SALVINI
Famiglia di attori che fa capo a Giuseppe, nato a Livorno nella seconda metà del sec. XVIII, da famiglia oriunda di Orvieto. Insegnante di letteratura in un istituto privato di Livorno, il S. alternava al suo modesto lavoro le recite tra filodrammatici; invaghitosi di Guglielmina, figlia di Tommaso Zocchi capocomico, per seguirla e sposarla si fece attore entrando nella compagnia del padre di lei. Da loro, ch'erano rispettivamente primo attore e servetta, nacque a Milano il 1° gennaio 1829, Tommaso (un fratello maggiore, Alessandro, divenne anch'egli attore). Tommaso seguì il padre nelle varie compagnie nelle quali lavorava, sebbene avesse una vera ripugnanza al teatro. Ma dovette sobbarcarsi al lento e fastidioso tirocinio, cominciando col fare gli Arlecchini. Dalle prime esperienze sceniche trasse coraggio, sì che quando entrò col padre nella compagnia di Gustavo Modena (senza paga) si sentì mortificato di fare da "attore che non parla". Ma il Modena intuì presto la sua attitudine, appena ebbe udito da lui il saggio di recitazione tragica ch'egli dava per compito ai giovani attori principianti: il racconto di Egisto nella Merope. Questa specie di esame decise della sua fortuna, alla quale andò incontro con giovanile spavalderia, lasciando il Modena per un puntiglio orgoglioso e scritturandosi "primo e secondo amoroso" nella compagnia reale di Napoli nel 1845, cioè appena sedicenne. Gli era morto intanto il padre; e più grave fu il dolore della solitudine poiché gli era sempre mancato l'affetto della madre, perduta fin dall'età di due anni. Il S., già formatosi a una scuola d'arte moderna, non poté adattarsi ai metodi degli attori napoletani e lasciò la Compagnia reale per entrare in quella del Domeniconi, nella quale entrò pure, nel 1847, Adelaide Ristori, artista già provetta: al suo fianco il S. si rivelò quale doveva essere poi per tutta la vita: attore tragico, dotato dalla natura di mezzi eccezionali di espressione drammatica che l'artista doveva sviluppare, nell'Oreste dell'Alfieri, a Roma nello stesso anno '47. E a Roma egli doveva avere un altro battesimo, quello del fuoco, durante l'assedio del'49. La valorosa sua condotta gli valse la lode di Garibaldi, e la stima e l'amicizia di uomini eminenti, cominciando da Aurelio Saffi che ebbe compagno di carcere. Le dolorose vicende della patria lo confermarono nella fede repubblicana che professava e per reverenza al suo maestro mazziniano e per avversione ai governi retrivi che lo fecero passare nelle carceri di Genova e di Firenze. I suoi meriti di patriota accrebbero la sua popolarità di attore, e gli valsero poi anche la stima del re Vittorio Emanuele II. Il S. rimase col Domeniconi anche dopo l'uscita della Ristori, passata alla Compagnia reale sarda nel'51, ed entrò nel 1854 nella compagnia Astolfi che, privata in seguito al colera del suo direttore, il S. condusse e diresse in società con Gaspare Pieri. In questo periodo egli studiò le sue più famose interpretazioni - Zaira, Saul, Otello e Amleto - alle quali dedicò anni di preparazione, tanto che nella sua lunghissima carriera esse subirono pochissime modificazioni perché meditate e perfezionate fin dal primo esperimento sempre fortunato. E questa una delle caratteristiche del suo metodo di studio e di lavoro: non lasciare nulla all'improvvisazione, ma stabilire ogni particolare con precisione minuziosa e, valendosi di una memoria prodigiosa, conservarne il ricordo e la freschezza. Iniziato all'arte in pieno romanticismo, il S. poté attuare in gran parte gl'insegnamenti del Modena nella linea del verismo (compatibile con il repertorio dell'Alfieri, del Pellico, del Marenco, del Giacometti e dei numerosi drammoni stranieri prediletti dal pubblico) e poté riuscire egualmente suggestivo nella tragedia classica e nella commedia goldoniana (Pamela nubile) e borghese (La calunnia). Ad attuare l'idealità artistica del maestro ebbe propizia la portentosa ricchezza dei mezzi fisici: aspetto imponente, voce di timbro bellissimo e di estensione amplissima (da giovanetto aveva pensato di fare il cantante e aveva studiato canto), fisionomia pronta alle espressioni più varie. I passaggi di tono nella voce ebbe facili e agili; e se ne compiacque fino a incorrere nella critica ch'egli cantasse, in versi e in prosa: critica non priva di fondamento, salvo che cantava mirabilmente.
Nel 1856, entrato nella compagnia di Cesare Dondini, si trovò a fianco Clementina Cazzola, attrice di grandi meriti e donna di raro fascino, che egli sposò, ma che morì ancor giovane nel'68. Nel 1857 il S. fu a Parigi (dove la Cazzola non lo seguì, timorosa di esporsi al suo fianco, dopo un anno dai trionfi della Ristori) e vi ebbe accoglienze clamorose specialmente per l'Otello. È una data di qualche importanza nella storia del teatro italiano la rappresentazione della Morte civile (1863) che il S. doveva poi portare a Parigi nel suo secondo viaggio - vent'anni dopo il primo, nel'77 - a suscitarvi fragore di plausi e di polemiche.
Nel '65, in occasione del centenario dantesco, si cimentò nella declamazione di alcuni canti del poema, in teatro, rinnovando con altro stile l'ammirazione già tributata al Modena. E cominciò nel '69, dopo la morte della Cazzola, i grandi giri all'estero che gli fruttarono fama mondiale e cospicue ricchezze, suscitando simpatie per l'arte italiana, nonché studî e disquisizioni d'arte scenica. Fu in Spagna e Portogallo nel '69; nell'America Meridionale nel '71; negli ztati Uniti e daccapo nel Brasile nel '73; a Londra nel '75, e ancora, e in altre città inglesi, nel '76 (a Londra recitò con successo, mai conseguito da artisti stranieri in opere di Shakespeare, ben 30 volte l'Otello, 14 l'Amleto); fu in Germania e Austria nel '77; nel 1880 in Romania, donde ritornò negli Stati Uniti con attori inglesi; ivi fu per la terza volta nel 1883 con una compagnia inglese, nel 1886 per la quarta volta interpretando il Coriolano e una quinta nel 1889. Era stato pure nel 1881-82 in Egitto e in Russia. Verso il 1890 cessò di recitare regolarmente, ma tornò più volte alle scene in occasioni diverse, per lo più di beneficenza.
Un singolare ritorno egli fece in età di 74 anni, nel 1903, a conclusione dimostrativa di una polemica d'arte con Ermete Zacconi, sui criterî e sugli arbitrî delle interpretazioni della Morte civile e dell'Otello.
Tra le interpretazioni dei due attori correvano cinquanta anni di teatro e di costumi, che rendevano impossibile il paragone, il quale fruttò semplicemente molti applausi ai due antagonisti.
In alcune recite d'occasione il S. fece curiosi esperimenti artistici interpretando figure di secondo carattere: il Lanciotto nella Francesca (con Ernesto Rossi, Paolo, e la Ristori, Francesca), riuscendo cosl efficace da far convergere tutte le simpatie sul marito tradito e capovolgere gli effetti della tragedia. Lo stesso effetto ottenne facendo il Pilade nell'Oreste (ancora col Rossi). E già sessantenne osò rifare il David nel Saul (che aveva fatto da giovane) e lo Iago nell'Otello (con Andrea Maggi, nel 1890).
Oltre alle interpretazioni già ricordate, non potendosi neppure tentare un elenco completo di quelle del S. in oltre mezzo secolo (è insufficiente anche il volume autobiografico del S. stesso), accenniamo ad alcune secondarie, perché caratteristiche: il Figlio delle selve; Giosuè il guardacoste; La suonatrice d'arpa; La contessa d'Altenberg; lavori che richiedevano o si avvantaggiayano delle doti fisiche del S. Notevole sotto questo aspetto l'Arduino d'Ivrea; l'Edipo a Colono di G.B. Niccolini; il Sofocle di P. Giacometti, e ancor più il Sansone di I. D'Aste. Nella commedia vanno ricordate le figure degli Innamorati, di Con gli uomini non si scherza, della Vita color di rosa, del Sistema di Giorgio, e alle interpretazioni shakespeariane vanno aggiunte quelle del Macbeth e del Re Lear.
T. S. morì in Firenze allo scoccare del suo 86° anno il 31 dicembre 1915. Con lui si spegneva il più grande rappresentante di un'epoca artistica gloriosa, e un tipico eccezionale artista, benemerito del teatro italiano. Il S. protesse la scuola di recitazione di Firenze, che fu intitolata al suo nome (oggi soppressa) e promosse e dotò la Cassa di previdenza fra gli artisti drammatici. Dalla prima moglie il S. ebbe quattro figli, dei quali Gustavo, nato nel 1859, morto nel 1930, fu attore contro la volontà paterna, e d'intendimenti originali. Ha legato il suo nome a tre interpretazioni nobilissime di ottimo stile: Edipo re di Sofocle, Tartufo di Molière, Spettri di Ibsen; nelle prime due non ebbe rivali, nella terza affermò una personalità propria in contrasto con l'interpretazione zacconiana. Fu pure dei primi interpreti della Francesca da Rimini del D'Annunzio. Da Ida Bertini attrice, sua moglie, ebbe sei figli, due dei quali svolgono attività teatrale: Maso come autore e Alessandro come attore.
Alessandro, altro figlio di Tommaso, nato nel 1861, morto a Firenze nel 1896, prediletto dal padre come continuatore dell'arte sua, fu attore di lingua inglese in America, dove raggiunse una notevole rinomanza.
Mario, altro figlio di Tommaso, nacque nel 1863. Non si è dedicato al teatro: è scultore e pittore, ceramista e insegnante d'arte applicata all'industria, direttore di istituti professionali; ha due figli, Celso critico drammatico e Guido regista. Tommaso S. sposò in seconde nozze Carlotta Sharpe, dalla quale ebbe due figli che non furono attori, e un altro figlio ebbe dalla terza moglie, l'americana Genoveffa Bearman.
T. Salvini, Ricordi, aneddoti e impressioni, Milano 1895; Jarro, Vita aneddotica di T. S., Firenze 1908; Yorik (p. Ferrigni), La morte di una musa, ivi 1883; A. Ristori, Ricordi, Torino 1887; E. Rossi, Quarant'anni di vita artistica, Firenze 1887-89, voll. 3; A. Russo-Ajello, Tragedia e scena dialettale, Torino 1908.