CONTI (de Comitibus), Sagace
Apparteneva alla grande famiglia romana di questo nome, titolare di ampi feudi nel Lazio. Suo padre Ildebrandino, il capostipite del ramo di Valmontone, fu per un certo periodo vicario pontificio di Paliano e di Serrano, ebbe almeno cinque figli maschi, tre dei quali scelsero la carriera ecclesiastica: il C., Lucido, nominato cardinale nel 1411, e Giacomo, ricordato come priore di Barletta nel 1420. Non è noto il casato della madre Berarda, la quale apparteneva però sicuramente ad una di quelle grandi famiglie romane con cui i Conti usavano imparentarsi.
Il C. dovette nascere intorno al 1391, probabilmente a Roma e forse addirittura nella torre delle Milizie, allora in possesso della famiglia. In una bolla pontificia del 1419 si dice infatti che egli si trovava nel ventottesimo anno di età. Nulla si sa dei suoi studi né dei primi benefici che riuscì ad ottenere. La prima notizia che lo riguarda è del 6 apr. 1412: in quella data l'antipapa pisano Giovanni XXIII gli conferì l'abbazia esente di Subiaco dopo averla tolta a Tommaso della famiglia dei conti di Celano, la quale parteggiava allora per il re Ladislao di Napoli. Il 13 dello stesso mese il C. si obbligò, tramite il fratello Alto, a pagare entro la Pentecoste successiva i servizi, 1.000 fiorini d'oro "de camera" e "quinque minuta servicia".
I suoi parenti e soprattutto il suo potente ed ambizioso padre, qualificato varie volte come "padrone" dell'abbazia, dovettero aiutarlo a recuperare le terre e le piazzeforti alienate del monastero. Il che lascia pensare che tutta la faccenda sia in qualche modo da ricollegare con il passaggio di Subiaco all'obbedienza pisana avvenuta intorno al 1410-11. C'è da aggiungere che i monaci prima del 24 apr. 1412 avevano eletto abate, con un'elezione canonicamente valida, uno dei loro, certo Nicolaus (Seyringer) de Austria, ma Ildebrandino riuscì a garantire al figlio il possesso incontrastato dell'abbazia, guadagnandosi così un giudizio piuttosto negativo nella storiografia del monastero. Pare che il C. (o suo padre) esercitasse sul monastero un governo piuttosto autocratico (concesse al suo familiare Cola di Marano i "bona stabilia" lasciati al monastero per testamento da Giambenedetto di Marano), ma è anche vero che egli donò al monastero numerosi oggetti di culto e paramenti sacri, come ad es. all'annesso monastero femminile di S. Scolastica un calice per la messa dorato, con lo stemma della sua famiglia.
Dopo la conclusione dello scisma d'Occidente il nuovo pontefice Martino V - la cui madre era sorella di Ildebrandino Conti - conferì al C., il 13 nov. 1419, il vescovato di Cava dei Tirreni che era unito con il locale monastero benedettino; il C., però, poté tenerlo solo in amministrazione non avendo ancora raggiunto l'età canonica. Il 1° dicembre si obbligò, tramite il priore di Priverno e Roccasecca, Antonio Nalli, a pagare alla Curia entro l'anno i servizi dovuti, 1.000 fiorini "auri de camera" e "quinque servicia minuta". Preferiva comunque trattenersi in Curia e fece amministrare la diocesi dal vicario generale Alberto de Bonocristiano; tale situazione, però, dovette provocare non poche difficoltà se Martino V il 4 dic. 1425 fu costretto a richiamare i diocesani all'obbedienza da essi dovuta al vescovo e ai suoi funzionari.
La lettera pontificia fa riferimento al soggiorno del C. in Curia, dove era impegnato "in nonnullis nostre et Romanae ecclesiae negotiis". Il C. partecipava infatti alle trattative di pace tra Carlo e Pandolfo Malatesta da un lato e Guidantonio da Montefeltro dall'altro, conclusesi positivamente il 28 giugno 1425. Il C. stava allora in rapporti anche con alcuni condottieri, come ad esempio Angelo Broglio (Tartaglia di Lavello), impegnati nella riconquista dello Stato della Chiesa per incarico del pontefice.
Nello stesso torno di anni il C. risulta partecipare attivamente all'azione della famiglia, diretta a difendere la consistenza dei propri feudi nel Lazio e a recuperare terre contese da altre famiglie feudali. In paiticolare i Conti si trovarono in frequenti contrasti con i Caetani: e il C. appare regolarmente negli atti di tregua tra le due famiglie a partire dal 1419.
Tra il novembre del 1420 e il novembre del 142 1 Martino V concesse in commenda al C., al fine di incrementarne le entrate, il monastero benedettino di SS. Andrea e Gregorio "in clivo Scauri" a Roma, come risulta da alcune quietanze. Il C. tenne questo beneficio fino alla morte, senza peraltro preoccuparsi di migliorarne in qualche modo le condizioni. Il 4 febbr. 1426 fu trasferito alla cattedra vescovile di Carpentras nella Francia meridionale, vacante dopo la morte del curiale Iacopo de Camplo avvenuta l'11 nov. 1424. Il 15 dello stesso mese il C. si obbligò personalmente al pagamento dei servizi (1.500 fiorini d'oro "de camera" e "quinque servicia minuta"), la metà dei quali egli promise di pagare entro i prossimi sei mesi. Del 10 marzo 1426 è il mandato con il quale il monaco benedettino Giorgio de Aurilia di Cava dei Tirreni e Antonello Rugro di Salerno furono nominati commissari "in temporalibus" della diocesi rimasta vacante per il trasferimento del Conti.
Il C. non mise mai piede nella sua nuova diocesi, la più piccola dell'antica Francia, situata nel territorio dei Contado Venassino. Il vescovo di Cavaillon lo sostituì nell'amministrazione, i signori di Venasque ricevettero in sua vece il giuramento temporale. Nonostante ciò, si è conservato in una delle vetrate del coro di S. Siffrein a Carpentras lo Stemma dei Conti dell'inizio del secolo XV.
Pare che il C. abbia goduto del favore di Eugenio IV. Questi infatti il 30 maggio 1446 tolse al proprio nipote Marco Condulmer, patriarca di Alessandria, l'amministrazione della diocesi di Spoleto tenuta da lui in commenda, trasferendovi il Conti. Lo stesso giorno il papa gli confermò la commenda di SS. Andrea e Gregorio a Roma. L'8 luglio il C. si obbligò al pagamento dei servizi, 1.000 fiorini d'oro "de camera" e "quinque servicia minuta" e il 31 maggio 1447 fece trasferire, tramite il banchiere fiorentino Ugo Albizzi, metà della somma alla Camera, la quale rilasciò una quietanza.
Alla morte del fratello Lucido - avvenuta nel settembre 1437 - il C. e il fratello Grato contestarono all'altro fratello Alto la titolarità di alcuni castelli. La questione nasceva dal fatto che Lucido era stato designato come erede universale dal padre Ildebrandino e, quando era entrato in possesso dell'eredità alla morte di quest'ultimo nel 1435, non aveva richiesto ad Alto la restituzione dei castelli che da tempo teneva. Lucido morì intestato e il C., insieme con Grato, contestarono ad Alto la titolarità delle terre che questi possedeva. Il 13 genn. 1441 il cardinale Giovanni Berardi dette, però, ragione ad Alto. Il C. e Grato si appellarono allora al papa, il quale confermò la decisione del cardinale.
Il C. morì nel 1448. Non si conosce il giorno esatto della sua morte, che dovette comunque avvenire prima del 24 giugno. In questa data il papa concesse ad Alto Conti quella parte dell'eredità del defunto rivendicata dalla Chiesa di Carpentras. Il C. morì fuori della Curia e ciò indusse l'Ughelli a supporre che la morte fosse avvenuta nella sua sede vescovile, cioè a Spoleto.
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