JESI (Iesi), Samuele
Nacque a Correggio, presso Reggio Emilia, il 4 sett. 1788 da Israele Isacco e Allegrina Camerini. Rimasto presto orfano, "mostrò fin dall'infanzia non dubbia, né fallace disposizione alle arti" (Bigi, 1860, p. 13) e quindi nel 1806 scelse di trasferirsi - unicamente grazie al sussidio di alcuni generosi concittadini - a Bologna per seguire le lezioni di F. Rosaspina, professore di disegno presso l'Accademia Clementina.
Nonostante potesse contare su un aiuto economico che negli anni seguenti fu sempre più cospicuo, lo J. non frequentò con regolarità i corsi per via della salute spesso malferma. Tuttavia questo primo periodo d'apprendistato orientò le sue scelte: "i temi che si piacque sempre di trattare furono quelli suscettivi o di un gran concetto, o di un profondo sentimento e basti il dire che lo Iesi si prefiggeva uno scopo morale in tutti i suoi lavori, né mai deturpò l'arte con laide rappresentazioni" (ibid., p. 14).
Rarissimi sono i disegni a matita che ci sono rimasti, ma il Ritratto del libraio reggiano Bernardino Foà (Correggio, Comunità ebraica) attesta ancora oggi le grandi doti tecniche dell'artista, per le quali egli divenne famoso nel corso del secolo XIX. È lecito sostenere che la formazione vera e propria dello J. non avvenne a Bologna bensì a Milano, dove si stabilì almeno dal 1815 con l'intento di dedicarsi completamente all'arte dell'intaglio in rame; presso l'Accademia di belle arti, infatti, si tenevano le lezioni di un altro celebrato maestro, l'incisore G. Longhi, il quale ebbe in somma stima l'allievo emiliano. Durante il periodo milanese maturò nello J. la predisposizione alle opere di traduzione (trasposizioni grafiche di soggetti dipinti, scolpiti o disegnati da altri artisti), ispirate a pittori italiani del passato. Eccezion fatta per la Testa d'angelo (1809: prima opera in assoluto e di estrema rarità), tra le prime realizzazioni va segnalato l'Amore materno (conosciuto anche con altri titoli), una stampa tratta dal quadro I cinque sensi del pittore C. Cignani (Roma, collezione Pallavicini), di cui lo J. ricalcò poi anche la Carità (l'incisione è conservata a Milano, Raccolta delle stampe A. Bertarelli), dimostrando già con quest'opera la propria particolare predisposizione per l'accurata resa delle espressioni dei volti.
Abramo che caccia Agar e l'angelo (o Ripudio di Agar) è, invece, la replica su rame dell'omonimo dipinto di G.F. Barbieri, detto il Guercino, custodito nella Pinacoteca di Brera; essa fu a tal punto stimata dall'Accademia di belle arti che valse al disegnatore il premio dell'incisione nel 1821, anno in cui fu realizzata.
In effetti non si può non lodare la precisione del disegno e l'esatto dosaggio dei chiaroscuri, che servono a compensare le differenti cromie del dipinto, così come la capacità di rendere leggibile il silenzioso e mesto dialogo psicologico tra i personaggi.
L'artista, consapevole della notorietà che andava ovunque conquistando, forse già pensava di trasferirsi a Firenze, e la dedica di quest'opera al marchese C. Torrigiani, ciambellano del granduca di Toscana, potrebbe esserne una prova, anche se l'arrivo a Firenze avvenne soltanto nel 1825. In questa città la protezione accordatagli dal Torrigiani e la frequentazione degli intellettuali gravitanti attorno al Gabinetto Vieusseux consentirono allo J. di alimentare la sua vena già prolifica e di esplicitare al meglio "l'ingegno non comune" (Bigi, 1860, p. 14).
Al 1827 risale l'incisione rappresentante la Madonna di casa Tempi tratta dalla celeberrima tela di Raffaello Sanzio (Monaco, Alte Pinakothek).
La qualità maggiore dell'incisione in oggetto risiede senz'altro nell'abilità di riprodurre la grazia, la bellezza e il candore tipici dello stile raffaellesco, soprattutto nelle fattezze del Bambino.
Sempre nel periodo d'attività fiorentina si collocano: il Ritratto di Benvenuto Cellini del 1825, "in stile assai dolce e disinvolto, in mezza figura e al naturale" (ibid., p. 17) desunto da un prototipo di G. Vasari; la stampa, sempre di traduzione e datata 1834, tratta dalla Vergine con il Bambino fra i ss. Giovanni Battista e Stefano dipinta da Bartolomeo di Paolo (Baccio della Porta) per il duomo di Lucca e l'incisione della lastra (su disegno di L. Metalli) che riproduce i Ritratti di Amedeo e Luisa Cristina di Savoia di A. Van Dyck nella Galleria Sabauda di Torino. In quegli anni nel frattempo aveva visitato nuovamente Bologna (1830) e si era spinto fino a Venezia (1835). Tra i ritratti d'invenzione, invece, non va dimenticato quello di G. Longhi, il professore milanese cui lo J. dovette le proprie fortune, materiali e morali.
L'apice della notorietà fu raggiunto dall'artista soltanto quando egli s'ispirò nuovamente a Raffaello, vale a dire disegnando e incidendo - secondo una datazione che oscilla tra il 1834 e il 1840 - il Ritratto di Leone X (Firenze, Galleria di palazzo Pitti): la perfetta esecuzione delle fisionomie gli valse, in Francia, la Legion d'onore (6 giugno 1843).
A commissionare l'opera era stato un editore francese, sicché si rese necessario il trasferimento a Parigi per controllarne da vicino la tiratura. Sembra però che le prime stampe della lastra non fossero della qualità sperata dall'autore, al punto che egli si ammalò per il tanto dolore (è più d'un sospetto ritenere che in realtà il dolore di cui parlano i suoi biografi sia da riferirsi alla perdita dell'amata sorella e, successivamente, di uno zio). Il risultato però fu encomiabile per la notevole capacità di rappresentazione degli oggetti inanimati. L'incisore si è qui confrontato con la laboriosa traduzione del dettaglio delle teste, delle espressioni, degli accessori, degli incarnati, dei tessuti.
Varrà ricordare le molte lodi che L. Cicognara indirizzò allo J. nella lettera del 20 ott. 1832 (Bigi, 1873).
Durante il soggiorno francese fu designato corrispondente per l'Académie des beaux-arts (1842: Cohen) ed ebbe a frequentare alcuni colleghi, tra cui il pittore P. Delaroche, autore di una Vergine della vigna attualmente conservata in India, nel Museo di Baroda (Paul Delaroche…), che lo J. si affrettò a disegnare sul posto e ricalcare su rame non appena fece ritorno a Firenze, nel 1847 (esiste copia dell'incisione al Museo Goupil di Bordeaux, inv. 94.I.2.549).
Anche in questo caso l'accostamento e le sfumature tra i chiari e gli scuri contribuiscono a riprodurre graficamente le variazioni cromatiche, ben visibili nel quadro, dei panneggi e il diverso rilievo delle masse.
Lo J. è tuttora apprezzato anche come autore di illustrazioni per libri. Preparò i ritratti di G. Fracastoro (su disegno di G. Longhi) e di S. Tommaso d'Aquino per la raccolta delle Vite e ritratti di cento uomini illustri, pubblicata a Padova nel 1815 per i tipi di N. Bettoni. Ugualmente a Bettoni è legata l'incisione dell'effigie di Aristotele, che corredava - insieme con altri ritratti - le Vite di venticinque personaggi illustri edite a Firenze nel 1862.
L'ultima grande impresa fiorentina dello J., a partire dal 1847, fu la traduzione grafica del Cenacolo, detto di Foligno, che decorava il refettorio dell'ex convento delle terziarie francescane di S. Onofrio (dette appunto di Foligno).
La paternità della decorazione, ora attribuita ad aiuti del Perugino, fu all'epoca al centro di un'accalorata querelle attribuzionistica alla quale lo J. prese parte pronunciandosi chiaramente in favore di Raffaello - contrariamente alla tesi del professor G. Rossini - e dando alle stampe nel 1848 un libello (Bigi, 1860, p. 28) contenente motivazioni d'ordine stilistico-compositive. Il dibattito concerneva la minore o maggiore adesione della organizzazione dei personaggi a quella adoperata da Giotto in S. Croce a Firenze; e lo J., mediante accurati paragoni e raffronti, attribuiva a Raffaello alcune varianti rispetto all'iconografia tradizionale; allo stesso tempo l'incisore lodava alcuni accorgimenti disegnativi quali la rarefazione delle pieghe nelle vesti, a suo giudizio appropriate in quanto giustamente proporzionate a molte mezze figure.
Lo J. riuscì a completare il disegno e a iniziare l'incisione di tre figure sullo sfondo, ma non a terminare l'impresa.
Lo J. morì a Firenze il 17 genn. 1853.
Per meritata fama, fu accolto in numerose accademie, tra cui quella fiorentina di Belle Arti e quella Ligustica (nel dicembre del 1849: Staglieno, p. 228). Sue opere sono conservate presso il Museo civico di Correggio e la raccolta A. Davoli della Biblioteca municipale di Reggio Emilia. Fu amico di artisti e letterati italiani e stranieri, fra cui P. Giordani e V. Monti. La sua effigie è visibile in uno dei quattro medaglioni marmorei (opera di E. Casalgrandi) che decorano la facciata esterna del teatro comunale B. Asioli di Correggio.
Fonti e Bibl.: G. Longhi, La calcografia, Milano 1830, p. 432; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica…, XXXVIII, Venezia 1846, p. 44, s.v. Leone X; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati Estensi, Modena 1855, p. 422, s.v.Rosaspina, Francesco; Q. Bigi, Notizie intorno all'incisore S. J. da Correggio, Milano 1860; G.E. Saltini, Le arti belle in Toscana…, Firenze 1862, p. 71; M. Staglieno, Memorie e documenti della Accademia ligustica di belle arti, Genova 1862, p. 228; G. Campori, Lettere artistiche inedite, Modena 1866, p. 455; Q. Bigi, Notizie di A. Allegri, di A. Bertolotti suo maestro e di altri pittori ed artisti correggesi, Modena 1873, pp. 221 s.; Catalogo delle stampe esposte al pubblico nella R. Galleria degli Uffizi, a cura di N. Ferri, Firenze 1881, nn. 466, 470; Carteggio di Michele Amari, a cura di A. D'Ancona, I, Torino 1896, p. 62; U. Cassuto, in The Jewish Encyclopaedia, VII, New York-London 1904, p. 158; A. Balletti, Storia di Reggio nell'Emilia, Reggio Emilia 1925, pp. 685 s.; L. Servolini, Diz. illustrato degli incisori italiani moderni e contemporanei, Milano 1955, pp. 417 s.; E. Cohen, in Encyclopaedia Judaica, X, Jerusalem 1971, col. 5; G. Badini - C. Rabotti, Pittori reggiani 1751-1930, Reggio Emilia 1982, pp. 116 s.; Paul Delaroche. Un peintre dans l'histoire (catal., Nantes-Montpellier), a cura di C. Allemand-Cosneau - I. Julia, Paris-Nantes-Montpellier 1999, p. 308; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XVIII, p. 538; A.M. Comanducci, Diz.… dei pittori… italiani…, III, Milano 1972, p. 1635.