessità di un rafforzamento dell’economia interna, era favorevole alla colonizzazione agricola che sarebbe servita ad alleviare il peso demografico delle regioni meridionali e a non disperdere la forza lavoro costretta a emigrare in altri Paesi.
Con la nomina di Giovanni Giolitti a presidente del Consiglio nel maggio del 1892, San Giuliano ebbe la prima occasione di ricoprire incarichi governativi, essendo stato nominato sottosegretario al ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio. Proprio in questo periodo la Sicilia si trovò nella tempesta di una grave crisi economica e sociale che vide la nascita dei Fasci dei lavoratori, un’organizzazione con un programma di rinnovamento dei rapporti contrattuali nelle campagne e della gestione del potere locale. Egli ebbe un ruolo importante a sostegno della linea di Giolitti che considerava lo scioglimento dei Fasci un grave errore dalle conseguenze politiche dannose.
Travolto dallo scandalo della Banca romana, dalla grave crisi finanziaria e dal tumultuoso movimento dei fasci, il governo Giolitti entrò in crisi nell’autunno del 1893. In vista della formazione del nuovo esecutivo, San Giuliano intervenne nel dibattito con un pamphlet (Le condizioni presenti della Sicilia. Studi e proposte, Milano 1893) in cui analizzò le cause della grave crisi dell’isola insistendo sui danni provocati dalla presenza del latifondo e sulla mancanza di sbocchi commerciali per i prodotti pregiati (vino, agrumi e zolfo).
Alla documentata disamina delle condizioni sociali seguiva un’audace indicazione dei rimedi che prevedevano anche la limitazione della proprietà privata. Le sue proposte si incentravano sulla trasformazione del latifondo per favorire la piccola proprietà, sulla quotizzazione dei demani, sul miglioramento dei patti agrari e sulla diffusione del credito.
Ritornato alla guida del governo e posto di fronte ai disordini, Crispi sciolse i fasci, proclamò lo stato d’assedio e fece arrestare i membri del comitato centrale. Consapevole della necessità di aiutare lo statista siciliano, San Giuliano aggiunse un post scriptum al suo volume sostenendo che il primo dovere del governo era quello di ristabilire l’ordine e l’impero della legge. Seguì con interesse i modesti tentativi crispini di legislazione antilatifondistica, ma rimase convinto della necessità dello sviluppo agricolo nei territori africani per alleviare la Sicilia e il Mezzogiorno di un peso demografico insostenibile.
Dopo il disastro di Adua del 1° marzo 1896, la politica coloniale italiana subì una profonda revisione. San Giuliano accolse con favore il ritorno al potere di Antonio Starabba di Rudinì, che garantiva una pausa di riflessione, ma chiese al Parlamento di non abbandonare completamente i possedimenti in Africa. Della politica crispina criticò il modo e i tempi di attuazione poiché essa si era concentrata su un’area troppo lontana dall’Italia, senza godere, inoltre, di un’adeguata preparazione diplomatica e militare. Accortosi che il governo Rudinì era intenzionato ad abbandonare l’Africa, il deputato catanese passò all’opposizione. La scelta fu anche dettata dalla sua mancata nomina ad ambasciatore presso la sede di Lisbona.
In quegli anni il marchese siciliano attraversò un momento difficile della sua vita. Alla consapevolezza di non poter ormai guarire dalla gotta, si aggiunse la morte della moglie il 9 novembre 1897. Con la caduta dell’ultimo ministero Rudinì, San Giuliano trovò nuovi spazi per l’inserimento ai vertici della politica romana che, in qualche modo, doveva alleviare le sue sofferenze. La militanza nelle file del neocrispismo e l’interesse per i problemi del Mezzogiorno lo avvicinarono a Sidney Sonnino, leader della corrente liberal-conservatrice. Tramite l’intervento di quest’ultimo il deputato catanese entrò a far parte del secondo dicastero Pelloux, formato nel maggio 1899, come ministro delle Poste e Telegrafi.
Dopo la breve esperienza ministeriale, durante la quale si impegnò a ottimizzare le linee di navigazione nel Mediterraneo con l’assegnazione del servizio alla Navigazione generale, San Giuliano puntò a presentarsi come lo specialista degli affari esteri del Regno. Ai fini dell’acquisizione di una visione completa dei contesti internazionali si devono collocare i suoi viaggi. Oltre che in Eritrea, nell’estate-autunno del 1903 si recò in Albania (allora parte dell’Impero ottomano) e nell’area dei Balcani, luoghi strategici per la sicurezza dell’Italia nel contesto della Triplice alleanza. Di quest’ultima San Giuliano si mostrò sostenitore, nella convinzione che quest’alleanza fosse accompagnata da amichevoli rapporti con la Gran Bretagna. Nella prospettiva di un incarico al ministero degli Esteri, sostenne le tematiche coloniali in Parlamento. Nel 1903 entrò nel consiglio della Dante Alighieri, la società per lo sviluppo della lingua italiana nel mondo, assunse la vicepresidenza della Lega navale italiana e poi divenne presidente della Società geografica italiana.
Nel 1904 compì un viaggio negli Stati Uniti, che gli permise di incontrare il presidente Theodore Roosevelt e di apprendere che quel Paese avrebbe proceduto alla chiusura dell’immigrazione di massa. In un articolo dell’anno successivo, sostenne che l’Italia avrebbe dovuto guardare con maggiore impegno alla Tripolitania per trovare sbocco occupazionale ai contadini meridionali (L’emigrazione italiana negli Stati Uniti d’America, in Nuova Antologia, s. 4, 1905, vol. 118, pp. 88-104). Era giunto il tempo che l’Italia, intendendosi con la Turchia, guardasse a questa regione (allora parte dell’Impero ottomano), soprattutto dopo che le grandi potenze avevano riconosciuto la prevalenza degli interessi italiani.
Sconfitto nel suo collegio di Catania durante le elezioni politiche del novembre 1904, San Giuliano fu ricompensato da Giolitti con il laticlavio senatoriale. Alla fine del 1905, dopo le critiche al ministro Tommaso Tittoni per la fallimentare gestione della politica estera in occasione dell’occupazione del Marocco da parte dei francesi, Alessandro Fortis, che era alla guida del governo, chiamò San Giuliano al ministero degli Esteri. Il neoministro, in occasione della conferenza di Algeciras, mutò la linea di condotta dell’Italia che, pur mantenendosi vicina alla Triplice alleanza, sostenne le mire espansionistiche della Francia, ottenendo il benestare di Parigi e di Londra per una futura colonizzazione della Libia.
Caduto il governo Fortis, San Giuliano lasciò il ministero degli Esteri, ma tra il 1906 e il 1910 ricoprì la carica di ambasciatore a Londra e a Parigi, mettendo in mostra le sue capacità diplomatiche. Il 1° aprile 1910 fu nominato, per la seconda volta, ministro degli Esteri da Luigi Luzzatti e poi confermato da Giolitti. Proprio in questo periodo fu il protagonista dell’espansione coloniale in Libia. La decisione italiana di intervenire maturò nel settembre del 1911, di fronte ai nuovi scenari della questione orientale e alla conclusione dell’occupazione del Marocco da parte francese. San Giuliano vide nella vicenda una situazione internazionale favorevole per l’Italia e sollecitò Giolitti a intervenire in Libia.
Dopo l’ultimatum del 28 settembre 1911, le truppe italiane sbarcarono in Africa. Di fronte alle resistenze delle forze libico-turche, l’Italia decise di spostare sul mare le operazioni militari forzando i Dardanelli e occupando nel maggio 1912 Rodi e le altre isole del Dodecaneso. Il 15 ottobre dello stesso anno fu firmata la pace che prevedeva per l’Italia l’acquisizione della Libia e del Dodecaneso. Il colpo inferto all’Impero ottomano provocò un vuoto di potere nella regione dei Balcani con la conseguente riacutizzazione dei contrasti austro-russi e delle tensioni internazionali.
Chiusa la guerra libica, nel novembre-dicembre 1912 San Giuliano puntò al rinnovo anticipato della Triplice alleanza. Fu una sfida vincente che valse all’Italia la garanzia dei successi conseguiti e il rafforzamento dell’asse italo-austriaco che, a parere del marchese siciliano, doveva perseguire l’obiettivo dell’equilibrio dell’Europa, della penisola balcanica e del mare che circondava l’Italia.
Difendendo con tenacia questa linea, San Giuliano era consapevole che per il mantenimento della pace occorrevano altre condizioni: l’Inghilterra avrebbe dovuto svolgere il suo compito di moderazione verso l’Intesa franco-russa e la Germania mostrare flessibilità per la maturazione di un assetto balcanico stabile. In tal modo, i conflitti locali non si sarebbero trasformati in un incendio europeo e le diverse società nazionali avrebbero avuto tempo per mediare i conflitti e per ricercare nuovi equilibri. Convinto della fatalità della morte degli imperi, quello ottomano e quello austro-ungarico, San Giuliano riteneva che questo processo si sarebbe potuto realizzare senza danno di alcuno e con vantaggio di tutti. Questa sua utopia conservatrice sarebbe stata contraddetta dagli eventi successivi.
Una prima verifica del suo progetto si ebbe con lo scoppio della prima guerra balcanica che avrebbe potuto determinare sviluppi nell’area tali da modificarne l’assetto territoriale e politico. Con il viaggio a Berlino del novembre 1912, San Giuliano si adoperò per fare dell’Albania il baluardo contro le minacce nell’Adriatico meridionale provenienti da qualsiasi parte. Accettò, quindi, la proposta dell’Austria che prevedeva la nascita di uno Stato albanese non soggetto alle potenze limitrofe, puntando all’ampliamento dell’influenza italiana e al superamento di quella austriaca già presente. D’accordo sempre con Vienna, si schierò contro la Serbia che, vittoriosa sulla Turchia, aspirava a uno sbocco albanese nell’Adriatico. Durante le trattative di pace, che si svolgevano a Londra, nel gennaio 1913 San Giuliano presentò la proposta di internazionalizzare il nuovo Stato albanese, trovando un principe regnante e affidando alle grandi potenze la garanzia della neutralità. Nell’arco di un mese si raggiunse l’accordo italo-austriaco per la sistemazione dell’Albania, che fu ratificato il 30 maggio 1913.
Alla fine di giugno del 1913 scoppiò la seconda guerra balcanica provocata dalla Bulgaria che, insoddisfatta dalle ricompense ricevute durante la conferenza di Londra, dichiarò guerra ai suoi ex alleati (la Grecia e la Serbia). L’Austria, amica della Bulgaria, considerò l’ipotesi di punire la Serbia e chiese la collaborazione dell’Italia. San Giuliano, che si trovava in Svezia con Vittorio Emanuele III, fece sapere agli alleati di non potere intervenire poiché in quella guerra non si poteva individuare il casus foederis (l’intervento era previsto solo in caso di aggressione di un Paese contraente).
Nel marzo del 1914 divenne presidente del Consiglio Antonio Salandra che chiese a San Giuliano di rimanere al suo posto. Il marchese dapprima rifiutò ma, dietro le insistenze di Giolitti e del sovrano, accettò. Le trattative dei mesi successivi riguardarono la sistemazione dell’Albania. Alla fine di giugno 1914 la situazione europea mutò con l’assassinio dell’erede al trono d’Austria Francesco Ferdinando. Questo gesto offrì agli ambienti austro-ungarici più aggressivi l’occasione per fermare il movimento di unificazione degli slavi meridionali e di contenerne i fermenti nazionali. Nonostante la risposta serba all’ultimatum austriaco fosse di estrema accondiscendenza, l’Austria il 28 luglio 1914 decise per la guerra. Nei giorni precedenti San Giuliano svolse un’intensa attività diplomatica dettata dall’orrore di una conflagrazione europea, dall’esigenza di trovare nuovi equilibri nell’Adriatico e dalle difficili scelte per l’Italia che aveva bisogno di tempo per consolidare il proprio assetto militare e finanziario dopo la guerra con la Turchia. La prospettiva dell’intervento italiano in cambio di compensi austriaci ben presto svanì di fronte all’indifferenza di Vienna. D’altronde, il ministro degli Esteri tedesco riconobbe che l’Italia aveva diritto sia a rimanere neutrale sia a essere compensata qualora l’Austria avesse accresciuto la sua presenza nei Balcani.
In perfetto accordo con Salandra, il 3 agosto 1914 San Giuliano proclamò la neutralità dell’Italia. Sempre più malato, tra agosto e settembre, riprese la sua febbrile iniziativa alla ricerca di una mediazione. Trattò con tutti per salvaguardare gli interessi italiani, in vista della ricostruzione del tessuto di relazioni e dei nuovi equilibri europei. Alla politica della neutralità triplicista affiancò una graduale apertura nei confronti dell’Intesa. Come interlocutore per le trattative scelse il governo britannico, l’unico di cui si fidava. Ebbe il tempo di stilare le basi di un accordo che in caso di crollo dell’Impero ottomano prevedeva l’annessione all’Italia del Trentino, della Venezia Giulia, di Trieste, dell’Istria e di Valona (come città autonoma e internazionalizzata). Per l’ingresso in guerra poneva delle condizioni imprescindibili: un imminente crollo dell’Austria-Ungheria, la minaccia del panslavismo, la riorganizzazione dell’esercito e l’indispensabile aumento delle risorse finanziarie.
Non riuscì a portare a termine questo progetto perché morì a Roma, nella sede del ministero degli Esteri, il 16 ottobre 1914.
Opere. Oltre ai testi citati, si segnalano: Un po’ di luce sulla questione del prestito, Catania 1880; Sulla ferrovia circumetnea. Lettera ai consiglieri comunali di Catania, Catania 1882; Relazione generale della Regia Commissione d’inchiesta sulla Colonia Eritrea. Relatore di San Giuliano, Borghini, senatore, Martini, deputato, Bianchi, deputato, Ferri, deputato, Cambray-Digny, deputato, Driquet, tenente generale, Roma 1891; I fini della nostra politica coloniale, in La Riforma sociale, 1895, vol. 3, pp. 310-332; Lettere sull’Albania pubblicate nel Giornale d’Italia, Roma 1903.
Fonti e Bibl.: Le carte di San Giuliano sono in possesso della famiglia. Molte di queste sono state utilizzate nelle opere di Francesco Cataluccio. Lettere e documenti di San Giuliano si trovano a Roma presso l’Archivio storico della Camera dei deputati e l’Archivio storico del ministero degli Affari esteri. Una fonte importante sono i Documenti diplomatici italiani. A Roma nell’Archivio centrale dello Stato si possono consultare le Carte Crispi, le Carte Giolitti, le Carte Salandra, le Carte Martini, le Carte Luzzatti e il fondo Presidenza del Consiglio dei ministri. Si trovano documenti riguardanti San Giuliano nelle Carte Luzzatti (Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti) e nelle Carte Codronchi (Imola, Biblioteca comunale). Si vedano anche: Dalle carte di Giovanni Giolitti. Quarant’anni di politica italiana, a cura di P. D’Angiolini - G. Carocci - C. Pavone, I-III, Milano 1962, ad ind.; S. Sonnino, Carteggio 1914-1916, a cura di P. Pastorelli, Bari 1974, ad ind.; Id., Carteggio 1891-1913, a cura di B.F. Brown - P. Pastorelli, Bari 1981, ad indices. Importanti notizie si trovano in: L. Luzzatti, Memorie, a cura di E. Carli, I-III, Milano 1930-1966, ad ind.; G. Giolitti, Memorie della mia vita, Milano 1943, ad indices. Molti riferimenti su San Giuliano sono in: L. Albertini, Venti anni di vita politica, I-II, Bologna 1951, ad ind.; D. Farini. Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, I-II, Roma 1961-1962, ad indices. Una raffigurazione letteraria si trova in F. De Roberto, I viceré, in Id., I grandi romanzi, Roma 1994. Gli atti delle amministrazioni dirette da San Giuliano si trovano presso l’Archivio di Stato di Catania.
Tra le biografie si vedano: F. Paternò Castello di Carcaci, I Paternò di Sicilia, Catania 1936; F. Cataluccio, Lotte e ambizioni di Antonino di San Giuliano, in Studi in onore di Niccolò Rodolico, Firenze 1944, pp. 41-62; R. Longhitano, Antonino di San Giuliano, Milano 1954; F. Cataluccio, La formazione culturale e politica di Antonino di San Giuliano, in Nuova Antologia, 1969, vol. 506, pp. 302-332; M. Scammacca del Murgo, Il Marchese di San Giuliano, in Rivista di studi politici internazionali, XXXVI (1969), 4, pp. 425-440; F. Cataluccio, Antonino di San Giuliano e la crisi economico sociale di fine secolo XIX, in Critica storica, XI (1974), 3, pp. 461-480; G. Giarrizzo, Diario fotografico del marchese di San Giuliano. Il progresso inevitabile, l’evitabile barbarie, Palermo 1984, pp. 11-26; S. Romano, A. di S. G., in Il Parlamento italiano, VII, Milano 1990, pp. 367-378.
Sulla personalità, sull’attività amministrativa e parlamentare di San Giuliano si vedano: M. Belardinelli, Un esperimento liberal-conservatore: i governi di Rudinì 1896-1900, Roma 1976, ad ind.; G. Manacorda, I Fasci e la classe dirigente liberale, in I Fasci siciliani, I, Bari 1976, pp. 69-71; F. Renda, I Fasci siciliani, Torino 1977, ad ind.; F. Grassi, Antonino di San Giuliano, la crisi di fine secolo e le origini dell’imperialismo italiano, in A.L. Denitto - F. Grassi - C. Pasimeni, Mezzogiorno e crisi di fine secolo. Capitalismo e movimento contadino, Lecce 1978, pp. 14-51; G. Barone, Egemonie urbane e potere locale (1882-1913), in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sicilia, a cura di M. Aymard - G. Giarrizzo, Torino 1987, pp. 285-299; G. Astuto, Crispi e lo stato d’assedio in Sicilia, Milano 1999, ad ind.; Id., Catania: i sindaci dell’unificazione, in I sindaci del Re, a cura di E. Colombo, Bologna 2010, pp. 79-100; Camera dei deputati, Portale storico; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, s.v.
Sulla politica estera: F. Cataluccio, Antonino di San Giuliano e la politica estera italiana dal 1900 al 1914, Firenze 1935; G. Tadini, Il marchese di San Giuliano nella tragica estate del 1914, Bergamo 1945; W. Maturi, Il Marchese di S. G. e l’avvio del rovesciamento delle alleanze italiane nel 1914, in Rassegna storica del Risorgimento, L (1963), 1, pp. 3-81; G. André, L’Italia e il Mediterraneo alla vigilia della Prima guerra mondiale. I tentativi di intesa mediterranea (1911-14), Milano 1967, ad ind.; E. Serra, La questione tunisina da Crispi a Rudinì e «il colpo di timone» alla politica estera dell’Italia, Milano 1967, ad ind.; B. Vigezzi, Da Giolitti a Salandra, Firenze 1969, ad ind.; P. Pastorelli, L’Albania nella politica estera italiana, Napoli 1970, ad ind.; A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale. Dall’Unità alla marcia su Roma, Bari 1976, ad ind.; F. Salleo, Diplomazia del rischio calcolato, in G. Giarrizzo, Diario fotografico del marchese di San Giuliano, cit., pp. 27-39; R.J. Bosworth, La politica estera dell’Italia giolittiana, Roma 1985, ad ind.; A.F.M. Biagini, L’Italia e le guerre balcaniche, Roma 1990, ad ind.; D.J. Grange, L’Italie e la Méditerranée (1896-1911), Roma 1994, ad ind.; G. Ferraioli, Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX secolo. Vita di Antonino di San Giuliano (1852-1914), Soveria Mannelli 2007.