SALVINI, Salvino
– Nacque a Livorno il 26 marzo 1824 da Ranieri, sarto di origini pisane, e da Giuseppa Biti, livornese (Venturi, 1938, p. 15).
Nonostante che il padre volesse indirizzarlo a studi classici, Salvini manifestò non più che dodicenne la propria vocazione artistica dopo aver ammirato la statua di Galileo di Paolo Emilio Demi, ottenendo così di poter frequentare dal 1838 la livornese Scuola gratuita di disegno e di architettura di Carlo Michon, dove mise a punto le sue prime prove: una copia in creta di una testa di Cicerone, una mano modellata in creta, e un rilievo di Alcibiade alla battaglia di Potidea.
Nel 1840 veniva ammesso all’Accademia di belle arti di Firenze, dove fu allievo di Lorenzo Bartolini. Per nove anni operò sotto gli occhi vigili dell’eccellente maestro, disegnando, «maneggiando stecca e mazzuolo» e distinguendosi per prove accademiche, alcune delle quali sono state recentemente recuperate dagli studi (Bellesi, 2016). Nel 1843 vinse il concorso per il bozzetto d’invenzione in creta con Rebecca che asseta Eleazaro, nel 1846 risultò vincitore (ex aequo) del concorso triennale per un bassorilievo d’invenzione con Cristo e l’adultera, e nello stesso anno ebbe l’incarico di «modellare» le statue dell’Ammiraglio James Bart per il viceré d’Egitto e di un S. Antonino arcivescovo, di cui resta soltanto un disegno preparatorio al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi (inv. n. 98387F; Venturi, 1938, pp. 15-26).
Nel 1849 vinse il pensionato quadriennale a Roma assieme al pittore Antonio Puccinelli, compagno di studi e amico fraterno, al fianco del quale avrebbe recepito a Firenze le prime novità ‘macchiaiole’ del Caffè Michelangelo, da entrambi frequentato negli anni Quaranta e Cinquanta. A Roma veniva accolto presso lo studio di Pietro Tenerani grazie a una lettera di Bartolini che lo presentava come allievo di «buona speranza» (Raggi, 1880, p. 459).
Uniformati a forme di severo purismo, si susseguirono i saggi inviati a Firenze: nel 1850 il bassorilievo Adamo ed Eva benedetti dal Signore che reca echi dal naturalismo bartoliniano (Bellesi, 2016); e nel 1851 la statua in gesso di Archimede seduto sul suo scanno, con tunica dai pesanti panneggi e citazioni dall’antico (Venturi, 1938, fig. 1). Nel 1852 presentò il gesso di Ehma, la desolata figlia di Sion (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), che ne decretò fama internazionale.
Tradotta in marmo ed esposta a Firenze alla Esposizione Nazionale del 1861, la dolente schiava ebrea, il cui lamento biblico rievocava l’universale diritto di libertà dei popoli, fu giudicata degna di essere premiata. La statua fu poi portata in Inghilterra, dove nel 1862 (Raggi, 1880, p. 460) veniva acquistata dal «signor [Egisippo] Norchi di Volterra» e in seguito collocata in un non meglio precisato «museo di Londra» (De Gubernatis, 1889, p. 446).
Prossimo al concludersi del pensionato romano, Salvini ottenne nel 1852, grazie a Tenerani e a Giovanni Rosini, la nomina a professore di ornato e modello all’Accademia di belle arti di Pisa. Nonostante che dovesse finire di assolvere gli obblighi contrattuali di Firenze, ebbe il beneficio di conservare l’assegno della pensione accademica fino al termine del quadriennio, facendo pervenire nel 1854 l’ultimo saggio previsto, la perentoria figura dell’Omero che canta al popolo la morte di Patroclo (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti).
Nel 1856, per istanza di una sottoscrizione pubblica, ottenne la commissione del Nicola Pisano per il Camposanto Monumentale di Pisa (oggi in piazza del Carmine): inaugurata il 1° giugno 1862, la statua era accompagnata da un opuscolo di Francesco Buonamici che ne elogiava la composizione e attribuiva a Salvini il merito di avere brillantemente raffigurato il ‘pensatore dell’arte’ nel suo momento creativo. Sempre per il Camposanto, luogo consacrato alle memorie civiche, Salvini avrebbe poi scolpito la statua di Giovanni Pisano nel 1875 (andata distrutta nel 1945).
In accordo con il culto romantico degli uomini illustri del passato, Salvini eseguì numerosi ‘pensieri’ grafici dedicati alla memoria di Galileo, Petrarca, Savonarola, Dante e Tasso – conservati oggi presso il Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, in seguito a un lascito del 1924 (Archivio storico delle Gallerie fiorentine, 1924, Gabinetto Disegni e Stampe, n. 5). Sempre su fogli di taccuini, poi confluiti nelle collezioni pisane (Sisi, 1999), l’artista si aggiornava sulle novità del realismo e della corrente neogreca copiando opere di Giovanni Duprè, Vincenzo Vela e Charles Gleyre poi trasposte nei modelli e bozzetti in gesso e terra oggi al Museo nazionale di Palazzo Reale di Pisa, quali l’Episodio del Diluvio Universale (1854), Gli ultimi istanti della vestale e la Testa di vestale.
Durante il soggiorno pisano Salvini ottenne la nomina a ispettore alle esportazioni dal Granducato toscano per conto delle Gallerie fiorentine per il compartimento pisano e livornese (Archivio storico delle Gallerie fiorentine, 1855, Gallerie degli Uffizi, n. 23), incarico precedentemente rivestito da Rosini – di cui Salvini avrebbe desiderato ‘ereditare’ anche il ruolo di conservatore al Camposanto di Pisa. Per le sue evidenti doti di perito venne poi chiamato nel 1855 per valutare l’autografia canoviana del busto di Calliope, mentre nel 1875 rivendicò l’attribuzione, allora accolta da molti, di un presunto S. Giovannino di Michelangelo di proprietà di Ludovico Rosselmini Gualandi (A.M. Voci, Wilhelm Bode e il falso Michelangelo, in Marburger Jahrbuch für Kunstwissenschaft, 2010, vol. 37, pp. 265-278), statua passata poi a Berlino, dispersa nel 1945, e identificata oggi come un Aristeo di Domenico Pieratti (F. Caglioti, Il ‘San Giovannino’ mediceo di Michelangelo, da Firenze a Úbeda, in Prospettiva, 2012, n. 145, pp. 2-81).
Una svolta importante per la sua carriera fu la nomina nel 1861 a professore di scultura all’Accademia di belle arti di Bologna: qui ritrovò l’amico Puccinelli, anch’egli chiamato in Accademia, alla cattedra di pittura, per rinnovare la scena locale. In questi anni portò a termine la statua del S. Giovanni Evangelista per la facciata di S. Croce di Firenze (1862), mentre al 1876 risale la statua del cardinale Pietro Valeriano per la facciata di S. Maria del Fiore.
Passata agli onori delle cronache, purtroppo anche giudiziarie, fu poi l’impresa del colossale gesso di Vittorio Emanuele II a cavallo (1860-68), che allo scultore procurò notorietà e altrettanta amarezza per la mancata traduzione in bronzo.
Risultato vincitore tra i dodici partecipanti al concorso, bandito nel 1859 dal governo provvisorio della Toscana, per il monumento equestre di Vittorio Emanuele II da erigersi in piazza Indipendenza a Firenze, lo scultore aveva ottenuto, il 7 giugno 1860, un contratto di allogazione per un modello in gesso lavorato a Bologna. Formata dal milanese Pierotti, l’imponente statua alta otto metri (una fotografia è nel Museo del Risorgimento di Bologna) venne esposta presso le sale accademiche nel 1867 e lo scultore insignito dal re della croce dei ss. Maurizio e Lazzaro. La statua fu poi trasportata da Bologna a Firenze nell’aprile del 1868 e, dopo l’esposizione al pubblico giudizio nel piazzale Vittorio Emanuele, fu smontata e ricoverata, prima nel salone del palazzo delle Esposizioni di Porta al Prato, e poi nel 1890, a pezzi, presso il magazzino centrale dei Telegrafi, per ordine del ministero della Pubblica Istruzione (Archivio storico delle Gallerie fiorentine, 1868, Gallerie delle Statue, n. 56; 1869, Gallerie delle Statue, n. 8; 1890, Firenze. A1. Commissariato, n. 101). Non se ne ebbero poi più notizie, e al suo posto venne fuso il modello di Emilio Zocchi (Vasić Vatovec, 1994).
Negli anni in cui Salvini fu docente a Bologna, il cimitero comunale della Certosa costituiva la vetrina delle novità accademiche e si arricchì di suoi sepolcri e busti funerari eseguiti con un verismo descrittivo di stampo sentimentale: tra i molti si ricordino i sepolcri di De Simonis (1871), di Cesare Beaus (1873), di Giovanni Contri (1873), il monumento Weller (1883) e la cella Marsigli (1890).
Sempre per il Pantheon di uomini illustri della Certosa, nel 1869 Salvini ottenne la commissione municipale di un busto in marmo di Gioacchino Rossini: inaugurato nel 1872, il busto è oggi conservato nei depositi delle collezioni del Museo d’arte moderna di Bologna, MAMbo, e una replica, sempre di mano del maestro, è invece presso la Pinacoteca comunale di Ascoli Piceno (proprietà della Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, GNAM, di Roma). Dell’ingente produzione ritrattistica salviniana si ricordino poi i busti dello storico e archeologo Giovanni Gozzadini (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio) e del direttore di orchestra Angelo Mariani (1873, Bologna, Museo internazionale e Biblioteca della musica).
Nel corso degli anni Settanta e Ottanta, Salvini partecipò a numerose esposizioni italiane e internazionali che gli restituirono grande fama: Milano (1876), Napoli (1877), Parigi (1878), Roma (1883), Bologna (1883), Torino (1884), Monaco (1883). Vi espose a più riprese il busto di Rossini e il celebre Giotto fanciullo (1876) (di proprietà della Galleria civica d’arte moderna di Roma, esposto oggi nella sala Matrimoni del Campidoglio), raffinato esempio di rievocazione storicistica, di cui esisteva anche un modello in gesso (1875) presso le collezioni del Museo civico Giovanni Fattori di Livorno, andato distrutto, assieme ai gessi della testa di Giovanni Pisano e del bozzetto per il monumento a Francesco Domenico Guerrazzi, durante il secondo conflitto bellico.
Nel corso del nono decennio, Salvini partecipò a due concorsi banditi nella natìa Livorno, senza mai risultarne vincitore, con suo grande dispiacere. Presentò nel 1882 due modelli per l’erezione del monumento a Guerrazzi – un bozzetto con basamento e una statuetta in piedi –, e l’anno successivo un lavoro contrassegnato con il motto «Un bozzetto» per il concorso del monumento a Vittorio Emanuele II, accompagnato da una relazione che lo illustrava (Venturi, 1938, pp. 68-72).
Felici esempi della sua scultura monumentale furono invece il Monumento a Giovan Battista Morgagni (Forlì, 1873), commissionatogli per onorare la memoria del celebre anatomico forlivese, raffigurato in abiti settecenteschi con fluente parrucca e un’ampia toga dottorale, e la statua di Guido Monaco (1882) per il Municipio di Arezzo, che nello stesso anno lo elesse cittadino onorario.
Afflitto nel 1890 da una progressiva paralisi, Salvini fu costretto a interrompere l’insegnamento e il lavoro. Un decreto reale del 5 marzo 1893 lo collocò a riposo, e il 29 agosto si trasferì ad Arezzo, che oggi ne conserva il busto di Michelangelo (palazzo comunale) e il bozzetto del Guido Monaco (Museo di arte medievale e moderna), parte di una serie di gessi, sculture e libri di studio donati dai figli dello scultore al comune aretino (Droandi, 1998).
Nel 1895 venne nominato commendatore della Corona d’Italia (Notizie, in Arte e Storia, XIV (10 dicembre 1895), 24, p. 191).
Sposatosi nel 1855 con Cesira dei conti Montemerli, ne ebbe due figli, Tommaso e Paolina.
Morì ad Arezzo il 4 giugno 1899 (G.C. Necrologio, in Arte e Storia, XVIII (30 giugno-15 luglio 1899), 1-13, p. 88).
Fonti e Bibl.: O. Raggi, Della vita e delle opere di Pietro Tenerani, del suo tempo e della sua scuola, Firenze 1880, pp. 459-463; A. De Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi, pittori, scultori e architetti, Firenze 1889, pp. 446 s.; F. Pera, Quarta serie di nuove biografie livornesi, Siena 1906, pp. 100-108; C. Venturi, S. S. scultore livornese, Livorno 1938; C. Vasić Vatovec, Tre monumenti scultorei per le piazze fiorentine nel tardo Ottocento, in Storia dell’urbanistica. Toscana, IV, Roma 1994, pp. 36-66; S. Renzoni, Pittori e scultori attivi a Pisa nel XIX secolo, Pisa 1997, pp. 229-237; I. Droandi, Le arti ad Arezzo nel XIX secolo, in Ottocento ad Arezzo. La collezione Bartolini (catal., Arezzo), a cura di C. Sisi, Firenze 1998, pp. 27-55; C. Sisi, Integrazioni della biografia artistica di S. S. dalle donazioni della figlia Paolina al Museo Civico di Pisa, in Alla ricerca di un’identità. Le pubbliche collezioni d’arte a Pisa tra Settecento e Novecento (catal., Pisa), a cura di M. Burresi, Pontedera 1999, pp. 201-216 (con bibl. precedente); Guida agli archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ’800 e ’900. L’area pisana, a cura di E. Capannelli - E. Insabato, Firenze 2000, pp. 264 s.; A. Panzetta, Nuovo dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento. Da Antonio Canova ad Arturo Martini, II, Torino 2003, p. 83; A. Gallo Martucci - G. Videtta, L’Accademia di belle arti di Firenze al tempo di Fattori, in I luoghi di Giovanni Fattori nell’Accademia di belle arti di Firenze (catal.), a cura di A. Gallo Martucci - G. Videtta, Firenze 2008, pp. 25-52; Luce sulle tenebre. Tesori preziosi e nascosti dalla Certosa di Bologna (catal.), a cura di B. Buscaroli Fabbri - R. Martorelli, Bologna 2010; R. Martorelli, S., S., 2013, http://memoriadibologna.comune.bologna.it/certosa/salvini-salvino-484051-persona (22 luglio 2017); S. Bellesi, Scultura e scultori all’Accademia di belle arti di Firenze in età lorenese, in Id., Accademia di belle arti di Firenze. Scultura 1784-1915, Pisa 2016, pp. 21-85, schede n. 35, pp. 374 s., e n. 38, pp. 377 s.; G. Coco, Le sculture ‘perdute’ dell’Accademia tra Otto e Novecento: una storia di acquisizioni, trasferimenti e depositi, ibid., pp. 267-285.