Nel linguaggio medico, sottrazione, a scopo terapeutico, di una cospicua quantità di sangue da una vena periferica, con conseguente riduzione della volemia ed emodiluizione. Attuato sin dai tempi antichi, cadde in discredito per l’abuso che se ne fece soprattutto nel 17° e 18° sec. e all’epoca di F.-J.-V. Broussais; le indicazioni principali al s. erano rappresentate da condizioni nelle quali era necessario ridurre drasticamente la massa di sangue circolante: scompenso cardiaco congestizio, edema polmonare acuto, crisi ipertensive.
Il s. viene praticato sia come tecnica curativa sia a scopo alimentare presso alcune società. Nel primo caso può essere eseguito da un terapeuta, a volte uno sciamano, per mezzo di ventose (Africa) o mediante puntura (Australia, Nuova Guinea, Americhe). Il s. per scopi alimentari è diffuso tra i gruppi pastorali africani (Nilo-Camiti, Oromo, Bantu sud-orientali) e viene eseguito per mezzo degli appositi archi e frecce, succhiando poi direttamente il sangue dalla vena aperta del bovino.