VASILE, Salvatore Ranieri (Turi). – Nacque a Messina nel quartiere di San Ranieri (da cui prese il secondo nome) il 22 marzo 1922; primogenito di Maria Signorelli da Belpasso (Catania) e di Paolo da Lentini (Siracusa)
, ebbe due sorelle, Francesca e Angela.
I frequenti trasferimenti del padre, maresciallo della Regia Marina, gli infusero fin dall’infanzia un sentimento di appartenenza e insieme di ‘diaspora’. Molti anni dopo, in Paura del vento (1987), il faro di Capo d’Orlando dove il padre fu guardiano e dove Turi abitò a cinque e sei anni (e per cui ottenne la cittadinanza onoraria di Lentini nel 2002) divenne simbolo di quella sicilianità tanto idealizzata quanto nomadicamente vissuta.
Di nuovo a Messina, dopo il liceo classico La Farina frequentò un primo anno di università, e il teatro: il GUF, con il suo teatro Sperimentale fondato nel 1936 da Enrico Fulchignoni con Adolfo Celi e Mario Landi (dove nel 1939 fu anche attore, in La locandiera e Piccola città) lo avvicinò a un repertorio locale e internazionale insieme. Nel 1940 seguì il padre, trasferito al ministero della Marina, e si stabilì definitivamente a Roma, dove si laureò in lettere alla Sapienza con una tesi su Giovan Battista della Porta, relatore Natalino Sapegno. E mise a fuoco la sua vocazione teatrale: nominato direttore del Teatroguf di Roma (fucina di attori come Giulietta Masina, Anna Proclemer, Vittorio Caprioli; e di registi come Ruggero Jacobbi e Gerardo Guerrieri), esordì con una traduzione dell’Aulularia di Plauto.
Sulla spinta della normativa che proibiva i testi stranieri a favore di quelli nazionali, debuttò a Firenze come autore con due commedie di ambiente siciliano, fin dalla lingua: La procura, storia di un travagliato matrimonio combinato, con la regia di Alessandro Brissoni (1941) vinse i Littoriali del teatro e gli valse l’amicizia di Ugo Betti, presidente di giuria (la commedia fu poi ripresa a Roma al teatro delle Arti di Anton Giulio Bragaglia, che a sua volta lo chiamò a dirigere Paludi di Diego Fabbri); e Arsura, dove un anziano lubrico molesta la moglie del nipote e per questo viene assassinato – trama che nel 1943 turbò il pubblico fiorentino, e per la censura dei dirigenti del GUF non arrivò a Roma (dove invece, sempre nel 1943, debuttò direttamente L’orfano).
Furono decisivi anni di formazione: «approfittammo dell’indulgenza che allora si riservava, per retorica o per eccessiva sicurezza, alla gioventù, per liberarci di ogni condizionamento ideologico e applicarci allo studio e alla rappresentazione della produzione contemporanea straniera, dalla quale per precetto di regime avremmo dovuto tenerci lontano» (Il Tempo, 17 novembre 1984). Tanto che non smise più di scrivere per il teatro – una ventina di testi, la maggior parte concentrati nel decennio della ricostruzione: La suora degli emigranti (1946, a sei mani, fu il primo a essere rappresentato da una compagnia nazionale, la Palmer, Scelzo, Ninchi, Almirante, Foà); L’acqua (1948, storia di vendetta in una campagna assetata, fra superstizioni arcaiche e credenze cristiane; poi cavallo di battaglia di Giovanni Grasso jr.); I fiori non si tagliano (1950, amara ironia su un certo internazionalismo senza pudore); I cugini stranieri (1951, riflessione sulla guerra a partire dal mito degli Orazi e dei Curiazi; primo incontro con la grande regia di Orazio Costa e Mario Ferrero); Anni perduti (1954, dissoluzione di una famiglia piccolo borghese nella desolazione del dopoguerra); Le notti dell’anima (1957, dramma di coscienza di un monsignore fra declino della fede e attesa della grazia; secondo incontro, non a caso, con Costa); La cruna dell’ago (1958, regia di Andrea Camilleri).
Il cinema – e forse l’Italia del benessere, che da quello si faceva meglio ritrarre – diradarono l’interesse di Vasile per la scrittura teatrale, che ebbe però un significativo ritorno nell’ultima fase della sua vita: dapprima con una miscellanea plautina (Il Plauto magico, 1983), quindi più decisamente con le commedie Lia rispondi, premio IDI 1985 (sulla vacuità e l’insignificanza delle parole); La famiglia patriarcale, premio Flaiano 1987 (ma rappresentata dieci anni dopo); Quiz, 1987 (regia di Camilleri); La confusione, 1988; Il falso scopo, premio Fondi-La Pastora 1989 (dove un terrorista si misura con ideali presunti e amore vero).
Apprezzato fra gli altri da Silvio d’Amico, il Vasile autore di teatro fu sperimentatore di forme e temi, sempre animato da una spinta ideale che caratterizzò anche la sua non meno importante attività come regista: per cui diresse fra l’altro ‘classici’ come Carlo Goldoni (Torquato Tasso, 1942), Luigi Capuana (Giacinta,1943; su commissione di Bragaglia), Luigi Pirandello (Il berretto a sonagli e La patente, 1951); ma anche contemporanei come Ugo Betti (Il diluvio, 1943; Una bella domenica di settembre, 1948), Dino Terra, conosciuto agli Indipendenti (La vedovella), Valentino Bompiani (Paura di me). Ebbe rilevanti incarichi tra pubblico e privato: condivise con Costa la direzione del Piccolo Teatro della città di Roma (1950-51); fu membro di giuria al Festival del cinema di Venezia (1950); diresse la compagnia Isa Miranda-Carlo Ninchi (1956; con la quale, per la regia di Sulle strade di notte di Renato Lelli, ricevette il premio Saint Vincent); fu presidente dell’Istituto nazionale per il dramma antico (2002-03).
Dopo aver lavorato in radio come critico, autore di radiodrammi e, in tempo di guerra, di trasmissioni per i combattenti e le loro famiglie, dopo la Liberazione, il 23 febbraio 1946 sposò Silvana Gualdi, dal cui sessantennale rapporto d’amore nacquero i figli Maria, Carla, Luciana e Paolo. E fu tentato, seppure per breve periodo, di spendere in politica quella fede che già lo connotava in teatro: proseguendo un’attività iniziata ai tempi del fascismo come addetto stampa dell’Azione cattolica (che dopo l’8 settembre gli aveva guadagnato asilo in Vaticano), nei giorni della campagna elettorale del 1948 ricevette da Luigi Gedda l’incarico di responsabile dell’Ufficio psicologico dei comitati civici, sostanzialmente della propaganda per la Democrazia cristiana – ma questa non lo ripagò a sufficienza: non bastò una Topolino, prima auto della sua vita, a compensare la delusione per il crescente disinteresse del partito per la cultura.
Intanto nel 1942, mentore Betti, Vasile aveva esordito nel cinema come assistente alla regia di Augusto Genina nel film Bengasi, primo al Festival di Venezia; decise dunque di mettere a frutto questa esperienza come soggettista e sceneggiatore: fu nel gruppo degli autori di Due lettere anonime, primo film di Mario Camerini sulla resistenza a Roma, e firmò soggetti e sceneggiature per Camerini, Luigi Zampa, Alessandro Blasetti, Eduardo De Filippo (meno numerose furono le sue regie, fra cui I colpevoli, 1957, con Carlo Ninchi e Vittorio De Sica; Gambe d’oro, con Totò, e Promesse di marinaio, commedia musicale con Renato Salvatori, entrambi del 1958).
Più consistente fu invece la sua carriera di produttore: iniziò con Luigi Zampa (Processo alla città, 1952) e proseguì fra gli altri con Michelangelo Antonioni (I vinti, 1952); Roberto Rossellini, De Filippo, Yves Allegret, Claude Autant Lara (I sette peccati capitali, 1952), Abel Gance (La torre del piacere, 1954). Tanto che nel 1962 fondò una propria casa di produzione, la Ultra Film, esordendo con la fantascienza di Antonio Margheriti Il pianeta degli uomini spenti; seguirono Sedotta e abbandonata (1964, Pietro Germi), Io la conoscevo bene (1965, Antonio Pietrangeli), Operazione San Gennaro (1966, Dino Risi), Il padre di famiglia (1967, Nanny Loy), I tulipani di Harlem (1970, Franco Brusati). Il successo di Anonimo veneziano (1970, Enrico Maria Salerno) non lo salvaguardò dal dissesto provocato nel 1972 da Roma, dell’amico Federico Fellini, per cui fu costretto a indebitarsi drammaticamente. Dopo più di centosessanta film (secondo i necrologi), certamente fu questo uno dei motivi per cui Vasile preferì darsi alla produzione televisiva, cui del resto aveva già iniziato a dedicarsi: fu uno dei primi produttori a fornire alla RAI serie come Il mondo di Pirandello (1968) di Luigi Filippo D’Amico; I racconti del maresciallo (1968) di Mario Landi, da Mario Soldati; Lo scialo (1987) di Franco Rossi dal romanzo di Vasco Pratolini; la miniserie di tre film Guerra di spie (1989) di Duccio Tessari da romanzi di Corrado Augias.
Mentre intensificava l’attività come giornalista – su Il Giornale riaccese vecchie passioni politiche e si espresse contro il progetto del ponte sullo Stretto in nome della difesa dell’‘insularità’; interventi alla base poi della raccolta Il Ponte sullo Stretto, del 1999 – sul finire degli anni Ottanta, quasi sessantenne, Vasile si lasciò portare dall’inesausta curiosità (e forse da qualche inclinazione testamentaria) verso il nuovo orizzonte della letteratura. Trovò congeniale la forma del racconto per contenere insieme le sue due vite: quelle della sua rimpianta ‘mediterraneità’ e del cinema, della memoria e del set; Paura del vento e altri racconti (1987) fin dal primo racconto eponimo narra di Taranto, Crotone, Capo d’Orlando, Messina; Un villano a Cinecittà (1993) riporta lo ‘spaesamento’ dai luoghi del ricordo a quelli della finzione; ancora dell’infanzia a Taranto e della Sicilia contadina narrano Male non fare (1997) e La valigia di fibra (2002); fra nostalgia e ammirazione scorrono i ritratti di diciannove artisti Raccontati da Turi Vasile (2002); l’ultimo suo libro, L’ombra (2009), non poteva non essere ancora una raccolta. Diverso respiro preferì conferire a Giòn (2000), romanzo di un misterioso autista inglese in terra di Sicilia che affascina un produttore di cinema; e a Silvana (2008), intime pagine dedicate alla moglie da tempo affetta da una malattia degenerativa, che Turi accompagnò nell’ultimo viaggio: morì a ottantasette anni, il 1° settembre 2009, appena cinque giorni dopo di lei, che, pur già ammalato, aveva continuato ad accudire amorevolmente.
Opere. L’Archivio Vasile (40 plichi di manoscritti editi e inediti, libri, locandine, premi, targhe), donato dalla famiglia e in attesa di classificazione, si trova a Messina, presso il Dipartimento di scienze politiche e giuridiche dell’Università. Quanto ai suoi contributi per il cinema e il teatro a oggi risultano pubblicati i drammi: La procura, in Comoedia, XXIII (1941), 8 [in Scenario X (1941), 8]; Arsura, in Comoedia, XXIV (1943), 3 [in Scenario XII (1943) 3]; I fiori non si tagliano, in Teatro, II (1950), 14-15, pp. 45-60; I cugini stranieri, in Teatro scenario, III (1951), 8, pp. 17-31; Anni perduti, ibid., VII (1955), 5, pp. 45-63; La cruna dell’ago, in Ridotto, VII (1957), 11, pp. 39-45; Le notti dell’anima, Roma 1957; Gli abusivi, in Ridotto, XIV (1964), 1-2, pp. 15-62; Lia rispondi, ibid., XXIII (1983), 5-6, pp. 29-74; La confusione, s.l. 1988; Il falso scopo, Roma 1989; Una famiglia patriarcale, Quiz, La confusione, Roma 1990. Non risultano edizioni a stampa delle opere per il cinema, per cui si rimanda alle numerose edizioni dei film. Quanto alla prosa, si veda: Paura del vento e altri racconti, Palermo 1987; Un villano a Cinecittà, Palermo 1993; Il semaforo: segnali e segnalazioni, Milazzo 1994; L’ultima sigaretta e altri racconti, Palermo 1996; Male non fare: racconti, Palermo 1997; Il ponte sullo stretto, Palermo 1999; Giòn, Napoli 2000; La valigia di fibra, Palermo 2002; Raccontati da Turi Vasile, Roma 2002; Morgana, Roma 2007; Silvana, Roma 2008; L’ombra, Matelica 2009.
Fonti e Bibl.: A.Fiocco, Turi Vasile o dalla regione al mondo, in Teatro scenario, III (1951), 9, pp.33-36; N. Mangini, Vasile Turi (S.V., detto), in Enciclopedia dello spettacolo, IX, Roma 1975, coll. 1472-1473; A. Piromalli, Itinerario culturale di Turi Vasile, in Pagine siciliane, Messina 1992, pp. 257-265; Turi Vasile, a cura di G. Resta, Messina 1995; G. Cotroneo, Il primo e ultimo romanzo di Turi Vasile, in Moleskine, III (2010), 8-9, pp. 34-38. Si segnalano, inoltre, le puntate 11-12, del 1974, della trasmissione radiofonica di RAI2 50: mezzo secolo della radio italiana (La prosa), di cui Vasile fu autore insieme a Silvio Gigli, e il film biografico del 2016 Verso casa, di Fabrizio Sergi.